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Doc. XXIII N. 5

Approvato nella seduta del 26 marzo 1998

Introduzione nel codice penale del titolo VI-bis, "Delitti contro l'ambiente", e disposizioni sostanziali e processuali contro il fenomeno criminale dell'"Ecomafia"

(Articolo 1, comma 1, lettera g, della legge istitutiva 10 aprile 1997, n. 97)

Trasmesso alle Presidenze delle Camere il 22 aprile 1998

INDICE

RELAZIONE INTRODUTTIVA *

Introduzione nel codice penale del titolo VI-bis, "Delitti contro l’ambiente", e disposizioni sostanziali e processuali contro il fenomeno criminale dell’"Ecomafia". *

 

RELAZIONE INTRODUTTIVA

 

La normativa in materia ambientale varata nel corso degli ultimi anni ha determinato un quadro interpretativo ed applicativo non omogeneo e spesso mal coordinato.

Essa, a livello sanzionatorio, oltre ad alcune ipotesi di sanzioni amministrative, non prevede fattispecie di delitto, tipizzando i reati ambientali come reati contravvenzionali, quasi sempre di modesta portata ed oblazionabili.

L’effetto deterrente e repressivo è dunque scarso.

A fronte di attività illecite nel contesto delle quali si è inserita, con un lucroso profitto, la criminalità organizzata, detto effetto è praticamente nullo, giacché le modeste sanzioni delle leggi speciali sono del tutto inadeguate a fronteggiare e scoraggiare i vantaggi economici miliardari che determinano.

E, soprattutto, i mezzi procedurali operativi che tale regime affida alle forze di polizia ed alla magistratura non sono efficaci e conseguentemente le potenzialità investigative risultano estremamente stressate da tali limitazioni genetiche.

E’ un dato di fatto che le organizzazioni criminali hanno ormai individuato nel campo ambientale, ed in particolare nel traffico dei rifiuti, nella speculazione edilizia e nella gestione delle attività di recupero ambientale, un nuovo e vantaggiosissimo business, di interesse pari a quello del traffico di droga ma con rischi bassissimi o, più realisticamente, del tutto inesistenti.

Le associazioni criminali cosa nostra siciliana, sacra corona unita pugliese, ‘ndrangheta calabrese, camorra napoletana e casertana, che sono interessate al traffico dei rifiuti, in particolare dal nord al sud dell’Italia, a prescindere dalle particolarità di ciascuna associazione, dagli assetti organizzativi localmente adottati e dai mutamenti comportamentali che periodicamente possono essere determinati da specifiche contingenze di tempo e di luogo, appaiono caratterizzate da aspetti comuni quali, tra gli altri, lo stabile controllo del territorio.

Si impone, dunque, un adeguamento legislativo che, preso atto di tale realtà ormai indiscussa, fornisca alla polizia giudiziaria nuovi e più penetranti strumenti investigativi, ed alla magistratura più idonei regimi sanzionatori proporzionati alla gravità dei fatti posti in essere. Fatti che, va ribadito, non sono più, in molti casi, semplici infrazioni commesse da privati per isolati casi soggettivi, ma diventano il prodotto di un disegno criminoso a vasto respiro e con effetti devastanti per l’ambiente. Va peraltro rilevato che ogni violazione o illecito nel settore del traffico dei rifiuti, nell’attività di raccolta, trasporto e smaltimento (tranne le specie minori come l’abbandono), sono connesse con frodi fiscali, e, di conseguenza, l’accertamento degli illeciti nel settore favorisce anche l’accertamento delle frodi fiscali.

Il testo che segue parte dai presupposti di fatto sopra esposti e cerca di tracciare un adeguamento normativo del codice penale e del codice di procedura penale che, da una parte, faccia salve le singole discipline specifiche della vigente legislazione ambientale settoriale e, dall’altra, costituisca un elemento di forte penetrazione trasversale a livello previsionale e sanzionatorio, con comuni denominatori per tutti i reati di settore caratterizzati dalla presenza di interessi della criminalità comune ed organizzata.

Esso si pone, a livello politico, come alternativa ideologica alla tendenza alla depenalizzazione dei reati in materia ambientale, giacché appare evidente che, sulla base delle premesse sopra esposte, per i reati gravi in questione la somma da pagare in via amministrativa sarebbe sicuramente prevista nel budget aziendale delle organizzazioni criminali, con effetto deterrente e repressivo praticamente del tutto inavvertito.

Tutte le nuove fattispecie introdotte sono state meglio coordinate con le discipline ambientali settoriali ed, in particolare, con il decreto legislativo n. 22 del 1997.

