Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi
37ª SEDUTA
MERCOLEDI 8 LUGLIO 1998
Presidenza del Presidente PELLEGRINO
Indice degli interventi
La seduta ha inizio alle ore 19,35.
COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE
PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.
Mi permetto di segnalare all'attenzione dei colleghi, in particolare, il verbale di dibattimento e la sentenza del tribunale di Torino che hanno riguardato un processo in cui l'ambasciatore Sogno era parte civile. Vi inviterei a leggere, nello specifico, l'interrogatorio di Sogno e le valutazioni che la sentenza ne dà, perché personalmente da quella lettura sono stato confermato nell'idea che, rispetto almeno all'anno 1974, le certezze storiche fanno ampiamente aggio sulle incertezze e che determinate ricostruzioni non sono frutto di dietrologia ma sono la presa d'atto di una conoscenza diffusa ormai nel nostro paese su quel periodo. Anche perché molte delle cose che l'ambasciatore Sogno racconta su Pace e Libertà, sui finanziamenti della Fiat di Pace e Libertà, sui finanziamenti americani di Pace e Libertà, su tutte le iniziative che vengono assunte in previsione anche di un mutamento democratico del quadro politico italiano negli anni 1970-1974, sono dichiarazioni spontanee, assolutamente degne di fede per la fonte da cui provengono e per il loro contenuto.
Comunico ancora che il professor Stefano Silvestri ha provveduto a restituire, debitamente sottoscritto, ai sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, il resoconto stenografico della sua audizione svoltasi il 3 giugno 1998, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.
Comunico che l'Ufficio di Presidenza allargato, nella riunione di giovedì 2 luglio, ha adottato le seguenti decisioni in materia di programma dei lavori della Commissione: in primo luogo, riattivare i contatti con l'onorevole Craxi per la sua audizione (io mi sono subito uniformato all'Ufficio di Presidenza e ho scritto ancora una volta all'onorevole Craxi); in secondo luogo, l'Ufficio di Presidenza ha accolto una indicazione che è venuta, in particolare, per primo dal vice presidente Manca, cioè quella di concentrare la sua attività di indagine in questo periodo soprattutto sul caso Moro, e abbiamo deliberato, oltre quelle che ci sono state recentemente e che sono state quasi tutte audizioni che riguardavano il caso Moro, le seguenti audizioni: quella dell'avvocato De Gori, dell'onorevole Giovine, del notaio Frattasio, dell'onorevole Galloni, del dottor De Rosa, dell'onorevole Misasi, dell'onorevole Cazora, dell'onorevole Rognoni, di Franceschini e di Pace, di Giovanni Moro e di Carlo Alfredo Moro verificando previamente la disponibilità della Eleonora Moro a incontrare la Commissione, anche in una sede diversa da quella ufficiale. Questa sera avremmo dovuto avere le audizioni dell'avvocato De Gori e dell'onorevole Giovine, però l'onorevole Giovine ci ha fatto sapere che aveva un impegno l'audizione era stata fissata per le ore 21, quindi questa audizione è stata rinviata al 15 luglio.
Per il caso Ustica, l'Ufficio di Presidenza mi ha incaricato di sollecitare il coordinatore del Gruppo di lavoro, onorevole Grimaldi, ad imprimere un rinnovato impulso alle attività del Gruppo stesso, che dovrà presentare alla Commissione un programma di lavoro. Il Presidente ricorda che con la fine del corrente mese scadranno i termini per il deposito delle richieste da parte dei pubblici ministeri delegati per l'istruttoria penale.
Il consulente, dottor Salvatori, dovrà esaminare il materiale giacente presso il dottor Priore relativo allo scenario internazionale probabilmente esistente alla data del disastro aereo. Dico questo, penso che con la ripresa autunnale dei lavori noi dovremo soprattutto dedicare buona parte del nostro lavoro al caso Ustica, anche è giusto che una vicenda così importante non resti ai margini del lavoro della Commissione.
CORSINI. Signor Presidente, ho dato un'occhiata alla bozza - non è ancora un testo definitivo - del processo verbale dell'Ufficio di presidenza. Prendo atto positivamente del fatto che il Presidente, nel richiamare il programma di lavoro, ha elencato, in modo estremamente diligente e puntuale, i nomi dei personaggi che insieme ad altri colleghi avevamo sollecitato, e che ha aggiunto un passaggio che nella bozza non è presente, cioè che, oltre alla verifica della disponibilità della signora Moro, c'è da parte del Presidente una disponibilità anche all'audizione del dottor Giovanni Moro, cosa che avevo sollecitato e quindi non posso che essere d'accordo. Però, siccome nella bozza questo non sta scritto, concordo evidentemente con quanto adesso il Presidente ci ha comunicato, però preferirei che venisse riportato anche nella bozza.
PRESIDENTE. Sì, però è la bozza del verbale dell'Ufficio di Presidenza che approveremo, correggendolo, nel prossimo Ufficio di Presidenza. Il problema è che, se sentiamo la signora Moro, probabilmente quelle altre due audizioni diventano inutili o perlomeno lo valuteremo dopo l'audizione della signora Moro.
CORSINI. Ho degli elementi di fatto tali che mi dispongono a sollecitare anche l'audizione del dottor Giovanni Moro. Per quanto riguarda il dottor Carlo Alfredo Moro, ha pubblicato un libro e forse non ci direbbe di più di quel che ha già scritto, mentre per quanto riguarda Giovanni Moro, ho degli elementi per ritenere che la sua audizione sarebbe estremamente utile.
PRESIDENTE. Comunque, ne parleremo nell'Ufficio di Presidenza, io sono d'accordo con lei.
INCHIESTA SUGLI SVILUPPI DEL CASO MORO: AUDIZIONE DELLAVVOCATO GIUSEPPE DE GORI
PRESIDENTE. Do il benvenuto all'avvocato Giuseppe De Gori che ringrazio per la sua presenza.
L'avvocato De Gori naturalmente comprenderà le ragioni che hanno indotto a disporre la presente audizione. Si tratta di ragioni che nella loro scaturigine più recente trovano radice nelle dichiarazioni rese alla stampa dall'avvocato De Gori lo scorso 22 giugno. In una dichiarazione diffusa dall'agenzia ANSA, l'avvocato De Gori - che è un conoscitore di questi fenomeni, essendo stato difensore di parte civile della Democrazia cristiana nei processi riguardanti l'uccisione di Aldo Moro ha affermato che fino all'arresto di Mario Moretti, a seguito del quale la leadership fu assunta da Senzani, il livello superiore - mi riferisco ai maestri - era sempre interno alle Brigate rosse; il che lascerebbe presupporre che dopo il passaggio della leadership a Senzani siano verificabili o verificate delle ipotesi di eterodirezione delle B.R., ossia che esistesse un livello a loro esterno che le guidava.
Tuttavia, con riferimento all'intero arco temporale dell'esperienza delle Brigate rosse, l'avvocato De Gori ha inoltre dichiarato che il KGB e il Mossad avrebbero da sempre controllato le Brigate rosse, pur senza riuscire ad infiltrarvisi, ed ancora che il KGB avrebbe minacciato il PCI di uccidere dei suoi esponenti se Botteghe Oscure non avesse rotto con la Democrazia cristiana, nonché di pubblicare sia i nomi dei comunisti italiani addestrati alla guerriglia, sia l'ammontare dei finanziamenti che il PCUS avrebbe inviato al partito fratello. Sempre secondo l'avvocato De Gori, le prove di quanto da lui sostenuto sarebbero oggi reperibili presso l'archivio 21 dell'ex KGB a Mosca ed al riguardo ha indicato in particolare il rapporto numerico BKI 12, copia del quale sarebbe in possesso della CIA e di un personaggio italiano.
Come lei sa, avvocato De Gori, la portavoce dell'attuale servizio segreto russo, Tatiana Samolis, ha smentito queste sue affermazioni, dichiarando che si trattava di una vecchia storia priva di alcun riscontro oggettivo. La Commissione che ho l'onore di presiedere indaga ad ampio raggio, a 360 gradi su questi fenomeni e quindi non intende precludersi qualsiasi possibile scenario. Questa è una Commissione formata da 41 membri, tra deputati e senatori, quindi di ipotesi ricostruttive ne possiamo formulare almeno 82, due a testa. Per questa ragione, avvocato De Gori, la invito anche adesso - come ho fatto precedentemente in privato - ad attenersi ai fatti, eventualmente innestando su questi ultimi qualche sua valutazione; del resto lei è un avvocato di esperienza e quindi certamente saprà che il modello entro il quale ci muoviamo è quello dell'indagine giudiziaria. La prego quindi di non effettuare l'operazione inversa, evitando di metterci al corrente soltanto delle ipotesi ricostruttive, ribadisco, che di queste ne abbiamo già a sufficienza. Pertanto, prima di dare spazio ai quesiti che i colleghi vorranno porre, scandirei le mie personali domande, partendo dall'analisi delle sue dichiarazioni.
Quando lei, avvocato De Gori, descrive la situazione delle Brigate rosse fino all'arresto di Moretti e parla di un livello superiore interno ad esse intende riferirsi all'esistenza di intellettuali, di uomini di cultura che guidavano questa banda armata e sono poi rimasti occulti? Chi erano questi maestri delle Brigate rosse, interni ad esse, fino a quando alla loro guida vi era Moretti? I brigatisti noti? I capi storici delle BR che continuavano a interloquire dal carcere; oppure si trattava di intellettuali rappresentanti della società italiana che all'interno di questa banda armata svolgevano un certo ruolo e i cui nomi non sono allo stato noti?
DE GORI. Signor Presidente, accolgo il suo invito e cercherò quindi di essere conciso e preciso in ogni questione che tratterò. Se mi è consentito, vorrei fare solo una breve premessa. Sono stato e sono l'avvocato della ex Democrazia cristiana dal 1972 ad oggi, nominato con procura notarile. Tuttavia, a mio avviso è opportuno fare una distinzione tra il momento processuale, di cui sono completamente a conoscenza, e quello delle indagini che invece non ho svolto; infatti, le informazioni di cui sono in possesso provengono tutte da persone che sono venute a trovarmi per riferirmi o cose fantastiche o eccezionali. Ora, siccome non sono Sergio Flamigni che scrive libri per concorrere al "Premio Nobel dei cazzari", infatti a mio avviso non si possono fare certe affermazioni senza avere delle prove...
