Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

28ª SEDUTA

MERCOLEDI’ 21 GENNAIO 1998

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
BOZZO
BONFIETTI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore
DE LUCA Athos (Verdi-l'Ulivo), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
GUALTIERI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore
PALOMBO (AN), senatore
TASSONE (Misto Cdu), deputato

 

La seduta ha inizio alle ore 20,10.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito l'onorevole Gnaga a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

GNAGA, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 6 novembre 1997.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale intende approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

Informo che, in data 4 dicembre 1997, il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione il senatore Carmine De Santis in sostituzione del senatore Cirami, dimissionario.

Comunico infine che il senatore Francesco Cossiga ha restituito, debitamente sottoscritto, ai sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, il resoconto stenografico della sua audizione svoltasi il 6 novembre 1997, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.

 

MODIFICA DEL REGOLAMENTO INTERNO DELLA COMMISSIONE

PRESIDENTE. Colleghi, al primo punto dell'ordine del giorno abbiamo una proposta di modifica del Regolamento il cui testo è stato distribuito a tutti voi. E’ una proposta che l'Ufficio di Presidenza ha approvato all'unanimità; in buona sostanza è una modifica del nostro regolamento interno che riguarda i resoconti stenografici.

Voi sapete che gli stenografici delle sedute vengono redatti immediatamente, collazionati dall'ufficio in forma ancora provvisoria, poi inviati agli audiendi, dagli audiendi corretti e quindi assumono la loro veste definitiva. Vengono pubblicati sempre a fine legislatura. Altre Commissioni d'inchiesta invece seguono un criterio diverso, cioè pubblicano immediatamente i resoconti provvisori. La modifica del regolamento che noi abbiamo proposto come Ufficio di Presidenza all'unanimità tenderebbe a farci uniformare a questa prassi, che tutto sommato dà una maggiore trasparenza, una maggiore accessibilità all'attività della Commissione nella logica che almeno questa Commissione e l'Antimafia tendono a istituzionalizzarsi. Quindi forse non è il caso di attendere la fine della legislatura per procedere alla pubblicazione dei resoconti.

Ricordo che la modifica del regolamento presuppone il numero legale. Pongo quindi ai voti la seguente proposta di modifica dell'articolo 13:

All'articolo 13, sostituire il comma 4 con il seguente:

"4. I resoconti stenografici delle sedute della Commissione sono pubblicati, senza ritardo, in edizione provvisoria. L'edizione definitiva è pubblicata negli atti parlamentari dopo la sottoscrizione del resoconto stenografico al sensi dell'articolo 18, comma 4, del presente Regolamento.".

La Commissione approva all'unanimità.

Prima di passare al secondo punto all'ordine del giorno do il benvenuto al collega De Santis. Poco fa avevo annunciato la sostituzione del senatore Cirami che ha dato un buon contributo alla Commissione. Mi auguro che il collega faccia lo stesso e possibilmente di più. Spesso abbiamo una non grande presenza alle sedute della Commissione. Gli Uffici di Presidenza allargati risultano più frequentati della Commissione.

 

INCHIESTE SU STRAGI E DEPISTAGGI E SUL CASO MORO: AUDIZIONE DEL GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI NICOLO' BOZZO

PRESIDENTE. E’ con noi il generale Bozzo, che ringrazio della sua presenza e quindi possiamo dare inizio alla sua audizione. Noi, generale, la audiamo per un filone delle nostre inchieste che riguarda, in particolare, il terrorismo di sinistra. Naturalmente non è escluso che alcuni membri di questa Commissione possano rivolgerle delle domande che riguardano anche altre inchieste di cui la Commissione è investita. In particolare la collega Bonfietti, che mi ha segnalato una sua urgenza (deve poi andare via), le formulerà subito una domanda che riguarda l’inchiesta su Ustica non appena avrò finito questa breve introduzione.

Nella scorsa legislatura noi abbiamo ritenuto opportuno fare dell'intero fenomeno del terrorismo rosso l'oggetto specifico di una valutazione complessiva. Questo ha causato, almeno nella pubblicistica, qualche perplessità. Si è detto che non ci sono elementi probanti o indiziari che fanno pensare che il grande tema delle stragi insolute possa rimandare al terrorismo rosso. Osservammo allora che in realtà questa è anche una Commissione d'inchiesta sul terrorismo e il terrorismo rosso indubbiamente è stato uno dei fenomeni più imponenti che ha travagliato questo paese in un certo periodo della vita nazionale. Ci siamo avvalsi nella scorsa legislatura della consulenza specifica del professor Giorgio Galli e, sulla base anche di questi apporti consultivi e delle audizioni che facemmo, in una mia proposta di relazione ho ritenuto di poter affermare che, a mio avviso, le Brigate rosse e le altre formazioni dell'eversione di sinistra, Prima linea in particolare, fanno parte della storia della Sinistra italiana, cioè che sulla matrice politica di quella forma di terrorismo, almeno a mio avviso, la Commissione non avrebbe dovuto nutrire dubbi. Rilevavo in quella proposta di relazione che indubbiamente nell'azione di repressione del terrorismo rosso da parte dei vari apparati di sicurezza dello Stato si notavano l'alternarsi di momenti di intensità estrema, di successi importanti, ma poi anche momenti di stasi, di cadute di tensione, in particolare nel periodo 1975-1976, quando sembrava quasi che gli apparati di sicurezza ritenessero il terrorismo rosso completamente debellato e non si diede quindi quel colpo finale che avrebbe probabilmente impedito la grossa riorganizzazione che ci fu fra il 1976 e il 1977 e quindi poi una ripresa del terrorismo che culminò con il sequestro Moro. Avanzavamo quindi, non come un giudizio definitivo in quella proposta di relazione ma come un'ipotesi probabile, che ci potesse essere stato un qualche cosa di voluto in questa logica che definivamo dello stop and go.

In questa legislatura la Commissione sta facendo una serie di verifiche intorno alle ipotesi ricostruttive che sono in quella proposta di relazione, che non è stata ancora posta ai voti e anzi la Commissione, in un ordine del giorno che è stato approvato a larga maggioranza, ha ritenuto che fosse necessario proseguire nell'inchiesta, proprio al fine di verificare entro quali limiti le conclusioni a cui giungeva quella proposta di relazione meritassero o non meritassero approvazione o comunque meritassero correzione e aggiornamento. Abbiamo seguito anche una linea diversa nell'indicazione dei consulenti. L'Ufficio di Presidenza ha ritenuto che fosse giusto che, proprio perché ci muovevamo in una logica di verifica, fossero le diverse forze politiche a dare indicazioni sui nomi dei consulenti. Con particolare riferimento al terrorismo di sinistra, abbiamo dato un incarico di consulenza al dottor Carlo Nordio, che fu uno dei magistrati che all'epoca si impegnò, come molti altri, intensamente nel contrasto al terrorismo di sinistra. Il dottor Carlo Nordio - lo dico per i colleghi che non hanno avuto occasione ancora di leggerlo - ha depositato un lungo elaborato in cui concorda con la matrice ideologica delle Brigate rosse, di Prima linea, delle altre formazioni che genericamente possiamo considerare facenti parte del terrorismo di sinistra. Rileva anche lui che vi sono stati momenti di caduta nel contrasto degli apparati di sicurezza al fenomeno del terrorismo rosso; esclude però, a suo avviso, che ci possa essere stato dietro questo una regia. Lascia però aperto e ancora non risolto un problema: se invece almeno in parte non possano ritenersi volute una serie di debolezze, momenti di disorganizzazione, momenti di inefficienza estrema nella risposta al terrorismo rosso nell'episodio specifico del sequestro dell'onorevole Moro. Quindi direi che almeno su due dei quesiti che io gli avevo posto la risposta del dottor Nordio è stata nel senso di confermare la proposta di relazione, cioè sulla matrice ideologica di questa forma di terrorismo e sull'esistenza di momenti di caduta in una risposta, che pure nel complesso è stata efficace, degli apparati di sicurezza. Non collima la valutazione della consulenza del dottor Nordio con la mia proposta di relazione nella probabilità che la logica di stop and go sia stata un fatto voluto e invece lascia aperto, così come lasciavo sostanzialmente aperto nella proposta di relazione io, questo problema del se però una valutazione negativa più intensa possa darsi per quello che riguarda la risposta al terrorismo di sinistra durante il sequestro Moro.

Direi che soprattutto in questa legislatura noi stiamo cercando di muoverci su quello che possiamo chiamare il territorio di confine dell'eversione di sinistra e in particolare su quelli che possono essere stati i contatti fra terrorismo di sinistra e segmenti di settori istituzionali dello Stato oppure segmenti di settori di apparati di sicurezza stranieri e di intelligence straniera. Nella proposta di relazione in particolare ho ricordato un brano di Curcio, il quale non ha escluso affatto che questi contatti ci siano stati, ma, sia pure attraverso espressioni direi quasi letterarie, però di indubbia efficacia, ha detto che ancora non si riescono a trovare le parole che possano descrivere questo particolare rapporto della storia delle Brigate Rosse e del potere, che poi secondo lui sarebbe la vera storia degli anni 70.

Noi, generale Bozzo, abbiamo voluto sentirla perché indubbiamente lei è stato uno degli uomini dello Stato che in tutti questi anni ha parlato, direi, con maggiore franchezza, per lo meno per quelle che sono state le sue dichiarazioni in sede ufficiale (e poi ne richiameremo alcune: penso alla sua lunga deposizione al giudici Colombo e Turone per quello che riguardava l'inchiesta sulla P2), ma anche per dichiarazioni apparse recentemente sui giornali. Ecco, io mi auguro che questa franchezza lei voglia dimostrarla anche questa sera, semmai consentendoci ulteriori avanzamenti, anche perché recentemente ho visto che in sede giornalistica le è stata attribuita la dote di avere una memoria di ferro.

Io comincerò interrogandola in particolare per quello che riguarda la vicenda di via Monte Nevoso. Prima, però, per un impegno che avevo preso con la collega Bonfietti, con il permesso dei colleghi, vorrei dare la parola appunto alla stessa collega, che vuole rivolgerle invece, generale Bozzo, una domanda per quello che riguarda la vicenda di Ustica.

BONFIETTI. Signor Presidente, non vorrei spostare troppo l'attenzione, ma mi interessava che il generale Bozzo ripetesse anche a questa Commissione e quindi a tutti i commissari le dichiarazioni che già lui ha reso ad un quotidiano, il "Corriere della Sera", tempo fa, relative alla sua presenza il 27 giugno 1980 a Solenzara, in Corsica. Sappiamo tutti che quella base è interessata a questa vicenda in maniera particolare, per le dichiarazioni che abbiamo o che non abbiamo delle rogatorie internazionali che il giudice Priore ha compiuto anche nei confronti di quel paese, e mi interessava che venissero ripetute qui le sensazioni, le situazioni e l'atmosfera che il generale Bozzo ha vissuto in prima persona quella sera.

BOZZO. Premetto che mai ho svolto indagini dirette sulla questione di Ustica. Come ci sono entrato in questa questione? Indirettamente. Nel 1990 o 1991, se non vado errato, comandavo la legione di Catanzaro, quando è venuto da Roma in Calabria un gruppo di magistrati, che indagavano e indagano tuttora sulla tragedia di Ustica, per fare degli accertamenti su quel Mig libico che è caduto in provincia di Cosenza il 18 luglio 1980. Premetto ancora che, appena arrivato a Catanzaro nel 1989, io per curiosità, tenuto conto che se ne parlava ancora di questo Mig libico, mi sono letto tutti gli atti, riportando la convinzione che effettivamente il Mig libico, almeno secondo quanto risultava dagli atti del comando legione carabinieri di Catanzaro (i carabinieri peraltro sono quelli che sono intervenuti in luogo), effettivamente era caduto il 18 luglio. Ed è finita lì. Arrivano questi magistrati, io li accompagno, essi fanno i loro accertamenti, dopo di che si riuniscono nella sede del comando compagnia di Crotone, per fare il punto della situazione. Io accenno a ritirarmi, ma loro mi dicono di rimanere, di stare lì con loro; così mi sono messo in un angolo ad ascoltare quello che dicevano. Hanno formulato tante ipotesi e fatto molte considerazioni, fra queste, ce n'è stata una che mi ha colpito in modo particolare: e cioè quella che riguardava i francesi; un magistrato, infatti, ad un certo momento pronunciò una frase di questo tenore: "Ma i francesi hanno smentito di aver svolto con la loro aeronautica militare attività di volo nel pomeriggio del 27 giugno 1980"; allora mi è venuto spontaneo affermare: "Ma non è vero questo!", e mi hanno guardato come se stessi scherzando, ma io ho risposto che non scherzavo affatto, in quanto il 27 giugno 1980 mi trovavo in Corsica. Dopo quasi due anni di servizio ininterrotto, dall'estate 1978 sino al giugno 1980, avevo chiesto al generale Dalla Chiesa quindici giorni di licenza, che lui mi aveva concesso quasi offendendosi (avevo infatti chiesto ben quindici giorni!). Di questi quindici giorni ne ho passati metà a Vienna con la mia famiglia e quella di mio fratello e metà in Corsica. Siamo arrivati in Corsica (Bastia) la mattina del 26 giugno 1980, ci siamo recati a Saint Florent ove abbiamo dormito la sera del 26 (me lo ricordo perfettamente; non è una questione di memoria di ferro, perché il mio povero fratello, che è morto lo scorso anno, era uno che scriveva tutto, teneva un diario e quindi, sulla scorta di quel diario, la memoria almeno su quegli avvenimenti era ed è sempre "fresca"). La mattina del 27 giugno ci trasferimmo a Solenzara perché mio fratello già conosceva quella località, era molto bella per chi ama il mare ed era a pochi chilometri dall'aeroporto militare (mio fratello era anche un appassionato di cose militari) e mi invitò ad andare con lui a vedere l'aeroporto ove avremmo potuto osservare aerei NATO, di nuovo tipo. Infatti nel pomeriggio (saranno state le 16-16,30) siamo andati a fare il bagno proprio a due passi dalla base e c'era un viavai incredibile di aerei. Erano aerei "Phantom" e "Mirage". I "Phantom" erano tedeschi e belgi, e i "Mirage" francesi. Verso le 19 mio fratello mi disse: "Ti porto a mangiare la pizza in un posto dove la fanno alla napoletana". Questa pizzeria era attaccata all'aeroporto, siamo entrati e, stranamente, alle 19 era vuota, non c'era nessuno. Il gestore ci disse: "Guardate non è possibile perché è tutto prenotato. I piloti della base arriveranno fra poco, mangiano un boccone e scappano perché hanno fretta". Ci hanno quindi mandato via. Siamo tornati in albergo dove abbiamo cenato, poi siamo andati a dormire e il via vai continuava. Io avevo bisogno più di ogni altra cosa di dormire perché avevo passato due anni terribili tra il 1978 e il 1980 e invece la cosa è andata avanti fino quasi a mezzanotte. L'indomani mattina sono sceso e sono andato da mio fratello e gli ho detto: "Io qui non ci sto, me ne vado, non è possibile stare in un posto del genere a due passi da un aeroporto. Gli aerei fanno un rumore terribile". Lui mi ha risposto: "No, io vengo qui già da due anni, sarà un fatto eccezionale". Siamo andati dalla proprietaria dell'albergo. Anche la signora era mortificata e ci ha detto: "Forse è probabile che li abbiano chiamati perché è caduto un vostro aereo. Sui giornali c'è qualcosa sulla scomparsa di un aereo e forse hanno partecipato alle ricerche". Siamo quindi rimasti per una settimana, tranquillamente, perché l'attività volativa terminava verso le ore 15.

