Ritorno alla Home page Commissione sul ciclo dei rifiuti

CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA

SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'

ILLECITE AD ESSO CONNESSE

6.

SEDUTA DI GIOVEDI' 24 LUGLIO 1997

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori. *

Audizione del dottor Giovanni Melillo, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. *

Comunicazioni del presidente. *

 

La seduta comincia alle 17,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

 

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

 

Audizione del dottor Giovanni Melillo, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Giovanni Melillo, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli.

Saluto il dottor Melillo e ricordo alla Commissione che il sostituto procuratore è qui presente come "persona informata dei fatti", per dirla in termini burocratici, nel senso che ha seguito processi riguardanti la waste connection; è stato anche uno dei magistrati ad aver seguito il primo processo (in ordine cronologico) aperto nei confronti della criminalità organizzata sulla gestione dei rifiuti, il processo Avolio più 19.

Do subito la parola al dottor Melillo. Dopo la sua esposizione introduttiva i colleghi potranno rivolgergli domande per avere chiarimenti o ulteriori precisazioni.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. L'indagine alla quale ha fatto riferimento il presidente riguardava il ruolo che le organizzazioni camorristiche napoletane e casertane avevano assunto nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti, anche nocivi e tossici. Questi scenari andarono rivelandosi alla fine del 1992 e costituirono una sorta di quadro del tutto nuovo per noi che ci occupavamo di criminalità organizzata. Quando un camorrista protagonista di quei traffici, risoltosi alla collaborazione, cercò di convincerci - di fronte al nostro stupore per lo scenario che si andava delineando - facendoci esplicitamente presente che dal loro punto di vista la "monnezza" era oro, con un margine di profitto incomparabilmente maggiore rispetto ai traffici tradizionali (droga, estorsioni, appalti), rimanemmo stupiti. Ma ben presto avemmo la possibilità di ricrederci.

Dai tempi di quelle indagini molto è cambiato in termini di conoscenze e di attenzione dell'opinione pubblica, oltre che delle istituzioni, nonché di consapevolezza della gravità dei pericoli sia per l'ambiente sia per la dimensione degli interessi speculativi delle organizzazioni delinquenziali.

Quella indagine costituì il primo tentativo (con tutta una serie di limiti che non avrò riserve nell'autodenunciare) di dare una lettura organica di fenomeni spesso condannati ad una sorta di conoscenza frammentaria ed episodica da parte delle istituzioni statuali. Da allora il quadro d'intervento è diventato molto più articolato e complesso. Ma anche le conoscenze formatesi successivamente confermano a mio avviso uno dei contenuti essenziali di quell'indagine: il settore d'impresa che si riferisce alle attività di trasporto e di smaltimento dei rifiuti è segnato da una presenza massiva e pervasiva delle organizzazioni di tipo mafioso ed, in particolare, di quelle camorristiche che operano in Campania.

Se la Commissione lo riterrà, potrò tornare sui contenuti specifici di quella indagine in un momento successivo. Per ora mi limiterò a ricordare che essa ha avuto un vaglio giudiziale con esiti la cui lettura può essere sicuramente utile.

Vorrei invece prendere in considerazione alcuni temi e problematiche specifici di quella investigazione, elementi che si sono rivelati utili a costituire parametri per lo sviluppo delle attività successive. Su quel modello potranno essere forniti alla Commissione elementi di valutazione in ordine ad attività investigative attualmente in corso e quindi a fenomeni che sono assai più attuali.

Dalla prima indagine occorre prendere le mosse per fissare alcuni punti che, lungi dal costituire riferimenti cristallizzati o stancamente ripetitivi, sono invece premessa necessaria per tentare di offrire un quadro della situazione in merito alle nostre conoscenze ed alle nostre difficoltà d'intervento nel settore.

Innanzitutto, direi che il settore del trasporto, trattamento e smaltimento dei rifiuti è segnato da riferimenti normativi complessi: tanto complessi - e talvolta farraginosi - da rivelare una sorta di loro globale attitudine ad ostacolare l'azione dei pubblici poteri con competenza in materia di controllo e di repressione. Ovviamente non devo ricordare alla Commissione qual è la complessità della materia; vorrei però sottolineare un dato forse banale ma essenziale: la debolezza delle funzioni di controllo amministrativo è una delle condizioni principali per la penetrazione nel settore degli operatori più spregiudicati e, quindi, delle organizzazioni criminali di riferimento. Alcune recentissime esperienze investigative confermano questo dato (le ricorderò di qui a poco).

La disponibilità alla caduta dei livelli dell'azione di controllo amministrativo - disponibilità spesso di tipo corruttivo - si moltiplica quando la spregiudicatezza affaristica dell'interlocutore privato, del soggetto imprenditoriale con il quale l'amministrazione pubblica entra in contatto, viene alimentata dalla forza tipica delle organizzazioni criminali. Da questo punto di vista in Campania si registra una situazione di particolare gravità, che forse è una delle chiavi di comprensione della rilevanza tutta speciale della camorra nel controllo di questi traffici.

La gravità del fenomeno della crisi della legalità nella pubblica amministrazione in Campania è forse definibile in termini obiettivi ricordando il numero - circa 40 - dei consigli comunali sciolti ai sensi della legge antimafia, in un periodo di tempo tutto sommato limitato (dal 1993 ad oggi). Il dato numerico è significativo soprattutto se comparato a quello relativo alle altre regioni meridionali ad analoga ed endemica presenza mafiosa. Si tratta dello stesso quadro informativo che giustificava il giudizio della Commissione parlamentare antimafia (relazione del 1993), la quale parlava di un vero e proprio blocco politico-camorristico negli enti locali, cioè di un quadro quasi di immedesimazione della camorra con la pubblica amministrazione.

Questa situazione - che tuttora persiste - è un fattore non secondario nella crescita dell'influenza camorristica nel controllo del settore.

Un secondo fattore di accelerazione della crescita degli interessi mafiosi nel settore è costituito - oltre che da una particolare duttilità della camorra, rispetto alle altre organizzazioni criminali, ad operare nei traffici relativi alle attività d'impresa nelle quali ci si può "inventare" dalla sera alla mattina - dalla stretta connessione del ciclo dei rifiuti con altri cicli imprenditoriali nei quali è tradizionalmente consolidata la presenza mafiosa.

Vi è una stretta interdipendenza - direi quasi una circolarità complessiva - tra il ciclo dei rifiuti ed il ciclo della produzione dei materiali inerti, del cemento, del calcestruzzo: tutti settori nei quali - secondo documenti processuali affidabili (in molti casi costituiti da sentenze passate in giudicato: quindi secondo parametri di valutazione più certi e più seri) - la presenza delle organizzazioni camorristiche è assolutamente predominante. Lo smaltimento abusivo dei rifiuti spesso utilizza le cave - frequentemente abusive - dalle quali vengono estratti gli inerti necessari alla produzione del calcestruzzo, le cui forniture sono controllate, storicamente direi, dalle organizzazioni camorristiche.

In Campania la situazione era tale che le organizzazioni camorristiche controllavano persino la formazione di consorzi per il controllo della commercializzazione del calcestruzzo, consorzi successivamente sanzionati dall'autorità antitrust, proprio perché avevano costituito posizioni monopolistiche nel settore.

Il risultato complessivo è la produzione di effetti devastanti, forse irreversibili, sul piano ambientale. L'indagine Avolio ha fatto registrare un fenomeno di smaltimento abusivo per milioni di tonnellate di rifiuti speciali, nonché denunce di gravissimi casi di occultamento di rifiuti tossici. Ma direi che da allora la situazione si è persino aggravata: la vocazione della Campania a fungere un po' da pattumiera d'Italia (e forse non soltanto d'Italia) si è consolidata. Anzi, si è tanto sviluppata che probabilmente vanno esaurendosi le capacità della regione di continuare a fungere da pattumiera. Sempre più frequenti e preoccupanti sono i casi da noi registrati in cui sono coinvolte altre regioni, come il Lazio, la Basilicata e soprattutto l'Abruzzo (una regione che dal punto di vista naturale, cioè delle caratteristiche morfologiche, offre una situazione tale da rendere facilissimo l'occultamento e lo sversamento abusivo di rifiuti).

La situazione in Campania era grave già prima che iniziassero le indagini alle quali faccio riferimento. Nel 1990 il Ministero dell'ambiente aveva condotto un'indagine sul rapporto tra impianti legali ed impianti illegali nelle cinque regioni meridionali. Quell'indagine dimostrò logicamente che, se la maggior parte dei rifiuti urbani era smaltita in discariche abusive (o comunque gestite con modalità abusive), i rifiuti tossici ed i rifiuti nocivi praticamente sparivano nel nulla. Quei dati avrebbero imposto in sé l'avvio di un serio programma investigativo, ma anche di una seria attività di controllo da parte della pubblica amministrazione.

