Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

62a SEDUTA

MARTEDI 10 FEBBRAIO 2000

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
GIROTTO
BIELLI (Dem. di Sin.-L’Ulivo), deputato
DOLAZZA (Lega Nord Pad. indip.), senatore 1 - 2
FRAGALA' (AN), deputato 1 - 2
MANCA (Forza Italia), senatore 1 - 2 - 3
MANTICA (AN), senatore 1 - 2 - 3 - 4 - 5
PARDINI (Dem. di Sinistra-l’Ulivo), senatore 1 - 2
TARADASH (misto-P.Segni-RLD), deputato 1 - 2

 

La seduta ha inizio alle ore 19,40.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito il senatore De Luca Athos, segretario f.f., a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

DE LUCA Athos, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta dell’8 febbraio 2000.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato. E' approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l’ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti il cui elenco è in distribuzione e che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell’inchiesta.

Informo che in data 24 gennaio 2000 il Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della Commissione il senatore Angelo Giorgianni in sostituzione del senatore Giovanni Polidoro, entrato a far parte del Governo. Il collega Giorgianni non è oggi presente ma spero di rivolgergli il nostro benvenuto quanto prima.

 

INCHIESTA SUL CASO MORO: AUDIZIONE DEL SIGNOR SILVANO GIROTTO.

(Viene introdotto il signor Silvano Girotto)

 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'inchiesta sugli sviluppi del caso Moro, l'audizione del signor Silvano Girotto che ringrazio per la sua disponibilità.

Vorrei provare ad applicare anche in questa occasione lo schema di audizione utilizzato nel corso dell'audizione del ministro Bianco, dal momento che risponde ad esigenze di utilità e di celerità. Pertanto, così come ho provato a dare il buon esempio in quella seduta proverò a farlo anche in questa.

Ringrazio il signor Girotto per aver inviato alla Presidenza della Commissione un capitolo del suo libro autobiografico in bozza di stampa e quindi non ancora pubblicato, capitolo del quale mi servirò per formulare alcune domande. Pregherò quindi il nostro ospite di dare in questa fase risposte brevi dal momento che ciò servirà soltanto ad introdurre l'audizione il cui decorso affiderò poi agli altri colleghi iscritti a parlare, alle domande dei quali potrà rispondere con maggiore profusione.

Le chiedo, innanzitutto, se può confermare che la sua nota attività di infiltrazione nelle Brigate rosse - conosciuta dalla Commissione - avvenne per iniziativa di un capitano dei carabinieri che la venne a trovare.

GIROTTO. La mia azione contro le Brigate rosse avvenne per mia iniziativa rispondendo ad un invito rivoltomi in quel senso da un capitano dei carabinieri che era venuto a trovarmi.

PRESIDENTE. A distanza di così tanti anni, può dirci il nome di quel capitano dei carabinieri?

GIROTTO. Gustavo Pignero.

DE LUCA Athos. E' ancora in servizio?

GIROTTO. Si tratta di trent'anni fa.

PRESIDENTE. Lei può confermare alla Commissione che in qualche modo - spiegherò poi di che modo si tratta - questa idea di una sua possibile utilizzazione era stata suggerita ai carabinieri da un articolo dell'onorevole Pisanò apparso sul "Candido" in cui lei veniva illustrato come personaggio a conoscenza dei segreti delle Brigate rosse e che poteva fornire un forte contributo per salvare Sossi?

GIROTTO. Il capitano Pignero venne a trovarmi a casa e mi mostrò un giornale, il "Candido", sulla prima pagina del quale campeggiava in grande una fotografia che mi raffigurava in atto di celebrare la santa messa e la didascalia sotto quella foto recitava: "Ecco l'uomo che può salvare Sossi". Cerco di essere conciso ma sono disponibile ad approfondire questo episodio.

PRESIDENTE. Perché secondo quell'articolo di Pisanò lei avrebbe potuto salvare Sossi?

GIROTTO. Dopo l'ordinazione sacerdotale ero in attività nella zona di Omegna, nel lago d'Orta, in cui il senatore Pisanò aveva una casa. Ricordo che era il '68 e bisognerebbe quindi collocarsi nel clima di allora. La mia attività pastorale svolta tra giovani estremamente politicizzati - così come accadeva a quel tempo - mi fece guadagnare la fama di "prete rosso" in quanto avevo assunto posizioni particolari. Nella zona di Omegna c'era una forte presenza del Partito comunista in quanto numerose erano le fabbriche importanti, come la Bialetti o la Lagostina, che davano lavoro ad un gran numero di operai, facendo così registrare forti tensioni sociali. In questo contesto io avevo assunto delle posizioni di difesa - se così vogliamo - degli operai. A causa della mia fama di "prete rosso" mi fu persino tolta l'autorizzazione a predicare dal vescovo di Novara, Placido Maria Cambiaghi, proprio perché avevo assunto delle posizioni non condivise nemmeno dalla gerarchia ecclesiastica che era stata invitata ad intervenire dagli industriali della zona. Pertanto, mi fu impedito di parlare.Questa era la fama che avevo e che l'onorevole Pisanò aveva percepito.Tengo a precisare che io non ho mai visto l'onorevole Pisanò, non l'ho mai incontrato. Dopo l'attività svolta in Omegna mi recai come missionario in Sud America dove avvennero alcuni episodi che, se la Commissione lo ritiene opportuno, potrei anche raccontare. In quel territorio partecipai a movimenti di liberazione e di lotta alla dittatura e quando tornai in Italia avevo anche la fama di guerrigliero.

PRESIDENTE. Il nome dell'onorevole Pisanò ritorna più volte negli atti di inchiesta di questa Commissione che ne attesta un rapporto di vicinanza e anche di fiducia con apparati di sicurezza, in particolare con l'Arma dei carabinieri. Lei esclude o almeno ritiene probabile che l’onorevole Pisanò, anche attraverso apparati di sicurezza, poteva aver assunto su di lei informazioni più precise sulla sua esperienza personale nell’ambiente di Omegna o per ciò che aveva potuto conoscere in base a notizie apparse sulla stampa?

GIROTTO. Può darsi che potesse aver assunto informazioni più precise, non mi sento né di escluderlo né di affermarlo. Mi chiederei però per quale motivo avrebbe dovuto desiderare di avere informazioni più precise su di me.

PRESIDENTE. Forse per contribuire alla sconfitta delle Brigate rosse.

GIROTTO. Questo presupporrebbe che lui già sapesse che avrei accettato di combattere contro le Brigate rosse, cosa del tutto impossibile da intuire, anche lontanamente.

PRESIDENTE. Lei mi conferma che dopo la sua decisione meditata e anche sofferta…

GIROTTO. …molto…

PRESIDENTE. …di rispondere all’invito del capitano dei carabinieri, lei entra in contatto con le Brigate rosse attraverso una doppia intermediazione. Prima attraverso un rapporto con il dottor Levati e poi un incontro con l’avvocato Lazagna.

GIROTTO. Sono due avvenimenti concatenati in quanto si susseguono temporalmente. Vengo inizialmente avvicinato dal dottor Levati il quale mi chiede se sono interessato ad entrare in contatto con le Brigate rosse. Rispondo affermativamente. Dopodiché il dottor Levati mi dà un appuntamento, a distanza di un paio di settimane, per farmi incontrare una persona. Vado con lui, nella sua macchina, e mi porta a Novara in un condominio dove c’è un personaggio che non ho mai visto e che risulta poi essere questo avvocato Lazagna che non avevo mai incontrato prima. Voglio far notare che in tutta questa vicenda dall’inizio alla fine tutti i personaggi che ho incontrato sono personaggi che non avevo mai visto e di cui non avevo mai sentito parlare perché arrivavo direttamente dall’America Latina dove avevo vissuto per molti anni.

PRESIDENTE. Tutto ciò emergerà dalle domande che verranno fatte successivamente.

GIROTTO. Questi due personaggi, insieme, mi fanno una specie di esame. Mi chiedono com’era andata in America Latina, com’era andata in Cile. Raccontai che avevo vissuto il dramma boliviano, il dramma cileno, che ero stato ferito due volte in combattimento. Dopo aver raccontato tutto ciò mi chiedono ancora se sono davvero intenzionato a prendere contatto con le Brigate rosse. Davanti ad una mia risposta affermativa l’avvocato Lazagna dice a Levati che mi avrebbe messo in contatto ed io ne concludo che questo era stato un esame e che avevo passato una sorta di filtro.

PRESIDENTE. Lei a questo proposito dice due cose che mi sono sembrate interessanti anche perché poi noi siamo impegnati anche ad una ricostruzione particolare delle vicende successive relative alle Brigate rosse. Lei, a proposito di Levati, dice che in realtà una formazione come le Brigate rosse, così come per qualsiasi formazione guerrigliera, vive in clandestinità e di compartimentazione, ma ha bisogno di un’area di fiancheggiatori per cui chi vuole entrare in contatto con una formazione guerrigliera deve cominciare a nuotare nell’area di consenso e porre con discrezione qualche domanda. Alla fine uno dei fiancheggiatori cercherà di fargli capire che lui, pur non essendo un brigatista, delle Brigate rosse sa molto e quindi può essere un contatto.

GIROTTO. Questo, signor Presidente, fa parte di quel bagaglio di conoscenze che avevo acquisito per aver partecipato attivamente e per anni a formazioni che praticavano la lotta armata clandestina. E’ la conoscenza di questo ambiente, del clima, del tipo di linguaggio che si usa, che mi ha permesso di usare i toni giusti e di avvicinarmi rapidamente alle Brigate rosse perché, allora come adesso e per sempre, l’unica arma possibile contro formazioni di questo genere è quella che io ho usato, purtroppo l’unica, anche se non del tutto elegante.

PRESIDENTE. La interrompo per un attimo perché ritengo che quanto lei ci sta dicendo dovrebbe essere di utilità nell’attualità. Ritengo che un cittadino italiano che nella fase attuale riuscisse ad infiltrarsi e, alla fine, a farci catturare quelli che hanno ucciso Massimo D’Antona farebbe un grande servizio al Paese. Lei non deve giustificarsi e la mia è una valutazione politica di cui mi assumo personalmente la responsabilità. Dal mio punto di vista lei non ha bisogno di giustificazioni, anzi ci fossero altri come lei! Tra l’altro, si tratta di attività che si fanno a rischio della propria vita.

GIROTTO. Questa è la cosa che mi ha sempre consentito di mantenere la coscienza tranquilla, la coscienza profonda dell’aver agito in modo moralmente corretto, però questa mia excusatio non petita deriva anche da trent’anni di linciaggio morale ed indegno a cui sono stato sottoposto.

PRESIDENTE. Siccome nel suo libro avevo letto proprio di questo aspetto, volevo precisarle il senso con il quale, almeno dal punto di vista personale, ho accolto la richiesta del collega Dolazza a questa sua audizione.

A proposito di Lazagna, nella memoria che lei mi ha inviato, in questa anticipazione del suo libro, lei dice che l’impressione che ebbe è che egli non fosse in organico alle Brigate rosse, ma fosse una sorta di guru intellettuale, di consigliere aulico in contatto con le Brigate rosse e che ne fosse tutto sommato informato, ne guidava le mosse tanto da autorizzare Levati a porre lei in contatto con le Brigate rosse. Possiamo quindi distinguere già due categorie. Levati il fiancheggiatore e Lazagna il consigliere aulico.

GIROTTO. Penso che lei abbia colto esattamente quella che è stata la mia impressione, cioè che Lazagna fosse una sorta di guru per il suo passato di capo partigiano che io non conoscevo. Quello che colsi nell’atteggiamento e nel modo di parlare di Lazagna era il fatto che sembrava condividere la tesi secondo cui la resistenza era stata in qualche modo tradita e il sacrificio degli uomini morti sulle montagne contro l’invasore nazifascista era stato poi sprecato in seguito, per cui questi ragazzi erano persone che riprendevano in mano una bandiera che aspettava ancora di essere portata alla vittoria.

Questo è un po’ il senso dei discorsi che io ricordo dell’avvocato Lazagna. Che non fosse organico alle Brigate rosse ne sono convinto; che fosse un personaggio però il cui parere era ascoltato, sono altrettanto convinto. Tant’è che, dopo la sua approvazione, l’incontro successivo fu con Renato Curcio.

PRESIDENTE. Lei conferma che tutto sommato questa sua presenza all’interno delle Brigate rosse alla fine è consistita in soli tre incontri? Uno con il solo Curcio; uno con Curcio e un personaggio più duro, più capo militare, più spietato, un personaggio – lei dice – che definisce "un incidente di percorso" l’uccisione dei due ragazzi missini che nel frattempo era avvenuta; il terzo, che poi è quello finale, con Curcio e Franceschini, che quindi si trova casualmente coinvolto in una trappola in cui semmai sarebbe dovuto cadere l’altro personaggio, che è Mario Moretti, il più duro. Quello è il momento in cui poi chiaramente tutto si chiude perché lei si brucia come infiltrato con la cattura di Curcio e Franceschini. Lei può confermare che gli incontri sono stati solo questi tre?

GIROTTO. Sì, confermo, però ricordo anche che la frase "è stato un incidente di percorso" per la prima volta la udii da Lazagna. Nell’incontro di Novara la frase "è stato un incidente di percorso" la ricordo benissimo, perché mi colpì; si trattava di due padri di famiglia ammazzati come cani e sentirne parlare in quel modo dal Lazagna mi colpì e fu la prima volta che la sentii pronunciare. Poi questa espressione fu ripresa anche da Moretti quando ci incontrammo.

PRESIDENTE. Lei conferma che la sua impressione fu che in fondo le Brigate rosse erano penetrabili con una certa facilità da infiltrati, visto che lei nel primo incontro con Curcio decide di non portare una ricetrasmittente perché la precauzione minimale che si poteva attendere era una perquisizione, che invece non avvenne?

GIROTTO. Certo. Naturalmente mi rifacevo alle mie esperienze. Noi in America Latina usavamo anche degli scanner per vedere se c’erano trasmittenti a onde corte in giro, chi poteva averle addosso, e cose di questo genere. Non portai la trasmittente proprio perché mi aspettavo perlomeno una perquisizione, che non avvenne.

PRESIDENTE. Mi sembra che il giudizio che lei dà sia che le BR erano preoccupate di evitare l’infiltrazione, ma non attrezzate.

GIROTTO. Senz’altro, non attrezzate dal punto di vista della preparazione – mi si passi la parola – professionale.

PRESIDENTE. E lei conferma anche che, per dichiarazione di Curcio, la preparazione militare delle BR in quella fase era scarsa? Infatti lui le dice: noi abbiamo bisogno di uno che ci addestri perché ogni volta che prendiamo in mano una pistola corriamo il rischio di spararci tra i piedi.

GIROTTO. Ricordo che Moretti disse: "siamo così carichi di odio che le nostre pistole sparano da sole". E Curcio aggiunse: "sì, però per il momento ci spariamo sui piedi, abbiamo bisogno di lui".

PRESIDENTE. Per cui l’incarico che le viene dato, che è subito un incarico di vertice, è quello di fare una specie di scuola quadri, cioè di addestramento alla guerriglia urbana?

GIROTTO. Esatto.

PRESIDENTE. Lei ci può anche confermare che la sua idea era quella di sfruttare più a fondo l’infiltrazione, cioè di non far scattare subito la trappola in cui cadono Curcio e Franceschini, ma di penetrare più a fondo l’organizzazione per fare una retata più completa. Ma invece nota una certa fretta da parte dei carabinieri, e insieme una certa preoccupazione di quello che sarebbe potuto avvenire se lei fosse stato messo alla prova di una vera e propria azione militare, benché lei assicurasse ai carabinieri: "se mi trovo, sparo; sfioro e non colpisco".