PRESIDENTE. Avvocato De Gori, la pregherei di non parlare in un determinato modo di persone che non si possono difendere perché non sono presenti.
DE GORI. Signor Presidente, lei mi ha rivolto una domanda ed adesso le risponderò con precisione. Si tratta dì fatti che risalgono al 1993. Desidero fare una premessa: tre giorni fa sono stato convocato con atto anomalo dalla Digos perché il giudice Ionta - che conosco da sempre - voleva sapere se fossi in possesso del documento cui faceva riferimento il comunicato ANSA; ora, dal momento che questa onorevole Commissione ha gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, credo di poter riferire quello che ho dichiarato in quella sede con tutte le spiegazioni del caso e cioè che non avevo tale documento. Sin dall'inizio di questa tragedia italiana, una delle mie fonti è stato l'avvocato delle Brigate rosse, purtroppo deceduto qualche anno fa, stroncato da un infarto, mi riferisco a Edoardo Di Giovanni, persona onestissima, morto in povertà e che con me intratteneva un colloquio serio e diretto principalmente a far cessare la "mattanza" di quegli anni. Il signor Moretti nel suo libro - che ho portato con me insieme ad altri libri che forse non avete avuto modo di leggere e che invece potrebbero risultare interessanti - intervistato dalla signora Mosca, dalla signora Rossana Rossanda - che conosco - accusa, infangandolo, Edoardo Di Giovanni di far parte delle Brigate rosse e di aver fornito le planimetrie in occasione dell'assalto al carcere di Casal Monferrato, ma questo non è assolutamente vero! Ora se questo fatto fosse stato reale, ma non lo è, mi domando - e forse se lo domanderà anche la Commissione - quale ragione vi fosse per infangare una persona morta accusandola di quella circostanza. In realtà Moretti era a conoscenza dell'amicizia che c'era tra me e l'avvocato Di Giovanni e al riguardo desidero fare riferimento ad un mio articolo pubblicato su " Il Popolo" nel 1984 - quindi in un periodo non sospetto - avallato sia dai miei clienti, sia dai miei amici di fede e di partito, in cui individuo tutto, tranne la prigione per i motivi di cui dirò.
Le altre mie fonti sono alcuni personaggi di cui è inutile fare il nome e le informazioni che rivestono interesse per questa Commissione, sono successive al 1989 e cioè quando, a duecento anni dalla Rivoluzione francese, ci fu il crollo del muro di Berlino con la conseguente diaspora degli appartenenti ai servizi segreti dei paesi dell'Est. Le mie fonti sono assolutamente questi personaggi che mi vengono a trovare. Vogliono soldi, certamente, perché c'è un antico proverbio russo che dice che l'unica spia credibile è la spia morta, e ha perfettamente ragione. Io li sentivo, certamente i documenti non me li davano, e riuscivo ad avere delle informazioni riscontrandole o su elementi processuali o su elementi logici di fatto che adesso farò presenti alla Commissione. Indubbiamente se non ci fossero stati elementi gravi, cioè i furti avvenuti nel mio studio, i pedinamenti e così via da parte dei Servizi - che non so quali sono ma che la Commissione può avere agli atti, basta vedere le denunzie fatte e quello che si è verificato - forse a quella verità ci saremmo arrivati. E voi ci arrivate prima. Io sono qui per darvi un aiuto, per dirvi i fatti, non per fare ipotesi. Cominciamo.
PRESIDENTE. Di Giovanni, allora, è l'unica fonte che lei ci sta rivelando, le ha mai detto se c'erano intellettuali italiani interni alle BR che sono rimasti sconosciuti?
DE GORI. Sì. Mi disse: "Le BR che sono passate attraverso le aule di giustizia sono 5.000. Queste 5.000 devono essere moltiplicate per dieci". Così siamo circa a 50.000. Parlando di Moretti, a cui poi indirizzai l'articolo che le ho dato...
PRESIDENTE. Dubito che le abbia fatto 45.000 nomi.
DE GORI. No, non mi ha fatto 45.000 nomi. Stavo dicendo un'altra cosa, ossia che mi disse che ci sarebbe voluto mezzo secolo per trovare elementi appartenenti alle Brigate rosse, trovandoli uno alla volta così come stanno facendo. Il punto è un altro: che Moretti non era assolutamente in condizione di gestire il sequestro Moro. "Quindi, secondo me", mi disse, "ha dei consiglieri interni alle Brigate rosse".
PRESIDENTE. Ma non noti, cioè che non fanno parte dei brigatisti accertati.
DE GORI. Non fanno parte dei brigatisti accertati perché una minima parte è stata accertata. E c'è un altro punto, a cui non ho mai creduto e che non è risultato nemmeno in sede processuale, cioè che ci fosse un grande vecchio o, meglio ancora, una grande vecchia.
PRESIDENTE. Questo l'ho capito perché lei parla di livello superiore interno alle BR. Ma le fece nomi?
DE GORI. Non mi ha fatto nomi. Mi disse soltanto che escludeva nella maniera più categorica che, in riferimento alla parola SIM (Stato imperialista delle multinazionali), che fu praticamente portata per la prima volta in Italia da Basso, Lelio Basso fosse il grande vecchio. "Questo", mi disse, "non è vero. Non esiste un grande vecchio". Mi disse anzi che questo grande vecchio - sarebbe opportuno parlare di grande vecchia - se l'era inventato qualche politico che l'aveva tirato fuori per primo.
PRESIDENTE. Quindi, non le ha parlato di nessun intellettuale fiorentino in particolare, che avesse casa a Firenze durante il sequestro Moro.
DE GORI. No, per la verità quello che risulta a me e non soltanto a me è che il comitato delle Brigate rosse era formato soltanto da sei persone. I nomi li conoscete. Fino al quindicesimo giorno del sequestro Moro sedeva a Firenze, in una villa alla periferia di Firenze. Una villa signorile, questo io ho saputo, non ho saputo altro. Dopo quindici giorni inopinatamente si trasferirono a Rapallo, in una villetta di Rapallo. Io glielo ho chiesto: ma è possibile che invece di avvicinarsi verso Roma .... ? Mi rispose che non era una questione di uomini che giravano perché tra l'esecutivo e l'operativo, che sono le Brigate rosse che sparano e ammazzano e fanno quello che devono fare, vi era praticamente Moretti che faceva da trait d'union. Questa fu la risposta che lui mi diede. Si meravigliava, come mi meravigliavo io, dell'omicidio di Nando Conti che non è uno sparare nel mucchio, anche perchè Nando Conti faceva parte del Partito repubblicano, che era l'unico partito politico filoisraeliano, mentre lei mi insegna, Presidente, che sia la Democrazia Cristiana sia l'ex Partito comunista sia molti altri partiti erano tutti filoarabi. Su questo non c'è dubbio, risulta, è un fatto vero. Quindi ci siamo domandati come mai ciò si era potuto verificare. Oltre tutto apparteneva al Partito repubblicano Spadolini, che fu il primo Presidente del Consiglio non democristiano dal 1981 in poi, se non sbaglio, il famoso Presidente delle "cinque emergenze" (che poi erano sei, l'emergenza più grossa era lui, secondo una mia critica). Non si spiega come vadano ad uccidere un uomo suo, lui che era filoisraeliano, l'unico non ebreo che partecipò al Congresso Mondiale ebraico. Siamo rimasti. E allora l'onorevole Commissione dovrebbe indagare...
CORSINI. Spadolini era dunque il grande vecchio?
DE GORI. No, per carità. Bisognerebbe indagare per vedere che cosa c'è per ogni vittima.
PRESIDENTE. Noi la ringraziamo dei suggerimenti, semmai ce li farà nella seconda parte dell'audizione. Quello che possiamo dare per acquisito adesso è che lei ha saputo genericamente che il numero dei brigatisti era enormemente superiore a quello che si era accertato.
DE GORI. Dieci volte superiore.
PRESIDENTE. Però non le è stato dato nessun nome di rilievo che possa far individuare questo livello superiore di intelligenze rispetto al quale Moretti faceva da tramite con la parte operativa delle Brigate rosse.
DE GORI. L'espressione che usò Edoardo Di Giovanni, e che poi usarono anche altri (vado avanti, poi quando mi chiederà le farò i nomi perché se dobbiamo farli li facciamo), fu "stato maggiore ideologico". Parlò di stato maggiore. E infatti in quell'articolo io do del colonnello...perché non ho mai visto un generale che combatte in prima fila.
PRESIDENTE. Garibaldi.
DE GORI. Lo chiamavo colonnello perchè era operativo. Questo è il primo punto. Indubbiamente nelle Brigate rosse abbiamo tre periodi. Questo l'ho specificato.
PRESIDENTE. Io le ho fatto una domanda, andiamo per ordine. Riteniamo esaurita la prima domanda. Oltre a Di Giovanni, come fonte di queste informazioni generiche, ci può indicare altre persone, soprattutto viventi?
DE GORI. Per me è ripugnante dover alcune volte parlare di un morto perché probabilmente le testimonianze false sono quelle che si attribuiscono ad un morto. Edoardo Di Giovanni mi fu vicino e mi riportò molte volte delle situazioni, per esempio sui carteggi. Mi disse: "E inutile che indaghi perché li hanno distrutti", parlava delle bobine famose con l'interrogatorio di Moro. Né d'altra parte poteva essere che le avevano distrutte perché c'era Moretti e Moretti lo conoscevano, quindi i motivi non si sono mai saputi. Altre fonti. Ecco il punto importante. Viene arrestato Moretti, poi viene arrestato Senzani. Curcio, Franceschini, Bartolazzi, eccetera sono già in galera da parecchio tempo. Le Brigate rosse continuano pur nelle varianti e quindi è prova logica che prima degli operativi ci fosse uno stato maggiore serio, indubbiamente a livello culturale. Se no non si spiega.