Le più recenti indagini dimostrano la perdurante gravità del fenomeno. L'allarme che può lanciarsi è innanzitutto quello della irreversibilità della situazione di danno ambientale in numerose zone. Un esempio per tutti, che forse varrà a dare maggiore contezza ed anche maggiore chiarezza ad una mia espressione circa la "circolarità" di cicli d'impresa apparentemente diversificati, apparentemente differenti. Come è noto, l'attività di estrazione della sabbia (la sabbia, insieme con gli inerti, è uno degli elementi impiegati nella produzione del calcestruzzo) è regolata da normative e potestà amministrative regionali. Le indagini hanno rivelato un fenomeno gravissimo per i suoi effetti sull'ecosistema di intere zone (effetti confirmatori di alcune delle osservazioni che ho sviluppato): per sfuggire ai controlli regionali - o, meglio, per sostituire ad essi i controlli delle amministrazioni comunali, per loro stessa natura più facilmente condizionabili - si è diffusa la pratica di mascherare le attività di estrazione della sabbia e quelle di successivo occultamento dei rifiuti nei vuoti provocati da incontrollate attività estrattive. Si simula il ricorso a pratiche produttive di allevamento di pesci. In alcune zone si sono diffuse - e si notano anche soltanto attraversando semplicemente una strada - vasche ittiche nelle quali sono presenti pochissimi pesci: ebbene, le vasche segnano i luoghi in cui - grazie all'attività di estrazione della sabbia, che avviene in maniera assolutamente incontrollata - si sono determinate fratture tali da provocare persino l'abbassamento del livello del suolo in aree piuttosto estese (parlo soprattutto del Casertano e della zona di Villa Literno). Questi vuoti sono colmati "saldando" le fratture attraverso lo sversamento abusivo dei rifiuti.

Alcune verifiche investigative tentate da questo punto di vista hanno dato risultati estremamente allarmanti: si sono rivelati anche segnali di radioattività anomala.

PRESIDENTE. Mi può dire dove?

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. No, perché i dati fanno parte di momenti di verifica investigativa attualmente in corso. La zona, comunque, è proprio il Casertano. Alcune verifiche sono ostacolate anche dalle caratteristiche dei luoghi: si è reso necessario l'impiego di sommozzatori o anche di palombari per procedere a parziali, superficiali ricognizioni dei luoghi.

Questi fenomeni rendono palese la razionalità estrema dell'intento speculativo che sorregge l'azione delle organizzazioni camorristiche che controllano questi traffici, poiché è evidente che vi è un rapporto sinergico tra le attività di estrazione di sabbie che con gli inerti vanno a formare il calcestruzzo e l'attività di sversamento dei rifiuti; quest'ultima anzi serve per occultare l'abusivo ricorso allo sfruttamento del terreno attraverso l'estrazione della sabbia, ma si tratta della sabbia che va a giustificare i volumi di produzione di calcestruzzo controllati dalle imprese camorristiche.

Vi sono anche altri settori di investigazione in attuale svolgimento che consentono di avere conferme ulteriori, persino più gravi, del ruolo svolto dalle organizzazioni mafiose in Campania. Uno di questi settori è costituito dalla registrata posizione di monopolio di imprese che riteniamo espressione di ambienti criminali campani nel traffico illegale di alcune tipologie di rifiuti tossici e nocivi, traffico realizzato in maniera assai più sofisticata di quello finora registrato del mero sversamento in luoghi sottratti a possibilità di controllo. Questo traffico avviene mediante la declassificazione fittizia della tipologia dei rifiuti, realizzata con un sistema contabile sofisticato che viene definito "giro di bolla"; vale a dire che la malavita organizzata campana ha acquisito e tuttora detiene il controllo del flusso di alcune tipologie di rifiuti, prodotti essenzialmente nel nord Italia, con artificiosi passaggi e inserendo società di intermediazione tra il momento di produzione del rifiuto e il luogo di smaltimento...

PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Melillo, la interrompo per porle un problema cronologico. Molte delle cose che ci sta riportando appartengono all'esperienza non di questa Commissione ma della precedente Commissione monocamerale d'inchiesta. Quindi sembrerebbe molto importante capire se questo tipo di attività e i fenomeni connessi...

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Questa verifica investigativa è iniziata nel luglio 1995, su iniziativa di organi di polizia giudiziaria ed è tuttora oggetto di nostro esame. Non sono cioè stati compiuti atti di rilevanza esterna e credo che non si abbia conoscenza...

PRESIDENTE. Ciò che è importante capire è se sostanzialmente lei sta descrivendo una situazione attuale, per quanto è a conoscenza della sua procura, cioè se è una situazione che vale per il 1997.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. E' una situazione attualissima. Sono infatti intervenuti dal 1985 ad oggi alcuni episodici interventi repressivi, vale a dire il sequestro di questo o quel centro di stoccaggio realizzato a seguito di controlli mirati, ma ovviamente il centro di stoccaggio paralizzato dalla repressione viene immediatamente sostituito da altri, per cui il sistema è tuttora pienamente in funzione.

Il meccanismo è dunque sempre lo stesso, e forse l'elemento di novità maggiore è costituito dalla stratificazione delle nostre conoscenze sul ruolo delle organizzazioni camorristiche in questo settore, che altrimenti pareva ricostruibile anche dal punto di vista di fenomeni di devianza del singolo imprenditore rispetto all'osservanza delle leggi che regolano la materia.

Dicevo che i rifiuti prodotti nel nord Italia li troviamo smaltiti mediante occultamento nel sottosuolo in discariche abusive della Campania e - lo ripeto - soprattutto dell'Abruzzo. E' un fenomeno che è in qualche modo originato dalla situazione normativa. Mi rendo conto di dover essere più chiaro. I rifiuti di cui parlo derivano dal ciclo di produzione metallurgica e si tratta di scorie di macinazione dell'alluminio. Queste scorie, per essere ammesse al regime agevolato previsto in deroga al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, devono avere alcune caratteristiche fissate in decreti ministeriali attuativi dei decreti-legge del luglio 1994. Il decreto ministeriale del settembre 1994 in materia di scorie di macinazione dell'alluminio precisa tipologia, provenienza e caratteristiche dei residui che possono essere assoggettati ad una disciplina agevolata. In buona sostanza, le imprese che hanno il problema di smaltire queste scorie hanno la possibilità di ricorrere ad una disciplina agevolata che consente la riutilizzazione delle scorie stesse.

La possibilità di riutilizzazione, alla quale ovviamente il legislatore accorda un notevole favore prevedendo sistemi di agevolazione, è tuttavia condizionata al fatto che il materiale sia sottoposto ad un preventivo trattamento di inertizzazione da eseguirsi in centri specializzati e attrezzati. Questo trattamento di inertizzazione ovviamente ha dei costi, così come ha dei costi l'ulteriore trattamento prima della definitiva collocazione in discarica. Al costo dello smaltimento vanno poi aggiunte le somme dovute per il trasporto, che deve avvenire con speciali automezzi. Insomma, i costi per avvalersi del regime agevolato previsto dalla legge per riutilizzare i rifiuti sono talmente elevati che le imprese preferiscono smaltirli nelle forme tradizionali. Tuttavia, per godere comunque dei benefici connessi alla riutilizzazione dei rifiuti, si segue la strada di declassificare fittiziamente i materiali facendoli passare per residui riutilizzabili. E' ovvio che con questa operazione si realizzano guadagni enormi, sia in termini di mancate spese di trattamento e trasporto, sia perché questi rifiuti iniziano ad avere un valore perché, benché non rigenerati, vengono comunque reimpiegati in altri cicli produttivi: per esempio, li si ritrova inseriti nel ciclo del calcestruzzo e utilizzati per la preparazione di laterizi, di sottofondi stradali e di chissà quant'altro.

Si ha dunque una riutilizzazione dei rifiuti non preceduta da una loro inertizzazione, con gravi pericoli anche per l'incolumità pubblica perché i rifiuti vengono utilizzati nelle loro caratteristiche originarie di rifiuti tossici e nocivi. Questo avviene, appunto, attraverso il ricorso a centri di stoccaggio in cui si realizza quel "giro di bolla" di cui parlavo prima, per cui il rifiuto arriva come rifiuto da rigenerare e ne esce rigenerato soltanto dal punto di vista contabile, quindi documentale, mentre dal punto di vista della sua consistenza e natura è esattamente quello originario.

FRANCO ASCIUTTI. Secondo lei dunque la responsabilità è dei centri di stoccaggio?

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Il centro di stoccaggio è il ruolo nevralgico in cui si realizza l'operazione ed è ovviamente il luogo in cui operano i soggetti di impresa maggiormente spregiudicati, ma direi che livelli di spregiudicatezza analoghi li ritroviamo sia a monte sia a valle di questa catena di illeciti. Infatti, a monte l'impresa che produce questo tipo di rifiuti non può non sapere qual è il loro esito e a valle si realizza un'utilizzazione altrettanto illecita di quei rifiuti.

Si utilizza, in sostanza, un meccanismo legale volto alla razionalizzazione e alla riduzione dei costi dell'attività di impresa, e contemporaneamente alla realizzazione di livelli di tutela ambientale maggiore, per concepire strategie di acquisizione di profitto illegale assai più sofisticate rispetto a quelle conosciute in passato. Il ruolo delle imprese facenti capo a soggetti in accertato collegamento con organizzazioni camorristiche campane ed in particolare con quelle casertane, è appunto la specola di osservazione nella quale ci siamo posti per l'analisi investigativa del fenomeno, che è tuttora in corso.

Prima parlavo di una riutilizzazione di rifiuti soltanto fittiziamente rigenerati, inertizzati, ma devo dire che più spesso i rifiuti vengono smaltiti in discariche abusive costituite da semplici buche nel terreno, oppure semplicemente miscelati ai materiali impiegati per la realizzazione di opere, comprese le abitazioni civili. E' una situazione la cui gravità è evidente e che risulta ancor più chiara se il fenomeno viene visto nella sua complessità e non soltanto nei singoli o quasi episodici momenti di intervento repressivo. Sono state anche chiuse alcune discariche e le indagini del nucleo ecologico dei carabinieri, di singole procure, anche di procure presso le preture circondariali, hanno consentito di fissare dal punto di vista processuale momenti topici di questo fenomeno illecito.