Questa mia dichiarazione è stata verbalizzata dai magistrati; prima che sentissero me ho chiesto che ascoltassero mio fratello perché egli, addirittura, nel suo diario allegava anche le ricevute degli alberghi e quindi ha portato testimonianza inconfutabile di essere stato effettivamente a Solenzara il 27 giugno 1980. Non è vero quindi quello che hanno detto i francesi; non solo: mio fratello ha scattato anche delle fotografie e quindi posso dire che i francesi, e non solo loro, quel giorno hanno volato fino a tardi.

PRESIDENTE. Da che ora è iniziata questa attività volativa dall'aeroporto?

BOZZO. Al mattino già volavano ma nel pomeriggio hanno intensificato l'attività.

BONFIETTI. Lei ha detto alle ore 16.

BOZZO. Alle 16 siamo andati in spiaggia, proprio vicino alla base fino alla rete oltre la quale non si poteva passare e mio fratello ha scattato alcune foto.

BONFIETTI. I colleghi della Commissione che hanno letto le carte lo sanno, si è sempre sostenuto nelle rogatorie che sono state fatte dal giudice Priore che il radar di Solenzara alle 17 chiudeva ogni attività e non faceva niente altro. Per questo volevo che ci confermasse questa sua vicenda.

BOZZO. Lo confermo sicuramente perché tra l'altro non c'era solo mio fratello, c'era anche mia cognata, c'era mio figlio, c'era mia moglie e quella sera abbiamo avuto dei problemi che sono però terminati - attenzione - quella sera stessa.

BONFIETTI. Questo era importante sapere.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor generale, per la franchezza e per la memoria che indubbiamente è notevolissima. Volevo farle su questo argomento un'altra domanda: lei ha detto prima di aver riguardato tutta la documentazione sulla caduta del Mig. Con sincerità, che impressione ne ha tratta? Nella scorsa legislatura dedicammo due o tre audizioni a questa vicenda del Mig e devo dirle francamente che lo ne ebbi un'impressione estremamente negativa nel senso - sono un vecchio avvocato - che credo che se una persona con un ciclomotore avesse urtato contro un pilastro in autostrada gli accertamenti immediati si sarebbero fatti con più cura, si sarebbe fatta una piantina, si sarebbero identificati i luoghi dove stavano i reperti. Addirittura mi colpì un verbale, vado a memoria, non vorrei dire che fosse un uomo dell'Arma ma probabilmente lo era, di una persona che disse: "sono arrivato per primo sul luogo del disastro e ho visto un militare che risaliva dalla forra con in mano un pezzo dell'aereo". Questo mi fa pensare che perlomeno era arrivato per secondo, visto che uno lo aveva trovato già lì. L'atmosfera complessiva quindi era una specie di happening dove tutti arrivavano, qualcuno prendeva un pezzo, qualcuno prendeva un ricordo. Mi è sembrata una vicenda gestita molto male, in maniera molto superficiale. Qual è la sua impressione?

BOZZO. La mia impressione è che inizialmente vi sia stato un conflitto di competenza territoriale, perché eravamo a cavallo del confine fra le province di Cosenza e di Catanzaro, ma come Arma addirittura sono tre i comandi territoriali che si incrociano, per cui prima è intervenuto un comando territoriale, poi riconosciuto che non era sua competenza, ha passato la questione ad altro comando territoriale e così si è perso tempo. Sono assolutamente d'accordo con lei nel giudizio negativo su come sono state condotte le indagini. C'è stata molto superficialità e soprattutto è stato lasciato troppo spazio ad una commissione che è venuta da Roma con ufficiali dell'aeronautica e dei Servizi e da quel momento la polizia giudiziaria ha fatto quattro passi indietro. Se io fossi stato comandante all'epoca non sarebbe successo quello che è successo. Basti pensare che nel 1990-1991 c'erano ancora molti pezzi dell'aereo nel canalone perché l'Arma di fronte a questa commissione composta da "altissimi" personaggi si è tirata indietro e quindi non si sono più preoccupati di scendere nel canalone a fare le verifiche. Tutto il materiale doveva essere repertato ed invece abbiamo trovato ancora parecchi frammenti dentro il canalone.

TASSONE. Signor Presidente volevo fare una domanda al generale Bozzo. Nel 1990-1991 egli comandava la Legione dei carabinieri di Catanzaro che ha competenza regionale. L'aereo libico è stato trovato nella ex provincia di Catanzaro, attualmente provincia di Crotone, in zona di Castelsilano. Sappiamo anche dalle carte, ma soprattutto dalla storia, che il generale Bozzo era un ufficiale ed era un comandante in quel caso molto attento, molto puntuale e soprattutto aveva instaurato nella Legione dei carabinieri di Catanzaro delle regole rigide anche nel confronti dei suoi dipendenti per cui ogni cosa passava attraverso il colonnello Bozzo. Signor generale, lei sa che subito dopo il ritrovamento dell'aereo libico ci fu una polemica molto vivace in Calabria sulla data della caduta dell'aereo stesso ma soprattutto c'è stata una serie di polemiche su alcuni referti e alcuni rapporti di medici locali di Crotone. Non riesco a capire allora se l'Arma dei carabinieri fu espropriata oppure se i comandi provinciali o la compagnia che dipendeva dalla provincia di Catanzaro e quindi dal comandante di gruppo, furono espropriati da parte di altre autorità oppure si vi fu una disattenzione dei magistrati, oppure ancora come si evince da alcune perplessità che posso avere, se anche nell'Arma dei carabinieri qualcosa non ha funzionato visto che ci fu una polemica sui giornali locali di Crotone circa false dichiarazioni di alcuni medici che furono partecipi al ritrovamento e che avevano il compito di fare il referto sul cadavere del pilota libico.

BOZZO. Ha ragione, indubbiamente c'è stata superficialità all'inizio delle indagini, però io non sarei totalmente colpevolista con l'Arma locale perché poi le indagini furono assunte dal reparto operativo di Catanzaro, che allora era provincia unica e quindi sono intervenuti gli organi investigativi del comando provinciale. Ripeto, io non c'ero quando è successo il fatto; sono arrivato nove anni dopo e sono andato a leggermi quegli atti. Sono rimasto molto perplesso perché le indagini sono state fatte male, secondo me, anche da parte della magistratura perché non si doveva lasciare tutto ad un pretore onorario. Il procuratore della Repubblica doveva intervenire di persona subito, a mio avviso. Giustifico in parte l'operato dei carabinieri, almeno parlando con quei pochi che erano ancora sul posto, perché sono arrivati subito da Roma. Infatti quando succede un fatto del genere noi facciamo tempestivamente la segnalazione che arriva a Roma a volte prima che noi arriviamo sul posto. Quindi questa Commissione è arrivata, se non erro, all'aeroporto di Crotone con una aereo militare. Dopo di che hanno proseguito per la località indicata; era un aereo militare straniero e quindi una "operazione" di competenza della sicurezza anche a livello internazionale.

TASSONE. Ci furono degli interventi da parte dei servizi segreti, visto che lei ha avuto anche rapporti con i servizi segreti?

BOZZO. Mi risulta che ci fosse personale del Sios Aeronautica.

GUALTIERI. Volevo solo chiedere se risulta dalle carte quanto segue. Di recente l'allora capo della stazione Cia in Italia, se non sbaglio Clarridge, ha dichiarato che lui o suoi ufficiali, adesso non ricordo, andarono a visitare i rottami dell'aereo cinque giorni prima della data ufficiale del ritrovamento: questo è nelle dichiarazioni del capo della Cia. Le chiedo se i carabinieri possono dalle loro carte e confermare questa tesi. La dichiarazione del Capo della Cia è diventata poi oggetto anche dell'indagine del giudice Priore, perché credo sia stata oggetto di una rogatoria. Clarridge ha ripetuto anche in un libro e in successive dichiarazioni che la Cia avrebbe visitato i rottami dell'aereo cinque giorni prima della data ufficiale del ritrovamento. Volevo dire questo per non riaprire adesso tutta la questione.

BOZZO. Se non ricordo male, dagli atti della documentazione dell'Ufficio operazioni del Comando legione di Catanzaro, almeno all'epoca questo non risulta. Dalle carte risulta che l'aereo è caduto proprio il 18 di luglio, ci sono testimonianze anche di civili che quanto meno hanno sentito; c'è qualcuno che ha visto quell'aereo, eccetera. Poi le mani sul fuoco io non le metterei; certamente, considerate tutte le circostanze, non lo so... però da quello che ho letto all'epoca è da escludere che l'aereo sia caduto prima del 18 luglio. Questa è la mia impressione, ma le mani sul fuoco non le metterei.

PRESIDENTE. Passiamo a via Monte Nevoso. In una sua recente intervista su "Panorama" c'è il brano che le leggo: "Dalla Chiesa viene richiamato in servizio a tempo pieno dopo l'uccisione di Moro". Questo è uno dei punti su cui io mi sono fermato in quella proposta di relazione di cui le parlavo, perché ho notato che mentre in cinquantacinque giorni il covo dove Moro era tenuto prigioniero, che con ogni verosimiglianza era a Roma, non viene rintracciato, qui invece in brevissimo tempo il generale Dalla Chiesa riesce a rintracciare l'appartamento di Milano dove stavano le carte di Moro; questo era un fatto che mi aveva colpito. Devo dire che oggi in parte correggerei, per quello che dirò fra poco, questa mia valutazione. Ritorno all'intervista: Dalla Chiesa viene richiamato in servizio a tempo pieno dopo l'uccisione di Moro, rinasce il Nucleo antiterrorismo, e così lei continua: " ... infatti ci mettemmo al lavoro subito". Domanda il giornalista: "Con l'apporto di infiltrati?". La sua risposta è: "Non proprio, ma con un lavoro di primissima qualità riuscimmo ad individuare a Milano il covo di via Monte Nevoso, la sede del vertice delle Brigate rosse".

La ragione per cui io ho proposto all'Ufficio di Presidenza la sua audizione, e avrei anche voluto sentire il generale Morelli (ma purtroppo il figlio del generale Morelli ci ha scritto che il padre non è in condizioni fisiche di reggere ad una audizione), riguarda proprio questo lavoro di primissima qualità. Infatti, negli atti ormai sterminati di cui questa Commissione è in possesso, ho rintracciato quattro versioni diverse del modo in cui si arriva a via Monte Nevoso. C'è innanzitutto una versione del generale Morelli nel libro "Anni di piombo", che devo dire francamente - ecco perché avrei voluto sentire il generale Morelli - a me sembra inverosimile: "Le investigazioni presero l'avvio da un mazzo di chiavi trovate occasionalmente a Firenze verso i primi del luglio 1978 su un autobus e consegnate ai carabinieri del Nucleo cinofilo di quella città. Erano state perdute dal rapinatore di una banca che, sceso dall'autobus sul quale, armato, aveva terrorizzato i passeggeri, era scomparso a bordo di una vespa color rosso in attesa nei pressi della fermata". Quindi si deduce che sulla vespa ci fosse qualcun altro, forse un complice. "La sezione speciale anticrimine della città toscana inviò le chiavi alla corrispondente legione di Milano" - non si capirebbe perché fanno questo, è spiegato in seguito - "unitamente ad una ricevuta di assicurazione di una vespa rilasciata da una società del capoluogo lombardo". Come vengono in possesso di questa ricevuta il generale Morelli non lo spiega; e perché questa ricevuta rimandi poi a quella vespa di colore rosso, non lo spiega: "Dopo incessanti controlli e verifiche nella zona di Milano ( ... ) le indagini si spostano nella zona di Lambrate, dove da qualche giorno era stata notata una vespa di colore rosso che risultava rubata da circa un anno". Che questa vespa di colore rosso si sposti da Firenze a Milano, è un'altra cosa che mi lascia perplesso. "Batti e ribatti, prova e riprova, finalmente le fatiche immani e il tenace lavoro di oltre un mese compiuti da due ufficiali vennero premiati. Una delle chiavi rinvenute a Firenze entrava nella toppa del portone di un edificio di via Monte Nevoso". Questo farebbe pensare che i carabinieri con queste chiavi tentassero di aprire tutti i portoni della zona di Lambrate: io non sono un esperto di indagini di polizia, però mi sembra un poco strano. "Venne identificato quasi subito l'intestatario dell'appartamento nella cui serratura della porta la seconda chiave del noto mazzo si introdusse e girò facilmente, senza però riuscire ad aprirla: il ragionier Domenico Giola". Quindi, a questo punto, trovano una chiave che apre un portone, provano con l'altra chiave tutte le porte degli appartamenti, finalmente se ne trova uno ed è di Domenico Gioia. A questo punto un'azione di sorveglianza e qui il racconto ridiventa credibile - fa individuare come uno dei conducenti della vespa rossa rubata a Lambrate, che per qualche strano motivo era la stessa vespa dì Firenze, Lauro Azzolini. Questa è la prima versione.

Tenga presente che nella versione di Morelli si dice che non c'entra niente il fatto che Dalla Chiesa è diventato capo dell'antiterrorismo, quando gli vengono ridati i pieni poteri dopo la morte di Moro, perché "questo era un lavoro che noi avevamo fatto prima. Quindi, quando Dalla Chiesa diventa capo dell'antiterrorismo, noi sapevamo già che c'era via Monte Nevoso. E anzi, noi volevamo intervenire subito, invece il generale Dalla Chiesa ci fa aspettare tanto e tanto tempo (quindi fa una critica esplicita a Dalla Chiesa) perché se noi fossimo intervenuti prima, forse una serie di attentati delle Brigate rosse che si verificarono negli ultimi giorni di settembre non sarebbero avvenuti. Per qualche strano motivo che non riuscivamo a capire Dalla Chiesa ci fa aspettare a lungo, finché finalmente ci dà il via". Questo è un fatto che ha un suo rilievo perché nel processo Metropolis Bonisoli ha detto che le carte del sequestro Moro lui le porta a via Monte Nevoso pochi giorni prima del momento in cui Dalla Chiesa ordina il blitz, quindi sembra quasi che Dalla Chiesa stia aspettando le carte, che il pesce grosso che aspettava per tirare la rete fosse in realtà non solo un capo brigatista, ad esempio Moretti, ma in realtà stesse aspettando le chiavi. Questa è un'idea di Flamigni, che però io devo, per completezza di esposizione, riportare.