PRESIDENTE. Quindi il livello dei capi militari residui le sembrava ancora più inadeguato rispetto all'azione offensiva delle Brigate rosse. Riconosco che potrebbe essere plausibile, però resta nel campo delle ipotesi.
DE GORI No, era una analisi questa. Arriviamo alla situazione lo spionaggio.
PRESIDENTE. No, andiamo in ordine. Lei poi dice che successivamente all'arresto di Moretti, almeno io così ho capito, e quindi durante il periodo di Senzani, è possibile pensare ad un livello superiore estraneo alle Brigate rosse. Una vera e propria ipotesi di eterodirezione.
DE GORI. Non volevo dire questo. Con l'arresto di Moretti abbiamo una prima scissione delle Brigate rosse, per cui se ne va l'ala di Morucci e Faranda. Subito dopo abbiamo la scissione tra Senzani e Barbara Balzerani, che costìtuisce le Unità comuniste combattenti, che seguono una propria strada. E però chiaro che non si tratta di eterodirezione, ma bisogna sicuramente indagare perché la magistratura si è limitata - quod non est in actis non est in hoc mundo - a punire o ad assolvere in base ad alcuni elementi, in quanto non era ovviamente questo il compito della magistratura. Quando però io parlo di intervento anche estraneo alle Brigate rosse, mi riferisco ad altre cose; ad esempio, uccidono il generale Giorgieri. Penso che nessuno di voi, tranne forse lei, signor Presidente, poteva sapere quale era il compito del generale Giorgieri, direttore generale dell'Arma. Egli era colui che si interessava dello "scudo stellare". Io mi domando allora come i ragazzi delle Brigate rosse, quelli che venivano chiamati "colonnelli", potevano sapere questa cosa. Evidentemente gliel'hanno suggerita. In questo modo infatti si verificava da parte del partito-guerriglia un attacco alla Nato, un attacco antiamericano che prima non c'era stato a questi livelli militari. E chi glielo ha suggerito? Glielo poteva aver suggerito soltanto Markus Wolff della Stasi. E come glielo suggeriva?
PRESIDENTE. Lei ha detto prima che le Brigate rosse non erano infiltrate.
DE GORI. Ho detto prima infatti che non potevano essere infiltrate, o meglio diciamo che non ce n'era bisogno. Infatti nel 1973 - e questa è storia - si presentano alle BR, come hanno raccontato tutti i brigatisti, e abbiamo dei riscontri in materia, due personaggi dicendo di essere uno un maggiore e l'altro un colonnello del Mossad, e forniscono il nominativo (il primo degli unici due infiltrati che hanno avuto le Brigate rosse) di Marco Pisetta; in pratica, per dimostrargli che erano a conoscenza dì tutto, gli consegnano Marco Pisetta. A quel punto Mara Cagol ed un altro brigatista partono per la. Germania per andare ad ucciderlo, ma senza trovarlo. Contemporaneamente questi due soggetti gli chiedono cosa altro vogliono: infatti, sono disposti a dare armi e quello che vogliono purché facciano una politica diversa. Curcio gli risponde di no - come disse Mara Cagol - per cui i brigatisti intascano l'informazione e la cosa finisce lì. Però da quel momento è chiaro che il Mossad segue le Brigate rosse. Questo avviene perché il Mossad odiava Aldo Moro (il quale infatti non è mai stato in Israele) perché Moro era antisionista, piuttosto era filoarabo; pertanto il Mossad segue le Brigate rosse, soprattutto anche le Brigate rosse hanno già un rapporto di collaborazione con la Rote Armee Fraktion, altrimenti chiamata banda Baader-Meinhof; tanto è vero che abbiamo trovato le armi (non tutte, signor Presidente) dei palestinesi. Chi era praticamente che costituiva l'ala palestinese stalinista legata all'Unione sovietica? Non certamente Arafat, che poi collaborerà con l'Italia per altre cose, ma piuttosto Abbash. Basta prendere il libro di Markus Wolff per capire che questi sono elementi concreti; non è che io me li sto inventando.
PRESIDENTE. Le faccio una domanda per chiarire il suo pensiero. Lei ritiene che Stasi e KGB da una parte e Mossad dall'altra, certamente senza essere d'accordo tra di loro, abbiano potuto far filtrare all'interno delle Brigate rosse non persone ma informazioni che ne abbiano potuto determinare l'azione. E così?
DE GORI. Rispetto a questa sua traduzione del mio pensiero bisogna però precisare un fatto. Il KGB non si è mai interessato di terrorismo, che era delegato alla Stasi; questo lo dice Markus Wolff.
PRESIDENTE. Quindi si configurerebbe la Stasi come longa manus del KGB, comunque come punta avanzata dei servizi orientali, e il Mossad dall'altra parte: questi potevano, non infiltrare ma far filtrare all'interno delle Brigate rosse informazioni; quindi potevano intanto seguirle e controllarle, e pertanto ad esempio indicargli Giorgieri in quanto si interessava dello "scudo stellare". E così?
DE GORI. Certo, gli interessava Giorgieri, così come gli interessava quell'altro ufficiale americano che cercarono di uccidere; così come gli interessava la situazione della Nato; così come erano interessati a che non si realizzasse il compromesso storico. In pratica coincidevano quindi gli interessi dell'Unione sovietica (che certamente dopo lo "strappo", allorquando Berlinguer disse che era meglio l'ombrello Nato, non vedeva molto bene il compromesso storico, tant'è che per liberare Moro lo stesso Berlinguer - come risulta - si è dovuto rivolgere a Tiro, senza ottenere alcun risultato perché non era quella la strada), con gli interessi degli altri. Ad esempio, perché il Mossad arriva alle Brigate rosse? Perché segue i palestinesi, che si incontravano a Parigi con Moretti e compagni! Secondo me, quando le Brigate rosse, e mi riferisco al partito-guerriglia (perché le Unità comuniste combattenti erano un'altra cosa), non sono più tali, abbiamo allora le Brigate rosse camorristiche, quelle infiltrate e quant'altro. Si verificano uccisioni che non hanno significato. A quel punto la precisazione degli obiettivi si concretizza. Parliamoci chiaro: uccidono Bachelet non perché fosse vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, in quanto non aveva giurisdizione, ma perché era presidente dell'Azione cattolica ed era uno che voleva il rinnovamento della Chiesa attraverso il Concilio che vi era stato. Era infatti disarmato, non era un obiettivo militare e Mario Moretti lo fa uccidere dalla Braghetti, che non era nemmeno clandestina, ma regolarmente al suo posto, perché la vuole concatenare a questa situazione, in quanto egli è un dittatore in quel periodo. Si tratta di una cosa orribile che non ha spiegazioni dirette, ma tante altre cose si potrebbero raccontare.
PRESIDENTE. Conclusivamente, però, le cose che lei ha dichiarato sono frutto di analisi più che frutto di informazioni concrete.
DE GORI. Sono frutto di informazioni in questo senso: l'informazione per un avvocato si determina nel momento in cui qualcuno va da lui e gliela fornisce. A quel punto io faccio i riscontri giudiziali o d'altro tipo e pertanto il dato che ne ricavo non è più frutto di analisi, ma qualcosa di più. Io non voglio parlare di sospetto, come fece giustamente Severino Santiapichi che disse che giudizialmente si erano avvertiti dei sospetti, in quanto il sospetto non è l'anticamera della verità, come ha detto Pintacuda. Il sospetto è praticamente un qualcosa che non dovrebbe mai trovare spazio. Qui ci sono degli elementi di fatto, come ad esempio le armi, su cui sarebbe il caso di fare un'indagine. Quante armi hanno avuto le Brigate rosse e che fine hanno fatto? Noi la prova che il gruppo Senzani, cioè il partito-guerriglia, deve essere per forza collegato con questi signori ce l'abbiamo.
PRESIDENTE. Quali signori?
DE GORI. In pratica, dopo l'arresto di Moretti...
PRESIDENTE. ...e quindi con la leadership di Senzani si avrebbe questa strumentalizzazione?
DE GORI. Ci sto arrivando. Prima dell'arresto di Moretti furono regalati alle BR da parte del FLP, quattro carichi di armi. Si era stabilito che metà delle armi doveva andare a loro e l'altra metà al FLP, il Fronte di liberazione della Palestina, come dichiarano Moretti e gli altri, i pentiti e i dissociati; riscontri ce ne sono stati, qualche arma è stata anche trovata. Però le armi che dovevano prendere i palestinesi non sono mai venute fuori. Come mai noi troviamo le armi nei covi del partito-guerriglia? Perché lo hanno detto i palestinesi, gliele ha date la Stasi, non certamente Moretti, che era in contrasto; ad un certo punto hanno dato a Senzani la semilibertà perché esasperato ed abbandonato dai suoi padroni - perché ne aveva! - ha tentato il suicidio. Questa è la verità.
PRESIDENTE. Questo rapporto n. PK1 12 del KGB lei lo ha letto, lo ha mai visto, ne conosce indirettamente l'esistenza?
DE GORI. Questo rapporto mi è stato portato nel mio studio, previa telefonata. Mi dice: dato che ha lei interessa la verità... come no dico io - dicono che abbiamo ucciso Moro, dicono che noi non lo volevamo liberare, come non mi interessa la verità? Tenga presente però che se lei mi dà delle notitiae crirninis sono obbligato a passarle alla procura generale, altrimenti me le tengo per me, non sono obbligato, non sono un poliziotto, faccio l'avvocato.
PRESIDENTE. Da chi le è stato portato?
DE GORI. Vuole il nome? E dopo che le dico il nome, se si tratta di un nome falso? Io glielo dico il nome, ma le chiederei di passare in seduta segreta.
PRESIDENTE. Va bene, passiamo in seduta segreta.
I lavori proseguono in seduta segreta alle ore 20,21.
...omissis...
I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 20,22.
PRESIDENTE. Ma lei che verifiche ha fatto su questo documento per avere certezza della sua autenticità?