Sebbene le strategie adottate risultino alquanto semplici, è assolutamente impressionante il numero delle persone coinvolte, che seguono schemi uniformi nella gestione di questi rifiuti. Ovviamente questo processo produttivo - per così dire - si realizza in modo assai più complesso, perché ad esso si accompagnano forme di condizionamento, di interferenza, di pressione sugli organi della pubblica amministrazione, nonché una ricerca affannosa di nuovi siti da utilizzare per occultare le scorie tossiche. Genericamente, si può dire che si prediligono aree del territorio nazionale considerate immuni da questo pericolo.

E' evidente che la possibilità di realizzare guadagni per l'imprenditore che aderisce a questa strategia delinquenziale è tanto maggiore quando si consideri che il rischio preventivato da parte dell'imprenditore è quello di incorrere in responsabilità penali per reati contravvenzionali, vale a dire in illeciti la previsione dei quali non ha alcuna efficacia deterrente.

Gli elementi informativi, che spero di poter offrire alla Commissione in modo più completo e specifico di quanto oggi possa fare (lo farà sicuramente il mio ufficio non appena verranno meno le esigenze di riserbo investigativo che segnano la fase procedimentale in atto), tuttavia confermano la bontà del metodo che si era adottato nell'indagine Avolio, cioè l'esigenza di una lettura unitaria del fenomeno, l'esigenza di ricostruire complessivamente i ruoli dei soggetti imprenditoriali effettivamente protagonisti in questo tipo di traffici. Tale esigenza è assolutamente basilare al fine di ricostruire l'effettiva dimensione speculativa degli interessi delle organizzazioni camorristiche. Rispetto a quell'indagine si sono comunque fatti molti passi avanti sul piano investigativo perché l'esigenza di controllo si è diffusa enormemente: quando iniziammo quell'indagine eravamo privi di modelli di riferimento, anche di modelli di esperienze, sia pure formati in capo ad altri uffici; attualmente, invece, si realizzano forme di coordinamento investigativo notevolmente efficaci. In questo la Procura nazionale antimafia svolge da alcuni anni una proficua opera di coordinamento investigativo che è indispensabile per garantire l'elaborazione di strategie e di interventi giudiziari non frammentati ma articolati e coordinati, almeno dal punto di vista informativo.

A questo punto vorrei richiamare l'attenzione su un tema apparentemente estraneo agli interessi immediati di questa Commissione parlamentare e che attiene direttamente alla crisi di razionalità di uno strumento normativo che è indispensabile a noi magistrati che ci occupiamo di criminalità organizzata, quello cioè delle misure di prevenzione. Spesso, anche partendo ad esempio dal ciclo dei rifiuti, riusciamo a ricostruire una serie di interessi economici e patrimoniali direttamente riconducibili alle organizzazioni camorristiche ma non riusciamo a spogliare l'impresa camorristica della sua complessiva capacità di reinvestire, di continuare ad essere presente. I patrimoni mafiosi che si formano attraverso lo sfruttamento dei rifiuti sono enormi e tuttavia sono sostanzialmente sottratti (questa, volendo, è la confessione di un fallimento o quanto meno di un insuccesso) ad una efficace azione giudiziaria.

Questa situazione paradossalmente si è accentuata con l'istituzione delle direzioni distrettuali antimafia, perché la normativa processuale che si è accompagnata ad esse non è stata coordinata con la disciplina vivente in tema di misure di prevenzione. In pratica, la direzione distrettauale antimafia ha competenza a svolgere indagini in tutto il distretto della corte d'appello, ma ha competenza a proporre l'applicazione di misure di prevenzione soltanto per i soggetti che risiedono nel circondario, vale a dire nell'ambito territoriale originario delle procure della Repubblica con sede nel capoluogo del distretto. La conseguenza banale di questa situazione è che in materia di criminalità organizzata in capo alle procure distrettuali antimafia si formano conoscenze che non possono però essere riversate nei procedimenti di prevenzione, perché per i soggetti e le imprese che operano negli altri circondari del distretto devono essere trasmesse alle rispettive procure per competenza. Le procure spogliate della competenza in materia di indagini antimafia conservano la competenza nelle misure di prevenzione ma ormai da anni non hanno più conoscenze in termini di indagini. Vi è dunque una situazione di sostanziale crisi del sistema delle misure di prevenzione proprio nel suo momento originario, ossia l'individuazione dell'ufficio del pubblico ministero legittimato alla formulazione della proposta. La situazione è aggravata dal fatto che il procuratore nazionale antimafia, che volendo potrebbe svolgere un ruolo di intervento surrogatorio, ha competenza a proporre l'applicazione di misure di prevenzione personali ma non anche di misure di prevenzione patrimoniali. E' una situazione che sottolineiamo da tempo e che potrebbe essere affrontata con un intervento di raccordo normativo, peraltro particolarmente agevole.

So che in questo momento vi è una commissione di studio presso il Ministero di grazia e giustizia che ha posto al centro dei suoi programmi anche tale problema che, vi assicuro, è di rilievo particolarissimo per contrastare in modo efficace l'azione delle organizzazioni criminali, anche e soprattutto perché il sistema parallelo del sequestro all'interno del processo penale si è rilevato assolutamente inadeguato.

Non è pensabile che la gestione dei patrimoni mafiosi sequestrati possa avvenire nell'ambito del processo penale. Quello del contrasto alla criminalità mafiosa, dal punto di vista del fondamento della sua forza, vale a dire della sua dimensione economica ed imprenditoriale, è complessivamente inefficiente; questo mina l'efficacia di molti interventi giudiziari, anche di quelli attinenti alle indagini in materia di imprese operanti nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti.

Il problema essenziale tuttavia è quello della adeguatezza degli interventi di tipo sanzionatorio. Le linee evolutive della normativa sono quelle di assegnare agli illeciti in materia di rifiuti limitate contravvenzioni, che sono uno strumento inadeguato e privo di efficacia deterrente, sebbene gli altri schemi utilizzabili dal punto di vista interpretativo non hanno dimostrato capacità sostitutiva. Uno dei limiti sicuramente rivelati dall'indagine Avolio è costituito dalla difficoltà di applicare lo schema del delitto associativo.

Nella fase delle indagini preliminari, ai fini del giudizio, avevamo avanzato contestazione nei confronti dei soggetti coinvolti nel traffico dei rifiuti e costruito il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, che tuttavia non ha retto al vaglio dibattimentale. Vi è una nostra impugnazione della sentenza che ha condannato i protagonisti della vicenda per episodi di corruzione, anche assai gravi, ma effettivamente vi è una difficoltà a far uso di questo strumento nel momento in cui si tratta di definire ruoli e responsabilità dei soggetti d'impresa, che entrano, magari solo episodicamente o comunque semplicemente per ragioni di convenienza economica personale, in contatto con le imprese camorristiche.

Vi è quindi una difficoltà di tenuta proprio sul piano probatorio dell'ipotesi del delitto associativo, soprattutto dal punto di vista della prova del dolo. Questo è grave anche perché tali difficoltà riguardano i soggetti che hanno gravi responsabilità nell'effettivo funzionamento del meccanismo illecito: si tratta di pubblici amministratori, titolari di potestà autorizzative di controllo, imprenditori operanti a monte e a valle nella catena dello smaltimento abusivo dei rifiuti, cioè tutti coloro che sono legati da rapporti contrattuali con i mediatori direttamente collegati con l'organizzazione criminale.

Posso dare notizia alla Commissione, tuttavia, dell'esistenza di altre vie interpretative alle quali si ricorre proprio per la difficoltà di reperire strumenti sanzionatori adeguati.

La procura di Nola, una di quelle che opera nel distretto della corte d'appello di Napoli, ha recentemente posto sotto sequestro una discarica di rifiuti speciali, configurando ipotesi delittuose, probabilmente immaginate dal legislatore nel 1930 per tutt'altri fini. La procura ha configurato l'ipotesi del reato di cui agli articoli 434 e 440 del codice penale, riguardanti l'adulterazione di sostanze alimentari, poiché lo smaltimento di rifiuti nocivi aveva provocato l'inquinamento di una falda acquifera sottostante le acque stesse; il reato di cui all'articolo 434 è stato contestato perché dettato per l'ipotesi di condotte tese a provocare la distruzione ed il crollo di edifici ovvero altri disastri, interpretandosi l'espressione "altri disastri" come comprensiva di qualsivoglia situazione di pericolo concreto per l'incolumità pubblica e per gli interessi di una massa indeterminata di soggetti. Vi è stato questo sforzo di utilizzazione normativa che credo abbia avuto positivo vaglio giudiziale, ma complessivamente vi sarebbe l'esigenza di una norma precisa, almeno dal punto di vista delle prassi applicative ed investigative.

La semplificazione normativa e l'individuazione di meccanismi sanzionatori semplici, chiari ed efficaci farebbero accrescere notevolmente sia i livelli di deterrenza nei confronti dei soggetti destinatari delle norme, sia i livelli di efficacia dell'azione degli uffici requirenti e di polizia.