La definizione ai fini penali del bene giuridico ambiente (articolo 459-bis) costituisce la prima importante novità del progetto di legge. Essa manca nell’ordinamento vigente ed è stata tracciata attingendo all’elaborazione dottrinaria ed alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione in materia, con estensione del concetto al complesso delle risorse naturali, sia come singoli elementi che come cicli naturali, ed alle opere dell’uomo protette dall’ordinamento.

E’ stato poi definito (articolo 452-ter) il concetto di "alterazione dello stato dell’ambiente" con specificazione del significato della "gravità" prevista dalla proposta in esame. La misura della pena è stata determinata per consentire l’applicazione dell’articolo 266 del codice di procedura penale in materia di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche. Con tale disposizione è stata introdotta una consistente riduzione premiale della pena per coloro che, prima del giudizio, eliminino il pericolo per l’ambiente, ovvero, ove ciò non sia possibile, riparino comunque integralmente il danno patrimoniale e non patrimoniale.

E’ stata inoltre prevista l’esecuzione dell’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente impartito con le sentenza di condanna o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale con procedura da eseguirsi, in caso di inosservanza, a cura del pubblico ministero., tramite l’ausilio della forza pubblica a spese dell’esecutato, e la possibilità per il giudice di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente. E’ stato altresì previsto che in caso di condanna, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il giudice può ordinare la confisca delle aree se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, qualora l’ordine di rimessione in pristino non sia possibile o non venga eseguito dal soggetto nei termini indicati dalla sentenza. Va osservato, sul punto, che tale confisca obbligatoria in sede dibattimentale appare istituto di primaria importanza; e ciò anche in caso di patteggiamento. Tale previsione, già inserita nel contesto del decreto legislativo n. 22 del 1997, merita di essere esportata in ogni altra nuova norma che si intende varare in questo settore ed in campi similari di proporzionata importanza. Essa rende conseguentemente obbligatoria la procedura di sequestro da parte della polizia giudiziaria già nella primissima fase degli accertamenti, oppure, in seguito, da parte del pubblico ministero in fase pre-processuale. Tale fase procedurale è importantissima in quanto fornisce all’operatore di polizia uno strumento agile di intervento, sia per assicurare la fonte di prova del reato sia, soprattutto, per impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze.

La successiva confisca (e, quindi, la sottrazione definitiva del bene al patrimonio del soggetto responsabile) costituisce epilogo finale di tale procedura e rappresenta, al di là della qualità/quantità della sanzione applicata o patteggiata, un formidabile strumento di intervento sia repressivo che, nel contempo, deterrente per tutti coloro che operano illegalmente nel settore in questione.

Si sottolinea che la confisca viene prevista non soltanto in caso di condanna ordinaria ma anche in caso di patteggiamento (come, del resto, prevede il decreto-legislativo n. 22 del 1997). Tale ultimo punto appare particolarmente significativo, giacché l’applicazione della pena su richiesta delle parti ex articolo 444 del codice di procedura penale è stata sempre un epilogo tombale per gran parte dei processi in materia di applicazione del pregresso decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982. Infatti, i responsabili di reati, anche gravi, nel settore ambientale, nel richiedere ed ottenere tale prassi procedurale, in primo luogo accedevano ad una pena fortemente scontata a livello quantitativo (peraltro la possibilità di irrogazione delle pene sostitutive pecuniarie diluiva e narcotizzava, anche a livello quantitativo, l’entità della pena stessa). In altre parole, la sanzione teorica veniva di fatto resa assolutamente blanda da un modesto pagamento di danaro, appunto in via alternativa: il danno restava inalterato, e la disponibilità e fruibilità di veicoli e beni utilizzati per l’illecita attività restavano intatte con la conseguente logica possibilità di reiterazione del reato. Infatti, in caso di patteggiamento non era sostanzialmente possibile procedere a confisca secondo i princìpi ordinari generali sanciti per tale istituto.

La proposta in esame, percependo tale punto critico del sistema sanzionatorio, in modo opportuno ed efficace, prevede espressamente che anche in caso di patteggiamento la confisca è obbligatoria. Il che significa che il soggetto responsabile in ogni caso si troverà colpito pesantemente nel patrimonio personale (o societario) anche in caso di rito alternativo.

Tale principio, esportato anche nei reati innovativi di integrazione al codice penale, sortirebbe effetti assolutamente salutari in senso preventivo, generale e speciale.