DE GORI. Signor Presidente, le ho portato tutti i miei articoli con data certa in cui prevedo - me lo hanno detto e le fonti me le tengo per me - che arrivavano tutti quei documenti che poi erano messi in vendita (si ricorda, lettere e cose varie). Tutto questo lo consegno a lei così avete tutti gli elementi.
PRESIDENTE. Questi sono articoli di giornale.
DE GORI. Sono mie dichiarazioni, editoriali dell'Agenzia di stampa "Repubblica" in data certa, quando ancora i documenti non erano arrivati, quando ancora le situazioni non si erano appalesate.
TARADASH. Dov'è questo documento che le fu consegnato?
DE GORI. Non è che me l'hanno dato, perché volevano soldi, me lo hanno fatto leggere. E chiaro che io gli ho chiesto delle precisazioni, cioè dei riscontri.
PRESIDENTE. Se lei non lo possiede, non si pone un problema di verifica di autenticità, quindi ritiro la domanda.
DE GORI. No, guardi, lei mi ha fatto una domanda e io le rispondo.
CORSINI. Visto che questo documento glielo hanno messo sotto il naso, lei lo ha potuto leggere?
DE GORI. Me lo ha fatto leggere. In italiano, è chiaro, era la traduzione italiana.
CORSINI. Quanti soldi volevano?
DE GORI. Cento milioni.
CORSINI. Ma era tradotto in italiano?
DE GORI. Era tradotto in italiano. Io non parlo il russo, almeno non lo parlo così bene da poter leggere un documento. Qual era il punto per cui tranquillamente il documento poteva andare bene? C'è una frase in cui lui dice: le Brigate rosse hanno vinto politicamente perché volevano che la Democrazia Cristiana non andasse insieme con il Partito Comunista al Governo che c'era cori Moro, infatti dopo quattro mesi se ne sono andati perché - dice - noi li abbiamo minacciati. Io ho detto: queste sono fesserie, il Partito Comunista è un partito serio e non avrebbe accettato mai le vostre minacce e le vostre cose. Mi dice: non è vero, perché abbiamo tentato di uccidere Berlinguer in Bulgaria in un attentato con quattro camion. Questo è un fatto che mi pare di aver sentito da qualche parte, mi pare proprio da fonti dei Partito Comunista che c'era la preoccupazione di questo attentato. Il secondo punto che mi interessò era che c'era il precedente, onorevole Presidente. Infatti io, in data 27 marzo 1992 avevo scritto: "La signora Tatiana Samolis - portavoce ufficiale del KGB riformato - prima della intervista di ieri, ne aveva rilasciata un'altra, nella quale affermava che negli archivi non risultava nessun elemento che potesse provare connessioni tra KGB e Brigate rosse". Io non ho mai detto a questa signora che loro erano in contatto con le Brigate rosse, perché il contatto era attraverso la Baader-Meinhof e attraverso i palestinesi, cosa che nel suo libro - anche se non dice la verità, è un'autodifesa - Markus Wolff dice che il terrorismo lo facevano loro. I fatti essenziali erano conosciuti. Sempre in quell'occasione continuavo: "L'archivio n. 33 del KGB - spionaggio esterno - è suddiviso in sezioni" - quindi, io parlo dell'archivio n. 33 e la signora non lo ha mai smentito ufficialmente in data 26 - ", quella che riguarda l'Italia è la III (la I sezione riguarda l'Inghilterra e la II la Francia). Ogni sezione ha delle sottosezioni specializzate. Ogni documento, oltre ad essere classificato, ha in codice, il nome dell'autore e la dicitura se si tratta d'informativa o di analisi. Mentre l'informativa contiene i fatti e le fonti, le analisi attengono allinterpretazione degli avvenimenti e normalmente riportano notizie giornalistiche. I rapporti sul terrorismo italiano (un centinaio in tutto) sono opera del generale del KGB Boris Solomatin," - che poi ha fatto una conferenza - "che è stato in Italia sei anni, dal 1976 al 1982, ed ha seguito giorno per giorno tutti gli avvenimenti. Il predetto generale, che era il numero due dell'ex ambasciata sovietica a Roma," - poi bisognerebbe pure leggere il libro dell'ambasciatore, vedendo le mie carte - "oggi vive a Mosca. Eccezionale agente, che parla benissimo l'italiano, oltre ad una decina di altre lingue, ha cercato in tutte le maniere di infiltrare le BR, ma non c'è riuscito." - sempre attraverso la Stasi - "Quello che afferma oggi è quasi veritiero. Fu lui che suggerì l'incontro di Berlinguer con Tito per convincere il maresciallo ad intervenire presso i cecoslovacchi, in quanto si supponeva - ma non era vero - che la "Stasis" sapesse, in quanto infiltrata nelle BR ed in altre bande armate della sinistra. Il colloquio fu registrato e spedito al centro di Mosca che aveva deciso la "opìeraàtzia ossvobosgdènie" (operazione liberazione) che fu un fiasco colossale. E sempre del generale Boris Solomatin il rapporto sulla destra eversiva italiana che terminava con il giudizio assolutamente negativo sulla pericolosità operativa della stessa. Come si vede vi sono fondati motivi per insistere sulla richiesta di integrali pubblicazioni di tutti i documenti della III sezione dell'archivio n. 33 del KGB riformato." - se oggi ha un altro numero non lo so - "E veramente vergognoso che, durante una campagna elettorale così importante, la signora Tatiana Samolis - non sappiamo da chi richiesta ma si tratta certamente di gente di casa nostra - tiri fuori un documento che è un falso redatto oggj".
PRESIDENTE. Va bene, la ringraziamo di questo suggerimento. Noi abbiamo proprio in questi giorni dato un incarico di consulenza ad un professore russo...
DE GORI. Bisogna vedere cosa gli mostrano.
PRESIDENTE. Per questo, poi vedremo.
CORSINI. Signor Presidente, non ho capito, l'avvocato ha letto questo documento...
PRESIDENTE. Quella che ha letto adesso è una nota dell'avvocato. Il racconto dell'avvocato è che questa persona gli portò questo documento, che era una traduzione di un documento del servizio segreto russo, in cui dicevano più o meno le cose che l'avvocato ci ha riassunto, che gli chiese cento milioni e che quindi a questo punto non ritenne di perfezionare l'acquisto.
CASTELLI. Su "La Stampa" è riportata una sua dichiarazione che dice testualmente: "Le intelligenze nascoste dietro le BR c'erano, ma non in Usa. Erano nell'ex Urss. E' tutto scritto in un dossier del KGB. Io ce l'ho". Stasera ha detto che non ce l'ha, allora...
DE GORI. Non ho detto che ce l'ho, l'ho dichiarato anche...
CASTELLI. Scusi, hanno riportato male la sua dichiarazione, che però io ho letto anche in altri giornali in data 23, oppure...
DE GORI. Senatore, sull'Ansa...
PRESIDENTE. Faccia finire la domanda al senatore Castelli.
CASTELLI. Volevo sapere se ha mai detto questo o se stasera ha detto qualcosa di diverso.
DE GORI. Non ho mai dichiarato di esserne in possesso. Mi è stato detto che la CIA aveva il documento e sul fatto che lo avesse comprato non c'era alcun dubbio altrimenti (non lo avrebbe mandato) prima a quella signora che è morta, mi riferisco a quella persona che ha creato grossi problemi alla magistratura italiana e che scrisse tanti libri più o meno simili a quelli di Sergio Flamigni.
CASTELLI. Nella sua dichiarazione lei aggiunge sempre a proposito del documento: "...e ce lo ha anche una persona italiana, una che sa molte cose". Ci vuole dire chi è questa persona?
DE GORI. Non mi è stato detto il nome, ma solo che c'era una personalità italiana che era in possesso di molti documenti.
CASTELLI. Quindi questo non lo afferma lei, lei dice semplicemente che questa persona a sua volta ha dichiarato che...?
DE GORI. Non lo dichiaro io.
MANCA. Signor Presidente, innanzi tutto desidererei avere un chiarimento. Da quanto mi è sembrato di capire lei, avvocato De Gori, sostiene che dietro la scelta dei personaggi da rapire o da uccidere da parte delle Brigate rosse - ha fatto l'esempio del generale Giorgieri - c'erano personalità che avevano cultura e conoscenze superiori, o comunque diverse da quelle delle stesse Brigate rosse. Lei intende dire che la scelta di uccidere il generale Giorgieri è stata indicata da qualcuno che sapeva che il generale si interessava delle guerre stellari?
DE GORI. Sì.
MANCA. Lei ha poi verificato se realmente il generale Giorgieri si interessasse di guerre stellari, o se magari si trattasse soltanto della fantasia di qualcuno che non conosceva il mondo aeronautico? Ha approfondito la questione tanto da poter capire la fondatezza delle informazioni in suo possesso, o semplicemente il livello delle persone che secondo lei dall'alto...
PRESIDENTE. Senatore Manca, se la interrompo, ma lei sta dicendo qualcosa di molto importante. Intende dire che non è vero che il generale Giorgieri si interessasse dello scudo stellare?
MANCA. La questione delle guerre stellari veniva affrontata sul piano progettuale e di ciò si interessavano gli stati maggiori. Bisogna conoscere questi aspetti! Le direzioni generali sono direzioni tecniche e - ripeto - il problema delle guerre stellari è rimasto a livello di studio e di contatti tra i vari paesi e non certo sul piano esecutivo. In ogni caso una persona che conosce perfettamente il mondo aerospaziale non individua nel generale Giorgieri il protagonista degli studi in materia di guerre stellari. Il fatto che il generale fosse un ingegnere, capo di Costarmaereo e che fosse genericamente a conoscenza del problema delle guerre stellari - come del resto anche il sottoscritto ed tanti altri - non ne fa, come ho già detto, il grande esperto del settore! E faccio questa affermazione perché lei, avvocato De Gori, sostiene che questi personaggi avevano informazioni da fonti molto qualificate, in quanto a sua opinione la materia non poteva essere conosciuta se non da ambienti molto introdotti. Ora queste informazioni le ha avute dall'avvocato Di Govanni, o si tratta di sue ipotesi?