Poiché non voglio dare l'impressione di volere esaltare il rilievo degli uffici giudicanti e requirenti in questa materia, vorrei sottolineare che il nostro non è un intervento al quale può affidarsi la tutela dell'ambiente ed il controllo dell'azione dei pubblici poteri, a loro volta titolari di potestà di vigilanza. Il nostro sarebbe uno strumento assolutamente residuale connesso alla produzione di situazioni patologiche. Lo strumento giudiziale è importante, ma non può essere decisivo, perché ciò che conta è soprattutto l'effettività dei controlli amministrativi preventivi. Da questo punto di vista, la situazione, soprattutto in Campania, è particolarmente grave, perché nel complesso gli interessi illeciti che si muovono in tale settore non incontrano alcun freno sul piano dell'azione di controllo della pubblica amministrazione. Ciò è dovuto ad alcune ragioni storiche, ma anche il settore più tradizionale della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani e speciali è massicciamente segnato dalla presenza di imprese camorristiche. Quelle direttamente o indirettamente collegate ad organizzazioni camorristiche hanno posizioni di assoluta rilevanza in tale settore. Tra l'altro, vi sono alcune vicende processualmente ormai consegnate agli archivi, ma ve ne sono altre tuttora in fase di definizione.

La ragione prima di tale situazione è la circolarità del settore della raccolta dei rifiuti rispetto ad altri ambienti, dove è tradizionale la presenza camorristica. Vi è inoltre il fatto che questo è un settore nel quale è possibile sovente costituire in poco tempo un'impresa, la quale si presenti sul mercato e concorra all'aggiudicazione degli appalti, ovvero è possibile facilmente acquisire in tutto o in parte il controllo di imprese operanti in tale settore. In tutto ciò è particolarmente importante il condizionamento delle pubbliche amministrazioni, che segna il punto di forza nell'acquisizione di posizioni monopolistiche.

Non soltanto nel distretto di Napoli, ma anche in quello di Salerno, vi è una sperimentata capacità di condizionamento delle gare di appalto che regolano questo settore. Ciò determina ovviamente una rinuncia, una dismissione originaria della funzione di controllo della pubblica amministrazione, perché non vi è alcuna vigilanza efficacemente dispiegabile rispetto a soggetti riconosciuti come espressione di organizzazioni dotate di capacità di intimidazione diffusa sul territorio.

Fornirò ulteriori osservazioni a seguito di eventuali richieste di chiarimento da parte dei commissari.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il dottor Melillo per la sua esposizione, mi permetto di segnalare ai commissari che il quadro da lui delineato è decisamente preoccupante sotto vari aspetti e segnatamente perché, al contrario di quanto qualcuno poteva ritenere, taluni fenomeni preoccupanti per i danni recati al territorio, all'ambiente e alla salute dei cittadini, sono tuttora presenti e in grado di dispiegarsi in modo criminale. Chi sperava o riteneva che, in qualche modo, l'azione di contrasto che si era sviluppata nei pochi mesi di vita della precedente Commissione monocamerale d'inchiesta fosse sufficiente a scoraggiare, almeno in parte, il dispiegarsi di questo tipo di attività, si deve ricredere, almeno rispetto al quadro ora delineato per aree molto estese e significative della Campania.

Inoltre viene confermata quella conoscenza dei fatti, direi quasi un'intuizione, seppure approssimativa, che ha indotto l'ufficio di presidenza della Commissione a programmare tra i suoi sopralluoghi alcune missioni in Abruzzo e nel Lazio. Ciò è una conferma del fatto che, essendo la Campania quasi satura - traduco le osservazioni del dottor Melillo - nel campo dello smaltimento abusivo di rifiuti tossico-nocivi, ci si dirige verso altre regioni. Vi è la presunzione, mi pare di capire anche documentata, che questo avvenga sempre attraverso l'azione della criminalità organizzata.

Inoltre, la questione delle misure di prevenzione ci impone in qualche modo, non tanto come commissari ma come parlamentari, di intervenire dal punto di vista legislativo per cercare di evitare quella sorta di separazione tra direzioni distrettuali antimafia e procure che rende più complicata e a volte inefficace l'azione di contrasto. Tale questione comunque sarà oggetto di domande che io stesso mi riservo di rivolgere al dottor Melillo in merito ai problemi di coordinamento e di conclusione di alcune indagini cui egli stesso ha fatto riferimento.

GIOVANNI POLIDORO. Saluto e ringrazio il dottor Melillo per la sua partecipazione a questa audizione.

Dopo la sua relazione probabilmente bisognerà rivedere la posizione espressa dal dottor Maritati, il quale, rispondendo a precise ed insistenti domande, aveva quasi negato una esclusività della criminalità organizzata in questo settore, ma probabilmente non si riferiva alla Campania.

Confesso che in parte gli avevo anche creduto, perché da alcune osservazioni del dottor Melillo è emerso che l'impresa che si specializza in questo tipo di criminalità non deve essere affatto specializzata, trattandosi di un'attività abbastanza semplice: è sufficiente essere criminali, e si può svolgere tale attività senza avere titoli di altro tipo. Tra l'altro immaginavo che questo mercato non fosse appannaggio di organizzazioni verticistiche, interessate invece ad altri settori.

In passato sono stato amministratore locale ed ho anche pubblicato qualche scritto in materia; mi sono interessato ad essa e mi sono convinto che proprio le zone che vogliamo proteggere, per la difficoltà di essere raggiunte e per la scarsezza della popolazione finiscono, a causa dell'allargamento dell'interesse territoriale, per diventare i siti dello smaltimento clandestino. Questo non riguarda tanto i rifiuti solidi urbani, ma quelli più pericolosi, a causa degli elevati costi, e tale stato di cose investe con la sua pericolosità le popolazioni.

Ormai da chissà quanti anni in moltissime regioni non si riesce a costruire una discarica di rifiuti speciali, figuriamoci se può essere realizzata per quelli tossici e radioattivi. Vi è il terrore delle popolazioni all'insediamento di questo tipo di discariche che ormai è finanziato dalla criminalità, anche industriale. Quindi c'è un finanziamento che intercetta altre iniziative e le amministrazioni vengono messe da parte anche dalla propaganda di competitori industriali (a questi livelli non bisogna nemmeno essere criminali).

Mi domando se non sia il caso, anche in tale campo, di alimentare finalmente una cultura antiproibizionista, perché a forza di terrorizzare le popolazioni non si riesce più da tempo ad impiantare strumentazioni di smaltimento di qualsiasi tipo in nessuna regione. Questo succede, ad esempio, nella mia regione, l'Abruzzo, dove c'è una cultura della protezione del territorio che ha avuto anche qualche successo, perché ha portato alla protezione di oltre il 30 per cento del territorio; ma il resto è "moralmente" da proteggere, e quindi è assolutamente impossibile installare qualsiasi impianto di smaltimento. Attraverso un alto livello di proibizione alimentiamo evidentemente soltanto fenomeni delinquenziali di occultamento rispetto ad una necessità che sta diventando, oltre che civile, quasi di sopravvivenza delle popolazioni.

Immaginate cosa significhi, non dico la presenza di discariche di rifiuti urbani a cielo aperto disperse nel territorio, ma di alcune di esse di cui non conosciamo assolutamente l'ubicazione ed il luogo in cui vengono smaltite sostanze che possono durare migliaia di anni, in termini di potenzialità inquinanti. Sono un chimico, e so che ci vogliono non decine di mesi, ma centinaia, migliaia di anni prima del decadimento radioattivo di alcune sostanze. Queste discariche dunque sono collocate nelle zone protette e noi stiamo salvaguardando zone che in realtà possono essere bombe non biologiche, ma chimiche per centinaia di anni.

Non so se questo mio ragionamento possa essere condiviso dal dottor Melillo, al quale comunque pongo una domanda, che ho già rivolto anche al dottor Maritati, che disponeva però di poche informazioni in proposito. Che notizie avete rispetto a questo tipo di criminalità? Secondo me essa è molto meno diffusa in altri paesi d'Europa, dove invece dovrebbe esserci lo stesso un mercato. Probabilmente è soltanto una questione di disponibilità del territorio italiano, vuoi per la orografia territoriale ed anche per la densità di popolazione rispetto allo spazio disponibile, vuoi per motivi culturali, nel senso che altrove l'allocazione di impianti è molto più avanzata e molto meno terroristica; quindi probabilmente l'induzione alla criminalità in questo settore viene di fatto abbattuta da condizioni psicologiche, culturali e probabilmente fisiche.

Non so se lei può condividere - ripeto - questo mio ragionamento, ma ritengo si debba rivedere il giudizio sull'appannaggio dello smaltimento e trasporto clandestino dei rifiuti per individuare a quali livelli di criminalità deve essere associato.

PRESIDENTE. La sindrome nimby non l'abbiamo inventata in Italia: la parola è inglese e il timore di una gestione scorretta degli impianti di smaltimento è universale.

GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Il dottor Melillo ha iniziato denunciando la debolezza dei controlli amministrativi. Vorrei innanzitutto domandare se questa debolezza si riveli soprattutto nella fase iniziale, quando il rifiuto esce per avviarsi alla discarica, o in quella finale. A Napoli il controllo era affidato alla provincia e alcuni anni fa l'assessore all'ambiente - ho una dichiarazione scritta di questo assessore che fu poi incriminato perché si faceva pagare, dicono, il pizzo dalla malavita sui rifiuti; farò acquisire alla Commissione questa dichiarazione - ammise che per due o tre anni la provincia di Napoli non aveva potuto effettuare alcun controllo sui rifiuti smaltiti nella mega discarica di Pianura, la più grande d'Europa. Mi consegnò anche l'elenco di tutte le ditte che avevano smaltito rifiuti a Pianura. Ho fatto questo esempio per fare poi una considerazione generale: mi domando, cioè, che tipo di controlli avrebbe dovuto fare la provincia sui rifiuti che, da ditte di tutta Italia - in particolare una era, come ho già detto in altra occasione, l'ACNA di Cengio -, affluivano alla discarica di Pianura. Che tipo di controllo e chi avrebbe dovuto farlo? La ditta DIFRABI, che era il gestore della discarica, o funzionari della provincia? Quando parliamo di controlli, bisogna chiarire di che tipo devono essere e chi deve farli. Devono essere sul peso? Una volta a Napoli si pagava a peso e vi fu così la megatruffa per la quale lo stesso camion veniva fatto passare più volte sulla pesa. Deve essere un controllo sulla qualità del rifiuto? Se non chiariamo questo punto, continueremo a parlare di controlli in termini generali ed ancora devo capire, ripeto, quali controlli dovrebbero essere fatti.

ANGELO RESCAGLIO. Il quadro che emerge dalla presentazione del dottor Melillo è piuttosto inquietante per tante ragioni che ora non conviene riprendere.

Ogni volta che parto per Roma, attraversando il confine tra la mia provincia, che è Cremona, e quella di Parma, vedo una grande scritta: no a tutte le discariche. In quel momento dico: probabilmente hanno trovato una soluzione, anche se non so dove si possano collocare quei rifiuti. Ricordo che vi fu un periodo, non ricordo esattamente quando, in cui la città di Cremona mandava i suoi rifiuti nella zona di Napoli o comunque in Campania, con costi facilmente immaginabili. Non sono un tecnico ma mi chiedo quale sia il costo di questa operazione e perché si dovesse procedere in quel modo. Questa comunque è storia del passato.

Emerge, dicevo, un quadro inquietante e mi pongo un interrogativo: tra magistratura e autorità comunali esiste un rapporto in ordine a quello che il dottor Melillo ha individuato come un problema fondamentale, cioè la prevenzione dell'attività criminale? Esiste un rapporto possibile che in un certo senso agevoli anche il lavoro della magistratura, oppure si tratta di campi separati e divisi e deve intervenire solo l'autorità che punisce, quando invece l'opera di prevenzione dovrebbe essere culturale? Mi rivolgo anche, da uomo della scuola, alla scuola. Tante volte nella Commissione cultura del Senato ho avuto modo di sottolineare come nel nostro paese manchi una cultura del rifiuto. Riteniamo che sia rifiuto tutto quello che non serve, mentre la cultura contadina, così attenta anche a questi problemi, aveva creato - in una estrema semplicità di rapporti - anche la cultura dello smaltimento del rifiuto, ad esempio negli orti comuni. Ecco la cultura del rifiuto.

Questo è il problema che pongo: se esista un rapporto tra autorità amministrativa e magistratura proprio in ordine alla prevenzione.

FRANCO ASCIUTTI. Mi si consenta una battuta iniziale: non vorrei che da questa Commissione emergesse che il sud serve al nord perché quest'ultimo deve scaricare i suoi rifiuti. Il problema non riguarda una parte del paese ma tutto il paese. Vi sono forse punte più o meno significative in alcune parti, per ragioni anche probabilmente storiche e di cultura, ma il fenomeno si presenta, anche se magari in maniera meno sofisticata, anche nelle altre parti del paese.

PRESIDENTE. Collega Asciutti, non si preoccupi, perché nel sopralluogo che abbiamo fatto in Liguria - zona che potrebbe collocarsi al nord del paese - abbiamo verificato che un capo 'ndrangheta gestiva una discarica di rifiuti tossico-nocivi.

FRANCO ASCIUTTI. Direi piuttosto che vi sono italiani che non rispettano le leggi, altrimenti finiamo per dare sempre del nostro paese un'immagine per la quale vi sarebbero una zona buona e una cattiva. Mafia, camorra e 'ndrangheta appartengono tutte al sud ma in realtà appartengono al paese.

La domanda che faccio è molto semplice: dottor Melillo, lei ha parlato di carenza della legislazione in materia di rifiuti per quanto riguarda sicuramente le discariche ma probabilmente anche per quanto riguarda il trasporto; così credo di aver capito. Negli altri paesi europei la legislazione si discosta parecchio da quella del nostro paese? Inoltre, secondo le sue conoscenze, vi sono ritardi delle istituzioni locali nel reperire siti e nella realizzazione degli inceneritori? Lei mi parlava della regione Campania, nella quale vi è un progetto per cinque inceneritori e sono insorti grossi problemi - non me ne vogliano gli ambientalisti - tra ambientalisti e regione Campania e credo anche la provincia per la individuazione dei siti. Non vorrei però che dietro questo, non volendo, si finisca per aiutare le bande malavitose per continuare questo business. Fintanto che gli inceneritori e le discariche pubbliche non vengono create indubbiamente la camorra, o chi per essa, e i gruppi malavitosi imperversano ed avanzano.

PRESIDENTE. Mi permetta, collega Asciutti, di sovrappormi un attimo al quesito posto al dottor Melillo su questo aspetto specifico. Indubbiamente oltre alla sindrome nimby, che non è stata particolarmente incrementata dagli ambientalisti, esiste anche una capacità delle amministrazioni preposte alla gestione del problema dei rifiuti di saper proporre soluzioni credibili.

Voglio ricordare che quando la precedente Commissione d'inchiesta andò in Campania era ancora in discussione un piano, predisposto come piano di massima dall'ENEA, per 21 inceneritori. Una cosa davvero incredibile! Vedo che oggi invece nelle regioni dove si comincia ad affrontare seriamente la questione della raccolta separata in tutti i momenti del ciclo, anche in virtù del decreto legislativo n. 22 del 1997, rispetto ai quantitativi che si possono configurare come inviabili alla termodistruzione si ipotizzano al massimo due o tre siti nelle regioni più grandi. E' poco credibile, quindi, preparare per una regione come la Campania un piano di 21 inceneritori.

FRANCO ASCIUTTI. Attualmente ne ha cinque.

PRESIDENTE. Ho voluto sovrappormi nella domanda per sottolineare che se si preparano piani credibili, tecnologicamente e tecnicamente credibili, questo dà forza alle autorità, nel confronto con il consenso popolare, per indicare e mantenere certe soluzioni.

Prego, dottor Melillo.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Devo dire che sono stupito nell'apprendere che il collega Maritati avrebbe espresso un punto di vista diverso circa la rilevanza del ruolo delle organizzazioni prettamente criminali in questo settore proprio perché...

GIOVANNI POLIDORO. Vi è anche la possibilità che io abbia capito male.

PRESIDENTE. Come presidente, in assenza del dottor Maritati, debbo ricordare che la sua affermazione era più descrivibile in questi termini: non tutto quello che avviene di illecito e criminale nel settore del ciclo dei rifiuti è mafia e camorra.

GIOVANNI POLIDORO. Non vi è una esclusività, ma mi era sembrato...

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. E' un'impostazione cui aderisco senza alcuna riserva anch'io.

PRESIDENTE. Il dottor Melillo parlava della Campania mentre al dottor Maritati era stato chiesto un quadro nazionale.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Non vi è alcun dubbio. Dicevo di essere stupito perché è proprio il collega Maritati che ha personalmente promosso le forme di coordinamento delle attività di indagine dei vari uffici; non solo delle procure distrettuali, ma anche innovativamente di quelle circondariali; questo ovviamente proprio sul presupposto della presenza in questo settore di interessi riconducibili ad organizzazioni criminali.

Respingo nel modo più assoluto - e quindi mi scuso se ho dato questa impressione - l'idea di tingere di mafiosità gli illeciti che a valanga seppelliscono i rifiuti. Ho cercato di dare il segno del livello della nostra preoccupazione circa il ruolo tuttora attivo delle organizzazioni camorristiche, di quelle casertane in particolare, in un settore come questo in cui queste organizzazioni hanno un ruolo che non esito a definire come trainante, rispetto alle dinamiche abusive più importanti.

Non vi è dubbio che in questo settore, proprio per le sue caratteristiche, per gli scompensi normativi e per le difficoltà in relazione alla pubblica amministrazione, gli illeciti proliferano a tutti i livelli e molti appartengono all'agire quotidiano dei soggetti imprenditori, di quelli amministratori ed anche del singolo cittadino per le previsioni di illecito amministrativo di cui è direttamente destinatario anche ciascuno di noi.

Direi quindi che è sicuramente vero che non vi è una posizione di esclusività dell'impresa mafiosa in questo settore.

Quanto alla domanda del senatore Polidoro sulla capacità della filosofia che ha permeato gli interventi normativi nel settore in questi ultimi tempi di generare a sua volta illeciti, francamente posso esprimere non punti di vista personali, ma quelli di un magistrato e pubblico ministero che si occupa di questo settore. Ribadisco che l'allontanamento eccessivo dall'ideale illuministico per cui le leggi debbono essere chiare, poche, semplici e facilmente comprensibili da tutti è un fattore in sé criminogeno, ma credo di rappresentare una banalità chiara a voi legislatori...