Dalla Chiesa, invece, viene sentito dalla Commissione Moro e dà una versione in parte diversa. "Tutto è nato", dice Dalla Chiesa "da un lavoro svolto nei riguardi di Azzolini. Infatti, lui aveva smarrito un borsello". Qui affiora questo borsello che poi verrà fuori anche in un'altra delle versioni e che comincia a dare una logica a quanto afferma Morelli, perché nel borsello probabilmente si possono trovare sia le chiavi sia la ricevuta della Vespa, che altrimenti non avrebbe una logica nella versione di Morelli "a Firenze nel luglio 1978, avendolo lasciato su un tram", della rapina qui non si parla più "Una vecchietta prese questo borsello, lo consegnò al conducente il quale vi guardò dentro, vide una pistola e si affrettò a consegnarlo alla stazione dei carabinieri di Castello di Firenze". Quindi non più all'unità cinofila, ma a quest'altra stazione. Naturalmente si mise in moto la sezione anticrimine di Firenze che mandò un certo brigadiere Negroni a Milano presso i colleghi della sezione anticrimine per cercare di stabilire, attraverso i documenti sequestrati, qualcosa che potesse ricondurre a questo signore. Dico a Milano perché c'era anche una carta di circolazione intestata ad un motociclo di marca Garelli (quindi la Vespa sparisce e viene fuori il motociclo) che risulta venduto a Milano. Si era appreso dalla concessionaria che quel nucleo di telaio era della ditta che vendeva questi motocicli a Milano. Il titolare di questi negozi di motocicli confessò di aver venduto quel motociclo senza registrarlo perché apparteneva ad uno stock di motocicli ormai scaduti e fuori del tempo e che non poteva, non avendo fatto un atto regolare di compravendita, mostrare chi poteva aver scritto il nome alla base di un atto. Sennonché intervenne il commesso e ricordò ai nostri militari che questo motociclo lo aveva visto in quella zona e che era disponibile ad accompagnarci esattamente nelle strade in cui il mezzo era stato notato. Era nella zona di Lambrate, perché anche il negozio mi sembra che graviti in quella zona.Una serie di appostamenti condusse verso la fine di agosto a stabilire che Azzolini, che evidentemente viene visto a bordo del motociclo, nella logica della versione di Dalla Chiesa, faceva capo ad un determinato palazzo. "Parlo di agosto, quando l'antiterrorismo da me diretto non esisteva; esisterà soltanto dal 10 settembre in poi. Se ne è parlato, è vero, i primi di agosto ( ... )", e continua questa versione. Quindi, il motociclo consente di individuare Azzolini ed è lui che porta a via Monte Nevoso, non le chiavi, consentendo di individuare il covo e di fare il blitz

Sempre agli atti della Commissione Moro è allegato invece un rapporto che i carabinieri fanno alla procura di Milano e in particolare al dottor Pomarici. Qui viene data una versione completamente diversa dell'individuazione del covo, perché si afferma: "alcuni nostri militi notavano un individuo sui trent'anni nella stazione della metropolitana a Lambrate, alto, con barba e borsello. Il comportamento di questo giovane è sospetto perché sembra avere fretta, però poi quando arriva davanti alla metropolitana la lascia passare per due volte, salendo solo la terza volta. Il giovane in questione veniva notato una settimana dopo, verso la metà di settembre, e successivamente perso di vista, mentre transitava sempre ad andatura veloce in questa piazza Bottini. Anche in quella occasione il borsello (quindi qui riemerge il borsello) che portava con sé si presentava gonfio ed indubbiamente pesante in relazione anche al segno lasciato dalla cinghia sull'indumento all'altezza dell'omero". Questo giovanotto sospetto viene seguito e monitorato, viene riconosciuto per Azzolini Lauro, i cui dati fisici salienti richiamavano quelli del giovane sospetto: alto più di 180 centimetri, corporatura atletica, viso magro, naso affilato. Azzolini viene seguito ed egli porta a via Monte Nevoso consentendo di individuare l'appartamento del ragioniere Gioia.

Questa è la terza versione. La prima era di Morelli, la seconda di Dalla Chiesa e quest'ultima dei carabinieri che scrivono a Pomarici.

Sempre agli atti del processo Moro, però, esiste una quarta versione, che la questura di Roma trasmette all'ufficio istruzioni presso il tribunale di Roma trascrivendo un telex ricevuto dalla questura di Milano: "Alle ore 9,50, 1° ottobre, militari Arma carabinieri, seguito notizie confidenziali, localizzavano base operativa brigate rosse in questa via Pallanzia n. 16 ( ... )".

Lei capirà che dì fronte a queste quattro versioni la mia domanda è consequenziale: qual è la quinta versione che probabilmente ci dirà la verità, visto che ormai è passato tanto tempo e forse i motivi di riservatezza che c'erano allora oggi sono venuti meno? Oppure, quale di queste quattro versioni è vera? Il contrasto mi sembra evidentissimo, colpisce anche l'attenzione di un non esperto di indagini giudiziarie come chi parla.

BOZZO. Le quattro versioni riduciamole a due. Togliamo quella della questura di Roma, perché evidentemente ha ricevuto notizie da quella di Milano al di fuori della realtà. Poi tra l'altro si tratta di un messaggio molto sintetico. Togliamo anche la versione del generale Morelli, il quale allora era il mio superiore diretto, era il capo di stato maggiore della divisione. Quel poco che sapeva glielo dicevo io. Perché quel poco e non tanto? Perché il generale Morelli è una bravissima persona, però è un uomo al quale piace scrivere. Quindi chiedeva sempre qualcosa, qualche particolare in più per poter poi trarre elementi per scrivere libri. Egli ha commesso molti errori, anche se grosso modo si avvicina alla verità. Tra le quattro versioni c'è quella dei carabinieri di Milano. Non sono i carabinieri di Dalla Chiesa che scrivono a Pomarici, perché questi ultimi non facevano rapporti. Noi non facevamo rapporti, non svolgevamo attività burocratiche di polizia giudiziaria, perché altrimenti ci identificavano. Avremmo dovuto andare a deporre davanti al magistrato e se ci vedevano in aula era finita. I rapporti e gli atti di polizia giudiziaria venivano redatti dal reparto investigativo al quale ci appoggiavamo. Ma, in quel periodo, purtroppo, si è verificata una frattura tra l'Arma di Milano e i reparti di Dalla Chiesa; una frattura che poi è quella che porta all'inconveniente della perquisizione fatta male in via Monte Nevoso. I carabinieri di Milano riferiscono solo quello che risultava loro in quanto chiamati a collaborare con noi perché avevamo bisogno di personale. Noi eravamo pochi, eravamo 180 in tutta Italia. Avevamo bisogno di personale e ci hanno concesso degli uomini. Questi sono entrati nell'operazione quando già Azzolini era stato localizzato ed individuato e difatti riferiscono solamente quello, pur sapendo come sono andate le cose. Ciò perché i loro superiori gli dissero che il resto non li doveva interessare e di riferire solamente quanto gli risultava. Questo è il motivo.

Le cose sono andate grosso modo come ha detto Dalla Chiesa, però quest'ultimo è stato nominato il 10 settembre (lo dice lui) dopo un lungo periodo trascorso quale responsabile della sicurezza degli istituti di prevenzione e pena. Quindi era fuori dal "giro" dell'antiterrorismo; aveva un buco di due anni. Quando l'hanno chiamato a deporre la prima volta è stato un dramma. Abbiamo dovuto scrivergli tutto, fargli delle lezioni. Io addirittura gli ho preparato dei quadri sinottici. Lui cosa avrebbe dovuto fare? Andare in Commissione e leggere quello che noi gli avevamo preparato. Invece voleva sempre parlare a "braccio" e si rifiutava di leggere quello che i suoi collaboratori, che avevano vissuto l'operazione giorno per giorno, prima e dopo di lui, gli avevano preparato. No, lui doveva parlare a "braccio" e ha commesso qualche piccola imprecisione.

Come è andato il fatto? Era l'epoca dei borselli. Qualcuno sorride dal momento che si dice che si trovavano troppi borselli. Ma perché si trovavano i borselli? Perché questi contenevano anche le armi individuali. Noi facevamo dei controlli sugli autobus, sul treni; effettuavamo delle perquisizioni. Se c'era il brigatista con il borsello questi lo metteva sotto il sedile e scendeva, quando veniva perquisito, non veniva fuori niente. Soltanto dopo si trovava il borsello con la pistola. Ecco cosa è successo a Firenze. Tra l'altro, in quel borsello c'era anche la ricevuta dell'appuntamento di un dentista di Milano e la ricevuta dell'assicurazione di un motociclo. Io non ho mai saputo niente di una Vespa, se l'è inventata il povero generale Morelli. Questo motociclo era stato prodotto a Bologna e poi inviato ad un fornitore di Milano. Compiendo indagini presso questo fornitore, è emerso che l'aveva acquistato un giovane della zona. Avevamo trovato anche delle chiavi nel borsello e allora la zona, come ha detto lei, Presidente, è stata controllata palazzo per palazzo, casa per casa, portone per portone: di notte andarono a provare le chiavi per giorni e giorni, fintanto che si riuscì ad aprire un portone. Allora lo mettemmo sotto vigilanza (più precisamente definito servizio di o.c.p., osservazione, controllo e pedinamento) e trovammo questo giovane che ci era stato vagamente descritto da quel concessionario e da lì è nato il fatto. Questo giovane è stato identificato come Azzolini il 31 agosto, mi sembra, quando Dalla Chiesa effettivamente non aveva ancora assunto il pieno comando dei reparti antiterrorismo, ma era già stato investito dal Governo dal 10 agosto e quindi già ci contattava. Ecco come sono andate le cose. Diciamo che la versione più attendibile è quella di Dalla Chiesa, seppure con delle imprecisioni, dovute al fatto che lui voleva riferire a voce su avvenimenti che non aveva vissuto, mentre avrebbe potuto benissimo leggere alla Commissione il documento che gli avevamo preparato e allora non ci sarebbero state queste imprecisioni. Sgombriamo invece il campo dagli altri, perché per esempio con l'Arma di Milano ci sono stati contrasti molto seri, che poi hanno condotto a quella perquisizione di via Monte Nevoso non eseguita bene. Vogliamo ora parlare di questo articolo?

PRESIDENTE. No, vorrei soffermarmi ancora su via Monte Nevoso. Vorrei chiedere a lei, che collaborava dal 10 settembre, da quando Dalla Chiesa riprese il comando dell'antiterrorismo, perché il generale aspettò tanto? Qual era il pesce grosso da prendere prima di tirare le reti? E’ questa infatti l'espressione utilizzata da Dalla Chiesa quando venne ascoltato dalla Commissione Moro.

BOZZO. Quella del pesce grosso...

PRESIDENTE. Oppure la dice Morelli, forse non ricordo bene.

BOZZO. Non so se l'abbia detto Dalla Chiesa o Morelli. Morelli è meglio... ha scritto un libro, aveva voglia di farlo, gli piaceva, mi ha messo a perdere perché gli fornissi elementi. Dunque, io informai Dalla Chiesa di questa operazione il 10 agosto a Roma, perché in quella data lui convocò tutti i capi dell'antiterrorismo - eravamo in tre, uno a Milano, uno a Roma e uno a Napoli - nel suo ufficio di coordinatore dei servizi di sicurezza di prevenzione e pena. Mi chiese cosa stavo facendo a Milano e gli dissi che stavamo conducendo un'operazione che forse poteva portare a qualcosa di "solido". Lui mi ascoltò e mi disse di tener presente che non bisognava andare a cercare il covo o il covetto, ma poiché eravamo pochi dovevamo cercare i capi. Se volevamo risolvere il problema e tagliare il fenomeno alle radici, dovevamo catturare i vertici quando si riunivano: era quello il suo obiettivo, cioè sorprendere una direzione strategica in riunione, fare un'irruzione e catturarli tutti. In modo sottinteso, mi fece capire che queste piccole operazioni erano di mia competenza, che me le dovevo gestire io e non lui. D'altra parte io non gli avevo detto di Azzolini e di altre cose. Poteva trattarsi di un covo, che il 10 agosto era stato abbandonato perché in agosto a Milano, almeno all'epoca, si andava in ferie e quindi se fossero rimasti in un appartamento avrebbero dato nell'occhio. Perciò andarono via anche loro: sparirono i primi di agosto e tornarono il 31, come ogni buon milanese, e la cosa è morta lì.

Io cominciai ad informarlo quando identificammo Azzolini: al generale però dissi non che era certamente Azzolini, ma che poteva trattarsi di lui. Allora - ed eravamo già ai primi di settembre - il generale cominciò a dimostrare un certo interesse. Però io già in precedenza avevo ricevuto da lui un incarico, a cui egli teneva in modo particolare, cioè quello derivante dal famoso caso Viglione, Frezza e senatore Cervone, che poteva portarci alla cattura della direzione strategica delle Br, perché questo personaggio, che contattava il giornalista Viglione, aveva promesso che se la direzione strategica stessa si fosse riunita in una villa di Salice Terme ci avrebbe informato. Io non ho mai creduto a questa notizia, anzi ero molto scettico per un semplice motivo, perché questo personaggio che contattava Viglione era descritto come una persona anziana. Ma nelle Brigate rosse non ci sono mai stati anziani: il più anziano era Curcio, che era del 1941 e quindi nel 1978 aveva 37 anni. Questa invece era una persona di oltre 50 anni ecco perché ero molto scettico. Dalla Chiesa cambiò completamente opinione quando gli dissi che c'era la Mantovani in giro a Milano e che frequentava via Monte Nevoso, perché la Mantovani era entrata in clandestinità dal soggiorno obbligato ed era stato un caso clamoroso che aveva negativamente impressionato tutta l'opinione pubblica. Dalla Chiesa allora disse che bisognava catturarla subito, anche il giorno successivo, ma io replicai che non si poteva organizzare in così breve tempo l'operazione, perché bisognava pensare anche alla sicurezza del personale. Poi addirittura c’erano 6-7 obiettivi, una decina di persone indagate (e ne catturammo 9). Mi diede tre giorni, poi riuscii a strappargli una settimana.

Questi sono i fatti; tutto il resto è fantasia, sono elucubrazioni non provate, come questo articolo. Al giudice De Crescenzo, un mese fa, ho smentito il 70 per cento di queste affermazioni. Conosco l'autrice da vent'anni ed è una persona molto informata. Io l'ho conosciuta quando Dalla Chiesa concesse una intervista autorizzata e le fornii anche dei riferimenti numerici, negli anni 1979-1980. Siamo sempre rimasti in buone relazioni buone, solo che lei ha due "fissazioni". La prima è che Dalla Chiesa abbia sottratto documenti dal covo di via Monte Nevoso e questo è assolutamente assurdo. Si possono fare tali affermazioni solo perché il generale è morto. La seconda è che le autorità preposte alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, in occasione del sequestro Moro, non siano state molto solerti e sollecite proprio perché si trattava di Moro, che forse era meglio perdere che trovare. Queste sono assurdità e tra l'altro non c'è il minimo straccio di prova. Ci sono state diverse inchieste giudiziarie, eppure continuiamo ad andare avanti così da vent'anni. Ed è da vent'anni che giro per le procure, e qui c'è un magistrato che mi conosce e lo può confermare: tutti i magistrati che si sono occupati di terrorismo mi conoscono, e purtroppo continuiamo ad andare avanti con queste storie.