DE GORI. Senatore Manca, a me è stato riferito che le Brigate rosse non conoscevano il generale Giorgieri. Non ho fatto il militare nell'aeronautica, ma il fatto che il Direttore generale della Costarmaereo si interessasse anche del progetto delle guerre stellari mi sembra plausibile. Certamente non ho inoltrato alcuna richiesta allo stato maggiore dell'Aeronautica per sapere se il generale Giorgieri fosse l'unico...
TARADASH. Forse anche le Brigate rosse se lo potevano immaginare!
DE GORI. Ma per le Brigate rosse questo era assurdo!
MANCA. Mi perdoni, avvocato, il ragionamento che sto facendo ha il fine di capire se davvero c'era questa mente superiore che poi lei ha individuato nei servizi segreti.
DE GORI. Non ho detto questo.
MANCA. Avvocato De Gori, chi le ha detto che il generale Giorgieri era stato scelto in quanto interessato alle guerre stellati? Ed ancora, secondo questa persona chi sarebbe stato a suggerire tale scelta?
DE GORI A me è stato riferito sempre dalle solite persone di cui vi ho già parlato, quelle che vengono a trovare l'avvocato democristiano per portare notizie che talvolta sono inesatte. Ebbene, queste persone mi dicevano: "Ma secondo lei, avvocato, chi poteva conoscere il generale Giorgieri, quel Giorgieri che si intendeva di armi e di approvvigionamenti aerei ed anche di progetti... ?" Non negherà, senatore Manca, che il generale Giorgieri fosse un ingegnere aeronautico?
MANCA. Ovviamente no, tra l'altro ero amico del generale Giorgieri.
DE GORI. Del resto, il generale Giorgieri era una persona così defilata rispetto al suo ambiente che nessuno sapeva quali fossero i suoi compiti che sicuramente erano anche molto delicati. La "soffiata" non è partita dall'Aeronautica, sono stati i servizi segreti - mi riferisco ad esempio alla Stasi - che hanno indicato il generale come obiettivo.
MANCA. A mio avviso, invece, anche semplicemente un lettore attento o un giornalista appassionato di cose militari sanno che cosa sia Costarmaereo e che la persona che ne è a capo si interessa di approvvigionamenti aeronautici, non c'è alcun bisogno di servizi segreti per sapere queste cose!
DE GORI. Invece io questi aspetti non li conoscevo.
MANCA. Tra l'altro, oltre al generale Giorgieri negli elenchi dei brigatisti c'erano altri soggetti che certamente non erano sono stati segnalati dai servizi segreti, anche perché per avere informazioni su di loro bastava leggere il giornale! Anzi le dirò che c'era anche il mio nome in quegli elenchi semplicemente perché facevo parte dello stato maggiore dell'Aeronautica.
DE GORI. Senatore Manca, poniamoci in termini di maggiore concretezza. Non sono un poliziotto; tuttavia, le mie analisi sono corroborate da riscontri precisi. In altri termini, avendo avuto l'onore di essere l'avvocato della Democrazia cristiana (ho tra l'altro difeso il consigliere D'Urso che fu uno dei sequestrati delle Brigate rosse), posso senz'altro affermare che vi è in me un grosso interesse per questa materia. In ogni caso non si può certo pretendere che io sottoponga ad un interrogatorio di terzo grado le persone che vengono a trovarmi per delle informazioni, magari anche dietro compenso in denaro.
MANCA. Pertanto, avvocato De Gori, mi sta dicendo che le sue sono supposizioni?
DE GORI. Non sono supposizioni, ma dati di fatto. Ribadisco che il nome del generale Giorgieri è stato indicato alle Brigate rosse.
MANCA. Un'ultima questione. Lei ci ha parlato di riunioni di brigatisti che hanno avuto luogo prima a Firenze e successivamente a Rapallo. Ha inoltre fatto menzione di una villa patrizia alla periferia di Firenze...
PRESIDENTE. Conosce il nome del proprietario di quella villa?
DE GORI. Assolutamente no.
MANCA. Vi siete mai chiesti, lei o il suo amico avvocato Di Giovanni, le ragioni per cui le riunioni avvenivano in questa villa di Firenze? Magari dietro questa scelta vi era l'esigenza di non far spostare da Firenze a Roma queste intelligenze superiori, questi maestri, queste personalità di cui lei ci ha parlato?
DE GORI. Questa è un'ottima domanda. Che in quel periodo vi fosse una colonna toscana delle Brigate rosse era risaputo, anzi mi risulta che alcuni appartenenti a questo gruppo siano stati anche condannati. Firenze si può considerare una città facile e difficile nello stesso tempo, e va considerato che all'epoca in questa città vi erano circa 50-60 logge massoniche. Tuttavia, la P2 in questa storia non c'entra nulla; infatti, se c'era qualcuno che desiderava la libertà di Aldo Moro addirittura più di noi democristiani - e non per ragioni umanitarie, ma di finanza - era proprio la P2 con Lo Giudice e compagni in testa, tra l'altro ne facevano parte fior di generali quali il generale Dalla Chiesa. In ogni caso il punto è un altro e cioè perché viene ucciso Conti? Non mi risulta che costui vendesse armi, del resto non so neanche se fosse uno degli acquirenti dell'Aeronautica, di lui so soltanto che era del Partito repubblicano. Perché i morti sono quelli, e gli infiltrati delle Brigate rosse erano due (Pisetta e Frate Mitra); e se oggi vogliamo fare dietrologia, come qualche letterato di cui pero non faccio il nome, che afferma che il commissariato "Flaminio Nuovo" non aveva i documenti mentre invece c'era la relazione di servizio su Via Gradoli ... ! perché volevano togliersi dai piedi Moretti, non c'è dubbio. Si sostiene che non ci fossero questi documenti, invece - ripeto- esiste la relazione di servizio. Ciò vuol dire offuscare la verità e quindi non ne parliamo più!
PRESIDENTE. Questo è interessante, ma non l'ho capito. Chi è che vuole togliere di mezzo Moretti?
DE GORI. Lo vuole proprio l'ala che poi fece capo a Senzani, molto probabilmente insufflata dalla Stasi attraverso le vie che abbiamo detto, che sono molto difficili (o facili) da capire. Moretti sbagliò tutto. Moro non si può salvare perché deve essere ucciso in quanto rappresenta praticamente l'incontro dei cattolici con il Governo di unità nazionale, il compromesso storico. Caso strano, muore Moro e, invece di andare avanti, il compromesso storico riprende dopo quindici anni, si blocca. E non credo che ciò sia dovuto a ciò che dicono gli altri. Lo vogliono mandare via. Difatti, attraverso gli autonomi - non so se lei crede alla storia della seduta spiritica, io non ci ho mai creduto anche perché, essendo cattolico, farei peccato a credere a queste sciocchezze...
PRESIDENTE. Quindi lei ritiene che attraverso gli autonomi sia non l'ala trattativista delle BR ma addirittura l'ala senzaniana delle BR che cerca di far scoprire il covo di via Gradoli per fare catturare Moretti.
DE GORI. Sarò preciso. Noi tre giorni dopo il sequestro di Moro...
PRESIDENTE. Mi dica innanzitutto se io ho capito bene il suo pensiero.
DE GORI. Lei l'ha capito benissimo, non vi è alcun dubbio. Non è che loro vogliono far trovare Moro.
PRESIDENTE. No, far trovare Moretti.
DE GORI. Perché loro non sanno dove è Moro, altrimenti avrebbero avuto la possibilità di farlo scoprire. Lei mi può dire che potevano anche ammazzarlo Moretti: ci hanno provato dopo, per vendetta, in carcere perché Moretti ha corso il rischio di essere ucciso in carcere, come lei sa, onorevole Presidente. Questa è storia giudiziaria. Dopo tre giorni in via Gradoli arriva il maresciallo Merola del Flaminio Nuovo; bussa alle porte, ancora non c'erano le picconature, e se ne va. Se vuole visitarli - io sono andato a vederli - quegli appartamenti sembrano la corte dei miracoli. Chiedo scusa alle signore presenti, molte prostitute ricevono in questi mini appartamenti, c'è gente immigrata, tutte le qualità di questo mondo, proprio una corte dei miracoli, tant'è che la polizia arriva con la velocità del fulmine. Ora, quello è diventato una specie di "sottosede" dei servizi segreti. Primo punto. Quando loro vedono che gli è andata buca con questa perquisizione (dicono che era stata mirata ma era una delle perquisizioni normali che facevano), il 18 aprile, mi pare, tirano fuori la questione della seduta spiritica. Lì è chiaro che sbagliarono gli inquirenti perché non è che fu precisa: via Gradoli a Roma.
PRESIDENTE. Va bene, questo lo abbiamo capito.
DE GORI. Dissero "Gradoli", andarono a Gradoli e non ottennero nulla. Ma ci sono tante cose che bisognerebbe considerare. Il lago della Duchessa: secondo voi, se il volantino l'avesse fatto lo Stato avrebbero indicato il lago della Duchessa, una bagnarola che può essere sondata? Avrebbero indicato il lago di Como e restava il dubbio, potevano fare quello che volevano. Ci sono tante cose. Mi scusi se sono andato fuori tema, onorevole Presidente.
PRESIDENTE. Quindi chi ritiene che abbia fatto il falso comunicato del lago della Duchessa?
DE GORI. Il comunicato è stato fatto da Chicchiarelli.
PRESIDENTE. Questo lo sappiamo.
DE GORI. Che aveva la "rotina"...
PRESIDENTE. Questo fa parte di ciò che sappiamo.
DE GORI. Voi già sapete che quella testina rotante non era identica ma era uguale a quella del comunicato delle BR e la poteva usare Chichiarelli? Chichiarelli l'ha fatto su elementi che gli hanno portato. Chichiarelli ad un certo punto chiede soldi, la prima volta, la seconda volta: è chiaro che è stato lui da quello che dicono.
PRESIDENTE. Ho capito, ma l'imbeccata chi gliela ha data, secondo lei?
DE GORI. Sono andati dei guerriglieri sudamericani, due sudamericani mandati dalla Stasi, a quello che mi risulta.