PRESIDENTE. Spiegherebbe poi comportamenti criminali in tutti i settori.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. ...soprattutto nel settore dei rifiuti che nella scala degli interessi dell'impresa ha assunto una consistenza assolutamente predominante proprio perché i rifiuti hanno un costo e questo si riproduce sull'intero ciclo produttivo. Vi è una naturale tendenza alla riduzione dei costi nella quale si innesta l'agire del soggetto dal punto di vista economico ed imprenditoriale più spregiudicato. Poiché riteniamo che, quanto a spregiudicatezza affaristica, l'impresa mafiosa abbia pochi rivali, riteniamo che proprio in questo ruolo di mediazione tra il soggetto gravato dagli obblighi ed il punto terminale della catena costituito dal danno ambientale, spesso devastante, opera l'impresa mafiosa, in una situazione di pressoché totale assenza di controllo. Ribadisco questo rilievo: la debolezza delle funzioni di controllo credo che abbia in sé una radice nel sistema normativo, perché vi è una frammentazione delle potestà di controllo in capo ad organi amministrativi diversi e ciò rende difficile spesso anche l'individuazione dei soggetti titolari degli obblighi, il coordinamento dell'azione tra più organi amministrativi.

Il senatore Polidoro faceva riferimento alla sua esperienza personale di amministratore pubblico e credo che in questa materia abbia assiduamente registrato la difficoltà di interlocuzione reciproca tra regione, provincia e comune.

PRESIDENTE. Vorrei osservare a questo proposito che qualcosa è cambiato anche in questo paese, nel senso che l'azione di controllo e prevenzione ha ormai degli organi chiaramente deputati; il problema è attivarli. Ad esempio, le agenzie regionali per la protezione ambientale avrebbero esattamente questi compiti; certo, se alcune regioni non le istituiscono come invece la legge istitutiva dell'ANPA prevedeva, il problema del controllo viene rimandato ai responsabili eletti a livello regionale.

GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. In Campania non c'è.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. E' anche vero che la fantasia criminale è comunque spesso maggiore della solerzia degli organi amministrativi. Citavo prima l'esempio dell'autosottrazione alle potestà di controllo in materia di rifiuti attraverso la simulata organizzazione di attività produttive in realtà inesistenti. E' chiaro che se si simula la presenza di siti produttivi destinati all'allevamento di pesci, all'itticoltura, ed invece si fa prima una selvaggia estrazione di sabbia e poi un'altrettanta selvaggia immissione abusiva di rifiuti, si viene addirittura a scegliere l'organo di controllo, che in materia di vasche ittiche è il comune, scegliendo come interlocutore - non a caso - quello più debole. Nelle zone ad endemica presenza criminale i condizionamenti sono maggiori e credo che persino il controllo dell'esistenza fisica dell'impianto produttivo non costituisca priorità dal punto di vista dell'amministratore, perché è difficile negare che si abbia consapevolezza dell'effettiva natura e destinazione di questi impianti.

Di contro, ad esempio, nel settore dello stoccaggio dei rifiuti tossici e nocivi cui prima facevo riferimento, il luogo in cui avviene il "giro di bolla", la trasfigurazione contabile della natura dei rifiuti, viene prescelto dall'impresa che opera in violazione delle regole: individua un luogo di stoccaggio e lo gestisce fino al momento in cui interviene il controllo amministrativo o quello di polizia giudiziaria, che ne determina la chiusura; in questo caso se ne attiva immediatamente un altro analogo in altre zone del territorio nazionale.

L'Abruzzo da questo punto di vista, è direttamente coinvolto: a Masci, in provincia di L'Aquila, e in provincia di Chieti si è registrato il sequestro di due centri di stoccaggio in cui i risultati delle analisi hanno confermato che si è in presenza di reimpiego di scorie da macinazione di alluminio che conservavano le loro caratteristiche di rifiuti tossico-nocivi ma che invece apparivano rigenerati, cioè come rifiuti riutilizzabili nel ciclo produttivo.

PRESIDENTE. Mi sorge il sospetto che un meccanismo del genere è stato in qualche modo purtroppo autorizzato dall'allora vigente decreto sui residui che, inventando il termine residui e introducendo un'ulteriore confusione, consentiva operazioni di questo tipo.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. L'avevo posta come premessa della mia esposizione di questo tipo di problema, rispetto al quale occorre molta cautela da parte mia nel fare valutazioni, perché siamo nel momento della verifica di una lunga attività investigativa degli organi di polizia giudiziaria. Si tratta di un'ennesima dimostrazione di come la stratificazione normativa, la successione di interventi normativi non organicamente ispirati, crei dei vuoti che sembrano fatti apposta per inventare nuovi modelli di intervento illecito.

PRESIDENTE. Se il caso è quello che ho in mente, qui non si tratta di stratificazione normativa: si tratta di una legislazione che volutamente, purtroppo, ha aperto dei varchi incredibili a operazioni con gravi risvolti di danno ambientale e sanitario, oltre che di sostanziale illegalità.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Presidente, è una valutazione...

PRESIDENTE. Sì, è una valutazione che faccio io.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Ho parlato di stratificazione perché l'ho descritta dal punto di vista del magistrato chiamato ad applicare le leggi e che assiste alla loro progressiva approvazione. Ma credo che si tratti di una valutazione, anche dal punto di vista della nostra esperienza, facilmente condivisibile.

FRANCO ASCIUTTI. Intende dire che è condivisibile il fatto che il legislatore ha fatto volutamente una legge così?

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. No, chiedo scusa, prima parlavo di obiettiva attitudine di un sistema non retto da linee ispiratrice organiche e soggetto a spinte divergenti, perché la normativa in materia di residui riutilizzabili è chiaramente dettata dal lodevolissimo intento di consentire all'impresa di non disperdere una quota del proprio ciclo produttivo destinandola al mero smaltimento, ma di consentirne il riutilizzo, con da un lato l'abbattimento dei costi e dall'altro la possibilità di un nuovo intervento speculativo, dato che quel rifiuto si vende, servendo a produrre altro, come i materiali da costruzione. Il problema è che questo intervento si inserisce in un quadro normativo talmente complesso da rendere questa operazione ingestibile da parte dell'impresa. Questo perché, per realizzare questo risultato, si impongono costi elevati, a volte insostenibili.

La stessa possibilità di controllo dell'effettiva applicazione di un sistema del genere viene meno, perché è consentita l'introduzione, nel processo di inertizzazione e di riutilizzazione del rifiuto, di soggetti privati intermedi quali le società di stoccaggio, che spezzano la possibilità di seguire il filo del comportamento del soggetto privato e di quello pubblico chiamato ad applicare le funzioni di controllo. Si tratta di una legislazione che si reitera secondo meccanismi di questo tipo da circa 15 anni. Quindi, non voglio in alcun modo dare il senso di un'indicazione di responsabilità, bensì quello di una complessiva insufficienza di razionalità del sistema sia delle previsioni normative sia dell'applicazione dei controlli.

Venendo al tema, introdotto dal senatore Rescaglio, riguardante i rapporti tra la pubblica amministrazione ed il pubblico ministero nel coordinato dispiegarsi delle funzioni dello Stato volte all'individuazione di comportamenti deviati e alla loro sanzione, osservo che si tratta di un tema la cui complessità travalica il settore dei rifiuti. Ritengo che il pubblico ministero abbia un ruolo spiacevole, perché è chiamato a rompere, a spezzare, a reprimere, a svolgere un ruolo di distruzione della dinamica deviante, vale a dire un ruolo di individuazione, di accertamento e di interruzione dei comportamenti devianti. Questo ruolo risente negativamente delle insufficienze dei controlli della pubblica amministrazione nel momento in cui, nella sfera del suo intervento, si riversano anche i comportamenti che dovrebbero essere individuati e repressi prima dell'assunzione di connotati di gravità tale da imporre l'intervento penale. E' il problema generale della disattenzione delle funzioni dell'attività inquirente. Tuttavia, credo che anche in questo ci sia materia di riflessione anche dal punto di vista della comparazione della nostra esperienza con quella di altri Stati.

Credo che, quando si criminalizza dal punto di vista normativo gran parte dei comportamenti di devianza in un settore, si rende difficile l'applicazione della legge penale. Il ricorso eccessivo alla sanzione penale di per sé deresponsabilizza le funzioni di controllo amministrativo, perché sono pochi i comportamenti che immediatamente non assumono i connotati di un illecito penale. Per cui, la pubblica amministrazione si limita a svolgere un ruolo di assistenza al suo scavalcamento da parte degli organi di polizia e del pubblico ministero, ovviamente senza grandi rimpianti. D'altra parte, la criminalizzazione di tutti i comportamenti che connotano l'agire imprenditoriale nel settore rende quasi impossibile l'effettività dei controlli giudiziari.

Da questo punto di vista, la scelta di prevedere fattispecie contravvenzionali per uno spettro estremamente ampio di condotte devianti è significativa perché da un lato si criminalizza tutto e dall'altro si criminalizza in modo tenue, in modo in radice inefficace. L'individuazione di comportamenti ancorati all'effettività del danno ambientale e sottoposti in quanto tali a sanzioni penali, ma non necessariamente soltanto penali, assai più incisive, invece, costituirebbe probabilmente un passo in avanti. Ma, ovviamente, da questo punto di vista si tratta semplicemente di esprimere aspettative di razionalità normativa o di dare possibili suggerimenti che sicuramente non sfuggono al legislatore.