Va evidenziato che, al di là della natura quantitativo/qualitativa della pena (che nel campo ambientale raramente viene poi realmente scontata per i benefìci di legge praticamente automatici, stante la personalità media del reo, quasi sempre incensurato), la vera novità procedurale può essere proprio questa: l’intuizione di colpire in modo profondo e definitivo il patrimonio economico ed operativo dei responsabili di tali traffici e trasporti.

Nel caso della criminalità organizzata, una sistematica azione giurisdizionale che persegua tali attività illecite con ripetuti esiti di confische di beni non può che infliggere un colpo mortale o comunque pesantissimo alle organizzazioni specializzate nel settore (e comunque anche a tutte quelle realtà che, non potendo essere classificate come "ecomafia", rappresentano una diffusa e non meno perniciosa realtà di criminalità o microcriminalità diffusa a livello locale o regionale). Gli effetti preventivi deterrenti saranno logicamente conseguenziali e di sicura efficacia.

Nel proposto articolo 452-quater è stato elaborato il concetto di traffici contro l’ambiente, prevedendo tra le condotte tipiche anche quella di ricevere illegittimamente sostanze o energie dannose o pericolose per l’ambiente. E’ stata anche inserita una norma che fa salva la vigente disciplina in materia di rifiuti, al fine di evitare possibili interferenze con la disciplina specifica del settore. E’ stata prevista una consistente riduzione premiale della pena per coloro che, prima del giudizio, eliminano il pericolo per l’ambiente, ovvero, ove ciò non sia possibile, riparino comunque il danno patrimoniale e non patrimoniale. E’ stata prevista, poi, l’esecuzione dell’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente impartito con la sentenza di condanna o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale con procedura da eseguirsi, in caso di inosservanza, a cura del pubblico ministero tramite l’ausilio della forza pubblica a spese dell’esecutato, e la possibilità per il giudice di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente. E’ stato altresì previsto che in caso di condanna, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il giudice può ordinare la confisca delle aree se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato ove l’ordine di remissione in pristino non sia possibile o non venga eseguito dal soggetto nei termini indicati dalla sentenza.

Gli articoli 452-sexies e 452-septies tracciano le definizioni ed i regimi sanzionatori di due fattispecie incriminatrici assolutamente innovative di cui il progetto di legge propone l’introduzione nel codice penale: l’"associazione per delinquere contro l’ambiente" e l’"ecomafia".

La prima, oltre ad essere conseguenza automatica dell’introduzione nel codice penale di reati ambientali di natura delittuosa - essendo impossibile configurare l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contravvenzionali allo stato previsti -, scaturisce soprattutto dalla specialità delle associazioni di criminali comuni che operano nel settore. Esse, ad esempio, possono certamente qualificarsi associazioni per delinquere ad alta specializzazione, abbisognando dell’apporto di tecnici particolarmente qualificati (ad es. chimici, fisici, eccetera) e di ingenti supporti finanziari.

La seconda fattispecie, invece, rappresenta la prima definizione giuridica di "ecomafia". Essa è caratterizzata da una particolare tecnica di formulazione legislativa, ipotizzando la condotta mediante un rinvio alla fattispecie di associazione di tipo mafioso di cui all’articolo 416-bis del codice penale, arricchita da un elemento ulteriore: l’operatività dell’associazione mafiosa nel settore ambientale con conseguente arricchimento mediante la commissione di reati ambientali, ovvero il controllo di appalti pubblici finalizzati al recupero ambientale. Nella fattispecie rientrano quindi le mafie che gestiscono i cicli del cemento e dei rifiuti (si pensi, in particolare, all’affare dell’abusivismo, edilizio e paesaggistico-ambientale, ed alla gestione dei rifiuti), ma anche quelle che, a volte anche mediante il condizionamento di apparati amministrativi soprattutto locali, acquisiscono il controllo diretto delle operazioni di recupero dell’ambiente (si pensi, ad esempio, al solo controllo degli appalti destinati allo spegnimento degli incendi boschivi). A livello di norme processuali, al fine di evitare qualsiasi contrasto con la disciplina procedurale vigente in tema di associazioni di tipo mafioso di cui all’articolo 416-bis, si è inserito (articolo 2, comma 1) al comma 3-bis dell’articolo 51 del codice di procedura penale un richiamo espresso alla fattispecie di cui all’articolo 452-septies.

E’ stato poi introdotto (articolo 316-bis del codice di procedura penale) il sequestro conservativo per garantire l’adempimento delle obbligazioni civili nascenti dai reati ambientali, al fine di garantire il risarcimento del danno pubblico ambientale di cui all’articolo 18 della legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell’ambiente.