GIROTTO. Magari cerco anche di non sfiorare. Sì, effettivamente io ho avuto l’impressione che stavano per finire i preamboli perché di preamboli si trattò: si trattò di tre colloqui che io ebbi con i capi delle Brigate rosse. L’azione vera doveva iniziare là quando io avessi potuto conoscere le basi, i depositi di armi, i finanziatori, i fiancheggiatori, e stavo per assumere un ruolo che mi avrebbe permesso tutto questo. Non lo so, probabilmente di Brigate rosse non si sarebbe più parlato.

PRESIDENTE. Lei racconta che in fondo nell’esperienza dei tupamaros poi erano bastati una decina di giorni di repressione a 360 gradi per metterli a terra.

GIROTTO. Sì, in America Latina io ero stato distaccato presso i tupamaros proprio perché il partito, e non l’organizzazione a cui appartenevo… Qui dovreste permettermi di farvi capire che differenza c’era. La mia esperienza latino-americana comincia così: io sono un missionario francescano e, come tale, celebro messe, matrimoni, purtroppo troppi funerali di gente anche morta di fame. Lavoro tra i giovani, vivo i drammi di quelle popolazioni, di una Bolivia che era il paese più povero dell’America Latina allora. Questo fino all’agosto del 1971, il giorno 21, in cui mi trovo nella città di La Paz e c’è un colpo di Stato militare. Il generale Hugo Banzer Suarez fa uscire i soldati dalle caserme; vuole abbattere il generale Torres, allora al Governo, perché aveva una politica troppo lassista, lasciava crescere i sindacati, permetteva dimostrazioni di piazza e cose di questo genere. Il generale Banzer fa un colpo di Stato, escono gli operai per le strade a manifestare e l’esercito spara. Io mi trovavo lì, ho visto la gente cadere, bambini, donne, e non me la sono sentita di stare a guardare: ho raccolto un mitra, ho tolto il saio e mi sono unito alla gente che cercava di reagire. Poi sono stato ferito, mi hanno portato via, dopo di che sono fuggito in Cile, assieme a quelli che erano sopravvissuti, e di qui nasce il mio vivere nella resistenza, e di qui nasce la mia espulsione dall’ordine francescano, dolorosissima. Mi fu poi chiesto di dichiararmi pentito di quella scelta, cosa che non mi sentii di fare, per cui fu ineluttabile, e lo capisco. Io rispetto la Chiesa, rispetto l’istituzione che ha preso quella decisione, che ritengo fosse inevitabile, ma comunque non mi pentii e dissi: io ho agito bene in coscienza, Dio sa cosa mi è passato nell’anima in quel momento.

PRESIDENTE. Però queste sono esperienze non nuove nella storia, soprattutto nella storia americana. Diversi gesuiti furono espulsi dal loro ordine quando si ribellarono all’accordo tra Spagna e Portogallo, che consegnava il territorio in cui avevano le missioni al Portogallo, che praticava lo schiavismo. Loro invece restarono e guidarono la resistenza degli indigeni amazzonici.

GIROTTO. Comunque anche costoro furono perseguitati dalla Chiesa istituzionale. Ma non voglio entrare in questi discorsi troppo complicati. Ripeto, io rispetto la Chiesa, ma sono tranquillo in coscienza su quella scelta.

PRESIDENTE. Credo che le domande che le saranno fatte la porteranno a riprendere questo discorso. A questo punto però i carabinieri decidono di fare scattare la trappola, la trappola coinvolge casualmente Franceschini e non Moretti. Lei successivamente a questo fatto incontra un’altra volta Levati, il quale le dice subito di sapere che chi aveva fatto scattare la trappola era stato lei perché nel frattempo all’interno delle Brigate rosse era pervenuto un messaggio in cui si era cercato di salvare Curcio dall’agguato teso dai carabinieri. Questo è obiettivamente rilevante per la nostra Commissione. Lei poi di questo parla con il capitano dei carabinieri con cui aveva il contatto; il capitano dei carabinieri resta turbato e dice che gli uomini che hanno catturato Curcio e Franceschini erano stati informati soltanto in mattinata della vicenda. Però poi aggiunge che avevano avvertito il Ministero dell’interno. Come deduzione logica emergerebbe che da ambienti del Ministero dell’interno era potuto pervenire il messaggio ai brigatisti che aveva consentito a Moretti di salvarsi, poi forse di interrompere la trasmissione e far catturare Curcio e Franceschini. È questa la lettura che si può dare di quel fatto?

GIROTTO. Sì, io effettivamente ebbi un ultimo contatto col dottor Levati che – ricordo – è il personaggio che mi porta da Lazagna e poi favorisce il mio primo contatto con Curcio. Sapevo che era un fiancheggiatore, che quindi non era una persona pericolosa nel senso che mi avrebbe sparato o cose del genere. Gli telefonai, lo sentii spaventatissimo, chiesi di incontrarlo ed egli accettò. L’incontro durò pochi minuti e mi disse che i compagni gli avevano detto che ero stato io. Mi chiese se era vero che ero stato io e gli risposi di sì. In quell’occasione, gli chiesi come facevano ad essere così sicuri, poteva essere stato un incidente, non avevano ancora parlato con Curcio e Franceschini, che erano stati arrestati il giorno prima. Levati mi disse che aveva ricevuto lui, nella propria casa, il 7 settembre, quindi la sera prima dell’arresto che avvenne la mattina dell’8 settembre verso le 10, una telefonata. Levati sente una voce, non dice chi è ma dice che l’indomani Curcio sarebbe stato arrestato a Pinerolo, dice di avvisarlo. Dopo di che, la persona - così mi disse Levati, il giorno dopo l’arresto - riattaccò. Lascio da parte le considerazioni su quello che avrei potuto trovare io a Pinerolo. E’ comunque andata così. Ne parlo con il capitano Pignero e in un primo momento lo vedo turbato, anche perché mi era sempre stato detto che lo stesso nucleo di cui faceva parte…

PRESIDENTE. Levati chi avverte?

GIROTTO. Gli chiesi che cosa aveva fatto e lui mi rispose che aveva avvisato subito i compagni, ma non mi dice quali compagni. Il capitano Pignero mi aveva detto che i nominativi dei carabinieri che facevano parte di quel nucleo non erano conosciuti neanche all’interno dell’Arma, almeno così mi disse. Gli stessi carabinieri che avevano partecipato all’operazione dell’arresto il mattino dell’8 settembre a Pinerolo, avevano saputo dell’obiettivo dell’operazione poche ore prima di eseguirla. Un contesto del genere, che addirittura il giorno prima fossero stati avvisati, mi ha turbato, e ho visto che ha turbato anche il capitano. Disse che poi avrebbe verificato, ma con mio stupore, nell’incontro seguente con il capitano, quando ripresi l’argomento (perché mi aspettavo che fosse diventato un argomento di primo piano, da chiarire), gli chiesi se stavano indagando per quella fuga di notizie, perché era un cosa grave. Ricordo che ho ricevuto una risposta vaga, ha lasciato cadere il discorso, non ha voluto approfondire l’argomento, mi ha detto che stavano vedendo.

PRESIDENTE. Il Ministero dell’interno era stato informato? Lei lo ha scritto.

GIROTTO. Lui disse che era stato informato qualcuno al Ministero dell’interno, che lo sapevano lui, il generale Dalla Chiesa e qualcuno al Ministero dell’interno, erano pochissimi a saperlo. Poi tutto questo non viene più ripetuto.

PRESIDENTE. Questo sembrerebbe presupporre un doppio "tradimento". Da un lato, gli apparati di sicurezza informano le Brigate rosse dell’agguato cui Curcio poteva sfuggire; dall’altro, chi riceve la notizia all’interno delle Brigate rosse non informa Curcio. Nel libro lei nota che sarebbe bastata una telefonata per dire che a Pinerolo c’era una bomba e la zona si sarebbe riempita di forze dell’ordine. Curcio avrebbe fiutato la trappola e l’avrebbe schivata.

GIROTTO. Certamente.

PRESIDENTE. Ho letto il suo libro ma i commissari non lo hanno letto, per questo la prego di ripetere le sue considerazioni.

GIROTTO. Questa è la considerazione che io feci sapendo che quell’avviso era arrivato all’interno delle Brigate rosse; lessi poi che non avevano trovato il modo di contattare Curcio, il che mi fece un po’ sorridere. Mi risultò incredibile che chi giunse a gestire il sequestro Moro avesse così mancato di fantasia in quel momento da non avere avuto l’idea di incendiare un cassonetto della spazzatura sulla piazza, in modo da far giungere due volanti. I compagni che sapevano di essere in clandestinità avrebbero girato alla larga, non c’è bisogno di incontrare il compagno, si può creare uno stato d’allarme. Una persona che si muove in clandestinità o sa di essere ricercata ha tutti i sensi all’erta e appena percepisce che qualcosa non va come il solito, gira alla larga. Che strano!

MANCA. La sua vita è piena e variopinta. Lei si arruola nella legione straniera nel 1956; la diserta nel 1957; viene condannato per diserzione e, rientrato in Italia, finisce a capo di una banda di rapinatori; viene arrestato; in carcere le viene l’idea di prendere il saio; nel 1963 entra in convento; nel 1969 parte come missionario per la Bolivia; si schiera a fianco della guerriglia boliviana e ci ha fornito anche qualche tratto della sua esperienza. Dopo l’esperienza boliviana, prende contatti con i carabinieri – ci ha anche detto come e attraverso chi – nell’ambito delle indagini condotte da questi sulle nascenti Brigate rosse. Secondo me, tradisce i suoi valori e il suo passato di guerrigliero. Avrà sicuramente avuto valide ragioni ma da quello che io leggo sulla sua vita e da quel poco che ho sentito oggi, ritengo che lei possa darci risposte precise e soprattutto sincere. Quali sono state le ragioni ideologiche, morali o di altra natura che l’hanno portata a tradire il suo passato?

GIROTTO. Mi sembra fuori del tempo parlare di un episodio giovanile di 43 anni fa. Lei mi definisce, non certo di sua iniziativa, con dei termini indicativi, come capo dei rapinatori, dice che mi sono arruolato nella legione straniera. Comunque, sono contento che lei mi dia l’occasione per parlarne perché sono fatti reali da vedersi nelle loro dimensioni reali. A 17 anni mi trovo con una banda di ragazzotti. Allora si usavano i giubbotti di cuoio, i cosiddetti teddy boys, si ammiravano Elvis Presley e James Dean. Alle tre di notte, uno di questi ragazzotti finisce le sigarette ma vuole fumare. Si infila dentro la finestra di una tabaccheria, spacca i vetri, viene sorpreso dal padrone e viene caricato di legnate. Scappiamo a gambe levate mentre questo poveretto viene massacrato dal padrone che oltretutto era molto grosso. Questa è la rapina, perché nel codice penale esiste un istituto che si chiama rapina impropria. Questo poveretto – ricordo che si chiamava Mario ed era magrissimo – essendo stato caricato di legnate probabilmente reagì scalciando.

PRESIDENTE. Era il tabaccaio ad essere grosso?

GIROTTO. Sì, signor Presidente. Probabilmente questa reazione fu definita "violenza" e ciò pare che configuri questo istituto strano che si chiama "rapina impropria". Siccome noi eravamo fuori dalla tabaccheria e facevamo parte del gruppo eravamo i complici di una rapina. Ebbene, mi sono trovato rapinatore perché quel ragazzo aveva voglia di fumare! Per carità, dal punto di vista giuridico non c’è nulla da dire, allora la giustizia era molto più pesante di quanto non lo sia oggi; da qui quella condanna pesantissima e assurda. In ogni caso i fatti si verificarono in questi termini e gli atti sono ancora lì a dimostrarlo se qualcuno vorrà andare a leggerli. Questo fu il mio essere un rapinatore! Ammetto tuttavia di avere avuto una sbandata giovanile, ho fatto parte di questi gruppi di bulletti di quartiere. Prima ero scappato in Francia dove mi avevano arrestato - perché allora c’era l’espatrio clandestino ed era un reato - ed io nel timore di essere messo in prigione alla domanda rivoltami dal gendarme: "Tu veux t’engager dans la légion?" risposi di sì. Questo era dunque il legionario! Ebbene, questo povero diciassettenne che aveva paura di finire in prigione venne preso e mandato in Algeria a Sidi Bel Abbés. Faccio presente che questa mia epica impresa durò tre mesi; in ogni caso fui inserito nella compagnia di addestramento e ero un soldato a tutti gli effetti. Mi misero di guardia alle prigioni e fu in quella occasione che vidi per la prima volta che cosa fosse la tortura.

Lei, senatore Manca, ha usato il termine "tradire", una parola pesante, per quanto mi riguarda avrei usato un termine diverso. Da Sidi Bel Abbés me ne andai su due piedi, scappando dalla caserma e fui catturato da quelli che chiamavano i fellagà, i ribelli algerini - perché sia sulle montagne che fuori dalla caserma c’erano loro - che mi aiutarono a tornare a casa.Questo è dunque il legionario, il rapinatore! Tanta sofferenza che è anche alla radice della mia scelta religiosa e sacerdotale. Ho maturato in carcere questa decisione proprio perché vedevo quanto fosse duro non avere nessuno che ti dà una mano e affondare senza riuscire a capire il perché. Questa è la mia storia, rispetto poi ad un giornalismo deteriore che si è da sempre accanito a descrivermi – e continua ancora a farlo adesso – con quei termini così truculenti facendo apparire dei fatterelli come delle cose enormi posso dire che si tratta di un mostro tentacolare con cui ho lottato tanti anni senza riuscire a vincere. Tuttavia, io sono qui, sono Silvano Girotto, non mi sono mai nascosto, mi sono guadagnato da vivere lavorando duramente senza mai cambiare nome e identità. Facevo l’operaio, ripeto, qualche mese dopo l’arresto di Curcio facevo l’operaio in fabbrica dove fui eletto sindacalista dai miei colleghi. Ero nel consiglio di fabbrica dell’Amplisilence di Robassomero a Torino qualche mese dopo tale arresto, mentre i giornalisti inventavano interviste rilasciate da me in Svizzera, interviste che leggevo stando in fabbrica e commentandole con i miei compagni di lavoro che mi dicevano di stare attento.Questa è la mia storia, se andate a vedere il mio libretto di lavoro potete osservare che ho tutti i contributi versati e questo significa che ho lavorato!

PRESIDENTE. Questo aspetto è importante per quanto riguarda un altro profilo che interessa la Commissione. Lei, signor Girotto, venne ascoltato dal dottor Caselli per una testimonianza a futura memoria, però sta affermando - e dichiara anche di essere in grado di provarlo - che lei in realtà è stato sempre reperibile e che non ha mai avuto una seconda identità, né si è mai nascosto. Ebbene, la magistratura italiana dopo quella prima testimonianza a futura memoria rilasciata al dottor Caselli ha più provveduto ad interrogarla? Inoltre, lei è stato sentito come testimone in altri processi che riguardavano le Brigate rosse?

GIROTTO. La storia finisce con una mia deposizione ampia e circostanziata su quanto era avvenuto dinanzi al dottor Caselli e al dottor Caccia ed in presenza degli avvocati difensori di Curcio e di Franceschini, mi riferisco all’avvocato De Giovanni e all’avvocato Giannino Guiso - che ricordo molto bene -. Per iniziativa del dottor Caselli questa deposizione fu considerata a futura memoria, a me sembrò un po’ macabro, però i tempi erano quelli! Il dottor Caselli mi disse che la deposizione doveva essere fatta in questa forma e quindi alla presenza degli avvocati e con il contraddittorio, perché mi fece presente…

PRESIDENTE. Che oggi c’era e domani chissà!