Non avevo alcuna intenzione di introdurre elementi di contrapposizione nord-sud in questa materia. Credo, anzi, che se esiste una materia caratterizzata dall'assenza di momenti di contrapposizione è proprio quella dei rifiuti: vi è infatti una divisione di ruoli naturale. Spesso sono le imprese del nord a produrre i rifiuti, ma per il semplice motivo che vi sono molte più imprese al nord. Per esempio, quando si parla del ciclo delle scorie da macinazione di alluminio, ci si riferisce ad un ciclo di rifiuti che fa capo all'industria metallurgica, tradizionalmente radicata nell'Italia centro-settentrionale.

FRANCO ASCIUTTI. Sulla legislazione europea?

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Sulla legislazione europea non ho una conoscenza approfondita, come ho accennato poc'anzi, se non per trarre conferma della mia convinzione circa l'inesistenza di modelli normativi paragonabili al nostro quanto all'affidamento al magistrato penale del compito di tutelare l'ambiente.

PRESIDENTE. Senza alcuna polemica, ma solo per amore della verità, ricordo che il decreto sulle materie prime e seconde ha introdotto il termine "residui", che non è una terminologia europea e che sicuramente ha reso meno trasparenti, e con molto minori responsabilità da parte delle amministrazioni e degli operatori, tutti i processi connessi al ciclo dei rifiuti. Ancor peggio - e qui ci volle un'intelligenza maligna a pensarlo - fu l'idea di far quotare come merci gli oggetti che tali diventavano in quanto in questo modo catalogati in virtù della presenza in un listino della camera di commercio, cioè il famoso mercuriale. Ricordo per memoria storica che in realtà la questione delle materie prime e seconde nacque nel 1990 per l'esigenza dell'ENEL di smaltire le ceneri pesanti. Molti ricorderanno la sentenza della Corte costituzionale che fu talmente rigorosa da nuocere quasi, in qualche modo, invece di giovare. Purtroppo, quel decreto reca una serie di segni che, almeno a mio modo di vedere, non appartengono al problema della stratificazione bensì a quello di una cattiva legislazione operata dai vari Governi che si sono succeduti.

In conclusione, rivolgerò al dottor Melillo alcune domande abbastanza puntuali che riguardano preminentemente processi in corso. Pertanto, se nel corso delle risposte il sostituto procuratore ravviserà il carattere riservato delle informazioni che starà per dare, ci potrà chiedere di procedere in seduta segreta.

Nel corso dell'audizione del dottor Maritati, della Procura nazionale antimafia, egli ci disse che nel Napoletano la famiglia o le famiglie interessate sono state invitate a risolvere il problema dei rifiuti. E' ovvio che si intendono le famiglie camorristiche. Da chi "sono state invitate"? Da chi è partito l'invito?

Lei ci ha ricordato all'inizio le dichiarazioni di Nunzio Perrella, l'operazione Adelphi e il successivo processo Avolio più 19. In base alla sua esperienza, è in grado di dirci qualcosa di più o comunque di darci una sua impressione sulla questione dell'imprenditoria privata nel settore dei rifiuti? Ha dati od opinioni fondate su dati che ci possano consentire di parlare, e in che misura, di un inquinamento mafioso-camorristico dell'imprenditoria privata nel ciclo dei rifiuti?

La Commissione di inchiesta monocamerale della precedente legislatura ascoltò il procuratore Cordova. Nel corso dell'audizione io stesso ricordai al dottor Cordova che Carmine Schiavone nell'udienza del 28 marzo 1995 aveva rivelato di essere in grado di indicare siti in cui erano stati interrati residui tossico-nocivi o addirittura radioattivi. Quale seguito giudiziario hanno avuto le rivelazioni di questo collaboratore di giustizia? Quale seguito ha avuto il particolare tipo di dichiarazioni rilasciate nell'udienza del 28 marzo 1995? So - allora rimanemmo in contatto con il dottor Cordova - che erano state avviate indagini tramite carotaggi. A che punto si trovano? Lo dico anche in funzione di un avvio di una risposta di sicurezza per le popolazioni coinvolte in queste situazioni.

Dottor Melillo, è a conoscenza dell'inchiesta sui clan Moccia e Magliulo e delle attività estorsive a imprese e comuni per servirsi di una loro ditta di smaltimento rifiuti di fatto mai operante? Se ne è informato, cosa può dirci sull'argomento? E' a conoscenza di rivelazioni fornite da altri collaboratori di giustizia ex appartenenti a clan camorristici? Può confermare che anche Dario De Simone, che mi risulta l'ultimo dissociato dal clan dei Casalesi operante preminentemente nel Casertano, abbia reso dichiarazioni significative su questo tipo di traffici?

Agli atti della precedente Commissione d'inchiesta risultano circa venti discariche sequestrate dalle forze dell'ordine nell'area di competenza della procura distrettuale di Napoli. Ci può dire quali esiti giudiziari hanno avuto questi sequestri?

Concludo con un discorso più complesso, sul quale magari ci potrà inviare le sue riflessioni per iscritto. Mentre lei parlava di misure di prevenzione, mi è venuto in mente, anche per esperienze precedenti, che il coordinamento tra le procure è un fatto molto soggettivo, nel senso che ogni procura è incaricata di seguire determinate indagini su base territoriale: non esiste, o esiste solo molto relativamente, un filone che può collegare fatti concepiti e sentiti a livello territoriale, e non "per tematica". Una parte delle motivazioni che lei ricordava mi pare rendano difficile l'azione di coordinamento tra le procure distrettuali antimafia e le procure presso i tribunali o le preture circondariali. Ci può fornire, eventualmente in ulteriori incontri o per iscritto, una sua valutazione sul coordinamento, in qualche modo non previsto a livello di procure territoriali, e sul coordinamento tra queste procure e le procure distrettuali antimafia, ovviamente per quanto concerne il tema in discussione?

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Presidente, ho difficoltà a rispondere alla prima domanda perché non ho ben capito il contesto in cui l'affermazione è resa. Mi riferisco all'invito alle famiglie a trovare un accordo.

PRESIDENTE. A gestire, diciamo.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Il ruolo trainante delle organizzazioni camorristiche nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti ha caratteristiche tali da imporre necessariamente un agire concordato. Ricordo che la presenza quasi monopolistica nel settore della commercializzazione del calcestruzzo aveva condotto alla formazione di più di un consorzio, quindi di due società consortili, PROCAL e CEDIC, corrispondenti alle aree di influenza delle due principali organizzazioni camorristiche operanti in Campania (la CEDIC nel Casertano, area di influenza dei Casalesi, e la PROCAL nell'area di influenza dell'organizzazione Alfieri, cioè la zona vesuviana, nolana e della città di Napoli). Questo meccanismo serviva anche al riparto interno delle quote spettanti alle organizzazioni criminali, poiché gli imprenditori che si rifornivano di calcestruzzo non pagavano più direttamente denaro alle organizzazioni: ci si sottraeva, pertanto, alla necessità della reiterazione di meccanismi estorsivi realizzando un modulo negoziale che garantiva, attraverso la presenza delle imprese direttamente riconducibili alle organizzazioni criminali, una quota percentuale corrispondente alle quantità di prodotto scaricato nella zona di pertinenza dell'organizzazione criminale. Sia pure con modalità diverse, questo modulo si ritrova anche nella presenza della camorra nel settore dei rifiuti, nel senso che svolgono un ruolo significativo le organizzazioni criminali più importanti, che hanno anche un ruolo di catalizzatore degli interessi riconducibili a organizzazioni di minore importanza. In questo senso credo di poter spiegare l'invito cui ha accennato nella sua audizione il dottor Maritati.

Quanto alle imprese, si tratta di imprese riconducibili direttamente alle organizzazioni camorristiche. Le indagini attualmente in corso di svolgimento consentono di ricondurre numerose società di quelle più significative operanti nel settore dell'intermediazione, del trasporto e dello smaltimento di rifiuti ad organizzazioni criminali. Si tratta di società di particolare rilevanza dal punto di vista dei mezzi finanziari, della capacità di imporre tariffari controllati per la trattazione di materiali e per la capacità di gestire con efficienza e mobilità sull'intero territorio nazionale...

PRESIDENTE. Le chiedo allora di far avere alla Commissione l'elenco di queste società. Poiché la Commissione gira per l'Italia e farà anche altre audizioni, vorremmo essere in grado di effettuare verifiche incrociate.

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Certo. Non appena verranno meno le ragioni di riservatezza connesse all'attuale fase investigativa, il mio ufficio provvederà sicuramente alla segnalazione alla Commissione.

Questa è anche un'occasione per tornare sul concetto di non esclusività. Accanto a questi soggetti d'impresa direttamente riconducibili alle organizzazioni criminali, ruota una quantità notevolissima di soggetti di impresa che hanno un proprio fine di partecipazione al profitto complessivo che inerisce al ciclo illecito dello smaltimento dei rifiuti e che, pur venendo in contatto o in relazione contrattuale con l'impresa mafiosa, non sono assolvibili nella sfera di influenza dell'organizzazione stessa.

Quanto alle dichiarazioni rese proprio nel dibattimento concernente Avolio ed altri da Carmine Schiavone, ricordo che quando facevo riferimento alla rilevata presenza di indici di radioattività anomali o all'impiego di sommozzatori e palombari per l'individuazione delle discariche abusive o quando parlavo delle finte vasche ittiche, mi riferivo ad altrettante attività di verifica investigativa delle dichiarazioni di Schiavone e di altri importanti collaboratori provenienti dalle fila dell'organizzazione dei Casalesi.