PRESIDENTE. Prima di commentare le sue ultime affermazioni, vorrei porle un'altra domanda. Lei ha parlato di riunione della direzione strategica delle Brigate rosse. Noi abbiamo sentito Morucci, il quale in realtà non ci ha detto niente, ma ci ha fornito uno spunto invitandoci a farci dire da Azzolini, da Bonisoli o da Moretti (che lui ha definito "la sfinge") dove si riunivano a Firenze e chi era il loro ospite attivo, l'anfitrione presso cui si incontravano. Non ha aggiunto altro. Noi abbiamo provato a chiedere ad Azzolini, Bonisoli e Moretti di venire in questa Commissione, ma ci hanno risposto che non hanno intenzione di venire a testimoniare. Per la sua conoscenza specifica, quale valutazione può dare di questa frase sibillina di Morucci?

BOZZO. Intanto, Bonisoli e Azzolini facevano parte della direzione strategica e quindi si spostavano in tutto il territorio...

PRESIDENTE. Questo è pacifico, ma ci è stato detto che per Firenze quello che non capivamo lo potevamo dedurre dal posto dove si riuniva la direzione strategica, da chi era l'ospite.

BOZZO. Non so niente di Firenze, perché non rientrava nella mia competenza territoriale. Non ho mai sentito parlare di questo. Anche nelle riunioni con gli altri responsabili antiterrorismo dell'Italia sia centrale sia meridionale, non ne ho mai sentito parlare; sebbene negli anni in cui non avevo più incarichi specifici antiterrorismo io abbia continuato ad occuparmi di questi problemi, ripeto, non ho mai saputo dove si riunivano a Firenze e se a tali riunioni partecipava qualche personaggio "strano".

PRESIDENTE. Generale, rispetto alla sua valutazione, le dico con franchezza che sono tra quelli che forse la infastidiscono: continuo ancora, dopo tanti anni, a farmi una serie di domande. Però lei deve riconoscere che ci sono alcuni fatti oggettivi che stimolano la curiosità. Un fatto oggettivo è che si è entrati nel covo di Via Monte Nevoso e si sono trovate le carte di Moro. Lei afferma - ed io non ho motivo per non crederle - che si trattò di una specie di sorpresa, in quanto non avevate la minima idea che lì dentro vi potessero essere le carte di Moro. Tra queste è stato rinvenuto il memoriale di Moro, trovato dattiloscritto e non nella stesura originaria. Poi passano moltissimi anni e, dietro il pannello, per effetto, lei dice, di una perquisizione fatta male, si scopre un'altra copia di quel memoriale, che però non è uguale a quella che è stata sequestrata, ma contiene delle aggiunte, tutte molto significative. Alcuni degli elementi più rilevanti, anche visti ex post, anche oggi, e comunque già da una lettura in quei giorni, di quanto Moro ha detto ai brigatisti stanno nel secondo memoriale, quello che è stato trovato dietro il pannello, e non nel memoriale che viene sequestrato.

Allora, le chiedo con chiarezza per quale motivo, secondo lei, le Brigate rosse dovevano fare due copie, due edizioni del memoriale. Inoltre, perché l'edizione completa la dovevano mettere dietro il pannello e quella incompleta se la dovevano far trovare? C'è qualcosa che non torna. Se le due edizioni fossero state uguali, probabilmente il ritrovamento dietro il pannello della seconda non avrebbe richiamato tanta attenzione. Sono problemi gravi. Come lei sa, alcuni familiari di Dalla Chiesa hanno affermato che il generale aveva delle carte di Moro; in particolare la suocera Setti Carraro ha detto: "Col cucco che le faccio vedere queste carte!". La frase non avrebbe alcuna importanza se non vi fosse questa discordanza tra le due edizioni. Aggiungo che alcune perizie dimostrano che quel pannello esisteva già nel covo di Via Monte Nevoso nel momento in cui esso fu scoperto. Non è una costruzione posticcia, le Brigate rosse in sostanza non tenevano in un altro luogo questa seconda copia del memoriale che poi - come disse un uomo politico italiano che purtroppo non riusciamo a sentire e che adesso è stato nuovamente operato al piede - una manina o una manona aveva posto lì dopo parecchio tempo. E’ stata effettuata una perizia tecnica, alla quale io devo prestare fede, secondo la quale il pannello stava lì fin da quando i carabinieri entrarono nel covo. Tuttavia il punto centrale riguarda l'esistenza delle due edizioni. Benché mi sia mangiato la testa, ancora non riesco a trovare una spiegazione del perché vi fossero due edizioni e del perché quella incompleta è stata sequestrata prima. Cosa volevano fare le Brigate rosse delle due edizioni? A quali fini le avevano fatte? Che strategia si intendeva seguire? Tutto questo rimanda a quel possibile rapporto tra Brigate rosse e potere di cui non io, non la giornalista di "Panorama", non i giudici che continuano ad indagare, ma Renato Curcio ha parlato, il quale ci ha detto: "Non abbiamo ancora trovato le parole che possano descrivere questo tipo di rapporto".

BOZZO. Curcio adesso dice tante cose, ma bisogna tener presente che egli è stato arrestato il 18 gennaio 1976 (oltre vent'anni fa). Per prassi interna alle Brigate rosse, i "compagni" arrestati non sempre erano al corrente di ciò che avveniva fuori dal carcere, anzi ne sapevano ben poco, per ovvi motivi. Quindi, Renato Curcio, dal 1976 in poi, può pensare e dire tutto quello che vuole, ma sono i fatti che parlano. Quanto al ritrovamento in Via Monte Nevoso del secondo memoriale, il più sorpreso credo di essere stato io. Però devo rilevare che le Brigate rosse avevano l'abitudine di fotocopiare e di suddividire il materiale, di nasconderlo. Addirittura in un giardino vicino a Via Fracchia a Genova pochi giorni fa è stato rinvenuto un plico di volantini sepolto. Agivano così perché mettevano sempre in conto la scoperta "della base", con la quale però non doveva finire l'attività di studio e di propaganda. Pertanto avevano bisogno di frazionare il materiale documentale fra più basi o anche, all'interno della stessa base, in posti diversi.

Cosa è successo a Milano nell'ottobre 1978? In quell'appartamento c'era un mare di materiale: mai vista una cosa del genere! C'era tutto l'archivio delle Brigate rosse, dietro una tenda nascosta da un finto armadio a muro, con tutti i faldoni allineati quasi si trattasse di una ditta di spedizioni. Per eseguire la verbalizzazione di tutto il materiale repertato e poi iniziare la perquisizione dei mobili e dei muri sarebbero stati necessari non meno di quindici giorni, ma noi siamo rimasti cinque giorni soltanto. Infatti, il giorno 2 ottobre sono venuto a conoscenza che il comando della legione di Milano stava redigendo un rapporto disciplinare contro l'operato mio e dei miei collaboratori. Io ho chiamato il generale Dalla Chiesa a Roma, dove egli era rientrato la sera del 1° ottobre, e gli ho detto cosa stava succedendo; lui mi ha risposto di ritirare tutto il personale nelle nostre basi. Noi avevamo delle basi di copertura al di fuori delle caserme perché, così come noi pedinavamo i brigatisti loro potevano pedinare noi: se continuavamo a entrare e uscire da una caserma potevamo essere facilmente individuati. Quindi il generale Dalla Chiesa disse di ritirarci in queste basi e di portare con noi tutto il materiale da cui si potevano trarre immediati spunti operativi, lasciando tutto il resto in mano all'Arma territoriale. Io non ho potuto eseguire l'ordine tempestivamente, anche perché il magistrato si è opposto; poi ha dato il consenso quando gli è stato detto che era stato fatto tutto, mentre non era del tutto vero: non era stata fatta, infatti, la perquisizione come era solito farsi, perché dopo cinque giorni abbiamo dovuto abbandonare il covo. Purtroppo, dietro quel maledetto termosifone c'era una finta parete e c'era tutto quel materiale; c'erano anche 58 milioni del sequestro Costa, c'erano armi e munizioni. Purtroppo è andata così. Parliamoci chiaro: le difficoltà che noi dei reparti speciali abbiamo incontrato all'interno delle istituzioni non sono state di gran lunga inferiori a quelle che abbiamo trovato all'esterno, perché la nostra era una struttura malvista da tutti (o quasi).

PALOMBO. Chi comandava la legione dei carabinieri di Milano?

BOZZO. Il colonnello Rocco Mazzei.

Torniamo al ritrovamento del memoriale. Dalla Chiesa non voleva nemmeno venire quel giorno a Milano; gli ho telefonato e l'ho convinto a farlo perché avevamo due feriti, di cui uno grave, che lui doveva visitare in ospedale. Poi l'ho trattenuto a pranzo e, mentre stavamo pranzando, è arrivata una telefonata dal capitano Arlati, l'ufficiale che ha condotto le indagini e che ha capeggiato l'irruzione nel covo di Via Monte Nevoso, il quale mi disse che tra la massa dei documenti rinvenuti vi era una cartellina azzurra contenente alcune lettere battute a macchina e documenti riguardanti Moro. Io l'ho riferito subito a Dalla Chiesa, che a seguito di ciò fece una serie di telefonate. Ha parlato con il consigliere istruttore di Roma, Gallucci; ha parlato con il ministro dell'interno, che era a Pavia e col quale si era già incontrato in mattinata nella caserma di Tortona: dopodiché è andato dal procuratore della Repubblica Gresti; io non l'ho accompagnato perché dovevo redigere il rapporto sui due conflitti a fuoco che c'erano stati in mattinata. So però di certo che è andato in via Monte Nevoso con il procuratore della Repubblica Gresti e - mi hanno riferito - anche con Gallucci, che nel frattempo era giunto a Milano con alcuni magistrati in aereo. Il ministro dell'interno Rognoni, informato di questo ritrovamento, ha chiesto al procuratore della Repubblica, ai sensi del decreto 21 marzo 1978, n. 59, copia di quegli atti, che sono stati fotocopiati nell'ufficio del nostro reparto antiterrorismo di Milano, consegnati a Dalla Chiesa, il quale è ripartito per Roma e l'indomani mattina li ha portati allo stesso ministro Rognoni.

PRESIDENTE. Dalla Chiesa dice che effettivamente entrò nel covo insieme a Gallucci e a Gresti; con tutti e due, conferma quello che lei ci ha detto.

BOZZO. Io non sono andato; in quel momento non c'ero.

PRESIDENTE. Insieme al mitra c'era dietro il pannello un'arma pericolosissima, cioè le parti del memoriale di Moro che riguardavano l'allora Presidente del Consiglio. Se non ci fosse questo fatto, probabilmente tutta questa dietrologia non si sarebbe attivata. Quindi lei esclude - perché questo è il punto su cui volevamo sentirla - che ci fosse stata un'opera di infiltrazione con specifico riferimento alla scoperta del covo di via Monte Nevoso?

BOZZO. Assolutamente. Sul tema generale degli infiltrati ho già dichiarato a diversi magistrati che ne abbiamo avuto nelle Brigate rosse, ma in quel periodo no, non li avevamo.

PRESIDENTE. Girotto e Pisetta, ma altri ce ne sono stati? Sono passati tanti anni. Se lei ritiene, possiamo passare anche in seduta segreta.

BOZZO. Forse è meglio.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 21,23.

...omissis...

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 21,37.

 

PRESIDENTE. Torniamo in seduta pubblica. Lei sostiene, ci ha già detto, di aver smentito al magistrato la gran parte di quella intervista su "Panorama".

BOZZO. Sì, il 12 dicembre al giudice Piero De Crescenzo. Il settanta per cento almeno. La Commissione può acquisire il verbale.

PRESIDENTE. Nella deposizione lei già ce lo ha un pò ricordato quando ci ha invitato a distinguere fra il generale Palumbo e il generale Palombi, ci ha detto che erano due mondi completamente diversi. In quella deposizione ai giudici Colombo e Turone lei delinea con molta precisione l'esistenza di un gruppo di potere interno all'Arma dei Carabinieri, che aveva come suoi vertici il vice comandante dell'Arma, generale Franco Picchiotti, e il comandante della prima divisione Pastrengo, generale Palumbo. Lei fa risalire il periodo massimo di potere del gruppo a Milano al 1974-1975. Dice anche che a livello nazionale il gruppo continuò ad operare poiché il generale Palumbo fu nominato vice comandante al posto di Picchiotti. Inoltre lei dice che il gruppo era collegato con il ministro Lattanzio, fa il nome di quel Pieschi che era il segretario di Lattanzio. Il fratello di Pieschi sembrava essere diventato lui il vero comandante generale dell'Arma del Carabinieri, a leggere la sua deposizione.

BOZZO. A Milano.

PRESIDENTE. Noi le chiediamo fino a che epoca questo gruppo ha esercitato il suo potere illegittimo nell'Arma: fino al 1981, anno della scoperta delle liste di Gelli? E poi: quale era ancora nel 1978, la forza di questo gruppo di potere, in particolare durante il sequestro Moro?

BOZZO. Per rispondere a questa domanda bisognerebbe avere l'elenco (quello che conosciamo, cioè quello ufficiale, perché poi ci sono delle aggiunte che non sono ufficiali, purtroppo) degli ufficiali dell'Arma affiliati alla P2. Qual era la forza? Era una forza massima. Ripeto, in quel periodo della gestione Palombi io dipendevo direttamente da lui per i problemi di terrorismo e quindi non avevo rapporti diretti con Roma, li aveva Palombi; io mi accorgevo che aveva delle serie difficoltà e tra l'altro uno dei contrasti era proprio sull'organizzazione di questi reparti antiterrorismo, che noi del Nord volevamo accentrati a livello divisionale; è da tener presente che questi reparti antiterrorismo sono quelli che adesso si chiamano Ros, mentre invece il Comando generale voleva provincializzarli, una cosa veramente assurda.

PRESIDENTE. Sembrerebbe anche a me.

BOZZO. Una cosa assurda perché sono reparti che hanno una loro competenza territoriale: come si può mettere sotto il comando provinciale di Milano una sezione speciale anticrimine che opera su tutta la Lombardia? Noi ci siamo trovati, in occasione del sequestro Moro, in questa tragica situazione e io, che ero il coordinatore, non coordinavo più niente, perché c'erano ben quattro livelli tra me e la periferia, le notizie pervenivano frammentate, soppesate, ma soprattutto ritardate, questo è il punto. Quindi l'Arma, dai primi di novembre 1977, ha cambiato la struttura ordinativa antiterrorismo: e ciò è stato terribile.

PRESIDENTE. Senta, generale, io adesso potrei fare confusione perché la sua deposizione che richiamavo prima è lunghissima e poi lei ha allegato una specie di lungo appunto manoscritto da lei. Ma, se non sbaglio, il colonnello Mazzei faceva parte di questo gruppo.

BOZZO. Certo, era della P2, senz'altro era uno di loro. Ed erano contrapposti a Dalla Chiesa, questo è il punto.