PRESIDENTE. E perché fu fatto il falso comunicato del lago della Duchessa? Secondo Moro fu una macabra rappresentazione della sua morte. Secondo lei?
DE GORI. Secondo me è stata un'altra picconata a Moretti, una questione interna di predominio delle BR che si dividevano. Basta controllare come vengono scelti gli obiettivi. Roma città aperta .....
PRESIDENTE. E a Moretti che danno viene dal lago della Duchessa? Anzi, viene rallentata per un giorno .....
DE GORI. No, forse non lo sapevano, ma se lo Stato avesse reagito come voleva il procuratore generale Pascalino con lo stato d'assedio, mandando i brigatisti rossi nelle isole e iniziando unoperazione tipo "7 aprile", la reazione ci sarebbe stata. A quel punto tutto diventava più difficile, anche per lo stesso Moretti.
PRESIDENTE. Ho capito la sua analisi.
MANCA. Mentre lei ha capito certi passi, signor Presidente, io non ho capito. L'avvocato De Gori mi deve spiegare. perché ha definito la mia domanda su Firenze una buona domanda. Non ho capito perché era buona. Gliela ripeto: secondo lei si riunivano a Firenze forse per evitare che i maestri si spostassero da Firenze a Roma rendendo più facile la loro individuazione oppure per altre ragioni? Lei ha detto: questa è una buona domanda. Ma non ho capito perché.
DE GORI. E una buona domanda perché da Firenze, dove logisticamente erano già in impasse, si trasferiscono addirittura a Rapallo. Quindi a Firenze non potevano più stare forse perché chi li proteggeva li ha mandati via. Qualcosa sarà successo, non v'è dubbio.
FRAGALA. Avvocato De Gori, riprendo un attimo la domanda del senatore Manca. Per caso lei ha mai saputo che il falso comunicato del lago della Duchessa fosse, come ha detto, una picconata a Moretti, cioè fosse un messaggio per far sapere a Moretti che sapevano dove si riuniva il comitato esecutivo a Firenze e la scelta del lago della Duchessa significava che sapevano che si riunivano a casa di una duchessa. Lei ha mai saputo questo?
DE GORI. Assolutamente no. Posso esservi di aiuto in un'altra situazione. Per quanto riguarda il lago della Duchessa due sono i casi: o era lo Stato che doveva farlo e che lo fa, ma - come ho detto prima - se fosse stato lo Stato indubbiamente doveva essere in condizione di continuare quello che derivava dal comunicato perché dopo due giorni fanno un altro comunicato. Secondo voi non è servito a nulla quel comunicato; invece è servito a qualcosa perché, se qualche speranza ci fosse stata, dopo certamente non c'era più perché la reazione non c'è stata. Quindi è una situazione creata per colpire di nuovo Moretti. Poi bisognerebbe fare l'analisi di quello che avveniva giorno per giorno, dove si trovava Moro, le notizie, il coordinamento tra le diverse sigle (erano circa 560).
PRESIDENTE. Quindi lei non lo sa.
DE GORI. No, lo escludo.
FRAGALA. Lei, come avvocato della Democrazia Cristiana nei processi sul caso Moro, ha mai letto o avuto copia delle lettere di Moro che non sono state rese note né dai familiari né da coloro che le hanno ricevute?
DE GORI. Quelle che per adesso sono risultate, perché trovate a Via Monte Nevoso - e non sono quelle che potevano trovare, ma è un'altra dietrologia - le ho viste perché ho accompagnato diversi onorevoli che voi sentirete. Oltre quelle non ne ho viste. Quando parlavo con Edoardo Di Giovanni c'era sempre Giovanna Lombardi che parlava con me di queste cose, di tante cose, anche perché il nostro compito era quello di evitare la mattanza e ci siamo riusciti. Non prevedevamo che poi le diverse carceri diventassero uno zoo di Berlino, in cui tutti andavano a parlare con le BR creando delle situazioni. Assolutamente no.
FRAGALA. Ancora un'altra domanda. Quali informazioni o dati di fatto ha per sostenere che Moro sia stato tenuto prigioniero in un covo diverso da quello di via Montalcini, il famoso covo del ghetto di Roma?
DE GOR1 Debbo riconoscere che quella fu l'unica "cappellata" che presi fin dal 1984 perché la questione della prigione venne fuori dal primo processo Moro nel 1982. Savasta ce la indicava in una specie di retrobottega a San Giovanni, altri lo indicavano addirittura in posti impossibili. La magistratura riteneva che fosse a Via Montalcini. Io ero convinto che doveva essere nel ghetto perché posso anche capire che gli era andata bene nell'agguato di via Fani e che avevano trovato la strada libera, ma che poi addirittura con un cadavere appresso potessero spostarsi dalla Magliaria a lì era un qualcosa che superava qualsiasi immaginazione. Peraltro anche l'amico Giulio Andreotti era convinto con me che non fossero passati da lì, ma che necessariamente dovevano essere andati nei paraggi del ghetto; nel momento in cui si è ritrovato il cadavere si era pensato che la prigione dovesse essere nei paraggi. Purtroppo, dopo aver controllato e visto le situazioni, dopo aver riscontrato che non vi era alcuna sbavatura da parte delle Brigate rosse, devo riconoscere che mi ero sbagliato e che la prigione di Moro era a Via Montalcini n. 8.
FRAGALA. Quindi lei non ha mai scambiato questa opinione con il giornalista Pecorelli?
DE GORI. Io ho conosciuto Carmine Pecorelli quando trattavamo il progetto del "golpe mariano", quella buffonata legata al fatto che vi erano stati due golpe, uno avvenuto l'8 dicembre, giorno dell'Immacolata, l'altro il 15 agosto, festa dell'Assunzione, per cui sembrava appunto un golpe mariano; siamo stati anni dietro a questa storia, in cui il generale Miceli era difeso da Giovanni Maria Flick, oggi Ministro di grazia e giustizia. In quell'occasione Pecorelli venne nel mio studio, ma io ebbi soltanto il tempo di sentirlo e di sbatterlo fuori perché era uno che andava in giro in cerca di soldi e a ricattare la gente. Quello che però è grave è che aveva le veline da parte di ufficiali dell'Arma, come sappiamo tutti.
FRAGALA. All'interno della Democrazia cristiana durante il "processo" vi siete mai posti l'interrogativo se vi fosse il cosiddetto "canale di ritorno", cioè un esponente politico che portava all'interno delle Brigate rosse o direttamente a Moro una serie di opinioni e conversazioni segretissime che si facevano ai massimi livelli istituzionali e che poi Moro riprendeva nelle sue lettere come se le avesse sapute direttamente da qualcuno che aveva partecipato a queste riunioni? Esisteva secondo voi questo "canale di ritorno"?
DE GORI. E una questione che mi ha torturato per diverso tempo, perché io ho vissuto sulla mia pelle quei momenti; sono passati venti anni, ma è terribile quello che si è verificato sotto ogni punto di vista. La democrazia italiana è rimasta bloccata da questa tragedia per anni. Mi sono posto, non in termini di sospetto, ma a livello ideativo, il problema che la famiglia Moro potesse avere un canale; avevo intuito dall'inizio che lo doveva avere, anche perché, avendo estraneato i fratelli, fu donna Eleonora a voler portare avanti direttamente la trattativa. Che il Vaticano avesse la possibilità di fare una cosa del genere non ci piove, per cui un canale lo avrebbe potuto avere. La Democrazia cristiana non aveva un canale, e lo si poté constatare proprio il giorno 9 maggio. Infatti quella mattina eravamo pochi a sapere che praticamente Fanfani aveva assunto una posizione autonoma dicendo che una cosa era lo Stato, un'altra era il partito, che avrebbe potuto trattare e prendere posizioni autonome e che lo avrebbe fatto; subito dopo Moro venne ucciso, per cui qualcuno che ha riportato questa notizia la sera prima doveva esserci stato.
PRESIDENTE, Quindi lei ritiene che quando le BR uccidono Moro sanno che Fanfani il giorno dopo avrebbe fatto quell'apertura?
DE GORI. Certo, altrimenti che motivo c'era? Loro avrebbero potuto tenere Moro per sei mesi, come hanno dichiarato loro stessi. E non è vero che stavano per cominciare i rastrellamenti alla tedesca (che peraltro noi italiani non sappiamo neanche fare) per arrivare alla prigione. Sicuramente ebbero fortuna, perché non si spiega come il servizio postale delle BR potesse essere così preciso. Per quanto ne so io però tutti gli uomini della Democrazia cristiana furono estranei a trattative, almeno quelli che io conosco; specialmente considerando la tragedia che ne fece Francesco Cossiga, che peraltro non commise neanche errori di organizzazione. E' chiaro che egli si rivolgeva al Mossad e agli altri e gli rispondevano "picche", si rivolgeva a qualcun altro ed aveva la stessa risposta, non aveva servizi, perché come sapete in quel periodo i servizi non esistevano, e quindi non poteva fare altro; la Polizia si era organizzata e ha fatto delle grandi operazioni, ma ad un certo punto si è trattato di una vittoria militare che si è imposta e basa. Non ci fu nient'altro.
PRESIDENTE. Ma allora, se avevano deciso di ucciderlo fin dall'inizio, perché lo tengono sequestrato 55 giorni?
DE GORI. Ecco infatti l'accusa che fanno a Moretti: perché non riescono ad avere una valenza politica, un frutto politico da questa detenzione. Sono riusciti a litigare con tutti.
PRESIDENTE. Però la dichiarazione di Fanfani sarebbe stata un frutto politico!
DE GORI. Certo, la dichiarazione di Fanfani sarebbe stata sicuramente il frutto politico.
PRESIDENTE. Quindi lo tengono 55 giorni per avere il frutto politico
DE GORI. No, non sarebbe stato un frutto politico per loro perché a quel punto rendeva difficile l'eliminazione di Moro, ma lo avrebbero ucciso lo stesso. Moro viene sequestrato per essere ucciso, su questo non ci sono dubbi. Questa è l'analisi che mi auguro questa Commissione riesca a fare.