GIROTTO. Esatto.

PRESIDENTE. Successivamente l’hanno più interrogata?

GIROTTO. No, non sono stato più interrogato. Dopo mi presentai - parliamo del 1978 - spontaneamente a testimoniare contro le Brigate rosse nel processo di Torino, quel processo in cui non si trovavano giurati, in cui nessuno…

PRESIDENTE. Lei si presentò spontaneamente o fu mandato a chiamare dalla magistratura?

GIROTTO. Mi presentai spontaneamente. In quel periodo ero all’estero perché lavoravo in un cantiere negli Emirati Arabi; ero stato licenziato in tronco. Al momento del processo ai capi storici delle Brigate rosse mi trovavo a Parigi; precedentemente avevo lavorato come elettricista presso la ditta "Costruzioni Maltauro" di Vicenza che stava costruendo un ospedale ad Abu Dabi, nel Golfo Persico. Ricordo che il settimanale "L’Espresso", sull’onda dello scalpore suscitato dal "sequestro Moro" pubblicò la notizia secondo la quale Curcio era stato arrestato per opera di Silvano Girotto che in quel momento – non so come facessero a saperlo – si trovava "tra le sabbie d’Arabia protetto da una ditta che lavora per la NATO". Questo vi fa capire che cosa sia spesso il giornalismo! Evidentemente dissero che si trattava di una ditta che lavorava per la NATO perché era di Vicenza e in questa città lavorano per la NATO anche le pizzerie! In realtà la "Costruzioni Maltauro" è un’enorme società di costruzioni; va bene, può darsi anche che lavorasse per la NATO, tuttavia questo modo di presentare la faccenda sottolineava ancora una volta che si era in presenza dell’ennesimo complotto quando invece io ero là e che lavoravo duramente.

PRESIDENTE. A quel punto che cosa accadde?

GIROTTO. Accadde che fui licenziato in tronco. Infatti, venni chiamato dal dottor Pesarini, responsabile del cantiere, che mi disse che ero il migliore elettricista del cantiere, poi mi mostrò un telex che veniva da Vicenza in cui il signor Maltauro diceva che dovevo sparire: "fai eclissare l’elettricista", queste erano le testuali parole. Evidentemente lui si vedeva già gambizzato rapito e massacrato dalle Brigate rosse.

PRESIDENTE. Lei come andò a testimoniare?

GIROTTO. Venni licenziato e mi dettero un biglietto aereo. Feci presente di non poter tornare in Italia in quel momento. Andai quindi a Parigi perché prima di lasciare Abu Dabi avevo preso contatti con le ditte che erano sul luogo - in particolare con una ditta francese con cui poi effettivamente lavorai - per riuscire a trovare altrove un posto di lavoro perché sarebbe stato molto difficile per me trovare un lavoro in Italia considerato che in quel momento tutti i giorni parlavano male di me sui giornali. E così mi ritrovo a Parigi. Mentre sono lì c’è l’epilogo tragico del sequestro Moro. Ricordo che mi trovavo alla Gare de Lyon e lessi il titolo a carattere cubitale di un giornale: "Ils ont osé", hanno osato, dal quale vengo a sapere che era stato ucciso il presidente Moro. Vengo anche a sapere che era in atto il processo a Torino perché alla Gare de Lyon ci sono anche dei giornali italiani. Telefono pertanto ai carabinieri…

PRESIDENTE. Non la vengono a cercare?

GIROTTO. No, anche se magari attraverso i servizi segreti forse sapevano dove mi trovavo. Comunque, telefono ai carabinieri (mi sembra che il numero di telefono fosse 51.53.53), al comando di via Cernaia di Torino presentandomi come Silvano Girotto e chiedendo se ci fosse per caso il capitano Pignero o qualcun altro. Dopo un po’ di trambusto, viene al telefono il capitano Pignero che si trovava lì, nell’ufficio di questo nucleo di Dalla Chiesa e al quale dico di trovarmi a Parigi e di aver saputo del processo. Pignero mi dice venire, per cui ho preso l’aereo e sono atterrato a Caselle dove c’erano i carabinieri che mi aspettavano. Ricordo che il dottor Caselli mi fece giungere un ringraziamento; non lo ho mai più visto, ma in quell’occasione i carabinieri mi dissero che Caselli mi salutava e mi ringraziava, perché non se lo aspettavano proprio.

PRESIDENTE. Nella testimonianza a futura memoria a Caselli o nella testimonianza che poi fece in dibattimento a Torino, lei parlò della vicenda della telefonata anonima ricevuta da Levati in cui si diceva che Curcio sarebbe stato catturato a Pinerolo il giorno successivo?

GIROTTO. Il dottor Caselli lo sapeva, ma è un aspetto che non so se sia nei verbali, se sia stato riportato. Infatti non l’ho mai visto scritto.

PRESIDENTE. Vorrei capire se c’è stata mai un’indagine giudiziaria approfondita su aspetti di possibile contiguità tra gli apparati di repressione da un lato, e le Brigate rosse dall’altro; questa zona grigia ambigua che mi sembra di individuare e che mi sembra essere l’aspetto non conosciuto e non indagato fino in fondo.

MANCA. Il signor Girotto deve rispondere alla mia prima domanda.

GIROTTO. Sì, infatti, vorrei terminare, manca ancora qualcosa…

PRESIDENTE. Ci ha già spiegato perché è stato presentato come rapinatore mentre si è trattato di ragazzate e così via, quali sono gli aspetti che mancano?

MANCA. Ho fatto tutto quel quadro per giungere alla domanda. Intanto mi scuso se ho usato parole… La domanda è quali sono le ragioni ideologiche per cui ha tradito i suoi valori.

PRESIDENTE. E cioè perché decide di infiltrarsi nelle Brigate rosse.

GIROTTO. Per quanto riguarda le ragioni ideologiche stavo per spiegare. Ho dovuto fare delle premesse per rendere il tutto più comprensibile. Nella mia esperienza latino-americana, militavo in un partito (sottolineo questa parola perché si trattava del partito che poi dette alla Bolivia un Presidente regolarmente eletto, Jaime Paz Zamora, con il quale fondammo quel partito, nonché un ministro degli esteri e così via) che era tutt’altra cosa rispetto ad un’organizzazione terroristica; anzi, noi combattevamo per conservare il diritto di fare politica, a noi infatti veniva inibito di parlare alla gente, la scelta delle armi era in questo senso. Non potevamo riunirci per parlare di come uscire dalla dittatura, come organizzarsi perché bisognava non perdere la speranza; per il solo fatto di riunirsi per parlare di questi problemi molto spesso arrivavano gli squadroni della morte che uccidevano, soltanto per il reato di parlare di politica. Pertanto, la nostra organizzazione, il nostro partito si arma in questa prospettiva, per conservare il diritto di parlare alla gente: la differenza fondamentale è che le armi non sono il metodo di insegnamento ma occorrono per difendere un diritto sacrosanto, quello di parlare per riconquistare la democrazia, tanto è vero che il nostro partito ebbe decine di martiri, molti di più che non tra i poliziotti o i membri degli squadroni della morte; infatti ci difendevamo come potevamo, questa era la nostra lotta armata. In questo contesto avevamo come nemici mortali i terroristi perché allora in Bolivia c’era l’ELN (esercito di liberazione nazionale), di radice guevarista, i sopravvissuti del fuoco del Che (che tra l’altro era morto poco prima che io mi recassi in quel paese), che seguivano la via terrorista, cioè l’uso delle armi come metodo di insegnamento: le masse imparano dai fucili, è il fucile lo strumento principale per insegnare alle masse la via della libertà e altre idee del genere. Quindi, usavano l’attentato e l’assalto armato come modi di fare politica (spero di essermi riuscito a spiegare). L’azione di questi terroristi sul territorio dava un pretesto stupendo alla dittatura per schiacciare tutti: noi eravamo continuamente confusi con los terroristas, quando questi mettevano una bomba o sparavano ad un poliziotto o ufficiale dell’esercito, la rappresaglia era su tutto ciò che si muoveva e non soltanto sui terroristi. Per noi erano un pericolo costante, erano antagonisti a noi. Io giungo in Italia con questa impostazione e non riesco a credere ai miei occhi quando mi rendo conto che sta nascendo qualcosa del genere in Italia.

PRESIDENTE. Dove il diritto di parlare non era contestato.

GIROTTO. Ne parlai allora con alcuni sopravvissuti tupamaros che erano a Lovanio: nessuno poteva credere che in Italia c’era qualcuno che voleva imbarcarsi nella lotta armata, secondo loro nel nostro paese si poteva parlare, scrivere, dire quello che si voleva. Questa dunque era la mia impostazione mentale, questo il mio motivo ideologico.

PRESIDENTE. Mi sembra che alla domanda abbia risposto sufficientemente. Invito il senatore Manca a porre l’altra domanda.

MANCA. Ha mai sentito parlare negli ambienti delle Brigate rosse di addestramento dei brigatisti in Cecoslovacchia?

GIROTTO. In modo diffuso no; però ricordo molto bene, perché sono cose che ti colpiscono, quando fu arrestato Alberto Franceschini, che non avevo mai visto e che capitò a Pinerolo per caso; quando il giorno dopo vedendo Pignero gli chiesi chi era quello con gli occhiali, alto che stava insieme a Curcio, mi rispose che era un certo Franceschini, uno dei capi arrivato il giorno prima da Praga.

MANCA. E’ l’unica volta che ha sentito parlare di Cecoslovacchia?

GIROTTO. Sì.

MANCA. In base alle sue impressioni e alla sua sensibilità nei riguardi del sequestro Moro cosa pensa di un eventuale ruolo del KGB e dei servizi segreti in generale sulla vicenda Moro?

GIROTTO. Non mi sento francamente all’altezza di rispondere ad una domanda di questo tipo.

MANCA. Lei aveva confidenza con il mondo dei carabinieri?

GIROTTO. Per un breve periodo ben definito.

MANCA. Ci può dire qualcosa dei nuclei speciali del generale Dalla Chiesa, del loro operato nella vicenda Moro e, in particolare, del modo con cui hanno gestito il memoriale Moro?

GIROTTO. Non sono in grado di farlo. Mi sta parlando di fatti cui ho assistito come chiunque di voi. Ho letto i giornali ma non ho elementi. Posso esprimere opinioni da uomo della strada.

MANCA. Nel 1974 quale era l’addestramento operativo militare delle Brigate rosse?

GIROTTO. Scarsissimo era non soltanto l’aspetto militare, minore, ma proprio l’impostazione, la gestione di un’organizzazione clandestina.

PRESIDENTE. A queste domande lei ha già risposto dicendo che la preparazione professionale quanto alla difesa dell’infiltrazione era scarsa; quanto alla preparazione militare Moretti disse: "L’odio di classe che abbiamo dentro arma le nostre pistole e le fa sparare da sole" ma Curcio disse: "Qualche volta, però, ci spariamo sui piedi". Quindi, il grado di preparazione militare delle Brigate rosse che ha conosciuto sembrava scarso, che d’altronde non ha mai visto in azione avendoli incontrati solo tre volte. Quindi, con questa esperienza non rimase sorpreso dall’efficacia militare dell’attacco di via Fani?

GIROTTO. Rimasi molto colpito. Non riconoscevo le Brigate rosse come le avevo viste io. Le mie ovviamente erano solo riflessioni che feci per via Fani e che non sono presenti nella parte scritta che le ho inviato. Si tratta di riflessioni che nascono nell’esperienza.

MANCA. Sinceramente, un’esperienza come la sua in un settore così specifico crea le basi per valutazioni, secondo me, anche attendibili.

GIROTTO. Ho seguito autentici corsi di istruzione sull’organizzazione della lotta clandestina, sulla sopravvivenza in quei contesti. In Cile vi era un modo di apprendere tecniche di lotta clandestina, dagli aspetti tecnici a quelli della guerra psicologica, della propaganda. Erano corsi gestiti da cubani e da russi. Quindi, potevo valutare tranquillamente; l’efficacia mostrata in via Fani mi lasciò abbastanza esterrefatto non solo perché non riconoscevo quelle Brigate rosse così come le avevo viste io ma non riuscivo neanche ad immaginare come in Italia, pur ammettendo che a quei tempi fossero dei principianti ma poi avessero appreso, si potessero trasformare così facilmente studenti universitari in persone capaci di un’azione commando di quel genere. A differenza dell’America Latina dove esistono più spazi, in Italia è difficile imparare a sparare perché si trova gente ovunque.

PRESIDENTE. Sempre secondo lei non le sembrerebbe sorprendente che dopo di lei i carabinieri non abbiano infiltrato qualcun altro nelle Brigate rosse? Lei è esperto di guerriglia ma anche di controguerriglia.

GIROTTO. Non lo so. Ho letto, come tutti, che ve ne erano altri ma sono cose che ho vissuto dall’esterno. Ritengo comunque che non fosse così facile anche se forse successivamente lo era diventato.

PARDINI. Nel periodo in cui ha agito da infiltrato nelle Brigate rosse aveva la sensazione che vi fossero altri come lei, che vi fosse da parte di altre strutture la possibilità di infiltrare persone all’epoca nelle Brigate rosse? Franceschini ci disse che nella prima fase le Brigate rosse ebbero un’offerta di collaborazione dai servizi segreti israeliani, dal Mossad, e che loro rifiutarono dicendo: "Allora eravamo ragazzi giovani, idealisti e credevamo di poter fare la rivoluzione con le nostre forze. Per di più, il Mossad, Israele apparteneva all’imperialismo, quindi, lo rifiutammo". Ha elementi per dire se a quell’epoca da servizi stranieri, in particolare il Mossad, venne questa offerta? E’ credibile il rifiuto, viste le condizioni di inefficacia e di inefficienza in cui lei dice erano allora le Brigate rosse? Ha conosciuto Francesco Marra?

GIROTTO. No, non ho conosciuto Francesco Marra. E’ possibile che abbia letto il suo nome nel corso di questi anni, ma non mi è rimasto impresso. L’immagine della mia azione di infiltrato è che ho bussato alla porta, i brigatisti mi hanno aperto e al posto mio sono entrati i carabinieri; nelle Brigate rosse non ci sono stato proprio, ma ci ho parlato. Nei tre colloqui - perché di questo si tratta - non ho avuto la sensazione di altri infiltrati. Tenderei forse ad escluderlo vedendo come pendevano dalle mie labbra e dalle mie iniziative i carabinieri. Tutto, dal primo all'ultimo passo, il modo, il quando, è stato deciso da me. Nessuno tra i carabinieri era in grado di consigliarmi di fare qualcosa e non potevano fare altro che dirmi di stare attento. Nel vedere quanto i carabinieri dipendessero totalmente da me posso presumere che non ci fossero altri infiltrati ma questa è una mia considerazione.

PRESIDENTE. Nello scritto che ha inviato alla Commissione si capisce che i carabinieri non sanno quasi niente delle Brigate rosse, per lo meno quando parlano con lei, e non hanno neanche l'idea di come infiltrarle. Gli viene chiesto che cosa si sarebbe potuto fare e poi lui rielabora il tutto.

PARDINI. Avrebbero poi rifiutato quest'offerta del Mossad? Erano in condizioni di rifiutare queste collaborazioni qualora fossero state effettivamente proposte?