PRESIDENTE. Ho capito: e questi contrasti di cui parlava prima - e che hanno portato a questa sommarietà nella gestione del covo di via Monte Nevoso dopo l'irruzione - lei pensa che possano essere stati determinati solo da gelosie professionali o che ci possa essere qualcosa di più? E, all'interno di questa domanda, un'altra: lei, dopo tanti anni, che idea si è fatto della P2? Era quel luogo del male descritto dalla Commissione Anselmi o era quella combriccola di affaristi e carrieristi (che poi è la conclusione a cui è arrivata l'autorità giudiziaria)?

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 21,38.

...omissis …

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 22,00.

TASSONE. Presidente, non le nascondo, dopo queste notizie che si sono un po’ affastellate, che qualche confusione in più ce l'ho rispetto anche ai dati ed agli elementi; bisognerebbe un po’ inseguire il filo per capire qual è l'interesse vero di questa Commissione e quali sono poi le altre notizie venute fuori. Ci sono alcune notizie che, per dire la verità, possono interessare questa Commissione nella misura in cui questi giudizi su persone o su date evidenziano non solo uno scoordinamento, che non sia soltanto un giudizio rispetto all'efficienza, ma che ci sia dietro questi dati ed elementi portati alla nostra attenzione un qualche disegno. Signor Presidente, dopo vent'anni dal sequestro e dall'uccisione di Aldo Moro ritengo che questa Commissione deve non dico trovare il bandolo della matassa, che sarebbe un auspicio forse velleitario, ma sapere dal generale Bozzo, alla luce della sua esperienza, visto che egli ha espresso dei giudizi e delle valutazioni su uomini e su cose, su ufficiali (si è anche parlato di un gruppo di potere nell'ambito dell'Arma dei carabinieri) soprattutto in relazione alla vicenda Moro e - perché no? - alla strategia della tensione, se egli ha trovato qualche difficoltà, qualche elemento che ne ha bloccato l'attività investigativa. E da dove è venuta eventualmente questa difficoltà. Perché se qualche persona impegnata nei Servizi e nell'attività investigativa è incapace, è incapace; se invece c'è stata qualche intenzione, qualche dolo, qualche attività dinamica di questa persona, allora è un altro tipo di discorso. Vorremmo riuscire a capire e comprendere qualcosa in più, e se c'è stata qualche copertura. Vorrei poi un giudizio ed una valutazione. Secondo il generale Bozzo, che percentuale di verità il Paese ha conquistato per quanto riguarda la vicenda Moro? Se ne parliamo a vent'anni di distanza, non c'è dubbio che ci sia ancora un percorso, uno spazio, un'area imperscrutabile, indecifrabile, per quanto ci riguarda. Ma visto e considerato che è qui il generale Bozzo, le uniche domande che io mi sento di fare, sono queste. Nell'ambito della sua esperienza di braccio destro del generale Dalla Chiesa (abbiamo poi sentito che era anche il confidente del generale Dalla Chiesa, al quale il generale confessava il suo malessere, il suo tormento anche per quanto riguarda la sua attività ed il suo servizio), quale tipo di difficoltà ci sono state? E perché il generale Dalla Chiesa in fondo nella sua attività aveva sempre qualche giudizio pesante nei confronti di alcuni organi istituzionali? Infatti lei ha parlato ovviamente di difficoltà nelle istituzioni. Cosa significa difficoltà nelle istituzioni: che le istituzioni non funzionavano? Che non erano all'altezza? O che c'era un disegno per non far raggiungere un obiettivo di verità, sia per quanto riguarda la strategia della tensione, sia per quanto riguarda la vicenda di Aldo Moro? Per quanto mi riguarda - non voglio coinvolgere la Commissione - l'unica cosa che mi sento di chiederle è se sulla base della sua esperienza, e sulla base anche dell'esperienza vissuta con il generale Dalla Chiesa, lei ha potuto cogliere qualche blocco, qualche difficoltà, qualche disegno che ha inceppato la sua attività o l'attività del generale Dalla Chiesa. Visto e considerato che lo scoordinamento fra le forze di polizia è un fatto endemico, è un fatto patologico, verificabile ancora oggi, non credo che abbiamo raggiunto il coordinamento fra le forze di polizia perché non esiste neanche il coordinamento all'interno delle forze di polizia. E lei ne ha fatto ampiamente cenno quando ha parlato dei rapporti fra il suo gruppo e le altre forze dell'Arma dei carabinieri. Questa è l'unica cosa che mi sento di chiedere e di porre alla sua attenzione, generale Bozzo, perché altre cose non c'entrano niente. Perché siamo arrivati così in ritardo e dopo vent'anni questa Commissione o il Paese devono concludere la vicenda - se mai si potrà concludere - relativa ad Aldo Moro?

BOZZO. Per quanto riguarda "disegni", in verità non ne ho mai avvertito la "presenza" per impedirci di operare, a parte il fatto che con Dalla Chiesa dietro le spalle si superavano parecchie difficoltà. E’ certo che la soppressione del nucleo speciale di polizia giudiziaria, nel luglio 1975, mi ha molto sorpreso. Ma può darsi che sia stato il frutto di incomprensioni tra Dalla Chiesa e i comandi superiori. Successivamente, sotto la direzione di Palombi non c'è stata alcuna difficoltà fino all'agosto 1977, quando Palombi stava per essere trasferito. Quindi - ripeto - nessuna difficoltà fino a quel momento; dopo ce ne sono state perché è cambiato l'ordinamento. Ma "disegni" particolari all'interno della mia istituzione non ne ho visti assolutamente. C'erano gelosie, incomprensioni, anche incompetenze, c'era chi si arrogava competenze che non aveva; è mancato il coordinamento al vertice, però non c'era un "disegno" ostruzionistico nei nostri confronti. Certo che quel giorno, il 2 ottobre 1978, non è stato... Quando una persona viene a conoscenza di essere oggetto di rapporto disciplinare solo perché non ha riferito determinati particolari... Ma non li avevo riferiti perché Dalla Chiesa mi aveva detto che era suo il compito di riferire ai comandi superiori di Milano. Al di fuori dell'istituzione Arma dei carabinieri avevo contatti con la polizia di Stato, con la Guardia di finanza e con la magistratura. Nessun disegno, nessun complotto. Ho sempre lavorato bene con la polizia di Stato. Tra l'altro avevamo un contingente di 60 uomini della Digos con noi. Ho lavorato bene anche con la Guardia di finanza e ho avuto rapporti eccezionali con tutte le magistrature. Il fatto è che questi contrasti di vertice all'interno della nostra istituzione ci hanno indubbiamente danneggiato, perché per conto mio il mancato ritrovamento di quel pannello è dovuto anche a questo. Se noi avessimo lavorato con maggiore tranquillità probabilmente l'avremmo trovato, magari dopo qualche altro giorno di perquisizione.

TASSONE. Lei ha fatto riferimento anche alle istituzioni. L'istituzione è soltanto militare o c'è stata qualche pressione anche dall'esterno?

BOZZO. No, mai ricevuto pressioni dall'esterno, da nessun politico nel modo più assoluto. Anzi, i politici chiedevano che noi operassimo e che producessimo risultati.

TASSONE. Perché il generale Dalla Chiesa era un po' sospettoso nei confronti anche di alcuni personaggi politici?

BOZZO. Per questioni di riservatezza. Lui temeva che qualche...

TASSONE. Può pensare che c'era qualche prevaricazione, delle prove per tutelare qualche disegno?

BOZZO. Non direi. Lui diceva che il politico, in quanto tale, deve parlare; può essere chiamato ad esprimersi su argomenti che lui ha appreso magari da noi e che invece devono rimanere riservati. Io non ho mai avuto sentore di qualche politico che abbia fatto delle pressioni, nel modo più assoluto. Lui aveva una certa diffidenza nei confronti dei servizi perché questi ultimi nel 1977 avevano perso la qualifica di polizia giudiziaria e temeva che le nostre confidenze potessero essere oggetto di qualche rapporto, di qualche appunto, e che quindi venisse violato il segreto istruttorio.

TASSONE. Lei, generale, ha fatto anche un'ottima esperienza all'interno dei servizi, se non sbaglio.

BOZZO. No, mai. Sono stato richiesto, ma non sono mai stato nei servizi.

FRAGALA'. Signor generale, innanzi tutto desidero rivolgerle il mio personale apprezzamento per la sua disponibilità e soprattutto per l'alto contenuto conoscitivo delle informazioni che lei sta rendendo alla Commissione. Nello specifico vorrei farle una serie di domande anche per avere delle valutazioni a prescindere dal problema dei fatti, perché lei è un esperto del terrorismo, ma soprattutto della lotta alle Brigate rosse, di altissimo livello.

Lei poco fa, rispondendo al Presidente, ha detto espressamente: "I compagni arrestati non sapevano nulla, perché la compartimentazione tra le Brigate rosse non consentiva a coloro che venivano arrestati di essere a conoscenza di una serie di cose". Ora io le volevo chiedere se lei è a conoscenza di un importantissimo documento processuale che è stato depositato nel processo per il sequestro Moro, in cui il servizio di sicurezza il 21 novembre 1979 ha inviato alla Digos (poi la Digos stessa l'ha trasmesso all'allora consigliere Gallucci) una intercettazione ambientale che il servizio di sicurezza prese nel carcere dell'Asinara nel famoso padiglione in cui i brigatisti passavano per essere assegnati alle varie celle. Quella era l'unica possibilità per i brigatisti di incontrare dei compagni di lotta, anche loro detenuti, che non vedevano da tempo. Ebbene, in questa intercettazione ambientale questi due brigatisti, di cui non si conosce (almeno non si conosce agli atti del processo) il nome, si scambiano una serie di informazioni sul sequestro Moro; informazioni di primissima mano. Dicono che Moro veniva trattato bene, mangiava tutta la giornata, si faceva diverse docce al giorno, aveva la possibilità di lavarsi quando voleva, e poi si scambiano sul sequestro Moro anche una serie di informazioni sulla preparazione e sull'esecuzione del rapimento di particolare importanza. Quando uccidono la scorta, il brigatista dice: "Signor Presidente, scenda e venga con noi", oppure la famosa frase finale: "Presidente, la situazione è precipitata". In questa intercettazione ambientale si scambiano soprattutto una serie di valutazioni politiche, dicendo: "Moro è il vero uomo di destra della democrazia cristiana. Meno male che lo abbiamo sequestrato, perché stava preparando la ristrutturazione dello Stato, la Repubblica presidenziale" e tutta una serie di considerazioni politiche. In questa intercettazione ambientale c'è tutta una serie di elementi, ma prima di tutto volevo chiederle se lei è a conoscenza di questa intercettazione.

BOZZO. No, assolutamente.

PRESIDENTE. Ma questo non è un documento che noi abbiamo agli atti della Commissione.

FRAGALA'. Io pensavo che lo aveste.

PRESIDENTE. Lei ne ha già parlato quando sentimmo Morucci. Da quale processo proviene?

FRAGALA'. Dal processo Moro. Ne ha parlato anche Calvi. Ne abbiamo parlato io e Calvi.

PRESIDENTE. Mi ricordo questo fatto. E’ un atto di quale dei processi sul caso Moro?

FRAGALA'. Del Moro uno, dei tempi di Gallucci. Pensavo di averlo già depositato presso la Commissione. Ma lo farò ora ed il problema è risolto. Quindi, se lei non ha notizia alcuna di questa intercettazione, naturalmente non ha notizia neppure del nome di questi brigatisti. Volevo chiederle (siccome si tratta di un fatto del 21 novembre 1979 avvenuto nel carcere dell'Asinara e poiché lei in quel momento era al vertice dell'organizzazione militare antiterrorista italiana), come mai i servizi passano questa intercettazione ambientale alla Digos e i carabinieri, soprattutto il nucleo antiterrorismo, non sanno nulla di questo documento importantissimo?

BOZZO. Veramente io ne sento parlare per la prima volta.

FRAGALA'. Gliene do una copia perché poi possa leggerla attentamente.

BOZZO. Non so niente di ciò. Io pensavo che lei mi chiedesse come mai io ho sostenuto che in carcere non sapevano niente e invece questi sanno.

FRAGALA'. Sanno tutto.

BOZZO. Però le faccio notare che si è a novembre del 1979 e costoro avranno avuto sicuramente modo di contattare brigatisti che nel frattempo sono stati catturati e fra di loro ovviamente le notizie circolavano. Loro, cioè, conoscevano fatti già accaduti e non erano mai al corrente di quello che l'organizzazione decideva di fare in futuro. Comunque io non so perché hanno passato l'intercettazione alla Digos; le vie del Signore sono infinite.

FRAGALA'. Quindi il vostro nucleo antiterrorismo non era il referente generale di tutte le notizie sulle Brigate rosse.

BOZZO. Posso dirle che il reparto antiterrorismo del generale Dalla Chiesa, oltre alla collaborazione di un reparto di sessanta uomini della Digos e di una quindicina di militari della Guardia di finanza, che operavano su Roma, e della Polizia femminile, che è stata molto utile, riceveva anche quella praticamente quotidiana del personale del Sismi, che operava alle nostre indagini - seppure parzialmente - già dai fatti di via Monte Nevoso. Però io non ho mai avuto notizia di questa intercettazione dell'Asinara, anche perché non escludo che il personale del Sismi che lavorava con noi non sapesse ciò che facevano quelli del Sismi di un'altra struttura interna. Ripeto che non so perché hanno passato l'intercettazione alla Digos, bisognerebbe chiederlo ai responsabili del servizio dell'epoca. Avrebbero dovuto passarla a Dalla Chiesa...

FRAGALA'. Appunto!

BOZZO. ...però, poiché io ero responsabile di una parte del reparto, non escludo nemmeno che queste notizie si siano fermate all'organizzazione centrale di Dalla Chiesa, quindi a Roma, e che il generale non abbia ritenuto opportuno o utile comunicarle a noi. Può darsi che sia avvenuto questo.

FRAGALA'. Generale, vorrei porle un altro quesito. Oggi lei avrà letto sul "Corriere della sera" un articolo che preannunzia la trasmissione in televisione, stasera, della puntata di Mixer dedicata alla questione Moro e, stando a quanto viene anticipato dal servizio giornalistico, Gallinari afferma che Moro poteva salvarsi. Rispetto a questo, noi in Commissione abbiamo svolto una serie di indagini, di attività, di audizioni, di acquisizioni di documenti e così via. Tali indagini sembrano poter dare in questo momento un'indicazione di massima, secondo la quale durante il sequestro Moro vi fu una grande disattenzione o una grande impreparazione degli apparati investigativi a gestire il sequestro. Allora, la mia domanda è la seguente: come mai il nucleo antiterrorismo, guidato sempre dal generale Dalla Chiesa, era stato smantellato proprio alla vigilia del sequestro Moro? Tra l'altro, durante tale sequestro, lo Stato si appalesò molto sprovveduto e impreparato, tanto che su questo aspetto posso leggerle una dichiarazione incredibile rilasciata dall'allora procuratore generale della Corte d'appello, Pietro Pascalino, di Roma, che era il massimo responsabile delle attività investigative e di Polizia giudiziaria qui a Roma. Infatti, Leonardo Sciascia, in Commissione Moro, gli chiese: "Dottor Pascalino, ma come è stato possibile che tanti poliziotti venissero vanamente impegnati nei pattugliamenti anziché nel lavoro di intelligenza?". E Pascalino rispose in questo modo (e ciò risulta dagli atti della Commissione parlamentare): "Tante volte si fanno azioni dimostrative per rassicurare la popolazione. Non posso spiegarlo, non spetta a me spiegare perché si preferì fare azioni di parata invece che azioni investigative". Questo lo ha dichiarato il procuratore generale.