Il progetto di legge, inoltre, introduce l’articolo 321-bis del codice di procedura penale. Esso prevede il sequestro obbligatorio da parte della polizia giudiziaria in caso di accertamento in flagranza dei reati contro l’ambiente. Ciò al fine di incentivare gli operatori di polizia giudiziaria ad attuare prassi efficaci sul piano della repressione concreta e dell’assicurazione degli elementi di prova. La necessità di tale fattispecie processuale vale ancor di più in materia di trasporti illeciti di rifiuti, laddove si consideri che la previsione del sequestro obbligatorio in flagranza si integra perfettamente con la confisca del veicolo prevista dal decreto legislativo n. 22 del 1997, costituendo un formidabile strumento preventivo e deterrente per coloro che operano illegalmente nel settore.

E’ stato anche previsto l’ampliamento della composizione delle sezioni di polizia giudiziaria inserendovi agenti ed ufficiali del Corpo forestale dello Stato. Ciò al fine di portare nelle sezioni il contributo di esperienze in tema di repressione dei reati ambientali acquisite da tale Corpo e valorizzare una professionalità operativa spesso sottovalutata a livello di indagine di settore, anche se, nei fatti, diffusa capillarmente sull’intero territorio nazionale ed in particolare nelle aree naturali protette.

L’articolo 3 del progetto di legge, infine, introduce la legittimazione del pubblico ministero ad esercitare in via sostitutiva l’azione civile di danno pubblico ambientale. Tale azione, introdotta nell’ordinamento nel lontano 1986, dovrebbe conseguire ad ogni fatto illecito, non solo penale, che abbia determinato un danno all’ambiente. Nei fatti, però, essa, nonostante sia prevista come obbligatoria, costituisce l’istituto del diritto ambientale maggiormente studiato ma meno applicato nella pratica. Il progetto di legge, al fine di stimolare l’esercizio di tale azione, che dovrebbe costituire la necessaria definizione di qualsivoglia procedimento sanzionatorio ambientale, accogliendo l’idea della dottrina giuridica confortata da recenti studi di diritto comparato, propone di estendere al pubblico ministero, seppure in via sostitutiva, l’esercizio dell’azione civile di risarcimento del danno ambientale.

 

 

 

Introduzione nel codice penale del titolo VI-bis, "Delitti contro l’ambiente", e disposizioni sostanziali e processuali contro il fenomeno criminale dell’"Ecomafia".

 

ART. 1

(Inserimento nel codice penale del Titolo VI bis)

 

TITOLO VI-bis

Dei delitti contro l’ambiente

Art. 452-bis

(Ambiente)

Agli effetti della legge penale l’ambiente è nozione unitaria comprensiva delle risorse naturali, sia come singoli elementi che come cicli naturali, e delle opere dell’uomo protette dall’ordinamento per il loro interesse ambientale, artistico, archeologico, architettonico e storico.

 

Art. 452-ter

(Alterazione dello stato dell’ambiente)

1. Chiunque cagiona il pericolo di una grave alterazione dello stato dell’ambiente, contaminandolo illegittimamente con sostanze o energie, o in qualsiasi altro modo, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da venticinque a cinquanta milioni di lire. Agli effetti della legge penale, per grave alterazione dell’ambiente si intende anche il superamento dei limiti di accettabilità di contaminazione dei suoli e delle acque stabiliti con decreto del ministro dell’ambiente.

2. La pena è raddoppiata se l’alterazione dell’ambiente si verifica, ovvero se dal fatto deriva pericolo per lo stato dell’ambiente di un’area naturale protetta o per la salute pubblica. La pena è ridotta di due terzi se prima del giudizio il soggetto responsabile elimina il pericolo per l’ambiente, ovvero, ove ciò non sia possibile, ripari comunque il danno patrimoniale e non patrimoniale.

3. Se il fatto è commesso con colpa, la pena è ridotta della metà.

4. Il giudice, con la sentenza di condanna o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., ordina il ripristino dello stato dell’ambiente con procedura da eseguirsi, in caso di inosservanza, a cura del pubblico ministero tramite l’ausilio della forza pubblica a spese dell’esecutato, e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.

5. In caso di condanna, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., il giudice può ordinare la confisca delle aree se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, ove l’ordine di remissione in pristino non sia possibile o non venga eseguito dal condannato nei termini indicati nella sentenza di condanna.