GIROTTO. In questo caso interviene un aspetto strettamente tecnico che indurrebbe a pensare che da un punto di vista estremamente concreto non erano in grado di rifiutare e che avevano fortemente bisogno di qualcuno che insegnasse loro. Questo da un punto di vista strettamente tecnico. In ordine poi all'eventuale rifiuto delle profferte del Mossad, per il principio del mondo imperialista, penso sia possibile; perché no? Non ho prove ma questo è possibile perché loro non è che fingevano di avere una convinzione ideologica di quel tipo, ce l'avevano davvero ed è questo che ha reso ineluttabile la necessità di fermarli in quel modo; non c'era un ragionamento possibile.

PARDINI. Fu lei che contattò i carabinieri o furono i carabinieri a cercarla per mandarla dalle Brigate rosse?

PRESIDENTE. Il signor Girotto ha già risposto a questa domanda. Sono stati i carabinieri a cercarlo e lo hanno cercato anche a casa della madre.

GIROTTO. Posso riferirmi ancora alla vicenda del "Candido" che ho raccontato prima.

PARDINI. Che idea si è fatto del motivo per cui, in un momento cruciale - come da lei affermato - nel quale si potevano sgominare le Brigate rosse, lei viene "bruciato"? Ritiene verosimile che lei possa essere stato sacrificato perché era stato infiltrato qualcun altro più affidabile ed in grado di continuare il suo lavoro?

GIROTTO. E' una domanda a cui non so rispondere.

PARDINI. Quali spiegazioni le hanno fornito i carabinieri?

GIROTTO. La spiegazione formale è stata che a quel punto io rischiavo di commettere dei reati. Avevo preavvisato i carabinieri del fatto che ormai vedevo maturare la possibilità di essere arruolato. Dissi ai carabinieri che da un giorno all'altro mi avrebbero probabilmente chiesto di entrare in clandestinità e di far parte in pieno dell'organizzazione. A quel punto dovevo decidere. Pensai che mi avrebbero potuto mettere una pistola in mano perché quello era professionale. L'avrei presa; bisognava infatti avere atteggiamenti adeguati. Chiaramente non avrei mai fatto del male a nessuno e se avessero sparato io lo avrei fatto in un'altra direzione ma se mi avessero chiesto di entrare in clandestinità e di entrare a tutti gli effetti in servizio, che cosa avrei dovuto fare? A quella domanda il capitano prese tempo dicendo che avrebbe parlato col generale Dalla Chiesa che io, comunque, non ho mai visto. Mi fu poi detto che preferivano che io non continuassi quell'attività perché avrei finito con "l'inguaiarmi". Io risposi che era sufficiente sapere che io non ero un vero brigatista, anche perché sarebbe passato poco tempo e mi avrebbero poi chiesto di entrare in clandestinità. Sarebbero trascorse forse un paio di settimane.

PRESIDENTE. Se dobbiamo accogliere per vera la spiegazione fornita dai carabinieri, la ragione per cui il signor Girotto fu fatto allontanare risiedeva nel fatto che in un sistema ad azione penale obbligatoria come è il nostro la possibilità di avvalersi dell'agente provocatore è limitata, perché nel momento in cui ci si avvale di un tale agente e poi questo commette un reato non c'è possibilità di esimerlo, soprattutto se il reato è di un certo tipo, come l'uso delle armi.

PARDINI. Lei ha fatto capire tra le righe, a proposito dell'episodio del mancato avvertimento a Curcio e della trappola di Pinerolo, che da parte di chi ha saputo questa notizia c'era stato qualcosa di più di una superficialità nel non mettere in atto le azioni che potevano far nascere in Curcio il dubbio che fosse stata ordita una trappola. Pertanto, è verosimile che Moretti, che poi è sfuggito alla trappola, di fatto non abbia voluto impedirla. Visto il ruolo che Moretti ha avuto nel caso Moro e le modalità con cui ha gestito l'intero periodo dei 55 giorni del sequestro, lei ritiene che lo stesso Moretti che non aveva messo in atto quegli avvertimenti diretti a far scappare Curcio abbia potuto assumere da solo la direzione dell'organizzazione nel momento culmine delle attività delle Brigate rosse e gestire fondamentalmente da solo il rapimento Moro giungendo poi a quella potenza di fuoco, a quella capacità organizzativa di cui lei stesso ha affermato essere rimasto estremamente colpito? Come lega un personaggio che addirittura non riesce a far avvertire Curcio di ciò che stava accadendo alla capacità, intervenuta pochi anni dopo, di condurre l'attacco in via Fani e gestire il rapimento Moro per 55 giorni?

GIROTTO. Mi sembra improbabile che la stessa persona, da sola, abbia potuto fare questo, salvo che si tratti di un enfant prodige. Questa è stata una riflessione personale ma comunque ho un chiaro dubbio in merito. Certamente è estremamente complessa la gestione di un'azione di quel genere e di un'organizzazione in grado di sostenerla. Ci vuole una capacità manageriale di prim’ordine.

PARDINI. In un elenco diffuso in un comunicato redatto in realtà da Chicchiarelli, confidente del SISDE, comparve il suo nome insieme a quello di altre persone da eliminare. Che idea si è fatto di tale comunicato e di Chicchiarelli?

GIROTTO. A quando risale questo comunicato?

PRESIDENTE. Per quale motivo il signor Girotto dovrebbe sapere tutto questo?

GIROTTO. Io ho anche sentito annunciare la mia morte.

PARDINI. Vorrei sapere se il signor Girotto si è fatto un'idea del perché il suo nome compariva in un elenco del genere e per quale motivo Chicchiarelli, confidente del SISDE, affiliato alla banda della Magliana, emanò un falso comunicato in cui elencò una serie di nomi tra cui il suo.

GIROTTO. Io non so nemmeno chi è Chicchiarelli.

PRESIDENTE. Probabilmente Chicchiarelli è l'autore, il confezionatore materiale del falso comunicato del lago della Duchessa. Era un falsario d'arte moderna che, secondo una vulgata, era vicino alla banda della Magliana e secondo altre letture dell'intera vicenda era ormai più vicino ai carabinieri che spesso lo utilizzavano nel recupero delle opere d'arte rubate.

GIROTTO. Per inquadrare meglio la vicenda le posso raccontare un aneddoto.

PARDINI. Perché a tanti anni dalla sua uscita dalle Brigate rosse, dopo la vicenda Moro e sempre in connessione con tale vicenda, viene fuori il suo nome?

GIROTTO. Probabilmente tutti coloro che avevano qualche interesse … è credibile una minaccia nei miei confronti in quanto il mio nome è legato ad una sonora sconfitta inflitta alle Brigate rosse, ancora in nuce in quel momento. Le posso raccontare che in quel momento lavoravo in un cantiere a Skikda, con una società di Torino, come elettricista e per caso sentii alla radio l’annuncio della mia morte. Qualcuno aveva lanciato un falso comunicato delle Brigate rosse in cui si minacciava un signore di cui non ricordo il nome. Il comunicato terminava sostenendo di aver preso il sottoscritto per farlo fuori. Ero appena tornato a casa dal lavoro, stavo per cenare e ascoltavo la radio italiana. Mi ricordo che telefonai immediatamente a mia madre perché immaginavo il suo spavento e volevo rassicurarla. Di mitomani ce ne sono stati diversi. Il mio nome è stato fatto molte volte, in tutte le salse.

PRESIDENTE. Vorrei tornare per un attimo a Chicchiarelli scusandomi con il collega Pardini perché la sua domanda era pertinente. Lei conosceva questo Chicchiarelli?

GIROTTO. Il suo nome non mi dice niente.

PRESIDENTE. Chicchiarelli di mestiere faceva il falsario, falsificava i quadri. Non era né un uomo delle Brigate rosse, né sembra che fosse interessato a tali vicende. Il problema è che questo suo nome nell’agenda potrebbe dimostrare o un suo contatto con le BR, vale a dire il suo essere in un’area di fiancheggiamento delle Brigate rosse e quindi una sua lontananza dalla banda della Magliana, oppure che il suo nome lo avessero passato a lui i carabinieri, dal momento che essi certamente avevano il suo numero di telefono.

GIROTTO. In che anno si situa questa vicenda?

PRESIDENTE. Nel 1979-1980.

GIROTTO. Non vedevo i carabinieri ormai da anni. Già nel 1974 era tutto finito. Non abbiamo continuato a flirtare. E’ vero che i carabinieri sanno sempre dove trovarti però…

PARDINI. Lei però da Parigi chiama…

GIROTTO. Il numero ce lo avevo ma era un caso particolare. Il numero ce lo avevo in mente, si tratta di un numero che ricorderò finché vivo. 51 53 53, anche se sono vent’anni che con quelli io non parlo. Non è niente più di questo. Non saprei spiegare come questo Chicchiarelli avesse il mio nome, forse per dare maggiore credibilità.

MANTICA. Mi sento in imbarazzo per due ordini di motivi. In primo luogo perché faccio parte di quella forza politica che ha avuto due morti per un incidente di percorso e questa cosa mi ha molto agitato. In secondo luogo, perché la sua è una vicenda molto complicata e quindi è difficile cominciare a porle delle domande.

Lei ci dice che sul settimanale "Il Candido" appare una sua foto. In base a questa prima pagina del settimanale il capitano Pignero la viene a trovare. Inoltre, lei ci dice che Pisanò da Omegna sapeva qualcosa. Questo innanzi tutto vuol dire che Pisanò sapeva che lei era tornato già da qualche tempo e quindi che la seguiva attentamente. Il fatto che i carabinieri sappiano che lei esiste e che è tornato dal Sud America da questa ricostruzione sembra che lo sappiano da Pisanò. Il capitano Pignero poteva venire da lei quando voleva, secondo me, ma il fatto che venga con il giornale introduce un dubbio in quanto è come se Pisanò fosse in accordo con qualcuno, magari del Ministero dell’interno, affari riservati, servizi segreti o carabinieri. Sembra che si usi questo giornale come scusa per consentire al capitano Pignero di venirla a trovare. Non riesco a trovare un’altra ragione per cui un capitano dei nuclei di Dalla Chiesa debba usare un settimanale venduto in edicola per avvicinare una persona che si vuole infiltrare nelle Brigate rosse. Mi sembra una vicenda strana. Poi, ad un certo punto, lei parla con Pignero, decide di collaborare, perché odia los terroristas, e si mette in contatto con Levati. Io personalmente non saprei come trovare questo dottor Enrico Levati. In che modo lei riesce a mettersi in contatto con lui? Questo vuol dire che in quest’acqua in cui navigavano i pesci delle Brigate rosse ci nuotava in qualche modo pure lei. Il dottor Enrico Levati sta a Novara, lei è di Omegna o di Ivrea per cui vorrei capire come è entrato in contatto con questa persona, tra l’altro, la persona giusta perché è il primo elemento di contatto. Non credo che glielo dica il capitano Pignero che il dottor Levati è dell’ambiente intorno alle Brigate rosse. Lei come arriva a Levati? Come vive il fatto di vedere la sua foto su un giornale? Tra l’altro, ero convinto che già si parlasse di lei come di "Frate mitra" invece lei mi ricorda che in quella foto lei era in abito talare mentre diceva messa. Mi sembra un passaggio importante, come lei può immaginare. I carabinieri la avvicinano, Pisanò sembrerebbe coinvolto in questo avvicinamento, secondo la sua ricostruzione, e poi lei contatta Levati. Può essere più preciso?

GIROTTO. Certamente. Il contatto con Levati avviene in questo modo. Come ho già detto, avevo lavorato ad Omegna in molti circoli giovanili e quindi ero conosciuto. Il fatto che si sapesse che ero rientrato era cosa nota a tutti. E’ una notizia comparsa anche sui giornali. Sono stato anche intervistato dalla "Gazzetta del Popolo" da un giornalista che mi ha scovato a casa e che ha scritto su di me un articolo con relativa foto. Non era un fatto segreto che io fossi rientrato.

MANTICA. Quindi, la notizia del suo rientro non viene data solo dal giornale "Il Candido".

GIROTTO. Del mio rientro in Italia sicuramente no. La differenza è che secondo "Il Candido" io posso salvare Sossi. Ero conosciuto ad Omegna e molti sapevano che ero lì. Conoscevo molti giovani e i primi nuclei brigatisti sono nati nella zona intorno a Borgomanero. Ho iniziato a sentire che aria tirava sull’argomento Brigate rosse proprio grazie a questi giovani di Omegna e dintorni, giovani che conoscevo da sempre. Tra l’altro, alcuni di questi ragazzi mi avevano aiutato mandandomi dei fondi in Bolivia per costruire una scuola, una strada. Era un rapporto che esisteva da sempre. Io cominciai a chiedere notizie sulle Brigate rosse, di che cosa si trattava e loro stessi mi rivelarono che c’era qualcuno che ne sapeva qualcosa, un medico, agganciandomi quindi a Levati. Io non sapevo neanche chi fosse questo Levati prima ed è attraverso questi ragazzi che finisco per conoscerlo, tanto è vero che quando avviene l’arresto di alcuni di questi ragazzi, che ne escono comunque puliti, era perché i carabinieri, su mia richiesta, seguivano ogni passo e quindi hanno seguito anche questi miei primi passi. Sono anche andato a Milano presso la sede di "Lotta Continua" a parlare con un certo Paolo Hutter che era stato rifugiato con me nell’ambasciata di Santiago, per sentire che aria tirava, per fare quattro chiacchiere. Secondo me da quelle parti di lotta armata proprio non se ne parlava. Questo voglio dirlo soltanto per far capire che non sono andato direttamente da Levati. Il capitano non poteva venire con l’intenzione di infiltrarmi perché avrebbe dovuto presumere che io potessi essere un tipo disponibile. Egli invece si stupì enormemente del fatto che io abitassi in una casa in cui il mio nome era scritto sulla porta. Penso che l’immagine che i carabinieri avevano di me fosse completamente diversa, vale a dire di un tipo che sicuramente doveva essere immischiato in faccende terroristiche. Qualcosa della mia storia conoscevano. Non escludo che conoscessero anche cose avvenute in Cile, in Bolivia, perché i carabinieri con gli americani si parleranno anche. Quindi, l’immagine che potevano avere di me i carabinieri era tutt’altra, non certo di uno che poteva collaborare. Tant’è vero che ricordo lo stupore di questo capitano che vede il nome sulla porta.

MANTICA. Diciamo che il capitano viene a trovarla per sapere se è vero che c’è…

GIROTTO. No, viene per sapere che cosa ne penso. I carabinieri ti potevano trovare quando volevano: può darsi, ma non è mica tanto vero. I carabinieri telefonano a mio fratello Sergio, ufficiale dell’aeronautica, che viveva a casa di mia madre (io non vivevo da mia madre), questo capitano parla con mio fratello e gli dice: "lei è un ufficiale, sono un ufficiale anche io, dovrebbe aiutarmi a trovare suo fratello". Mio fratello Sergio mi chiama mi dice che c’è un carabiniere che mi cerca e io gli dico di farlo venire. Tutto qui.

MANTICA. Lei incontra l’avvocato Lazagna che, nella storia o nella cronaca di questa vicende, ha un ruolo, collegato ai GAP, a Feltrinelli, eccetera. È vero che Lazagna le chiede se conosce un certo Pineiro del servizio cubano?

GIROTTO. Non ricordo.

MANTICA. Perché in una nota del SID del dicembre 1974 (e non è un dato segreto, è una nota allegata agli atti del processo GAP – Feltrinelli – Brigate rosse) si parla anche di lei e si dice che l’avvocato Lazagna Giovan Battista le chiede, probabilmente per indagare se è vera la storia che lei racconta del Sud America, eccetera, se ha avuto modo di conoscere questo Pineiro, che corrisponderebbe al nome Pedro Luis Pineiro Eirin, che era il direttore del direttorato generale informazioni cubano, cioè uno dei capi dei servizi segreti cubani, che si legherebbe peraltro con quello che lei ci ha raccontato dell’addestramento avuto. Lei non si ricorda se Lazagna le chiede qualcosa per avere conferma?