E ancora, il giudice Infelisi, che riferì pure alla Commissione parlamentare sul sequestro Moro, affermò: "Io conducevo le indagini con una dattilografa, per cui le telefonate più riservate le ho fatte dal telefono a gettoni nel corridoio". A questo lei aggiunga (ho appreso dalla sua intervista su "Panorama" che lei non sa nulla a proposito di via Gradoli) che ci furono diverse indicazioni date alla Polizia e al gruppo di crisi affinché fosse scoperto il covo di via Gradoli, fino alla famosa seduta spiritica organizzata dal professor Prodi e compagni. Ebbene, nonostante questo, via Gradoli. che significava catturare Moretti e quindi la direzione strategica, non si potè scoprire. Senza fare dietrologia, perché probabilmente tutto questo è accaduto per la assoluta impreparazione, oppure, come dice Pascalino, perché si decise di fare azioni di parata e non azioni investigative, vorrei chiederle perché, secondo la sua conoscenza ed esperienza, un nucleo speciale come quello di Dalla Chiesa, che aveva dato risultati eccezionali contro il terrorismo, fu smantellato. Per pressioni politiche, per gelosie personali all'interno dell'Arma o per altri motivi?

BOZZO. Innanzi tutto, il nucleo speciale di Polizia giudiziaria, costituito presso la prima brigata di Torino, comandata da Dalla Chiesa, "nacque" il 22 o il 23 maggio del 1974, qualche giorno dopo la liberazione di Sossi, e finì nel luglio 1975. In che modo finì? Questo personale venne decentrato, distribuito presso i comandi di divisione. Quindi, sorse un nucleo a Milano, uno a Roma e uno a Napoli. Pertanto, dal luglio 1975 il generale Dalla Chiesa non si occupò più in modo diretto di terrorismo. Quando fu sequestrato Moro, erano passati quasi tre anni.

FRAGALA'. Ma l'azione delle Brigate rosse continuava, non era finita, era una escalation.

BOZZO. Ma noi abbiamo continuato, avevamo reparti antiterrorismo, che hanno condotto operazioni anche di una certa consistenza. La cattura di Curcio del 1976 fu opera di questi reparti, che guidavo io. Quindi abbiamo ottenuto dei risultati.

FRAGALA'. La mia domanda è questa: com'è che nel 1978...

BOZZO. Vuole dire com'è che cambia l'ordinamento, cioè che a un dato momento questi reparti vengono assegnati ai comandi provinciali, nel novembre 1977? Secondo me è solo per una questione interna. Nell' Arma, in materia di organizzazione operativa, ci sono due tendenze: quella che privilegia i reparti speciali, al di fuori della gerarchia, che rispondono ad un unico centro e che operano su tutto il territorio, a volte anche all'insaputa dei comandi territoriali, e quella che invece è strettamente e rigidamente territoriale, quindi provinciale e regionale. In quel periodo è prevalsa la linea territoriale e quindi i reparti antiterrorismo dell'Arma sono stati posti alle dipendenze dei comandi provinciali. Ovviamente, si è verificata una stasi, perché ognuno badava alla sua provincia, mentre il fenomeno ormai era a livello quasi nazionale.

FRAGALA'. Noi abbiamo ascoltato il ministro Taviani, non abbiamo potuto ascoltare Federico D'Amato, perché abbiamo rinviato tanto che poi è morto, abbiamo ascoltato invece altri, per cui io le pongo un'altra domanda: è possibile che fra gli anni 1975-1978, cioè dallo scioglimento del nucleo Dalla Chiesa alla sua ricostituzione, il mondo politico italiano ritenne di non enfatizzare la lotta contro il brigatismo rosso perché vi era una posizione dominante nella cultura, nella pubblicistica e anche nella politica, secondo cui le Brigate rosse non erano rosse, erano sedicenti Brigate rosse, fascisti travestiti da Brigate rosse che non c'entravano niente col Partito comunista?

BOZZO. Per quel che risulta a me, ed io l'ho vissuto giorno per giorno, lo escludo nel modo più assoluto. Ripeto, queste modifiche ordinative, questi contrasti di carattere ideologico o operativo interni non sono stati assolutamente influenzati dalla politica. Lo escluderei totalmente.

FRAGALA'. Lei si è occupato molto di Giovanni Senzani...

BOZZO. No, non me ne sono occupato per niente. Io ho scritto solamente tre righe su di lui, in merito al fatto che era il cognato di Enrico Fenzi - sul quale avevo fatto un rapporto di denuncia e che è stato arrestato - avendone sposato la sorella. Sul suo conto, quindi, c'erano solo sospetti di collusione con organizzazioni eversive.

FRAGALA’. Non le faccio allora la domanda che pensavo di porle.

BOZZO. Peraltro lui "operava" in un'area geografica che non era di mia competenza.

FRAGALA'. Lei ha mai saputo se era intervenuto il Governo italiano o un esponente politico italiano per correggere o per suggerire a Paolo VI, nella famosa lettera alle Brigate rosse, di inserire quella definizione che fu ritenuta assolutamente estranea alla semantica e alla cultura del Vaticano e del Papa, con cui si chiedeva alle Brigate rosse di arrendersi "senza condizioni"? Lei sa nulla di questo?

BOZZO. Assolutamente no.

FRAGALA'. Ancora, noi abbiamo appreso dalle audizioni di Taviani, di Forlani, eccetera, che qualcuno all'interno delle Brigate rosse sapeva che quel famoso 9 maggio 1978 si doveva riunire il Consiglio nazionale della Democrazia cristiana - ce lo ha confermato anche Cossiga - convocato dall'onorevole Misasi, che ne era il Presidente, per aprire la trattativa con le Brigate rosse e salvare Moro. Si intendeva cioè riconoscere le Brigate rosse, offrire loro quello che chiedevano (che era poi la libertà per un detenuto molto malato) e praticamente, avviando la trattativa, sconfessare il partito della fermezza. Lei ha mai saputo chi, all'interno delle Brigate rosse o all'esterno, aveva fornito questa notizia?

BOZZO. Non l'ho mai saputo, nel modo più assoluto.

FRAGALA'. Lei quindi non ha mai saputo che le Brigate rosse erano a conoscenza di questo particolare?

BOZZO. No.

FRAGALA'. Concordo naturalmente con lei sulla stima più assoluta nei confronti del generale Dalla Chiesa e non ho mai ritenuto verosimile l'architettura accusatoria del processo di Palermo, che vuole far passare Dalla Chiesa per una specie di ricattatore, di uno che si era nascosto le carte e le centellinava, così come non credo alla fonte Setti Carraro madre, anche perché sappiamo i motivi di certe sue convinzioni. Però le dico che nel primo processo di Palermo alla mafia è emersa, fin dalle indagini di Falcone e poi nel dibattimento, la testimonianza, più volte ribadita, della collaboratrice domestica della coppia Dalla Chiesa-Setti Carraro in quei pochi mesi trascorsi a Villa Paino, nella residenza del prefetto. Questa fonte testimoniale, peraltro disinteressata, ha sempre riferito che Emanuela Setti Carraro avanzava tutta una serie di timori al marito nelle discussioni a tavola, dicendo che stare a Palermo era pericolosissimo, che lui era nel mirino, eccetera; d'altra parte, Dalla Chiesa rispondeva di stare tranquilla, che non gli potevano fare niente, "se mi fanno qualcosa tu sai che c'è il nero su bianco e sai dove prenderlo". Questa testimonianza disinteressata è accompagnata alla famosa notte dei misteri in cui sparì la chiave della cassaforte di Villa Paino, ritrovata dopo undici giorni, con la cassaforte vuota (non c'erano i documenti cui alludeva il generale con quel "nero su bianco"): e poi tutta la vicenda processuale ha avuto ulteriori risvolti nel fatto che per la prima e ultima volta la mafia in un omicidio eccellente di questo genere ha usato una dinamica eccezionale. Infatti, non soltanto è stata uccisa la moglie del generale ma il killer è addirittura sceso dalla motocicletta, ha fatto il giro dell'autovettura (perché la famosa Autobianchi era guidata Emanuela Setti Carraro) e, quando si è accorto che non era morta con la prima sventagliata di kalashnikov, l'ha finita con il colpo di grazia sparato con una pistola. Nella dinamica di un delitto così pericoloso (Dalla Chiesa aveva anche un uomo di scorta, che però fu ugualmente ucciso), il killer si è preso il lusso di controllare se era morta anche la moglie del generale, perdendo quindi dei secondi molto preziosi, e questo costituisce un fatto anomalo. Come giudica lei questi elementi - la testimonianza, la singolare dinamica dell'omicidio, il "nero su bianco" - rispetto naturalmente alla valutazione che ci siamo sempre posti sulla circostanza che Dalla Chiesa fosse il depositario non di documenti a fini ricattatori o carrieristici, ma di segreti investigativi assolutamente legittimi?

BOZZO. Io non so niente di quello che è successo a Villa Paino perché ero a Milano. Quello che le posso dire è che la penultima volta che ho visto Dalla Chiesa - l'ultima è stata quando ha preso il traghetto da Genova per Palermo dopo il matrimonio - egli era euforico.

FRAGALA'. Qual è la data?

BOZZO. Siamo alla fine di giugno o ai primi di luglio 1982. Prima di sposare Emanuela Setti Carraro, egli aveva ancora un appartamentino presso il Comando divisione, dove prestavo servizio come capo dell'ufficio criminalità; quindi, quando veniva a trovare la futura moglie, in media un paio di volte al mese, passava sempre dagli uffici e la domenica mattina stava un po' lì con noi. Quella volta era euforico perché aveva con sé un rapporto, che tirò fuori dalla borsa di pelle nera che portava sempre con sé, al quale attribuiva un'enorme importanza; ma si trattava di lotta alla mafia, non al terrorismo. Il rapporto era di un reparto della Guardia di finanza e riguardava l'attività dei cosiddetti "cavalieri di Catania" su Palermo. Egli fece vedere questo rapporto al capo di stato maggiore e anch'io lo ebbi in mano: in quel rapporto c'era la prova che la mafia era tutta un'unica cosa, che Palermo e Catania rispondevano ad un unico vertice, altrimenti - fra l'altro - quelli di Palermo non avrebbero consentito a quelli di Catania di andare a lavorare nella loro città.

FRAGALA'. Ne parlò anche a Giorgio Bocca, nella famosa intervista di agosto.

BOZZO. Io gli ho dato un'occhiata, non l'ho letto tutto, ma secondo lui era la prova della sua convinzione; era presente anche il Capo di stato maggiore che però adesso è morto. Non so dare interpretazioni.

PRESIDENTE. Generale, non le chiedo un'interpretazione ma una valutazione, perché è questo uno dei problemi sul quale ogni tanto mi interrogo. Nel modo in cui il generale Dalla Chiesa è morto è quasi sottesa la certezza, che lui aveva, di non poter essere oggetto di un attentato; altrimenti non si riesce a capire come abbia potuto esporre al rischio sua moglie. Io posso anche pensare che è inutile assumere sicurezze perché se decidono di uccidermi lo fanno, ma certo a quel punto non giro in Autobianchi con mia moglie.

BOZZO. Le posso rispondere, perché ne abbiamo parlato di questo. Alle nostre raccomandazioni: "Signor generale, faccia attenzione", eccetera, lui rispondeva: "Tu non puoi capire. Qui è lotta alla mafia, e tu non l'hai mai fatta. La mafia rispetta chi la combatte a viso aperto, come mi ha rispettato la prima volta che sono stato in Sicilia nel 1948-1949; così quando sono stato sette anni a Palermo, andavo in giro da solo". Mi ha detto: "Io andavo per le campagne da solo con l'autista di notte, per il corleonese", eccetera. Lui era convinto che lo rispettassero, perché era sì l'avversario ma l'avversario leale.

PRESIDENTE. Questa è una cosa che mi disse nella scorsa legislatura un membro di questa Commissione, che pure aveva collaborato con Dalla Chiesa. Mi diede la stessa risposta con le medesime parole.

FRAGALA'. Generale, c'è anche un'altra versione di questa sicurezza e del rispetto ed è per il fatto che il generale Dalla Chiesa nella prima occasione, quando comandava la legione di Palermo, era riuscito ad avere dei punti di riferimento sul piano confidenziale di altissimo livello.

BOZZO. Non lo so.

FRAGALA'. Torniamo a via Monte Nevoso. Lei ha parlato di giugno 1982, Dalla Chiesa euforico. Io la riporto soltanto a pochi mesi prima: il 23 febbraio 1982 il generale Dalla Chiesa, allora solo vice comandante generale dell'Arma - cioè senza incarichi - risponde alle domande di Leonardo Sciascia alla Commissione Moro e si definisce "un esiliato a Roma", "un soldato lontano dalle battaglie". Ben altrimenti fiero e risoluto era stato invece il generale Dalla Chiesa ascoltato l'anno prima nella stessa Commissione. Dalla Chiesa così dice: "Mi chiedo oggi perché sono fuori dalla mischia da un po’ di tempo e faccio in qualche modo l'osservatore con un po’ di esperienza alle spalle. Dove sono le borse? Dove è la prima copia del memoriale? Perché noi abbiamo trovato la battitura soltanto? L'unica copia che è stata trovata dei documenti Moro non è la prima battuta. Questo è il mio dubbio: tra decine di covi scoperti non c'è stata una traccia di qualcosa che possa aver ripetuto la battitura di quella famosa raccolta di documenti che si riferiscono all'interrogatorio" - come vede le stesse domande della Commissione se le pone il generale - "Non c'è stato nulla che potesse condurre alle borse di Moro. Non c'è stato un brigatista pentito o dissociato che abbia nominato una cosa di quel tipo, né lamentato la sparizione di qualcosa, come è accaduto al processo di Torino, dove stava per succedere l'ira di Dio per un solo documento mancante. Se mai un documento importante o cose importanti come queste fossero stati scoperti e sottratti, penso che un qualsiasi brigatista lo avrebbe raccontato". Alla domanda di Leonardo Sciascia: "Lei pensa che siano in qualche covo?" Dalla Chiesa risponde: "Io penso che ci sia qualcuno che possa aver recepito tutto questo". Allora torna il problema, e torna con le parole di Dalla Chiesa, non con le parole di un esponente politico. Dalla Chiesa si poneva il problema che qualcuno aveva recepito quelle carte, perché era impossibile che in via Monte Nevoso non si fosse trovata la prima battitura, non si fosse trovato il memoriale, e che nessun brigatista si fosse lamentato che mancava qualcosa, quando invece a Torino...