 

Art. 452-quater

(Traffici contro l’ambiente)

Chiunque illegittimamente produce, acquista, cede o riceve a qualsiasi titolo, trasporta, esporta, importa, procura ad altri o comunque detiene, sostanze o energie di qualsiasi natura che siano dannose o pericolose per l’ambiente è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 25 a 100 milioni di lire.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se trattasi di traffici internazionali o di sostanze radioattive, e della metà se il fatto riguarda quantità ingenti delle medesime.

I rapporti fra la fattispecie di cui al primo comma e quelle sanzionate dalle previsioni normative di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in tema di rifiuti sono regolati secondo il principio di specialità indicato dall’articolo 15.

Nell’ipotesi che i fatti di cui al primo comma abbiano provocato una grave alterazione dello stato dell’ambiente, si applica la fattispecie disciplinata da questo articolo, eventualmente aggravata o attenuata secondo le disposizioni di cui al precedente articolo 452-ter.

Se il fatto è commesso con colpa, la pena è ridotta della metà.

Il giudice con la sentenza di condanna, o con la decisione emessa ai sensi dell’art. 444 del c.p.p., ordina il ripristino dello stato dell’ambiente con procedura da eseguirsi, in caso di inosservanza, a cura del pubblico ministero tramite l’ausilio della forza pubblica a spese dell’esecutato, e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.

In caso di condanna, o con la decisione emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., il giudice ordina la confisca dei beni utilizzati per commettere il delitto se di proprietà dell’autore o del compartecipe.

 

Art 452-quinquies

(Pene accessorie alla condanna per delitti ambientali)

Alla condanna per i delitti di cui agli articoli precedenti conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter.

 

Art. 452-sexies

(Associazione per delinquere contro l’ambiente)

1. Chiunque fa parte di un’associazione formata da tre o più persone allo scopo di commettere delitti previsti dal presente titolo è punito, per il solo fatto di partecipare al sodalizio, con la reclusione da due a sei anni.

2. I promotori, gli organizzatori, i capi, coloro che, coscienti dello scopo associativo, forniscono mezzi finanziari o consulenze tecniche all’associazione sono puniti con la reclusione da tre a otto anni.

3. Le pene sono aumentate se il numero degli associati è superiore a sei.

 

Art. 452-septies

(Ecomafia)

L’associazione di tipo mafioso di cui all’articolo 416-bis è punita con le pene ivi previste aumentate di un terzo, se le attività economiche delle quali gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di reati contro l’ambiente, l’assetto del territorio e le bellezze naturali protette, ovvero se le attività economiche, le concessioni, le autorizzazioni, gli appalti e i servizi pubblici che l’associazione intende acquisire in modo diretto o indiretto sono destinate alla protezione o al recupero dell’ambiente.

 

ART. 2

(Norme processuali)

1. Al comma 3-bis dell’articolo 51 del codice di procedura penale, dopo le parole "di cui agli articoli 416-bis", sono aggiunte le seguenti: ", 452-septies".

2. Nel codice di procedura penale, dopo l’articolo 316, è aggiunto il seguente.

Art. 316-bis

(Sequestro conservativo per garantire l’adempimento delle obbligazioni civili nascenti da reati ambientali)

Il pubblico ministero chiede, in ogni stato e grado del processo di merito per l’accertamento di delitti di cui al titolo VI bis del codice penale, il sequestro conservativo ai sensi dell’articolo 316 al fine di evitare che manchino o si disperdano le garanzie per il risarcimento del danno ambientale, di cui all’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349.

3. Nel codice di procedura penale, dopo l’articolo 321, è aggiunto il seguente:

Art. 321-bis

(Sequestro per reati contro l’ambiente)

In caso di flagranza dei reati previsti dal titolo VI bis del codice penale, ovvero da leggi penali speciali a tutela dell’ambiente, il sequestro dell’area interessata, dei mezzi e dei beni serviti all’esecuzione del reato è obbligatorio da parte dell’organo di polizia giudiziaria accertatore.

4. Al comma 1 dell’articolo 5 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante "Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e regolamento per l’esecuzione", prima del punto, sono aggiunte le seguenti parole:

", nonché del Corpo forestale dello Stato".

5. Alla lett. l bis) dell’articolo 380 del codice di procedura penale, dopo le parole 416-bis, sono aggiunte le seguenti: "e del delitto di ecomafia previsto dall’articolo 452-septies del codice penale"

 

Art. 3

(Legittimazione del pubblico ministero ad esercitare l’azione civile di danno pubblico ambientale in via sostitutiva)

All’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, dopo il comma 3, è inserito il seguente:

"3 bis. In caso di inerzia dei soggetti legittimati, l’azione è promossa dal pubblico ministero quale sostituto processuale ai sensi dell’articolo 81 c.p.p."".

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