GIROTTO. Non lo ricordo. Mi avrebbe stupito che Lazagna parlasse di Pineiro.

MANTICA. È vero che Lazagna le confida che il partito armato ha parecchi amici anche fra i magistrati e le parla di Ciro De Vincenzo, che era allora il giudice istruttore di Milano che seguiva le indagini sulle Brigate rosse?

GIROTTO. Non Lazagna. Il nome di quel magistrato viene fuori da Levati, il quale dice: è un compagno. Solo questo apprezzamento, tutto lì.

MANTICA. Comunque il nome viene fatto.

GIROTTO. Sì, viene fatto da Levati, che poi era stato scarcerato, perché Levati era stato implicato nel primo sorgere delle Brigate rosse a Borgomanero e c’era stata una retata, un certo Pisetta, cose di questo genere. Io ero in Sud America a quel tempo, l’ho saputo dopo di questa ricostruzione. Era stato anche arrestato ed era stato poi messo fuori da questo magistrato e l’apprezzamento che ne faceva Levati era appunto che era un compagno, tutto qua.

PRESIDENTE. Ma Lazagna le dice che secondo informazioni degli affari riservati lei già risultava come un possibile capo delle BR?

GIROTTO. Non ricordo.

PRESIDENTE. Però lei dice questo a Caselli quando la interroga.

GIROTTO. Può darsi anche questo, ma in questo momento io non ricordo una cosa del genere: non mi chieda di ricordare dopo 30 anni ogni dettaglio.

PRESIDENTE. Io ho notato qualche discrasia tra il racconto che lei fa del suo incontro con Lazagna per come lo riporta Caselli, e come invece stava in quel libro di prossima edizione.

GIROTTO. Dovrei vedere qual è la discrasia.

PARDINI. Lei dice che subisce un esame per poter entrare nelle Brigate rosse.

PRESIDENTE. Lazagna, da quello che lei riferisce a Caselli, sembrerebbe averle detto che questa valutazione dell’ufficio affari riservati era nota a lui ed era quello che aveva spinto Pisanò a scrivere l’articolo sul "Candido". Poi verificheremo se è vero o non è vero che ha detto così a Caselli. Lei non ricorda?

GIROTTO. No, non ricordo.

PRESIDENTE. Quindi lei conferma la versione che ha dato oggi?

GIROTTO. Sì, nella misura in cui comunque si concilia con quell’altra, nel senso che l’altra era immediata, di allora, quindi può darsi che ci siano anche cose di questo genere. Ma, intendiamoci, stiamo parlando di ricordi di 25 anni fa.

MANTICA. Lei prima dell’arresto di Curcio e Franceschini concordò mai con i carabinieri di Dalla Chiesa qualche compenso di natura economica?

GIROTTO. No.

MANTICA. In questo appunto del SID, che è sempre allegato al processo GAP-Feltrinelli-Brigate rosse, datato 15 luglio 1974 c’è scritto che: La sera del 9 luglio 1974 la "fonte" in argomento – opportunamente indottrinata tramite l’ufficiale del nucleo speciale che la contatta – si è recata a Pavia all’appuntamento sollecitato a mezzo del noto biglietto-invito. Nel luogo convenuto ha trovato ad attenderlo una persona non conosciuta", che poi si scopre essere il Levati a Pavia. E aggiunge: "La fonte" in questione in questi giorni è tornata a prospettare gravi difficoltà economiche, in quanto anche a causa dei frequenti impegni conseguenti all’attività in argomento non è in grado di dedicarsi con la necessaria fermezza ad attività lavorative. Pur dimostrando riconoscenza per i cospicui aiuti finora riconosciuti – è recente il saldo da parte dell’Arma territoriale di tutte le spese di ricovero in clinica privata della consorte per una laboriosa maternità, ammontanti a circa 1 milione di lire – per continuare a dedicarsi a tempo pieno a quanto da noi richiesto pretende una remunerazione di almeno lire 300.000 mensili. A tale proposito il Comandante del Nucleo speciale, rappresentando l’assoluta impossibilità di provvedere in proprio a tale ulteriore onere, ha chiesto allo scrivente" – che è il SID – "l’intervento del nostro Ente per soddisfare la richiesta. Si rappresenta pertanto, la opportunità - avvalorata dal crescente impegno dimostrato dalla "fonte" e dagli apprezzabili risultati finora conseguiti dalla stessa - di aderire intervenendo almeno in parte, nella misura di lire 200.000 mensili, per un prevedibile periodo di almeno 6 mesi". Questo documento del SID è da ritenersi falso?

GIROTTO. Le giuro che era un po’ che mi aspettavo una cosa del genere; mi stupiva che non si parlasse di questo. Quello che posso dirle con molta pacatezza, visto che ne ho viste e sentite tante e tali sul mio conto, è che se ci si fosse presa la briga di vedere come andò dopo, si sarebbe capito come stavano le cose. Lo sa cosa facevo io subito dopo l’arresto dei brigatisti? Io vendevo lacche per capelli dai parrucchieri a Torino per vivere; la ditta si chiamava Veruscka Paplova. Poi feci l’operaio a 190.000 lire al mese. Se comunque c’è stato un giro di soldi, ne prendo atto, il fatto è che quei soldi non sono arrivati in tasca mia.

MANTICA. Mi pare, quindi, di aver capito che lei diventa quasi un professionista della guerra rivoluzionaria nei paesi latino-americani, dove lei ha una vita abbastanza complicata. Credo che lei si ricordi chi fosse Monica Hertl.

GIROTTO. Altro che! L’ho anche incontrata.

MANTICA. Era una guerrigliera tedesca, tra l’altro mi dicono che fosse molto bella, che viveva in Bolivia. Monica Hertl uccide ad Amburgo il console boliviano Coco Quintanilla, l’uomo che aveva fatto uccidere Che Guevara, con la colt di Feltrinelli.

GIROTTO. Aveva come trofeo l’M1 del Che.

MANTICA. Da un libro scritto da Maurizio Chierici non è difficile capire che Monica Hertl è stata assassinata dagli squadroni della morte.

GIROTTO. Questo è vero, io ero a La Paz quando è successo.

MANTICA. Lei faceva parte del MIR che l’aveva condannato a morte perché parecchi militanti e dirigenti erano morti durante scontri a fuoco in case da cui era uscito da poco.

GIROTTO. Se lei sarà così cortese da dirmi come posso fare, le farò recapitare la biografia dell’attuale presidente Samora, in cui si parla di me come di un grande compagno, di uno che ha favorito la sua vita clandestina. Mi scusi, ma non prenda il libro di Chierici come un testo di riferimento.

MANTICA. Sto facendo delle considerazioni per arrivare alla domanda finale perché il suo personaggio è molto complicato e va inquadrato in quei tempi. Oggi è difficile capire il 1966 o il 1968.

GIROTTO. E’ vero.

MANTICA. Lei ritorna in Italia con un’esperienza dura acquisita in paesi in cui il senso della vita è molto più limitato rispetto al nostro. Ci sono gli squadroni della morte, chi fa politica si difende con le armi, ci sono terroristi. Lei ha una grande esperienza perché si rende conto che tutto questo sta in piedi se attorno vi è una zona grigia che in qualche modo difende e protegge le forze rivoluzionarie. Vorrei che lei ci spiegasse un’affermazione contenuta nell’intervista che ha rilasciato al "Sole delle Alpi", perché è di grande valenza politica. Vorrei capire se è una sua riflessione. Il 22 maggio 1999 rilascia un’intervista al giornalista Dimitri Buffa che le chiede: "Oggi lei si porta la nomea dell’infame, come mai?". Lei risponde: "Questa è la circostanza più inspiegabile. Mi hanno usato e gettato, non hanno apprezzato la mia onestà intellettuale nel fare un’azione che pochi avrebbero avuto il coraggio di fare. La verità è che fra le istituzioni, come nel Partito comunista dell’epoca, c’erano tanti amichetti di questi signori e si preferì farmi passare come un agente provocatore, pagato chi sa da chi, mentre erano alcuni di loro a non raccontarmela giusta. Lei sa che ho sempre vissuto con il mio nome e cognome". L’intervista poi prosegue. Vorrei capire se il passaggio che ho letto è un suo sfogo al giornalista o se invece la sua esperienza post Brigate rosse dal 1974 in poi le fa dire queste cose, avendo lei qualche prova. E’ una tesi, certamente non condivisa da tutti in questa Commissione, che ci fossero legami, non terroristici o d’armi, ma culturali, d’omertà per l’appartenenza alla stessa area ideologica, fra le Brigate rosse e, come ha detto lei, "le istituzioni come nel Partito comunista dell’epoca, dove c’erano tanti amichetti di questi signori". Lei prima ha citato il settimanale l’Espresso, che molte volte si trova nelle vicende legate alle Brigate rosse, come uno di quelli che più accanitamente si è mosso contro di lei.

GIROTTO. Ho fatto quest’affermazione all’unico giornalista che ha riportato veramente quello che ho detto io. Quell’aria favorevole non era soltanto nel Partito comunista. Quanti hanno vissuto quei tempi, ricordano che quest’aria di condiscendenza, che in alcuni casi arrivava al corteggiamento, e di enorme indulgenza che circondava le Brigate rosse, non solo agli inizi, ma anche posteriormente, non era soltanto del Partito comunista. Nell’area della Sinistra c’era una condiscendenza generalizzata che veniva assorbita da una stampa asservita che, come sempre, prima di scrivere guarda che aria tira. Gianpaolo Pansa, al riguardo, ha scritto che sul blasone di certi giornalisti dovrebbe esserci scritto "tengo famiglia". Dappertutto si respirava quel clima. Va detto però che contro di me ci si accanì. D’altronde, anche le parole che sono state usate stasera, non con cattiveria, ma perché parevano le più adatte, sono state molto pesanti, ed anche nelle interrogazioni di vari parlamentari, che avevano, come voi, solo il desiderio di conoscere la verità, sono stati usati termini come tradimento, infiltrato, traditore. Vi ricordate di Guido Rossa? Ha fatto arrestare ed incarcerare un brigatista. E’ stato ucciso ed è stato giustamente celebrato come un eroe. Nessuno l’ha chiamato traditore o spione. Perché? La differenza sta nel fatto che io non ho mai avuto sponsors politici, non avevo tessere in tasca, ero massacrabile a piacimento senza possibilità di difendermi. Ancora adesso c’è condiscendenza quando si parla delle Brigate rosse e quando si citano "quelle" Brigate rosse, c’è ancora una sorta di rispetto, un certo riconoscimento che erano una specie di Robin Hood. Questo l’ho sempre rifiutato.

PRESIDENTE. Capisco la sua spiegazione che era già chiara nell’articolo che il collega Mantica ha citato. Da quel documento, sembra che a questa sua diffamazione contribuiscano anche i carabinieri. Come giustifica questa convergenza? Capisco quella sinistra per cui i brigatisti rossi erano dei Robin Hood, mentre lei era il cattivo sceriffo che aveva fatto catturare Robin Hood e tutto quello che segue. Ma perché l’apparato di intelligence militare fa questo?

GIROTTO. Voi mi chiedete perché l’apparato di intelligence militare compie un passo ma nel nostro paese nessuno riesce a dare questa risposta.

MANTICA. In lei, ma anche in tutti noi, c’è lo stupore sull’attività militare delle Brigate rosse. Lei ci dice che nel 1974 si sparavano nei piedi, qualcuno ha raccontato che non ha mai sparato con le armi. Tenendo conto che con il Sud America avevano rapporti anche alcune formazioni terroristiche italiane (Feltrinelli, un certo dottore che fu anche mio vicino di casa che con l’amante si recava in Venezuela portando con sé 300 milioni). Ebbene, lei che ha vissuto questa situazione sentì parlare di rapporti tra i tupamaros o il movimento della Izquierda rivoluzionaria e aree antagoniste di sinistra italiane?

GIROTTO. No.

DOLAZZA. Signor Girotto, vorrei sottoporle alcune osservazioni rispetto alle quali vorrei mi rispondesse semplicemente in maniera affermativa o negativa. Rispetto alla sua attività in Sud America lei ha specificato che quella che svolgeva era una azione armata finalizzata alla preservazione e alla difesa di una certa ideologia ed ha aggiunto che si trovava in contrapposizione con una rivolta armata atta all’azione di forza, all’attacco, all’attentato o all’uccisione a sangue freddo di determinati rappresentanti politici. Lei ha altresì dichiarato di essersi rifugiato in ambasciata e di essere ritornato in Italia a Torino piuttosto che a Milano…

GIROTTO. A Roma.

DOLAZZA. A questo punto si inseriscono i carabinieri che andarono a chiedere a suo fratello dove lei si trovasse quando invece sarebbe bastato effettuare un censimento presso il Comune per trovare il suo indirizzo e il contratto del gas o della luce; al riguardo, quindi, si osserva una certa inefficienza operativa oppure una mancanza di esperienza, in questo ambito. Riguardo alla situazione in Sud America lei ha prospettato che facesse maggiormente comodo al regime dittatoriale avere una forma rivoluzionaria violenta e d’attacco rispetto all’azione portata avanti da quelli come voi che invece avevate scelto una forma rivoluzionaria politica - cioè di acquisizione di una coscienza politica - proprio per giustificare poi l’azione di forza repressiva. Nell’esame di tutta la situazione e per ciò che attiene alla sua esperienza è possibile che la stessa filosofia fosse in atto nello Stato italiano? Mi riferisco cioè alla possibilità che una azione di brigatisti violenti giustificasse una repressione di Stato. Ebbene, a qualcuno poteva far comodo questo gioco stante la situazione che vi era in Italia?

GIROTTO. Questa considerazione è stato uno dei motivi che mi hanno spinto ad assumere un atteggiamento di inimicizia militante nei confronti di questa organizzazione. Che questa eventualità fosse possibile è certo, che poi sia stato davvero così non posso dirlo, non lo so. Il meccanismo era quello ed è sempre stato quello, e non solo in Sud America. Ripeto, fanno comodo certe cose.

PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Dolazza visto che ci ha condotto al nucleo di due risposte che mi aspettavo e che invece lei, signor Girotto non mi ha dato. A suo avviso non potrebbe dipendere da questo aspetto il fatto che innanzitutto i risultati della sua infiltrazione…

DOLAZZA. Scusi, signor Presidente, lei mi sta "gambizzando" rispetto ad alcune questioni che vorrei esaminare con calma. Seconda domanda: nella prima occasione di contatto con i brigatisti lei ha incontrato l’avvocato e il dottore; nella seconda ha visto Curcio, ma accompagnato da chi? Quando incontrò Moretti?

GIROTTO. Incontrai Moretti nella seconda occasione. Ricordo che al primo incontro erano presenti Curcio e uno che guidava la macchina ma che restò in auto senza dire una parola; al secondo incontro era presente Moretti.

DOLAZZA. Effettuerò un ragionamento sul quale vorrei il suo parere. Ritengo che il livello di comprensione e che l’apprendimento di una persona sia proporzionale allo stimolo a cui viene sottoposta; lei seguì dei corsi in Sud America con addestratori specializzati che le insegnarono l’ABC del terrorismo e della guerriglia o, per lo meno, di quelle arti atte a preservare e conservare la sua vita che nella situazione in cui si trovò poi ad operare era veramente in gioco. Ebbene, ritengo che la sua velocità di apprendimento sia stata davvero eccezionale e che lei abbia imparato; in base quindi all’esperienza acquisita ritengo che lei riesca a distinguere le persone ed il loro futuro, ci sono infatti delle caratteristiche che anche solo parlando si riesce a comprendere negli individui e magari si riesce a capire se un soggetto sarà o meno disposto a sparare. Ebbene, da questo punto di vista a suo avviso quali erano le differenze sostanziali tra Moretti e Curcio? Ripeto, per quanto riguarda il livello politico e di gestione e in merito all’aspetto operativo quali differenze vi erano tra i due?