BOZZO. No, no.

FRAGALA'. Un attimo, ora andiamo a Bonisoli e Azzolini. Intanto, come lei giudica...

BOZZO. Intanto, questo stato di prostrazione di Dalla Chiesa era inevitabile. Lui era il vice comandante generale dell'Arma; il vice comandante ha determinati poteri per regolamento, questo lui lo sapeva benissimo. Poteva rinunciare a fare il vice comandante e dire: "No, non voglio farlo, faccio un'altra cosa"; invece ci teneva a fare anche il vice comandante, perché suo padre lo era stato. Poi si è trovato a trascorrere il tempo tra una cerimonia e l'altra. Il fatto di queste domande che si pone: ma ce le siamo poste un po' tutti. Non le abbiamo trovate, poi abbiamo saputo che erano state bruciate le prime copie e le bobine.

FRAGALA'. E no, solo le bobine; le prime copie no.

BOZZO. Ma le prime copie chissà dove saranno finite. Le avranno sepolte sotto terra. Può darsi che nella costruzione di qualche stabile verranno fuori.

FRAGALA'. Per la prossima domanda vorrei che si passasse in seduta segreta.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 22,40.

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 22,42.

FRAGALA'. Generale, in quell'audizione il generale Dalla Chiesa, parlando poi con alcuni deputati, si pone il problema del fatto che bisogna assolutamente cambiare - lo dice nel 1982, siamo prima dello scandalo del SISDE - la legge sui servizi segreti, perché questi hanno licenza di uccidere e perché non possono essere controllati nelle loro spese. A lei di questo ha mai parlato?

BOZZO. Sì, ne abbiamo parlato. Nel 1977, con la riforma dei servizi di sicurezza, gli appartenenti alla polizia giudiziaria - carabinieri, guardia di finanza e polizia di stato - che accedevano al servizi, perdevano la qualifica di polizia giudiziaria; lui era contrario a questo perché in effetti sfuggivano al controllo di tutto e di tutti.

FRAGALA'. Lei ha saputo del contatto tra Buscetta e Azzolini in cui, secondo Buscetta veniva richiesto ad Azzolini se le Brigate rosse erano disposte a rivendicare un eventuale assassinio del generale Dalla Chiesa?

BOZZO. No, assolutamente. All'epoca non ho mai saputo niente di questo.

FRAGALA'. Il 30 aprile del 1982 - quindi siamo due mesi dopo febbraio - appena ricevuta la nomina, Dalla Chiesa scrive nel suo diario, poi pubblicato: "Io, che sono certamente il depositario più informato di tutte le vicende di un passato non lontano, mi trovo ad essere richiesto di un compito davvero improbo e, perché no, anche pericoloso. Promesse, garanzie, sostegni, sono tutte cose che lasciano e lasceranno il tempo che trovano. Ebbene anche nel diario, dopo l'audizione, lui torna su questi segreti, dice di essere lui il depositario di segreti di quegli anni importantissimi. A lei ha mai parlato di questi segreti? Lei sapeva del diario di Dalla Chiesa?

BOZZO. Lui scriveva molto, scriveva tutto. Era solito portare con sé copia del diario e di suoi documenti, aveva sempre una cartella di pelle nera; ci ho messo le mani qualche volta dentro, perché magari mi diceva di prendergli qualcosa: c'era un'agenda, o forse due non so, c'erano dei fascicoli. I "segreti" che lui sapeva erano, però, le nostre relazioni di servizio. Aveva anche i suoi informatori, ma in genere erano ex collaboratori, anche a livello molto basso, cioè carabinieri o appuntati che aveva conosciuto e che gli telefonavano e gli fornivano notizie.

PRESIDENTE. Che conoscesse Pecorelli lei lo sapeva?

BOZZO. No, io l'ho saputo dopo la morte di Dalla Chiesa che lui conosceva Pecorelli. Ricordo che quando hanno ucciso Pecorelli lui mi ha chiamato e mi ha detto: "Cosa ne pensi di questo fatto?" e io ho risposto: "Guardi, secondo noi non è un fatto di terrorismo". Basta, chiuso il discorso Pecorelli.

FRAGALA'. Quindi non le ha detto che lo conosceva, che lo frequentava.

BOZZO. No, mi ha chiesto cosa ne pensavamo noi: lui da Roma ha chiamato Milano e ha chiesto cosa ne pensavamo a Milano di questa vicenda; e noi abbiamo risposto che escludevamo potesse trattarsi di un fatto di terrorismo, inteso come terrorismo delle Brigate rosse o di estrema destra.

FRAGALA'. Generale, torniamo un attimo di nuovo a via Monte Nevoso. Dopo quei dubbi espressi a febbraio dal generale Dalla Chiesa sulla scomparsa delle carte (perché i dubbi li ha espressi il generale Dalla Chiesa, non li hanno espressi gli altri che fanno dietrologia), Azzolini e Bonisoli, nel processo in Corte d'assise a Roma, proprio alcuni mesi dopo questo febbraio 1982, denunciano la mancanza, nell'elenco dei reperti, proprio di importanti documenti provenienti dalla prigione di Moro che si dovevano trovare in via Monte Nevoso. Bonisoli addirittura ne riparla nel 1985 in questi termini: "In via Monte Nevoso, oltre al dattiloscritti, c'era un plico di fotocopie degli originali; in seguito, quando lessi l'elenco di tutto il materiale sequestrato dal carabinieri in quell'appartamento, non c'era traccia di tali fotocopie". E al processo "Metropoli" Azzolini dice: "A via Monte Nevoso c'era una borsa contenente gli originali fotocopiati di tutte le lettere di Moro; c'era anche la trascrizione degli interrogatori di Moro che erano stati sbobinati da Gallinari e Moretti stessi durante i 55 giorni". I nastri sono stati bruciati, come ha ricordato lei, generale, appena terminate le trascrizioni, ma le lettere e le fotocopie no. "C'era inoltre la fotocopia dell'originale di un memoriale scritto da Moro durante i 55 giorni, di cui agli atti c'è la trascrizione a macchina". Ora, anche questo è un ulteriore elemento. Dalla Chiesa dice: "In via Monte Nevoso è singolare che non siano state trovate delle carte"; poi dice: "E’ singolare che all'inizio nessuno ha lamentato la mancanza di carte", poi invece questa singolarità viene superata, perché Azzolini e Bonisoli dicono che le carte c'erano e indicano una serie di cose che mancano. Insomma, questo reparto territoriale dei carabinieri che ha fatto pasticci in via Monte Nevoso...

BOZZO. No, non ha fatto pasticci.

FRAGALA'. Ha fatto confusione.

BOZZO. No, non ha fatto niente del genere.

FRAGALA'. E che ha fatto?

BOZZO. Il reparto territoriale ha preso in consegna il covo sigillato e basta, non ha fatto alcun pasticcio.

FRAGALA'. Siccome lei all'inizio ha detto che purtroppo non eravate intervenuti...

PRESIDENTE. Ha detto che purtroppo non avevano avuto tempo sufficiente per fare la perquisizione come andava fatta.

BOZZO. Esatto, tutto lì. Ci volevano almeno quindici giorni per fare la perquisizione come Dio comanda.

FRAGALA'. Quindi sono stati fatti dei pasticci in questo senso, cioè non si è avuta la capacità investigativa di trovare le carte.

BOZZO. No, non era esattamente così. Dalla Chiesa ad un certo momento, per evitare contrasti, ci ha detto di lasciar perdere, di venire via...

PRESIDENTE. Ma lo sigillate con la documentazione dentro l'appartamento? Suppongo di no, la portate via la documentazione.

BOZZO. La documentazione l'abbiamo portata via, certo, quella che era lì già rinvenuta, però non abbiamo completato la perquisizione dell'immobile.

PRESIDENTE. Vi sono due problemi diversi, perché il generale Bozzo non attribuisce al comando territoriale una possibile responsabilità di sparizione dei documenti: lui sostiene che i documenti quelli erano e quelli hanno sequestrato. Se però loro avessero avuto più tempo, il pannello lo avrebbero trovato. Questo è il senso della sua deposizione.

BOZZO. Penso di sì, che li avremmo trovati, con altri dieci giorni si poteva fare.

FRAGALA'. Ora, c'è un altro problema che emerge nella commissione Moro, cioè che le vostre forze del nucleo speciale, quelle che entrarono nel covo di via Monte Nevoso, erano perfettamente a conoscenza della consuetudine, sempre rispettata da parte dei brigatisti, relativa all'obbligo e alle modalità di allestire in ciascuna base nascondigli dove occultare il materiale più importante. Lo sapevate voi?

BOZZO. Sì, ma siamo nel 1978, diciamo che si sapeva qualcosa del genere, che avevano questa abitudine, ma prove più macroscopiche le abbiamo avute in seguito. Però lo sapevamo, certamente.

FRAGALA'. Dunque lo sapevate. Allora la domanda è questa: come mai nel verbale dell'ottobre 1978 non vi è alcun cenno di verifica di eventuali nascondigli?

BOZZO. Gliel'ho detto.

FRAGALA'. Mi riferisco in particolare al famoso nascondiglio che fu trovato dopo.

BOZZO. Ma gliel'ho detto, perché siamo venuti via prima del tempo, perché l'ordine era quello di venire via e lasciare tutto al reparto territoriale per evitare che la tensione esistente potesse provocare ripercussioni sul servizio in quel momento assolutamente inopportune.

PRESIDENTE. Collega Fragalà, diamo la parola al senatore Gualtieri.

FRAGALA'. L'ultima domanda e ho terminato. C'è un'altra stranezza, generale, cioè che, mentre Azzolini e Bonisoli parlano degli interrogatori, della sbobinatura, del memoriale scritto nei 55 giorni, della prima battitura, eccetera, i carabinieri verbalizzanti parlano invece soltanto dei dattiloscritti dei riassunti che Moro scriveva e nei quali non sono riportate le domande, cioè non ci sono le domande delle Brigate rosse che invece c'erano secondo Azzolini e Bonisoli.

BOZZO. Non so risponderle su questo. Guardi, io ho incaricato della verbalizzazione un capitano del quale avevo la massima fiducia e che aveva pure la fiducia del magistrato: bisognerebbe chiedere a lui perché. So che hanno lavorato in pessime condizioni e che il verbale non è stato molto ponderato per motivi proprio di tempo, perché io facevo pressioni, che a mia volta ricevevo, di sgombrare e di dedicarsi ad altre attività. Purtroppo abbiamo sbagliato. Resta il fatto che il terrorismo noi lo abbiamo sconfitto in pochi anni: vada a dire le stesse cose agli inglesi, ai francesi, ai tedeschi.

FRAGALA'. No, voi lo avete sconfitto in pochi giorni, non in pochi anni, scusi; il problema che ci poniamo è questo, che lo avete sconfitto in pochi giorni.

BOZZO. Guardi, onorevole, il terrorismo brigatista è stato sconfitto il 20 febbraio 1980 e non il 1° ottobre 1978...

FRAGALA'. Sì, lo so.

BOZZO. quando è stato catturato Peci e Peci ha parlato e ha parlato anche su Prima linea, questo è il punto. Poi sono venuti Sandalo, dopo pochi mesi, e Barbone e si è completata l'opera.

FRAGALA'. Sì, però Moretti fino a quando ha operato?

BOZZO. Fino all'aprile 1981, ma anche lui ormai aveva i giorni contati.

FRAGALA'. Senta, un'ultima questione sul generale Mino.

PRESIDENTE. Ma quante ultime questioni propone? E’ la terza, già, le ho contate. Io non le voglio togliere la parola, onorevole Fragalà, ma vorrei che ponesse le sue domande il senatore Gualtieri.

FRAGALA'. La posso fare dopo questa domanda sul generale Mino, perché riguarda un altro argomento. Quindi cedo la parola al senatore Gualtieri.

GUALTIERI. Io sono un ammiratore dell'onorevole Fragalà, aspetto pazientemente perché poi mi sarà riservato lo stesso tempo.

FRAGALA'. Allora formulo l'ultima domanda sul generale Mino. Io naturalmente sono perfettamente convinto che l'iscrizione alla P2 fu motivata dal problema di sbloccare un certo passaggio delicato della carriera, però il cosiddetto contatto fu creato da Romolo Dalla Chiesa (che fra l'altro non era, tra i fratelli, immagino, la persona più di prima linea) e fu creato evidentemente ben sapendo il generale Dalla Chiesa che il fratello Romolo era di antica militanza...

BOZZO. Lui ha detto che non lo sapeva.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Fragalà, ma che senso ha porre una domanda rispetto alla quale lei ha già una risposta che è diversa da quella che ci darà il generale?

FRAGALA'. Mi interessa il problema Mino.

PRESIDENTE. Allora andiamo al generale Mino.

FRAGALA'. Sì. Rispetto a questa ripartizione che lei, generale, ha fatto tra i due gruppi interni dell'Arma dei carabinieri, il gruppo che faceva riferimento alla P2 e il gruppo che invece non faceva riferimento alla P2 o il generale Dalla Chiesa, che però ha questa doppia posizione, si pone il problema della famosa tragedia di Monte Covello.

PRESIDENTE. Che è il luogo dove cadde l'elicottero.

FRAGALA'. Esatto, il luogo dove cadde l'elicottero con il generale Mino. L'onorevole Pannella, fin da quel 31 ottobre 1977, ha sempre sostenuto, è stato il primo e forse l'unico, che si è trattato di un attentato, e ha rivelato (anche recentemente lo ha ripetuto, in un forum di Radio radicale di qualche settimana fa) che il generale Mino, un mese o un mese e mezzo prima di avere quel tragico incidente, lo chiamò e Pannella gli disse che era pronto ad andarlo a trovare ma Mino gli rispose che si dovevano incontrare in mezzo alla strada. Così è stato, Pannella voleva sedersi in macchina con lui ma Mino gli disse che era meglio di no perché anche le macchine hanno orecchie ed era preferibile parlare passeggiando. Secondo Pannella il generale Mino gli ha rivelato che temeva moltissimo per la sua vita e addirittura temeva gli elicotteri perché un gruppo all'interno dell'Arma dei carabinieri, che Pannella dice fare riferimento al generale Ferrara, aveva deciso di opporsi a tutti i costi al famoso piano di ristrutturazione che voleva realizzare il generale Mino. Il generale Mino si reca a Catanzaro dopo un mese da questo incontro in un modo singolare: parte da Bari con la sua Fiat 130 presidenziale del comando generale e nel contempo chiama Siri Marco da Pratica di Mare e lo fa venire con l'elicottero. Quel famoso giorno in cui si dovevano andare a premiare dei carabinieri che avevano partecipato alla liberazione di un ostaggio si fa quel pranzo alla caserma di Catanzaro, e l'elicottero dei carabinieri per ordine di Mino viene fatto piantonare nel cortile della caserma e tenuto sotto osservazione. Quando il generale Mino all'ultimo momento decide di non usare l'automobile ma di usare l'elicottero per fare una strada di mezz'ora, il comandante dell'epoca della Legione di Catanzaro, il colonnello Friscia, offre di far perlustrare il percorso dal suo elicottero precedendo l'elicottero del generale Mino sia per guidare la rotta sia per assicurarsi che il percorso fosse libero.