PRESIDENTE. Però io non riesco a capire: sequestrano una persona, la tengono sequestrata per 55 giorni, il riscatto cui tendono è un frutto politico...
DE GORI. No, loro sperano di avere dei frutti politici attraverso il processo pubblico che gli fanno, senza molti risultati, nonché attraverso le lettere destabilizzanti, che sono certamente di Moro, ma che sicuramente contengono qualche suggerimento. Io non credo alla "sindrome di Stoccolma", per cui le lettere sono certamente sue, ma un indirizzo ci deve essere stato, almeno in quelle che abbiamo visto. Poi ci sono gli inediti.
PRESIDENTE. Nel momento in cui però Fanfani avesse deciso di aprire la trattativa a nome del partito, non si sarebbe avuto un frutto politico? Sarebbe caduto il Governo il giorno dopo!
DE GORI. Sarebbe stato l'inizio del frutto politico, ma non so se sarebbe caduto il Governo.
FRAGALA. Cossiga si sarebbe dimesso quella mattina stessa, come ha dichiarato.
PRESIDENTE. Ed allora perché lo uccidono lo stesso?.
DE GORI. Cossiga probabilmente si sarebbe dimesso, per cui l'unica spiegazione - e qui siamo nel campo delle analisi - è che lui quella mattina lo uccide (perché questa è opera di Moretti, anche se materialmente lo uccide Gallinari) perché non vuole questa presa di posizione da parte della Democrazia cristiana. Lui deve uccidere Moro perché le "intellighenzie", i suoi consiglieri, lo hanno messo su quella strada perché la Democrazia cristiana non aveva fatto nulla, come lui adesso dice. Noi abbiamo avuto Kurt Waldheim che ha fatto tre interventi: potremmo continuare a lungo a parlare di queste cose. Chiamatemi quando ci sono altri elementi.
FRAGALA. Lei poco fa ha parlato del fatto che Eleonora Moro mise da parte il fratello e gestì la trattativa personalmente. Però Aldo Moro durante i 55 giorni non scrisse una sola lettera al fratello e al funerale a San Giovanni, quello svolto senza la salma, dove era presente il Papa, ci andò il fratello. E quando il papa scrisse la famosa lettera alle Brigate rosse, dopo due o tre giorni Moro rispose con una lettera alla moglie Eleonora aggredendo il Papa e ritenendo che il suo intervento fosse stato assolutamente inefficace e controproducente. Ebbene, allinterno della Democrazia cristiana questi aspetti contraddittori come vengono colti? Moro non scrive mai al fratello, e non si capisce il perché; Moro risponde ad un tentativo eccezionale del Papa di farlo liberare, con quella bellissima lettera, addirittura aggredendo il Papa: voi avete valutato all'interno della Democrazia cristiana quali erano gli aspetti che determinavano Moro, che era una persona intelligente, a tenere questi atteggiamenti contraddittori nel momento culminante del sequestro?
DE GORI. Onestamente la valutazione politica non spettava a me, che ero l'avvocato nei processi. Certamente ne parlavamo con gli amici, ma la questione politica era loro. Lì c'è stato un problema grave che non è stato subito affrontato, nel senso che, se il Papa avesse scritto quella lettera omettendo "senza condizioni" - altro che Andreotti che gliele ha fatte inserire - avrebbe salvato il Governo, eccetera, perché la più alta autorità morale, che vuole trattare con le Brigate rosse... Perché è chiaro che anche con una lettera priva dell'inciso "senza condizioni" la via d'uscita per un intervento della Santa Sede ci sarebbe sempre stata. Quindi, sono loro che, siccome devono uccidere Moro, si vanno attaccando dove vogliono. Magari il Papa avesse scritto una lettera omettendo "senza condizioni": avrebbe sgravato il Governo, perché chi poteva impedire al Papa di trattare con le Brigate rosse o fare quel che voleva? E stato lui che l'ha voluta scrivere in quella maniera, e perché? Ma non la poteva scrivere diversamente: c'erano stati cinque cattolici morti a via Fani, come fa a scrivere una lettera per dire: "io tratto con voi che siete degli assassini"?
PRESIDENTE. "Senza condizioni" sarebbe stato un qualche cosa che si riferiva alla trattativa del Vaticano?
DE GORI. Non c'è dubbio.
FRAGALA. Quindi, non alla trattativa dello Stato.
DE GORI. Lo Stato non ha mai trattato con le Brigate rosse. Voi non volevate, noi non volevamo perché sapevamo che era una trattativa di tipo privato.
FRAGALA. Lei conosce la fonte che ha rivelato a Prodi, nella famosa seduta spiritica, il nome di Gradoli?
DE GORI. Non so se a Prodi gli hanno fatto lo scherzo del tavolo parlante per non metterlo nei guai. Da quello che so io, è stata l'Autonomia bolognese.
DE LUCA Athos. Le sue fonti quali sono?
DE GORI. I processi, i libri, i giornali, le persone che vengono da me. Guardi, durante il processo Moro, ogni sera venivano i carabinieri e si pigliavano le pizze della segreteria telefonica e ce n'erano di tutti i colori. E chiaro che io, da avvocato, gli studi legali sono aperti, sento chiunque; poi mi interessavano queste questioni. Quando vedevo che si trattavano di bufale...
DE LUCA Athos. Quindi, lei è in grado di citare esattamente, nome e cognome, le persone che sono venute da lei e che le hanno detto queste cose.
DE GORI. A prescindere che non ho alcun obbligo, se qualcuno viene nel mio studio per dirmi delle cose, di citare il nome.
DE LUCA Athos. Lei lo sa, però con chi parla, nome e cognome, o parla con gente che non sa chi è?
DE GORI. Va bene, ma se viene uno e mi dice, come ho detto prima, mi chiamo... io che faccio, lo identifico? Che sono diventato un maresciallo dei carabinieri per identificarlo?
DE LUCA Athos. Quindi lei parla con delle persone che non conosce.
DE GORI. Non posso, se le dico un nome e appartiene ad un'altra persona, quella poi mi denuncia per calunnia. Come faccio a darle il nome? Poi ci sono anche dei rapporti informali, delle situazioni. E chiaro, qualche spione lo conosco, anche di quelli buoni da cui qualche confidenza si può avere.
DE LUCA Athos. Lei sa che questa è una Commissione che ha delle prerogative speciali, quindi che tutto quello che lei dice deve rispondere al vero?
DE GORI. E che dico bugie? Perché dovrei dire bugie? Signor Presidente, questa è per caso una minaccia, un testimone che non vuole...
PRESIDENTE. No, noi la stiamo sentendo in libera audizione. Potremmo sentirla, previo il giuramento di dire la verità, ma stiamo continuando in libera audizione
DE GORI. Se dico la verità, non vedo per quale motivo....
DE LUCA Athos. Lei dice, come risulta anche nella nota delle agenzie, che le sue fonti sono gente che lei incontrava e non sa chi erano.
DE GORI. Non è che non so chi sono.
PRESIDENTE. Ha detto che non ha certezza della identità di alcune delle persone che ha incontrato o che gli hanno telefonato.
DE GORI. Che motivo ho io di dirglielo. Mi telefona uno, ha i miei numeri riservati o altro, e mi dice...
DE LUCA Athos. Ma le ha sentite per telefono o di persona?
DE GORI. Alcune vengono di persona, altre per telefono, documenti fasulli che ho buttato via, ne avvengono di tutti i colori. Lei non ha idea di cosa può succedere.
DE LUCA Athos. Ho capito, ma lei si rende conto che la Commissione deve fare chiarezza su alcune parti...
DE GORI. E mi auguro che lo faccia.
DE LUCA Athos. Ho capito che se lo augura, però non è che lei ci sta dando un contributo alla chiarezza, perché ci dice di persone, che non si sa chi sono, che sono venute nel suo studio...
DE GORI. Senatore, mi scusi, io le sto dando un contributo enorme. Le dico: si rivolga alla Stasi, a Wolff che adesso ha settantacinque anni e dopo tante volte è ancora ritornato in auge. Rivolgetevi a questi Servizi, vedete se i Governi, che non ci hanno detto nulla di quello che potevano dirci per salvare Moro, se ve li vogliono dare. Non è che posso chiederglieli io i documenti a questa gente. Le ho detto per quanto riguarda il KGB che c'è stata una polemica terribile. Che motivo ho di nasconderle qualche cosa. Avrei tutto l'interesse...
PRESIDENTE. Senatore De Luca, io ero venuto addirittura con il regolamento, perché pensavo che ci potessimo trovare in situazioni in cui avrei invitato l'avvocato De Gori, passando dalla libera audizione alla testimonianza formale, di giurarci di dire la verità. Però, rispetto alle cose che l'avvocato De Gori ci ha detto questa esigenza non la sento. L'avvocato De Gori ci ha dato in gran parte il risultato di sue analisi, che valgono come quelle che possiamo fare noi; non è che ci ha riferito fatti di una tale rilevanza sulla quale noi possiamo chiedergli di giurare di dire la verità e di rivelarci il nome della fonte.
DE LUCA Athos. Va bene, Presidente, faccio solo qualche altra domanda. C'è qualcuno che le ha offerto questo dossier del KGB e che voleva cento milioni. Chi era questa persona, quando è avvenuto questo fatto, questo lo ricorderà?
DE GORI. Ho lasciato all'onovevole Presidente tutti gli articoli che, con data precisa, ho scritto sull'agenzia "Repubblica" quando si sono verificate queste situazioni. Le ho detto che dopo il 1993...
DE LUCA Athos. Le faccio una domanda precisa...
DE GORI. La domanda precisa: è venuto da me uno, ho detto anche il nome...
DE LUCA Athos. Mi scusi, mi faccia fare la domanda. Quando le è stato offerto questo dossier da chi le è stato offerto, queste cose ce le può dire?
DE GORI. Ma le ho già dette.
DE LUCA Athos. In che data le è stato offerto?
DE GORI. Un mese, venti giorni fa, non mi ricordo con precisione. Non è che uno fa un grande affidamento sulle date. Le ho detto anche il nome che mi ha fatto, cosa le devo dire di più, senatore?