GIROTTO. Curcio era un uomo più politico, con una carica umana diversa e con un carisma notevole. Era quindi un personaggio che, pur nella decisione fanatica di procedere per quella strada, rimaneva comunque più umano dell’altro.

DOLAZZA. Si trattava quindi di un leader intellettuale?

GIROTTO. Sì, più marcatamente intellettuale. Moretti era invece un fanatico che pensava soprattutto all’aspetto militare; di analisi politica ne faceva poca ed inoltre parlava per slogan dichiarando che era ora di finirla e che era il momento di iniziare la guerra generalizzata e di elevare il livello dello scontro di classe; quindi utilizzava una fraseologia di questo tipo.

DOLAZZA. Lei ha specificato che fin dai suoi primi passi è stato seguito e che quindi esistono i filmati e le foto e che dopo il primo incontro sono state effettuate le intercettazioni. In realtà, tuttavia, non risulta agli atti la quantità di foto a cui lei fa riferimento che secondo le sue parole dovrebbero essere dei pacchi. Mi sembra, tra l’altro, che qualche foto l’abbia vista.

GIROTTO. L’ho vista pubblicata sul settimanale "l’Espresso" nel 1991 o forse nel 1992.

DOLAZZA. Non comprendo per quale motivo esistono le fotografie di Curcio che lo ritraggono mentre parla con lei e non si trovino invece le foto del suo incontro con Moretti. La situazione, il luogo di incontro erano diversi? Moretti forse non è uscito in strada con lei?

GIROTTO. Il luogo dell’appuntamento era lo stesso, di diverso ci fu soltanto che nella prima occasione ci incontrammo in un prato e nella seconda anche se sempre a Pinerolo e davanti alla stazione – il luogo di incontro è stato sempre quello – in una trattoria.

DOLAZZA. Lei non si è chiesto perché le foto che la ritraggono nell’incontro con Moretti non siano mai comparse?

GIROTTO. Non sapevo neanche che non ci fossero e mi stupisce.

PRESIDENTE. Abbiamo acquisito le foto e non ce ne è nessuna che la ritragga con Moretti, il che sembrerebbe smentire una storia raccontataci da Franceschini.

GIROTTO. Non so dire perché, forse le hanno perse…

DOLAZZA. Dubito che l’Arma dei carabinieri abbia perso qualche cosa.

PRESIDENTE. A riguardo il signor Girotto forse ha da dirci qualche cosa di importante. Sembra, infatti, che quando incontrò Mario Moretti non le venne detto quale fosse il suo nome. Chi le dice quindi che si trattava di Mario Moretti?

GIROTTO. Lo venni a sapere dopo, non ricordo neanche più in che modo. Successivamente credo che me lo abbiano detto i carabinieri.

PRESIDENTE. Glielo disse Pignero?

GIROTTO. Sì.

PRESIDENTE. Quindi la personalità di Moretti era nota?

GIROTTO. Sì, i carabinieri mi dissero di stare attento perché Moretti era ancora in circolazione.

DOLAZZA. Se oggi si vuole addestrare del personale al cosiddetto "tiro mobile", "tiro veloce" esistono dei poligoni specializzati a Brescia. In quel periodo gli unici poligoni specializzati per il tiro mobile erano riservati solamente ai servizi speciali e all’Arma dei carabinieri. Ammesso e non concesso che tutte le persone che hanno partecipato all’operazione del sequestro Moro abbiano svolto un addestramento all’estero per l’uso dell’arma da fuoco e considerato l’utilizzo che è stato fatto delle armi in quella occasione in cui è stato colpito un uomo della scorta mentre saltava fuori dalla macchina, operazione per cui occorre certamente una persona che abbia una certa velocità di tiro, lei pensa che tra quando li ha incontrati e quando è avvenuto il fatto ci siano stati tempi tecnici per mandare una o più persone in un centro di addestramento e farle uscire con un addestramento del genere? Le chiedo questo alla luce della sua esperienza di guerriglia.

GIROTTO. Non è soltanto questione di mandare una persona in un centro di addestramento e insegnargli come si spara.

DOLAZZA. Non mi soffermo sul fatto che sparare ad un uomo è sicuramente difficile (si dice che è più difficile sparare al primo e poi agli altri è più facile). Impiegare gente in un intervento di fuoco come è stato fatto richiede, a suo avviso, una preparazione tecnica?

GIROTTO. Sicuramente una preparazione tecnica notevole, ma non è soltanto un fatto di poligono di tiro, ma anche di dominio dei nervi, di tempistica, di saper rispettare le fasi e i ruoli, direi che la questione poligono è quella meno rilevante.

DOLAZZA. Sto parlando di poligono su bersagli, ci sono appositi poligoni con bersagli mobili nei quali si possono ricreare determinate situazioni.

GIROTTO. Ma non si tratta solo di questo perché sparare ad un bersaglio non è la stessa cosa che sparare in via Fani.

DOLAZZA. Rispetto alle persone che ha conosciuto, dotate di fanatismo, ideologia e così via, lei ritiene plausibile che quelle stesse persone in un arco così breve di tempo possano aver raggiunto un addestramento del genere?

GIROTTO. Come mi pare di aver già affermato, è uno dei motivi di perplessità. Non riconoscevo nell’azione di via Fani quelle Brigate rosse e non posso rendermi conto di come abbiano potuto fare un salto di qualità così grande.

DOLAZZA. Le chiedo una risposta affermativa o negativa ad una mia ipotesi, che è una mia elucubrazione mentale. Ammesso e non concesso che, se fosse rimasto un Curcio a dirigere le Brigate rosse, determinate azioni non si sarebbero potute fare e non si sarebbero potute provocare determinate reazioni, il fatto che ci fosse Moretti, e Curcio fosse "ingabbiato", cioè messo in prigione, poteva consentire a forze che facevano parte dello Stato di creare quanto ho prima detto, cioè una forza di fuoco per giustificare determinate repressioni ed azioni? Se fosse rimasto Curcio a dirigere le Brigate rosse, l’azione da parte delle forze dello Stato sarebbe stata più difficile o sarebbe stata uguale?

GIROTTO. Se posso immaginare cosa sarebbero state le Brigate rosse con Curcio anziché con Moretti, probabilmente forse avrebbero ucciso di meno ma sostanzialmente la virulenza sarebbe aumentata comunque, perché non è che Curcio fosse il pacifista della situazione.

DOLAZZA. Forse la linea ideologica sarebbe stata diversa.

PRESIDENTE. Nella logica del senatore Dolazza nel porre le domande, che mi sembra di capire, mi sono fatto portare il fascicolo. Al rapporto di polizia giudiziaria che segue la cattura di Curcio e Franceschini sono allegate soltanto fotografie dell’incontro di quel giorno: ci sono Curcio, Franceschini e Girotto. Inoltre, dall’interrogatorio di Franceschini si comprende che carabinieri che lo hanno preso non sapevano chi fosse e avevano dubbi se stavano facendo bene o male; decisero che comunque stavano facendo bene perché era con Curcio e aveva documenti falsi. Ma, a quel rapporto giudiziario, non vengono allegate fotografie ne' del primo incontro tra Girotto e Curcio ne' del secondo, tra Girotto, Curcio e Moretti, benché da quanto ci ha detto la personalità di Moretti fosse nota ai carabinieri.

DOLAZZA. Esatto. Quello che mi lascia perplesso di tutta questa operazione è che, secondo il mio punto di vista, è stato fatto un gioco su di lei e sui suoi precedenti e, sempre a mio avviso, sapevano perfettamente che lei, se lasciato libero, non sarebbe mai stato parte delle Brigate rosse. Forse sbaglio, ma lei può essere stato usato prima di tutto per fare un avvicendamento ai vertici delle Brigate rosse e, in secondo luogo, per accreditare, forse, la persona che il 7 sera ha telefonato, come persona degna di fiducia. Questo anche alla luce del disinteresse dei carabinieri su di lei, della dichiarazione che le hanno fatto fare a futura memoria: ciò vuol dire che le sue probabilità di sopravvivenza erano sotto zero (a parte il fatto che lo ritengo estremamente scorretto pensando a quello che fanno adesso con i pentiti ai quali danno 2 miliardi e mezzo per comprarsi un agriturismo). Vorrei capire se ha mai avuto l’impressione di essere stato usato per vicende che andavano a sconfiggere le Brigate rosse, ma in realtà forse era solo un settore di queste che interessava.

GIROTTO. Più che arrivare a definire così chiaramente, di tutta questa faccenda mi è rimasto un dubbio di fondo e la rabbia di non aver capito bene cosa era successo e come mai. Quella sensazione che non mi avessero detto tutto e che qualcosa si fosse giocato sulla mia testa è rimasta tale, ma non ho elementi per precisarla e affermare che lo hanno fatto perché volevano togliere di mezzo una parte a favore di un'altra.

DOLAZZA. Mi limito a cercare di capire per quale motivo. E’ come per molte cose che avvengono in Italia: da un lato, certe volte si trova un’egregia efficienza, una precisione operativa che sciocca, dall’altro, ci sono delle negligenze e dei vuoti che non si comprendono.

PRESIDENTE. Nella scorsa legislatura la valutazione a cui giungevo nella mia proposta di relazione, che riprendeva i contributi del professor Galli, era che nei confronti delle Brigate rosse la repressione seguì la logica dello stop and go. In qualche modo bisognava tenerli a freno ma non andare fino in fondo ed eliminarli.

DOLAZZA. Un’ultima questione vorrei sottoporla. Lei mi conferma che non ha mai percepito retribuzioni per l’attività svolta al servizio dello Stato?

GIROTTO. Nessun tipo di retribuzione. Faccio a tutt’oggi l’elettricista, ho i calli sulle mani perché è così che sono vissuto a partire da allora. Nell’immediatezza della cattura, sono dovuto andare a vendere lacche ai parrucchieri, poi ho trovato lavoro presso un falegname, poi, attraverso un’inserzione su un giornale in cui si cercavano elettricisti per l’Algeria, sono andato in quel paese, anche perché si guadagnava il doppio e dunque sono andato ben volentieri. Non mi sono mai nascosto, ho sempre portato con fierezza il mio nome.

DOLAZZA. Le hanno mai fatto ascoltare le registrazioni degli incontri nei quali aveva il microfono addosso?

GIROTTO. No.

DOLAZZA. Dunque dei materiali investigativi non ha mai visto niente?

GIROTTO. Neanche le fotografie. Le ho viste sull’Espresso nel 1991-92. C’era un articolo. Un articolo che tra l’altro non avevo trovato io era apparso sull’"Espresso" con la mia foto nel 1992. Comunque non ho mai visto niente di simile.

PRESIDENTE. L’idea che si sia fatto lo stop and go, cioè l’idea che le Brigate rosse non siano state combattute fino in fondo ma solo fino ad un certo punto, è stata definita dal Ministro dell’interno dell’epoca una "mascalzonata politica".

BIELLI. Una cosa diversa e nuova rispetto alle informazioni di cui disponevamo era il problema di Moretti del quale, nella sua intervista al "Sole delle Alpi", riferendo del suo incontro il 31 agosto 1974, dice che accompagnava Curcio. Ci dice però una cosa in più: è stato Pignero ad identificare Moretti; ciò significa che Moretti era conosciuto nella propria attività; era quindi uno di quei militanti delle BR forse più facilmente non solo identificabile ma anche arrestabile rispetto ad altri. Conferma che fu Pignero a dirle che quello era Moretti e che quindi era a conoscenza del personaggio in questione?

GIROTTO. Poiché il mio unico interlocutore era quello, non posso averlo saputo da altri e ciò è successo qualche tempo dopo poiché mi è stato detto di stare attento perché quello era un certo Moretti.

BIELLI. Nel processo di Torino contro i componenti del nucleo storico delle Brigate rosse l’unico a non essere imputato è Moretti considerato anche da lei il più fanatico ma aggiungo - in relazione a quanto detto poc’anzi - anche quello più conosciuto. Come si spiega anche di fronte agli eventi successivi ciò, considerato che era il più conosciuto e quello che risulta estraneo a processi in cui poteva benissimo essere coinvolto?

GIROTTO. Può essere motivo di stupore per me come lo è per molti. Non chiedetemi spiegazioni su questi misteri perché francamente mi annoiano terribilmente come a qualsiasi persona normale.

BIELLI. Lei capirà bene che la nostra è una Commissione di misteri nel senso che il nostro scopo è proprio quello di dirimerli.

GIROTTO. Se li conoscessi li direi molto volentieri.

PRESIDENTE. Le deduzioni le faremo noi. Lei riconosce in questa fotografia il dottor Levati? Agli atti di questa Commissione abbiamo le fotografie dei suoi incontri con Levati, con Curcio e Franceschini ma non con Curcio e Moretti. Lei ritiene che anche l’incontro tra lei, Curcio e Moretti sia stato fotografato?

GIROTTO. Non ho mai visto neanche da dove fotografassero; dove fossero nascosti. Però tutto era seguito passo per passo e presumo che dovesse esserlo.

BIELLI. Nel presentare la sua attività – mi permetta ma a me non piace il termine traditore; non lo uso mai neanche in politica; quindi non lo utilizzerò rivolgendomi a lei – dà idea di un personaggio che, tra le caratteristiche, ne ha una significativa: è fra coloro che sono stati vicini alle Brigate rosse; è un uomo che per quanto riguardava la tecnica della guerriglia e l’uso delle armi sicuramente era preparato mentre lei dice che gli altri brigatisti lamentavano più di una manchevolezza per le considerazioni da lei fatte. Se non sbaglio – a tale proposito ho qualche perplessità per come in così poco tempo lei abbia potuto avvicinare tanti brigatisti di primo piano – sembra ad un certo momento che le stava per essere affidato un incarico ancor più importante; quello in relazione alla poca capacità di guerriglia, dell’uso delle armi; lei cioè avrebbe dovuto essere colui che faceva l’addestramento di questi brigatisti. Ciò significa che è possibile che costoro si recassero anche all’estero ma non imparavano molto e che quindi potevano apprendere meglio in Italia; nel momento in cui doveva esserle affidata questa responsabilità, nel momento in cui lei sarebbe entrato in contatto con tutti i brigatisti accadono fatti a causa dei quali si interrompe tale ipotesi. Come spiega che rispetto al fatto che lei come infiltrato nelle BR poteva davvero avere l’occasione per riuscire a colpire tutto il nucleo delle Brigate rosse a quel punto si procede ad arresti che fanno sì che non si vada ad individuare tutti gli appartenenti alle Brigate rosse e dopo viene fatta opera di demolizione nei suoi confronti?

GIROTTO. E’ stata una scelta che non capivo ed alla quale comunque mi sono adeguato. Bisognerebbe chiederlo a chi l’ha presa.

PRESIDENTE. Nel pre-print che mi ha inviato è scritto che questa decisione non è condivisa da lei e che cerca anche di contrastarla.

GIROTTO. Certamente, ho voluto che mi fosse confermata.

BIELLI. Tra i brigatisti quali erano i più favorevoli a questo tipo di guerriglia e quali erano i carabinieri che, a suo parere, osteggiavano di più questo tipo di scelta?

GIROTTO. Personalmente parlavo con un carabiniere; vi era un brigadiere ma fungeva da corollario. La mia impressione - non dichiarata perché si trattava di discutere delle decisioni superiori - è che anche a lui non piacesse come soluzione.