GIOVANNI POLIDORO. Quali residui radioattivi ci sono in Italia e da dove dovrebbero venire questi residui?

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Non ne ho idea. Ho parlato della registrazione di livelli anomali di radioattività. Devo dire che non sono neanche state possibili verifiche più attendibili, anche per la conformazione dei luoghi. Stiamo parlando di vasche con profondità assolutamente non raggiungibili per le operazioni di campionatura.

Lo sforzo investigativo che sta compiendo il mio ufficio è quello di prevenire ad una ricostruzione complessiva del modo di agire dei Casalesi in questo settore. Il procedimento si trova in una fase delicatissima perché sono terminate pressoché interamente le verifiche delegate alla polizia giudiziaria e anche le attività d'indagine rispetto alle quali le dichiarazioni dei collaboratori hanno costituito un mero spunto, perché si sono svolte in modo assolutamente autonomo e con tecniche di investigazione pura.

Non sono a conoscenza della vicenda riguardante i gruppi Moccia e Magliulo. Moccia e Magliulo sono i nomi di due organizzazioni camorristiche presenti nell'area di Afragola, Caivano, Casoria e Frattamaggiore e nella cintura a nord di Napoli. Peraltro, il clan Magliulo è praticamente scomparso perché è stato abbattuto dalla potenza della contrapposta organizzazione dei Moccia, che costituiva uno dei pilastri dell'organizzazione di Alfieri. I capi, dopo aver trasferito l'intera famiglia e le persone più vicine in altra regione d'Italia, dopo aver cercato di risiedere per anni lì, si sono risolti alla collaborazione. Non avendo curato io questo procedimento, mi riservo di acquisire informazioni da trasmettere alla Commissione.

Dario De Simone è un collaboratore di straordinaria importanza. Si tratta infatti di un capo dell'organizzazione dei Casalesi, che aveva anche la peculiare funzione di sovrintendere sia ai rapporti "diplomatici" con altre organizzazioni criminali sia ai rapporti d'affari. E' pertanto portatore di esperienze e di conoscenze anche in questo settore. Naturalmente, il suo contributo di conoscenza si riversa nel processo in corso al quale prima facevo riferimento.

PRESIDENTE. E' sempre lo stesso?

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Sì, il procedimento è unico. Credo sia uno dei parametri di misurazione dell'efficacia dell'azione della direzione distrettuale antimafia. Infatti, soltanto negli ultimi anni si è compreso, ponendolo successivamente a premessa del nostro agire, che l'organizzazione dei Casalesi era, nonostante l'organizzazione interna assai complessa, una struttura sostanzialmente unitaria che, con meccanismi stabili, controllava l'intero territorio casertano, e anche il basso Lazio. Le famiglie erano organizzate in decine, secondo regole tipicamente mafiose, avendo mutuato le regole di affiliazione siciliana, dato che i suoi capi erano uomini di Cosa nostra. Antonio Bardellino, che fu ucciso nel 1988 e che era il capo dell'organizzazione, era stato affiliato da Francesco Di Carlo alla presenza di Bernardo Brusca e di altri. Quindi, vi è questa comune radice che tuttora manifesta i suoi effetti.

Per quanto riguarda il coordinamento, devo dire che nonostante le inevitabili difficoltà questo è proprio uno dei settori in cui il coordinamento degli uffici del pubblico ministero ha dato i risultati maggiori, soprattutto dal punto di vista informativo.

PRESIDENTE. Si riferisce alla situazione campana e alle inchieste in corso o più in generale?

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Faccio riferimento in generale alla conoscenza che ho dello sforzo di coordinamento svolto dalla Procura nazionale antimafia proprio per la consapevolezza che gran parte del sapere investigativo in materia si forma nelle indagini di competenza pretorile. Sono stati persino coinvolti nelle riunioni di coordinamento, quindi nel circuito informativo, i rappresentanti degli uffici delle procure circondariali. Si sono svolte numerosissime riunioni di coordinamento e quindi definiti i moduli di intervento investigativo coordinato che hanno coinvolto anche uffici che, tradizionalmente o no, operano in modo autonomo, senza logiche di coordinamento. Direi che il modello dell'agire coordinato tipico delle investigazioni in materia di criminalità organizzata si è proficuamente esteso alle indagini delle procure circondariali che hanno partecipato dando un contributo importante.

I sequestri delle discariche e quindi la verifica delle ipotesi di reato poste a fondamento dei sequestri stessi avvengono nell'ambito di procedimenti di competenza pretorile ai quali, nelle nostre indagini, attingiamo dati soprattutto nelle forme del coordinamento investigativo cui prima accennavo. Sono singoli tasselli del mosaico e le investigazioni si realizzano seguendo il modello dell'esistenza di una associazione con dimensione e struttura più ampia. Si tratta di sequestri avvenuti su iniziativa di procure circondariali, nella massima parte, o di procure che cumulano competenze sia presso il tribunale sia presso la pretura. Vi è stato, per esempio, un sequestro a Morcone, in provincia di Benevento; un altro importante sequestro, quello degli impianti della ditta Italbeton, è avvenuto a Santa Maria Capua Vetere. Si tratta di procedimenti il cui esito giudiziario appartiene alla competenza di altrettanti uffici giudiziari.

PRESIDENTE. Il problema riguarda proprio quanto stava dicendo circa il coordinamento. Ci si potrebbe in qualche modo attendere che i sequestri disposti per lo più da pretori o da procure presso le preture circondariali nell'ambito dell'azione di coordinamento della procura distrettuale riescano ad avere una qualche forma di...

GIOVANNI MELILLO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Sì, posso essere più chiaro. Il contenuto delle singole indagini, in quanto rilevante, è da noi conosciuto e utilizzato nelle nostre indagini. Per esempio, abbiamo conoscenza dei sequestri cui facevo riferimento proprio ai fini delle nostre indagini. Altro è l'esito del procedimento, che per noi non ha neanche rilevanza seguire. Voglio dire che per noi è importante sapere che in un determinato centro di stoccaggio avveniva una certa operazione perché è la verifica di un certo percorso investigativo. Che poi il titolare dell'impianto abbia chiesto di patteggiare è un problema del quale non ci interessiamo più.

PRESIDENTE. Sono d'accordo. La ringraziamo, dottor Melillo.

 

Comunicazioni del presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l'ufficio di presidenza della Commissione, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deliberato, nella riunione del 22 luglio scorso, di avvalersi della collaborazione di alcuni consulenti ed esperti, ai sensi dell'articolo 6 della legge istitutiva e dell'articolo 21 del regolamento interno della Commissione.

E' stato nominato consulente, con remunerazione a tempo pieno, a decorrere dal 25 luglio 1997, il signor Lorenzo Miracle Bragantini, giornalista professionista.

Sono stati nominati consulenti, con remunerazione a tempo parziale, a decorrere dal 25 luglio 1997, i signori; Tommaso Cottone, magistrato; Antonio Costa, già funzionario dell'ENEA, pensionato; Anacleto Busà, chimico.

Sono stati nominati consulenti, a titolo gratuito, a decorrere dal 25 luglio 1997, i signori: Giuseppe Cascini, sostituto procuratore presso la procura circondariale della pretura di Roma; Marco Marchetti, geologo presso l'Istituto nazionale di geofisica; Marcello Viola, GIP presso il tribunale di Palermo; Carlo Maria Capristo, consigliere di Corte d'appello con funzione di sostituto procuratore della Repubblica di Siena; Francesco Neri, sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Reggio Calabria; Filippo Iannarone, avvocato; Angelo Bassi, procuratore della Repubblica aggiunto di Bari; Luciano Tarditi, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti; Giuseppe De Falco, sostituto procuratore presso la pretura circondariale di Roma; Elvira Tamburelli, giudice penale presso il tribunale di Cosenza; Donato Ceglie, sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta).

Per i signori Maurizio Pernice e Mauro Gamboni, appartenenti rispettivamente ai Ministeri dell'ambiente e dell'industria, è stata inoltrata una richiesta ai titolari dei due dicasteri, affinché venga autorizzata una loro collaborazione in via non continuativa, a titolo gratuito.

Comunico inoltre che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deliberato, nella riunione del 2 luglio scorso, di avvalersi di alcuni collaboratori "istituzionali" nelle persone di: Castore Palmerini, generale di brigata della Guardia di finanza; Nicola Raggetti, colonnello comandante del nucleo operativo ecologico dell'Arma dei carabinieri; Ferdinando Petrone, vicedirettore vicario del Servizio geologico nazionale; Alessandro Pansa, direttore del Servizio centrale operativo della polizia di Stato; Sergio Incoronato, direttore generale capo del Corpo forestale dello Stato.

Si è data facoltà ad essi di individuare eventuali altri collaboratori all'interno delle amministrazioni di appartenenza.

Ai consulenti a titolo gratuito saranno riconosciuti esclusivamente rimborsi di spese eventualmente affrontate.

Avverto che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, si riunirà giovedì 31 luglio 1997, alle 13,30, per definire il calendario dei lavori dopo la pausa estiva.

Ricordo che una delegazione della Commissione si recherà in missione a Caserta il 30 luglio prossimo.

La seduta termina alle 19,40.

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