DE LUCA Athos. E cioè, come si chiamava?
DE GORI. Senatore, avevo chiesto di passare in seduta segreta, per non farlo sentire ai giornalisti nel caso che sia vero, ce lo auguriamo. Ma io gliel'ho fatto il nome. Lei saprà, senatore, che li hanno offerti a tutti questi documenti, addirittura per poco si potevano comprare nelle edicole, perché dopo la distruzione...
PRESIDENTE. Ci sono grosse perplessità sull'autenticità di molti di questi documenti, perché da quel "mondo" può venire di tutto.
DE GORI. Può venire di tutto.
PRESIDENTE. A lei hanno offerto la traduzione italiana di un documento...
DE GORI. Da un punto ho capito che poteva essere autentico.
PRESIDENTE. Poteva essere...
DE GORI. Poteva essere autentico, perché se fosse stato autentico avrei trovato il modo di ottenerlo. C'è sempre il dubbio, c'è la disinformazione.
DE LUCA Athos. Lei, che era così vicino alla Democrazia Cristiana, quindi uomo di fiducia se le hanno affidato questo incarico...
DE GORI. Sono democristiano, lo sono tuttora se la cosa non le fa schifo.
DE LUCA Athos. Io non ho detto niente. Ho detto: lei che era...
DE GORI. Non vicino, ero democristiano, avvocato della Democrazia Cristiana.
DE LUCA Athos. Che godeva la fiducia della Democrazia Cristiana.
DE GORI. Mi auguro di non averla tradita.
DE LUCA Athos. Le hanno dato questo incarico così delicato, molto fiduciario. Nella Democrazia Cristiana si è parlato spesso di alcuni che in realtà non hanno lavorato per la salvezza di Moro, anzi, che ritenevano che in qualche modo questo sacrificio fosse necessario, mentre altri si muovevano in altre direzioni. Cosa ci può dire su questo, lei che è della Democrazia Cristiana e ben conoscitore delle cose di questo partito?
DE GORI. Se avessi saputo, avendo visto l'angoscia di Cossiga che viene preso a schiaffi giornalmente e che ci fece la malattia, ne passò di tutti i colori lo stesso presidente Andreotti, gli stessi amici intimi della corrente di Moro, che uno di costoro, non solo non volesse liberarlo... ma sa cosa vuol dire non volere liberarlo, senatore? Vuoi dire che lo voleva morto.
DE LUCA Athos. Ho parlato di sacrificio.
DE GORI. Lei sta dicendo all'avvocato della Democrazia Cristiana che rimaneva in un'aula di giustizia a difendere l'onore di un partito martire, che ha avuto morti, non è che ha avuto soltanto sberleffi... e io rimanevo un momento di più a difendere...? Guardi, ho una tradizione alle spalle.
DE LUCA Athos. Io ho fatto un'altra domanda. Dal momento che lei, avvocato De Gori, ha vissuto determinate vicende anche per il fatto di essere stato difensore della Democrazia cristiana - e quindi le sono note e non credo che si possa scandalizzare del momento che all'epoca erano state fatte oggetto di polemiche e di prese di posizione- mi vuole dire che cosa pensa e come valuta i due atteggiamenti che venivano tenuti all'interno della Democrazia cristiana di allora; mi riferisco cioè al fatto che all'interno del suo partito vi fossero alcuni personaggi che ritenevano che Moro potesse rappresentare un pericolo; vi erano altri esponenti, invece, che hanno sostenuto di essersi prodigati per la salvezza di Moro, addirittura contravvenendo alla posizione ufficiale di partito, secondo la quale non si doveva trattare con le Brigate rosse. Era a conoscenza dell'esistenza di queste due tesi e quale è la sua opinione al riguardo?
DE GORI. Mi risulta, senza timore di essere smentito, che due giorni dopo il sequestro di Moro e la strage di Via Fani, la signora Eleonora Moro abbia dichiarato che suo marito non rappresentava merce di scambio. Che poi abbia agito come in seguito ha ritenuto di dover fare per salvare il marito è umanamente comprensibile, non sarò certo mai io ad attaccare vedove o figli di martiri, anche quando non si comportano bene. In secondo luogo, il senatore Andreotti, all'epoca Presidente del consiglio ricevette due vedove della strage di Via Fani, le quali in quell'occasione minacciarono che se anche uno soltanto di quei mascalzoni fosse stato messo fuori, si sarebbero bruciate nella piazza antistante Palazzo Chigi. Questo episodio fa capire in maniera esplicita quanto la tesi della trattativa non potesse essere accettata, addirittura in quel momento vi era il pericolo di un sollevamento delle forze dell'ordine. Probabilmente lei, senatore De Luca, non ricorda questi episodi perché è molto giovane.
PRESIDENTE. Avvocato De Gori, Lei intende dire che la scelta della fermezza fosse obbligata e che in realtà tutti gli uomini della Democrazia cristiana avrebbero voluto che Moro si salvasse?
DE GORI. Sì, signor Presidente, gli uomini della Democrazia cristiana hanno fatto di tutto per salvare Moro; abbiamo accettato anche il denaro, infatti abbiamo cercato anche di comprare la libertà di Moro attraverso lintervento del Vaticano, si tratta di un fatto noto. Ricordo che vennero raccolti molti miliardi per pagare la libertà di Moro e nessuno credo che avrebbe potuto accusarci in quel frangente di aver agito male. Se poi il senatore Fanfani allora abbia preso posizione sostenendo che il Governo era una casa, ma che la Democrazia cristiana in quanto partito intendeva trattare, non posso dirlo, perché non lo so. In ogni caso ritengo impossibile che potesse prendere una posizione netta decidendo di trattare con le Brigate rosse. Al riguardo, forse l'analisi del problema non fu corretta; forse la Democrazia cristiana commise un errore perché ritenemmo che dal momento che le Brigate rosse provenivano per il novantanove per cento dalle fila del partito Comunista Italiano, alcuni di loro erano addirittura regolarmente tesserati...
ZANI. Questo è un falso storico! Non è affatto vero che il novantanove per cento dei brigatisti provenissero dal Partito Comunista!
DE GORI. Io, onorevole Zani, le riferisco quello che hanno dichiarato, se poi fossero iscritti o meno al PCI non sono andato a controllare!
ZANI. Le ricordo che vi era il figlio di un noto esponente della Democrazia cristiana che sicuramente non era un tesserato del PCI!
DE GORI. Certamente, tra i brigatisti c'erano anche dei cattolici, non ne faccio uno scandalo, onorevole Zani. Però la invito a dirmi il nome di un democristiano appartenente alle Brigate rosse.
ZANI. Avvocato, torno a ricordarle quel figlio del noto esponente democristiano.
DE GORI. Va bene, onorevole Zani, tra l'altro quel figlio è morto con onore, ha pagato con la vita, infatti è stato ucciso in autostrada mentre cercava di evitare un incidente stradale. In ogni caso il fatto che tra le file delle Brigate rosse vi fossero anche dei cattolici è un fatto risaputo!
ZANI. Le ripeto che è un falso storico.
DE GORI. Onorevole Zani, si chiamavano Brigate rosse e non brigate bianche!
ZANI. Ma che cosa vuol dire?
PRESIDENTE. Avvocato De Gori, l'onorevole Zani intende dire che tutto ciò non c'entra con il fatto che la maggior parte dei brigatisti rossi avessero la tessera del PCI.
DE GORI. Mi correggo, quello che volevo dire è che c'erano molti brigatisti rossi - e non la maggioranza - che provenivano dal PCI. Del resto non si può essere precisi, dal momento che su cinquantamila brigatisti in realtà ne hanno arrestai solo cinquemila e quindi, ripeto, come si può fare questo ragionamento! Però, se mi si consente, l'ideologia era quella, che poi coincidesse con quella dei cattolici integralisti per alcuni versi... si trattava comunque di un fenomeno terribile!
DE LUCA Athos. Non le pare, avvocato De Gori, una contraddizione che nello scenario che lei ci ha descritto secondo il quale tutti all'interno della Democrazia cristiana volevano di fatto salvare Moro ci si sia ridotti dopo 55 giorni di sequestro a discuterne solo formalmente?
DE GORI. La mia spiegazione è la seguente, anche se non so se sia condivisa dagli amici della Democrazia cristiana: si pensò dì non tenere immediatamente il Consiglio nazionale per evitare di dover prendere una posizione di fermezza e quindi di affrettare i tempi sperando che le nostre forze dell'ordine potessero salvare Moro.
DE LUCA Athos. Un'ultima questione, lei ha suscitato la curiosità di tutti parlando di una villa alla periferia di Firenze. Lei è stato in questa villa, ha partecipato agli incontri? Mi sembra che lei abbia parlato di una riunione svoltasi in questa villa di cui però non conosceva il proprietario.
DE GORI. No, senatore De Luca, non ho assolutamente detto questo.
PRESIDENTE. Senatore De Luca, l'avvocato De Gori ha dichiarato che a lui risulta che l'esecutivo delle Brigate rosse si fosse riunito per un certo periodo in una villa alla periferia di Firenze di cui non conosce il proprietario.
DE LUCA Athos. Lei sa dove è questa villa, avvocato De Gori?
DE GORI. Edoardo Di Giovanni mi disse che era una villa alla periferia di Firenze ma non so altro, non faccio il poliziotto. So che poi la sede delle riunioni fu trasferita a Rapallo. In ogni caso ho consegnato al Presidente di questa Commissione tutti i dati in mio possesso alla luce dei quali credo che si possa formulare un'analisi. Va inoltre considerato che le Brigate rosse hanno anche detto delle bugie ed il grosso errore fu quello di lasciarli parlare liberamente; se avessero seguito le mie indicazioni e li avessero fatti parlare come io valutavo opportuno e cioè dando come premessa che i brigatisti riconoscessero la sconfitta militare...
PRESIDENTE. Ringrazio il nostro audito, avvocato De Gori, e dichiaro conclusa la seduta.
La seduta termina alle ore 21,15.