PRESIDENTE. Obbediva ad un ordine?

GIROTTO. Sì. Avendo vissuto passo dopo passo tutta la vicenda alla fine quest’uomo ed io ci capivamo; ho proprio avuto l’impressione che volessero questo.

BIELLI. Alla luce delle considerazioni svolte ritiene verosimile l’ipotesi secondo la quale ad un certo momento lei che è stato l’infiltrato si poteva sacrificare mentre qualcun altro, il cui ruolo è invece rimasto sino ad oggi ignoto, dovesse essere coperto ad ogni costo?

GIROTTO. Intende l’avermi fatto correre quel rischio?

BIELLI. Ed averlo bruciato.

GIROTTO. E’ una spiegazione plausibile però non ho elementi per provarlo. E’ certo che qualcosa c'è stato.

BIELLI. Avrà capito che io seguo una logica data dal buon senso. L'ultima domanda che intendo porle fa riferimento più che altro ad una curiosità relativa alla sua presenza a La Paz. Lei sa che in quel periodo questa città era molto frequentata; infatti, a quei tempi c'era anche il capo di Avanguardia nazionale, Stefano Delle Chiaie. Lei, ovviamente, non solo non l'ha incontrato - in base a quanto ha detto ciò dovrebbe risultare impossibile - ma non sapeva neppure che in qualche modo foste entrambi presenti in questa parte del mondo.

GIROTTO. Tenga presente che io mi sono recato in America Latina come missionario e lì ho vissuto le esperienze che ho raccontato. Il mondo di Delle Chiaie era molto lontano da me e se qualcuno a quell'epoca mi avesse pronunciato il nome di Avanguardia nazionale sicuramente non avrei saputo nemmeno di cosa si trattasse.

PRESIDENTE. Io non credo che il signor Girotto e Delle Chiaie fossero contemporaneamente presenti a La Paz. Lei quando è stato presente a La Paz?

GIROTTO. Dall'ottobre 1970 al 1971.

PRESIDENTE. Delle Chiaie era lì dopo il 1974.

BIELLI. Ma c'era andato già prima.

PRESIDENTE. Allora ha ragione l'onorevole Bielli.

BIELLI. In ordine ad alcuni atti compiuti in America Latina lei ha affermato che "gli americani lo sapevano" e anch'io avrei usato la sua stessa terminologia perché sono convinto che gli americani sapevano molte cose e probabilmente sapevano anche che in America Latina c'era Delle Chiaie.

PRESIDENTE. Delle Chiaie presentò alla Commissione una strana versione della vicenda; spiegò che lui era a La Paz e lavorava come cuoco ma ogni due o tre giorni andava a parlare con il presidente della Repubblica. Questo ci lasciò esterrefatti.

GIROTTO. A quei tempi in America Latina c'erano anche Altman e Klaus Barbie e sapevamo benissimo chi fossero, tant'è vero che successivamente il mio partito, con Jaime Paz Zamora, ha consegnato Barbie alla giustizia francese.

TARADASH. Torno rapidamente al breve periodo in cui lei ha avuto contatti con le Brigate rosse. La vicenda è molto italiana perché ha inizio da un articolo del "Candido" di Pisanò che titolava "Ecco l'uomo che può salvare Sossi". I carabinieri leggevano il "Candido" e le Brigate rosse evidentemente no; pertanto, lei si mise effettivamente nelle condizioni di svolgere il ruolo che ha avuto. Chi era Levati? Che ruolo svolgeva nella città di Ivrea? Come era collocato politicamente e che tipo di rapporti sociali aveva? Svolgeva attività pubblica?

GIROTTO. Il dottor Levati mi fu presentato da quei ragazzi che conoscevo i quali mi dissero che si trattava di un bravo dottore che curava la gente gratis, ed era vero. Il dottor Levati era già stato implicato nelle primissime fasi di vita delle Brigate rosse a Borgomanero. Era un medico ed aveva avuto dei guai con la giustizia per la sua partecipazione a questo tipo di attività. Non so se nel momento in cui io l'ho contattato Levati era a piede libero o in attesa di processo; ad ogni modo era fuori ed esercitava la professione di medico nella zona di Omegna. Di più di lui non so. L'ho conosciuto, l'ho contattato e non ci siamo scambiati molte effusioni.

TARADASH. Lei quindi ha manifestato a Levati la sua volontà di entrare in contatto con le Brigate rosse e il medico le ha presentato l'avvocato Lazagna. Il giorno successivo all'arresto di Curcio e di Franceschini Levati le chiese se era stato lei a provocarlo?

GIROTTO. Sì.

TARADASH. Lei quindi rispose: "Sì, sono stato io".

GIROTTO. Sì.

TARADASH. Questo mi sembra molto singolare perché Levati è l'uomo in contatto con le Brigate rosse, le chiede se era stato lei a provocare l'arresto, lei risponde affermativamente. Io mi sarei aspettato un colpo di pistola in testa.

GIROTTO. Il dottor Levati era incapace di far del male ad una mosca.

TARADASH. Ma non da lui, bensì dai suoi amici.

GIROTTO. Non c'erano.

TARADASH. Non c'erano in quel momento. Lei confessa a Levati una verità che ritengo chiunque di noi, se avesse compiuto un atto del genere, avrebbe tenuto il più possibile riservata. Io non riesco ad immedesimarmi nella situazione ma se la persona che mi fornisce il contatto con le Brigate rosse mi chiede se sono stato io a far arrestare i leaders delle BR francamente, per quanto onesto possa essere…

PRESIDENTE. Al signor Girotto viene detto: "I compagni sanno che sei stato tu".

MANTICA. Non poteva negare?

GIROTTO. Io non ho negato. Perché avrei dovuto? Non ho negato anche perché ormai era finita; la vicenda ormai non continuava più. Io non ho agito soltanto in base a criteri di fredda determinazione o semplicemente politici; in me, nelle mie scelte, hanno giocato anche motivi morali volti a salvare delle persone e a impedire loro di mettersi nei guai.

TARADASH. Quando lei ha risposto affermativamente alla domanda, cosa ha detto Levati?

GIROTTO. Era terrorizzato. Gli dissi che ero stato io e gli consigliai di girare alla larga da quella gente. Ci siamo lasciati in quel modo. Gli dissi: "Stai alla larga da quelle persone perché sei un bravo ragazzo".

TARADASH. Dopo aver dato quella risposta a Levati che cosa ha fatto? Qual è stata la sua vita nelle ore e nei giorni successivi?

GIROTTO. Sono tornato a casa e sono stato qualche giorno tranquillo. Nei giorni successivi poi si è sviluppata l'intera vicenda della deposizione; ovviamente gli episodi non si sono succeduti con estrema rapidità. Sono stato fermo qualche giorno.

PRESIDENTE. Quindi, anche dopo la deposizione non l'hanno protetta?

GIROTTO. Assolutamente no, ma sono stato io a rifiutare la protezione.

TARADASH. Quando si è saputo che era stato lei a far arrestare Curcio e Franceschini?

GIROTTO. C'è stata la telefonata misteriosa e poi il giorno dopo, o due giorni dopo le Brigate rosse hanno emesso un comunicato in quel senso; su tutti i giornali è comparsa una denuncia nei miei confronti che mi presentava come agente internazionale dell'antiguerriglia. A questo io risposi con un'altra lettera dicendo: "Siete dei principianti. Vi state vantando di avere colpito lo Stato al cuore ma al cuore siete stati colpiti voi".

TARADASH. Intanto lei conduceva la sua vita normale, a casa sua, con la targhetta con scritto il suo nome esposta.

GIROTTO. Vuole sapere se avevo paura? Altroché se l'avevo.

TARADASH. Non voglio sapere questo.

GIROTTO. Avevo paura in ogni passo che facevo; sono anche andato in una casa di mio fratello nella Val di Lanzo.

TARADASH. Chi ha ricevuto la telefonata che preannunciava l'arresto di Curcio?

GIROTTO. L'ha ricevuta Levati, la sera prima dell'arresto.

TARADASH. E Levati non ha fatto in tempo ad avvertire Curcio perché magari c'era la partita in televisione.

GIROTTO. Levati ha telefonato a qualcuno ma non so a chi. Quando Levati mi ha raccontato della telefonata io gli ho chiesto che cosa aveva fatto dopo e lui mi disse che aveva avvisato i compagni. Levati ha avvisato qualcuno ma non so chi.

PRESIDENTE. Successivamente a quest'ultimo suo incontro con Levati, Levati è stato poi catturato e processato come persona vicina alle Brigate rosse oppure da quel momento in poi anche lui ha preso le distanze da quel mondo e ha vissuto una vita tranquilla?

GIROTTO. Non so che cosa abbia fatto. Ritengo che lo abbiano disturbato. Quello che so è che non l’ho più rivisto nei processi. Non ho continuato a seguirne le vicende.

PRESIDENTE. E’ stato processato nel 1978.

GIROTTO. Non ho più avuto occasione d’incontrarlo. So soltanto che ora è uno stimato professionista.

PRESIDENTE. Anche l’ultimo incontro che lui ha con Levati viene fotografato dai carabinieri. Abbiamo tutta la documentazione fotografica di questo incontro finale e lui stesso racconta a Caselli della telefonata che Levati aveva ricevuto e del fatto che Levati avesse cercato di salvare Curcio; quanto meno era, in maniera inequivoca, colpevole di favoreggiamento.

TARADASH. Lei sa se Levati era stato iscritto al Partito comunista oppure se era un sindacalista della CGIL?

GIROTTO. Si può dire che era di sinistra, ma che fosse organicamente inserito in qualche struttura, non saprei dirlo. So che veniva definito un "compagno".

TARADASH. Probabilmente è difficile tornare ai fatti dell’epoca. Evidentemente nel 1974 le Brigate rosse erano molto diverse da quelle che abbiamo conosciuto dopo. Lei ci racconta come si sono svolte queste vicende anche se, naturalmente, a leggerle con gli occhi di chi delle Brigate rosse ha visto l’aspetto sanguinario e molto feroce, resta difficile comprendere come tutto si possa essere svolto in un modo così domestico, tranquillo. Lei si infiltra, li fa arrestare e poi torna a casa senza che nessuno le dia fastidio. Lei non ha avuto alcun fastidio dai gruppi di sinistra rivoluzionari?

GIROTTO. Fastidi verbali certamente sì.

TARADASH. Intendevo riferirmi a fastidi di carattere personale. Nessuno è mai venuto a casa sua?

GIROTTO. Sono stato massacrato moralmente, ma altrimenti no. E le dico di più! Tutto ciò rientrava in una mia scelta calcolata. Anche in questo caso ho fatto ricorso al mio istinto, alla mia conoscenza di cosa avrebbero potuto fare. Sa cosa ho fatto? Ho cancellato il mio nome dalla guida telefonica. Questo è stato l’atto più da "agente 007" che ho fatto ed è bastato perché le Brigate rosse non mi trovassero.

PRESIDENTE. Teniamo presente che nella storia delle prime e delle seconde Brigate rosse le rappresaglie punitive sono state abbastanza rare. Il fratello di Peci, e in qualche modo Guido Rossa che però è anche un possibile bersaglio naturale. Anche nei confronti del pentitismo che successivamente le stronca l’unica rappresaglia delle Brigate rosse resta l’uccisione del fratello di Peci. Non penso che ce ne siano altre. L’omicidio per vendetta non ha fatto parte di quella cultura.

GIROTTO. Signor Presidente, sono convinto che se mi avessero trovato mi avrebbero ucciso. Comunque, la mia scelta è stata quella di fare una vita assolutamente normale, di stare tra la gente normale e lavorare. In quel tipo di ambiente le Brigate rosse non c’erano. Stavo tra la gente normale. Bastava evitare i circoli più spumeggianti della sinistra e non avere il nome sulla guida telefonica. A dimostrazione di questo posso farvi vedere il mio libretto di lavoro. Lavoravo nella cintura di Torino come Silvano Girotto. I miei compagni operai mi hanno eletto delegato sindacale. Le racconto questo aneddoto. Un giorno, nell’ambito di una vertenza sindacale in fabbrica viene, a nome del sindacato esterno, un funzionario. Nel corso dell’assemblea – eravamo tutti tute blu – come delegato sindacale prendo una posizione e quel funzionario, mi pare si chiamasse Cerutti, mi disse: "te ti conosciamo" e io risposi: "e io conosco voi". La cosa si è fermata lì perché le Brigate rosse non avevano accesso tra le persone che lavoravano veramente. Nessun operaio è stato assorbito perché le Brigate rosse non permeavano l’ambiente. Non c’era un’osmosi tra loro e la gente normale. La mia difesa è stata quella di condurre una vita assolutamente normale.

TARADASH. Lei ha mantenuto rapporti internazionali, successivamente al suo ritorno in Italia, con i movimenti di guerriglia o di liberazione ai quali aveva partecipato?

GIROTTO. Ho sempre conservato una buona amicizia con i miei compagni in Bolivia. Sono stato con loro l’anno scorso durante le ferie. Il Mir boliviano mi considera ancora un militante ed è un partito di governo. Questo non ha nulla a che vedere con guerriglie, guerriglieri, barbudos. Non c’entra niente. Questo è un partito politico.

TARADASH. Quindi, rapporti organici o contatti operativi non li ha più avuti?

GIROTTO. Assolutamente no. Avevo il mio da fare per tirare avanti la famiglia. Dovevo lavorare. Sono andato per cantieri in tutto il mondo. Quella non era la mia professione e grazie a Dio è durata poco, poi basta.

FRAGALA’. Signor Girotto, credo che all’inizio della sua audizione, mentre ero ancora assente, lei ha parlato di istruttori russi e cubani. Lei ha conosciuto istruttori del KGB che si sono occupati dell’addestramento alla guerriglia di militanti internazionali?

GIROTTO. L’unico internazionalismo di cui ebbi conoscenza allora era relativo a brasiliani, uruguayani. Non mi pare ci fossero italiani.

PRESIDENTE. La domanda era un’altra. Avevate istruttori russi?

GIROTTO. Sì. Come ho raccontato in un’altra parte di quel libro, va detta una cosa. Questi non si presentavano come istruttori russi del KGB. Dicevano di chiamarsi Manuel e di venire dal Venezuela parlando con un accento incredibile, tanto che si ridacchiava. Uno dei nostri istruttori si faceva chiamare Manuel ma, tra di noi, lo chiamavamo Manuelski. Queste persone, tanto per capire l’ambiente in cui ci trovavamo, non dicevano di essere del KGB. Anche se questo era assolutamente evidente, si capiva dai tratti somatici, dall’accento. Comunque, non vennero mai fatti nomi o dichiarati i gradi.

MANTICA. Ufficialmente erano cubani.

GIROTTO. No. Questo era venezuelano, ad esempio. I cubani si occupavano piuttosto di questioni tecniche, e con questo termine mi riferisco a tecnologie, mentre i russi si occupavano di un secondo livello relativo alla guerra psicologica, gestione di notizie e controinformazione.

FRAGALA’. Lei in pratica seppe o ebbe la sensazione che i capi delle Brigate rosse in Italia volessero inserirla nel loro gruppo militare per via di questa sua esperienza e quindi perché sarebbe potuto diventare il loro addestratore all’uso delle armi?

GIROTTO. Per questo unico motivo.

FRAGALA’. Loro come seppero di questo suo curriculum.

GIROTTO. Io stesso gli dissi che avevo avuto un’esperienza forte. Certo, non gli dissi che avevo fatto i corsi con i cubani, non sono cose che si dicono queste. Ho detto di avere un’esperienza e di essere stato tra i tupamaros, che loro ammiravano moltissimo. Detto per inciso, la stella brigatista è la stessa dei tupamaros paro paro, copiata. Loro avevano un’ammirazione estrema di questa guerriglia, che tra l’altro a quell’epoca era già crollata miseramente, ma loro non lo sapevano, non se ne erano resi conto. Io glielo dissi, d’altronde c’erano notizie anteriori. Quando io mi ero rifugiato nell’ambasciata ferito, questo era comparso sui giornali qui in Italia, perché si seguiva l’avvenimento cileno e questo comparve. Non solo, ma anche nel colpo di Stato del generale Banzer sono stato ferito in combattimento ed anche questo si è saputo. Quindi c’era questa aria intorno a me.

PRESIDENTE. Da quello che ho capito, la sua esperienza era nota nell’ambiente in cui lei comincia a muoversi per contattare le BR.

GIROTTO. Sì, ma non solo in quello, anche certi giornalisti lo sapevano. Ad esempio, la mia conoscenza con Maurizio Chierici risale a quando ero ancora studente di teologia. Enzo Biagi mi conosceva, ho avuto un dibattito in televisione con Enzo Biagi, non ricordo neanche più per cosa, non c’entrava ancora il terrorismo, parlavamo dei film di Sergio Leone.

PRESIDENTE. Ho percepito che lei non ha una grande opinione di Maurizio Chierici, però Maurizio Chierici è un giornalista che sempre si è occupato di vicende del Sud America.

GIROTTO. Mi permetta di ricordare che ho notato che se ne è occupato a partire da quel momento, non prima. Chierici è venuto addirittura in Bolivia ad intervistarmi nella clandestinità, ma poi non ha fatto un uso troppo adeguato dell'intervista. Quel libro di Chierici del 1973 nasce da una registrazione che Chierici fa di racconti miei.

PRESIDENTE. Quindi nel 1974 la figura di "Fratello Mitra" era già una figura su cui si era scritto un libro.

GIROTTO. Questo epiteto di dubbio gusto lo debbo al signor Chierici, al titolo di quel libro. Sullo scheletro di dichiarazioni mie fatte in Bolivia, che lui venne a raccogliere là, rischiando anche un po’, perché eravamo sotto la dittatura, ha costruito poi questo romanzo che io certamente non condivido. Per carità, lo dico in modo indulgente, ma non prendiamolo come un testo da cui si possa partire per capire qualcosa: è un po’ un fumettone.

FRAGALA’. Dall’audizione che ho avuto la possibilità di ascoltare ho percepito due passaggi: uno in cui lei dice che vi è stato un atteggiamento ostile della stampa di sinistra dell’epoca nei suoi confronti, e uno in cui lei dice: avevo la sensazione che lo Stato proteggesse le BR, o comunque che le BR avessero tanta indulgenza, tanto collateralismo, tanta contiguità nel mondo della sinistra e si muovessero come pesci nell’acqua. Lei queste cose le ha avvertite col senno del poi, oppure le ha avvertite quando ha contattato Curcio, Franceschini e Moretti?

GIROTTO. Non credo di aver detto che lo Stato proteggeva le BR; non è un tipo di dichiarazione che potrei fare, perché non lo penso. Però vedevo quest’aria favorevole che ha sempre circondato i brigatisti e ho fatto questa esperienza fin da allora. Ho letto uno dei dispacci ANSA usciti in questi giorni in cui si parla di me e si dice che: "Girotto arriva in Italia con la fama di guerrigliero preparata da Giorgio Pisanò". Citano Pisanò come uno che prepara il clima perché possa avvenire la mia azione contro le Brigate rosse. Questo è porcheria e questo sono 25 anni che lo vedo. A questo mi riferisco quando dico che c’è sempre stata un’aria favorevole...

FRAGALA’. Lei mi sta dicendo che lei è stato sempre odiato e oltraggiato dalla stampa di sinistra e dall’intellighentia di sinistra perché ha fatto arrestare Curcio e Franceschini?

GIROTTO. Non sarei così drastico. Diciamo che il clima di allora era tale da meritarmi in quanto nemico delle Brigate rosse l’esacrazione, perché il clima generale era così, era favorevole: le sedicenti… compagni che sbagliano (questo non l’ho detto io, lo hanno detto anche i sindacalisti)…né con lo Stato, né con le BR. In quel clima è chiaro che io ero l’esecrando per eccellenza. Questo modo però di accostarsi alla mia persona è stato poi portato avanti, secondo me, quasi per inerzia, anche perché nuove generazioni di giornalisti che non hanno vissuto quei tempi hanno raccolto questa immagine e continuano a rilanciarla. Nessuno mi ha mai chiesto un incontro serio per parlare chiaramente di tutto e di come erano andate le cose per poi esprimere dei giudizi. Ognuno ha passato all’altro una fetta di questa immagine, ognuno infiorando qualcosa. Ripeto, nell’ANSA di questi giorni c’è traccia di questi atteggiamenti. Non solo, in un articolo recente di dieci giorni fa su "Il Tempo" di Roma un tale che non so chi sia ripete gli echi di quel modo di parlare di me, senza avermi mai visto. Probabilmente questo signore andava alle elementari all’epoca dei fatti. È a questo che mi riferisco, non è la sinistra, lo Stato…

PRESIDENTE. Ma questa sua figura negativa è stata costruita anche con accuratezza di particolari. Lei, ad esempio, ci ha spiegato le ragioni per cui va nella legione straniera, poi vede le torture e dopo tre mesi scappa. Il fatto che lei sia stato decorato nella legione straniera è vero o non è vero?

GIROTTO. Lei mi dà occasione di spiegare un’altra cosa. A tutti, cuochi, ciabattini, che andavano in Algeria in quel tempo veniva conferita la medaille O.M.O. (Operation Maintien de l’Ordre) d’ufficio.

PRESIDENTE. Quindi non era una decorazione di valore.

GIROTTO. Ma no, d’ufficio. Il valore ce l’ha messo il signor Chierici in quel libro. Sa, ormai quando si decide che uno è così, è così.

PRESIDENTE. Ma quando lei lascia la legione straniera, passa dall’altra parte al Movimento di liberazione algerino, o non è vero nemmeno questo?

GIROTTO. No, perché dovevo entrare nel Movimento di liberazione algerino? Nottetempo, attraverso la frontiera con il Marocco, fui aiutato a raggiungere il Consolato italiano a Tetuan, il quale mi fa imbarcare sulla nave Giulio Cesare, rispedendomi in Italia. Una volta in Italia, avviene quel fatto della tabaccheria.

PRESIDENTE. Se la tabaccheria viene dopo, perché lei si arruola nella legione straniera? Il guaio in cui si era trovato era l’espatrio clandestino.

GIROTTO. Ho fatto parte di una banda giovanile ma chiedere ad un uomo di 60 anni, dopo 43 anni, notizie sulle azioni scapestrate compiute quando ne aveva 17, davanti ad una Commissione di questo calibro mi sembra... non so se sia morale parlare di questo.

PRESIDENTE. Vorrei chiarire il senso della mia domanda. Ho l’impressione che la sua immagine negativa sia stata costruita.

GIROTTO. Qualsiasi cosa una persona abbia compiuto da giovane può essere assunta come parte di un mosaico negativo che si vuole costruire. Molti di noi potrebbero essere descritti in quel modo travisando opportunamente piccoli episodi, collegandoli fra loro in modo indebito. Non vorrei comunque fare del vittimismo.

MANTICA. A 17 anni non si può partire per la legione straniera perché occorrono 18 anni.

GIROTTO. Basta dichiararne 18, lo facevano tutti, e dare un nome falso. Io ero Garello Elio, matricola 115.353.

TARADASH. Com’è arrivato alla legione straniera?

GIROTTO. Attilio Foresta era il fratello maggiore di uno dei miei amici che di notte ci intratteneva in un cortile alla periferia di Torino, vicino alla FIAT. Era un gruppo di ragazzi, le strade non erano neanche ben illuminate, c’erano ancora tracce dei bombardamenti. Era stato in Indocina e ci affascinava con i racconti di quel paese, donne, avventure, ragazze, una cosa… ma mi fate parlare di queste cose?

TARADASH. Lei prima ha detto che era andato in Francia per l’episodio della tabaccheria e che in Francia, per sfuggire all’arresto, si era arruolato nella legione straniera.

GIROTTO. Lo nego assolutamente e la invito a rivedere il resoconto stenografico. E’ così che si scrivono gli articoli di giornale, non mi riferisco a lei, naturalmente.

DOLAZZA. In Francia Girotto era stato accusato di espatrio clandestino che all’epoca, non essendoci l’Europa, era un reato e per quel motivo era stato arrestato in Francia.

GIROTTO. Adesso i ragazzi di 17 anni non si fanno affascinare così facilmente.

PRESIDENTE. Lei ha detto delle cose molto importanti. Desideriamo capire il retroterra del suo vissuto e questo non è un desiderio assurdo, ma un nostro dovere.

FRAGALA’. Vorrei conoscere la sua opinione sulla lotta armata così come si faceva in Sud America e così com’è stata fatta in Italia, ad opera prima dei GAP e di Feltrinelli e poi da parte delle Brigate rosse, di Prima linea e di altri.

GIROTTO. Non so assolutamente nulla sui GAP e su Feltrinelli se non quello che ho letto sui giornali anche poche settimane fa. Non so nulla fino alla fine del 1973. Feltrinelli era già morto ed erano successe molte cose che non conoscevo. Lei vuole sapere che concetto mi sono fatto. A parte il rifiuto totale dal punto di vista politico e morale, in un contesto come quello, in una società altamente organizzata e quindi vulnerabile, il prendere piede di simili forme di lotta poteva essere molto grave. Fortunatamente, chi lo fece, non arrivò mai ad essere effettivo. Ma di quali imprese stiamo parlando, degli assassinii a sangue freddo di gente disarmata? Questa è stata la lotta armata in Italia. E’ stata sparare alle spalle di quel povero vecchietto del Presidente degli avvocati di Torino che portava a spasso il cane, e poi sentirsi chiamare sui giornali "i nostri eroi" (non così forte, ma il contesto era quello). E’ stata uccidere Walter Tobagi mentre porta la bambina a scuola. Sono queste le imprese gloriose della guerriglia italiana. In nessun atto è stata presa l’iniziativa di andarsi a scontrare con l’apparato armato di quello Stato che si voleva combattere. Finché non si combatteva quello, hai voglia ad ammazzare poveretti! Bisognava scontrarsi con i poliziotti e i carabinieri ma non l’hanno mai fatto, hanno risposto al fuoco solo quando gli sono capitati addosso e non avevano altra scelta. Quali sono le imprese gloriose? Esaminiamole una ad una: sono assassinii a sangue freddo, alle spalle, su gente disarmata. Li possiamo chiamare combattenti? C’è chi li difende e li considera dei Robin Hood. Il mio giudizio è questo.

FRAGALA’. Lo condivido. Fra il 1978 e il 1987, quando l’attività di assassinii a sangue freddo da parte delle Brigate rosse si fece molto più cruenta, fu mai contattato dai carabinieri o dal Nucleo speciale, guidato allora dal generale Dalla Chiesa, per avere aiuto e indicazioni?

PRESIDENTE. Non lo potevano far infiltrare per la seconda volta.

FRAGALA’. Questo no, però potevano chiedergli notizie. E’ stato contattato in seguito?

GIROTTO. No. Ebbi un unico contatto con i carabinieri all’inizio del mese di ottobre del 1974 quando mi presentai spontaneamente per testimoniare a Torino contro le Brigate rosse. I giornali non parlarono di questo perché mal si conciliava con l’immagine che di me si dava. Sono andato io, nessuno poteva obbligarmi, ho sentito il dovere morale e civico di andare là dove i giudici rifiutavano di assumere la difesa, dove gli avvocati si davano ammalati, per accusare. Ho esordito così, lo ricordo bene, ho detto di essere andato lì spinto da un imperativo morale nei confronti di una banda di criminali che ancora in quell’aula voleva imporre un clima di terrore. Il presidente del tribunale Barbaro, impaurito, mi disse di non chiamarli criminali perché ancora nessuno era stato condannato. Io dissi: "Criminali no, ma crimini sì. Se ci sono i crimini, ci sono anche i criminali". Girotto non poteva onestamente andare a testimoniare, del resto Girotto era stato nella Legione straniera!

FRAGALA’. Un'altra domanda. Ho osservato che nella sua intervista rilasciata a Dimitri Buffa lei fa riferimento e svolge delle considerazioni sul delitto del povero professor D’Antona.

GIROTTO. Sì.

PRESIDENTE. Un altro inerme.

FRAGALA’. Infatti bastano due o tre persone per fare un gruppo armato e per compiere delitti di questo genere, non ci vogliono grandi organizzazioni!

GIROTTO. Sì, certamente, lo dicevo sin da allora. Quando Mario Sossi fu liberato raccontò delle cose incredibili; ad esempio che erano migliaia, che esistevano schedari chilometrici e che sapevano tutto di tutti. Ritengo invece che per fare quello che hanno fatto a lui bastassero una, due o tre persone, cosa che poi è stata confermata. Inoltre, posso assicurare che per gestire una organizzazione clandestina, non di mille ma anche semplicemente di cento persone è necessaria una enorme capacità manageriale e non certo quella in loro possesso. Ripeto, quindi, – è comunque una mia opinione personale – che anche in questo caso si tratti di un piccolo gruppo di persone, anche se certamente pericoloso perché uccide. Nei volantini che sono stati trovati, inoltre mi è parso di ravvisare - anche se mi sono limitato a leggere quello che veniva riportato dai giornali - il tono dei comunicati di allora e non escluderei che vi sia il contributo di qualcuno dei cosiddetti irriducibili e questo non faccio difficoltà a crederlo. Quello che posso dire è che a mio avviso si tratti di una organizzazione ancora in uno stadio embrionale e che non si svilupperà mai più di tanto; certo potranno ancora uccidere - questo sì - ma non credo che potranno svilupparsi perché il clima attuale è veramente un altro.

PRESIDENTE. Secondo la sua analisi quello che manca è l’asprezza dello scontro sociale che in quegli anni c’era sia dall’una sia dall’altra parte.

GIROTTO. Non si riscontra neanche più quel clima favorevole e quella sinistra…

PRESIDENTE. Gli inermi li ammazzavano dall’una e dall’altra parte.

GIROTTO. Esatto, torno a ripetere, comunque che sono pericolosi perché potranno uccidere ancora e probabilmente lo faranno, in ogni caso possono essere battuti.

FRAGALA’. Signor Girotto nei contatti che ebbe allora capì quale fosse il sistema di finanziamento di questi brigatisti?

GIROTTO. In quei primi momenti mi sembrò di capire che i finanziamenti venissero dalle rapine. Faccio questa affermazione perché ricordo che Curcio nel corso del dialogo mi disse: "fare una rapina in banca non è una cosa poi così difficile, una rapina è una formuletta chimica, metti gli ingredienti e viene fuori il risultato". Si tratta di una immagine un po’ strampalata ed è per questo che è rimasta nel mio ricordo. Mi sembrò di capire quindi che si finanziassero attraverso delle rapine, forse avevano delle esigenze minime; quello che è certo è che le prime armi vennero da ex partigiani. Ricordo che questa informazione me la fornì Curcio, successivamente arrivarono i kalashnikov, ma quello fu tutto un altro discorso; dicono che Moretti sia andato in Marocco su uno yacht per rifornirsi delle armi.

PRESIDENTE. Questo è un aspetto che ci risulta.

Ringrazio il signor Girotto per la sua presenza e dichiaro conclusa l’audizione.

La seduta termina alle ore 22,45.

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