BOZZO. Io non ero lì.

FRAGALA'. La domanda finale è questa: ci sono altre decine di elementi indizianti che confermerebbero questa ipotesi che Mino avrebbe fatto a Pannella. E’ vero che vi era un forte contrasto tra il generale Arnaldo Ferrara e il generale Mino?

BOZZO. Il contrasto c'è stato senz'altro ma in quel momento Ferrara era vice comandante e quindi non poteva assolutamente dargli alcun fastidio perché Mino era il comandante generale.

FRAGALA'. Il generale Ferrara aveva una forte cordata all'interno dell'Arma dei carabinieri?

BOZZO. Indubbiamente aveva dei riferimenti.

La seduta è sospesa dalle ore 23,00 alle ore 23,05.

GUALTIERI. Signor generale, credo che lei debba questa convocazione a questo articolo di "Panorama" del 4 dicembre 1997. Lei ha detto che la giornalista - di cui è anche amico - per il 70 per cento l'ha tradita nel pensiero, però spero che alcune cose che lei ha detto rientrino nel 30 per cento. Lei ad un certo punto dice che all'inizio del 1978 il gruppo dei carabinieri di Torino viene a sapere da una fonte che qui viene indicata come fonte Grifone e non so se sia una di quelle di cui lei prima ha parlato...

BOZZO. No.

GUALTIERI. Viene a sapere che a Roma si stava preparando qualcosa. Abbrevio perché presumo che anche i colleghi abbiano letto l'intervista. Questa segnalazione li mette in allarme perché le Brigate rosse dopo Casalegno erano state per un certo periodo di tempo "in sonno", come si dice. Voi avete quindi questa segnalazione e lei dice che la comunicaste a Roma al comando generale al Capo di stato maggiore, generale De Sena. Questo almeno dice l'intervista. Il generale De Sena in dialetto napoletano, leggo testualmente, dice: "Guagliò, quello delle Brigate rosse è un problema vostro del Nord perché qui a Roma di Brigate rosse non c'è traccia". Questa parte la riconosce?

BOZZO. No, non è esatto, spiego brevemente. Omicidio Casalegno, primi di novembre 1977: dopo Casalegno - mi riferisco al nord-ovest e quindi al triangolo Milano, Torino, Genova - il generale Palombi ci convoca perché si aspettava un salto di "qualità", un'azione contro un personaggio di levatura superiore. Mi chiese di attivare i comandi periferici antiterrorismo e io mi rivolgo a Torino, a Genova, a Padova, a Milano, sempre però con quella pregiudiziale che non dipendevano più direttamente da me, ma dai comandi provinciali; quindi c'è molto ritardo ed anche una certa riservatezza nel formulare giudizi. Vengo a conoscenza che il reparto antiterrorismo di Torino ha un contatto, non un infiltrato, ma con una persona attraverso la quale con una serie di passaggi si arriva ad un fiancheggiatore. I fiancheggiatori sono quelle persone di cui la struttura eversiva si serve per attività logistiche soprattutto. Secondo questa persona la colonna romana aveva chiesto (e noi ci sorprendiamo di sentir parlare di colonna romana, perché ritenevamo che a Roma non ci fosse colonna) se c'era un compagno disponibile ad eseguire lavori di muratura all'interno di un alloggio. Questo è tutto. Ovviamente noi cerchiamo di interpretare questo fatto, ne parliamo con Palombi. Palombi è stato forse l'unico a preoccuparsi molto, a parte il fatto che era una fonte da prendere ancora con le molle, non era sperimentata. Noi come obiettivo possibile pensavamo alla Fiat, a un attentato al suo presidente, eccetera. Pensavamo che potessero sequestrare Agnelli a Roma, dove ovviamente era in condizioni di sicurezza minori che a Torino, o Romiti, che era da pochi anni alla Fiat ed era di Roma, quindi faceva ancora la spola con Roma. Palombi mi dice di non parlare al telefono e di andare a Roma a parlarne col generale De Sena. Io ho parlato col generale De Sena, che mi ha ascoltato e mi ha detto: Guagliò, qua il problema è vostro. E non aveva granché torto perché a Roma le Brigate rosse avevano rivendicato solo tre gambizzazioni, di cui le prime due erano ritenute non molto attendibili; l'unica attendibile poteva essere quella a Publio Fiori. Letta la rivendicazione, sembrava attendibile, però poteva essere stata effettuata da un commando venuto dalla Toscana o dalla città di Milano stessa e poi ripiegato. Questo è il fatto. Effettivamente a Roma dovevano occuparsi dei Nap, di quelli di destra, eccetera, ed erano sommersi da problemi di terrorismo. Perciò ci ha detto che era un problema nostro: indagate, se avete qualche spunto a Roma venite pure. Così io me ne sono tornato e la cosa è finita lì. Poi dopo due mesi hanno ammazzato un magistrato a Roma e allora è scattato l'allarme.

GUALTIERI. Comunque conferma sostanzialmente quanto è stato scritto.

BOZZO. Sì, sostanzialmente; però in quell'articolo sembra che il generale De Sena abbia detto che non si volevano occupare delle Brigate rosse.

GUALTIERI. Io sto facendo un altro ragionamento. Il comando generale riceve comunque una segnalazione di un allarme. Il fatto che non ci fosse a Roma un problema di terrorismo non è vero.

BOZZO. No, non c'era problema di Brigate rosse.

GUALTIERI. Anche questo non è vero, e adesso le dirò perché non è vero. Infatti, non ci sono state solo le quattro gambizzazioni, c'è stata tutta una serie di attentati minori fatti dalle Brigate rosse; ma in quel momento Roma era un inferno per altre cose di terrorismo, dato che stava scoppiando lo scontro fra terrorismo rosso e terrorismo nero. Nasce proprio in quel periodo lo scontro che ha visto protagonisti Mambro e Fioravanti; dopo le Brigate rosse ammazzano il magistrato Palma. Parlo dei primi del '78, ma Moretti si era trasferito a Roma nel '75, Nadia Mantovani e Bonisoli nel '76, Barbara Balzerani aveva fatto colonna con loro fin dal '76 a Roma. Le Brigate rosse a Roma c'erano, dal 1975 c'era il capo che era Moretti. Quindi, a seguito di una segnalazione che dall'attenuazione della pressione al Nord sta succedendo qualcosa a Roma, il comando generale, a mio giudizio, non può dire che questo è un problema vostro del Nord, perché Roma è al centro del paese.

BOZZO. Non so cosa dirle.

GUALTIERI. Questo lo voglio acquisire come elemento di preoccupazione, anche perché non è esatto dire che Roma in quel momento fosse una città dove ci si potesse permettere disattenzione di sorta. Le vorrei domandare anche un'altra cosa, e poi vengo ai problemi della strutturazione dell'Arma. Lei ha detto che avevate un Nucleo dell'antiterrorismo diviso in tre parti, una al Nord, una a Roma e una a Napoli. Tanto che quando Dalla Chiesa fu nominato il 10 agosto, convocò i tre comandanti del Nord, del Centro e del Sud. Quindi a Roma c'era un centro, non dei reparti territoriali, c'era un centro vostro dell'antiterrorismo. Ora, questo antiterrorismo che stava a Roma non riceve la segnalazione dell'antiterrorismo del Nord che voi avete fatto a De Sena.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 23,10

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 23,12.

GUALTIERI. Generale, ad un certo punto rapiscono Moro ed uccidono la scorta, lei dice in questa intervista che lei con una decina di carabinieri viene mandato a Roma per collaborare.

BOZZO. Sì, su ordine di Palombi.

GUALTIERI. Lei dice che arriva a Roma con un nucleo di una decina di carabinieri, ritengo che si aggreghi alle strutture dell'antiterrorismo di Roma...

BOZZO. Erano in totale marasma.

GUALTIERI. Poi arriviamo a questo. Lei dice nell'intervista che, arrivato a Roma, praticamente non le fanno fare niente, tanto che lei dice che non sapendo cosa fare se ne andava al cinema il pomeriggio. Ora, in pieno rapimento Moro vengono dieci carabinieri con il comandante del nucleo più esperto dell'antiterrorismo da Milano, si incontra con un altro nucleo dell'antiterrorismo a Roma, non gli fanno fare niente...

BOZZO. Abbiamo fatto una sola perquisizione.

GUALTIERI. ...e dopo quindici giorni lei dice che va via e torna a Milano.

BOZZO. Nel pomeriggio non avevamo nulla da fare, non avevamo un riferimento, non avevamo una persona che ci guidasse.

GUALTIERI. Questo è importante. Allora, che cosa succedeva a Roma? Prima abbiamo detto - come ha citato il collega Fragalà - che si facevano le parate e le esibizioni dei muscoli, non si facevano investigazioni. In quei primi giorni che tipo di investigazioni venivano fatte a Roma per cercare la prigione di Moro? Uno dei problemi è questo; o c'è stato un complotto (poi tornerò sull'argomento), per cui si è deciso a qualsiasi livello politico, amministrativo, che Moro non doveva essere cercato, oppure c'era uno stato tale di confusione e di marasma, di incapacità, che non c'era bisogno di un complotto perché c'era già quella situazione. Le devo dire che Pecorelli prima di morire si pose la seguente domanda: "Come hanno fatto a non trovare Moro?". Inoltre, in un libro della famosa giornalista inglese Alison Jamieson, che ha scritto un saggio sull'attacco al cuore dello Stato, si parla di un esperto di terrorismo inglese, il generale Head, il quale afferma che una qualsiasi polizia mediocre avrebbe trovato Moro effettuando delle normali investigazioni e avendo i postini che entravano ed uscivano e telefonate per cinquantacinque giorni. Allora mi domando, generale, che tipo di investigazione avete fatto, anche nei quindici giorni che lei è stato a Roma? Facevate le parate, i rastrellamenti, o effettuavate investigazioni? Frequentavate il famoso centro direzionale del Ministero dell'interno dove si trovavano i due grandi centri operativi? Lei era in contatto con le due èquípe di Cossiga in cui si trovavano i grandi esperti di psicologia tedeschi e americani. Che cosa si faceva per trovare veramente Moro? Che tipo di investigazioni?

PRESIDENTE. Sono interessato a questa risposta perché è una domanda pertinente.

BOZZO. In primo luogo non sono stati quindici giorni; sono stati non più di dieci giorni, durante i quali noi avevamo un solo spunto investigativo: quella possibile casa dove potevano aver fatto i lavori. Ma era in termini molto vaghi e sicuramente non era quella che abbiamo poi localizzato; abbiamo fatto una perquisizione che ha dato esito negativo. Personalmente non so niente di questi comitati, non vi ho mai partecipato. Io stavo al comando generale, ero in sala operativa dove pervenivano le notizie dei servizi che facevano perquisizioni di continuo e le commentavamo. Però io non ho svolto indagini a Roma, a parte quella della perquisizione che abbiamo effettuato. Dopodiché il generale Palombi mi ha detto che potevo pure tornare su e io sono tornato a Milano, non a Torino. Quelli di Torino sono venuti con me, eravamo una mezza dozzina, non di più. Sentivo che facevano dei rastrellamenti, dei posti di blocco, molti posti di blocco...

GUALTIERI. Lei non è stato inserito in una struttura investigativa?

BOZZO. No, assolutamente.

PRESIDENTE. Vorrei fare una domanda che avrei voluto porre all'allora Ministro dell'interno, adesso è passato tanto tempo. Lei è indubbiamente un uomo che ha in questa materia una grande esperienza. Che ci faceva il direttore dell'enciclopedia italiana, tal dottor Cappelletti, nel comitato di crisi? Lei riesce a darci una spiegazione logica di come era stato selezionato questo comitato di crisi?

BOZZO. No, assolutamente. Non ne ho la più pallida idea.

PRESIDENTE. Ma perché un enciclopedico doveva dare un contributo a trovare Moro?

BOZZO. Questo lo dovrebbe spiegare chi ha costituito il comitato.

GUALTIERI. Signor generale, volevo domandarle: il servizio di polizia tedesco manda due esperti di antiterrorismo e gli americani mandano un esperto di trattazione degli ostaggi che si chiama Pieczenik, di origine polacca. Anche quest'ultimo è stato quindici giorni a Roma, partecipava ai comitati, andava al cinema anche lui. Dopo quindici giorni torna in America e dice che non vogliono trovare Moro e circa la sicurezza la sua dichiarazione era: "C'era una falla grande come una casa". Mi domando: ma che tipo di ricerca abbiamo fatto di Moro? Non voglio dire che c'è un complotto, ma abbiamo un disordine totale della magistratura. Mi rivolgo agli avvocati: non è che allora nella legge non fosse contemplata la responsabilità primaria dell'investigazione del magistrato...

PRESIDENTE. Non c'è dubbio.

GUALTIERI. Si lascia il magistrato Infelisi nelle condizioni in cui è stato detto, senza telefono, e dopo un po' sta fuori cinque giorni a cercare la casa di vacanze in Calabria...

BOZZO. Quella era l'atmosfera!

GUALTIERI. Dopo trenta giorni il procuratore Pascalino avoca l'inchiesta. Insomma un disastro totale della magistratura, la quale non si accorge che non è lei a condurre le indagini, ma dei comitati. Non le conduce neanche la polizia giudiziaria. Quello che sto cercando disperatamente di far notare, signor Presidente, è che quando esaminiamo il caso Moro non abbiamo i due titolari delle indagini in caso di rapimento e di omicidio plurimo: da una parte la magistratura e dall'altra la polizia giudiziaria. Nel caso di Moro non c'è stata né la magistratura né la polizia giudiziaria. E poi dopo ci si chiede perché non hanno trovato Moro! C'è gente che ha continuato a fare le carriere politiche, amministrative, eccetera; poi va in televisione una trasmissione intitolata: "Si poteva salvare Moro?". Ma cosa risponde al cittadino? Raccontiamo questo?

BOZZO. Non so risponderle.

PRESIDENTE. La dietrologia nasce da questo. Effettivamente è una disorganizzazione che rasenta i limiti dell'assurdo. Somiglia un poco ai verbali sull'aereo che era caduto nella forra calabrese.

FRAGALA'. La disorganizzazione organizzata!

GUALTIERI. Viene così facile dire che ci deve essere stato un complotto. Ma non lo si può fare; non possono aver organizzato un complotto rendendo inefficienti e stupidi tutti, magistratura e polizia. E’ un qualche cosa che è sfuggito di mano.

PRESIDENTE. Questa è un'osservazione intelligente. E’ una cosa così grossa che sembra addirittura essere stata organizzata.

GUALTIERI. Non possono averla organizzata.

BOZZO. Non si può non concordare. E’ così!

GUALTIERI. Signor Presidente, colleghi, devo fare un'ultima domanda. Quando leggo, a pagina 70 della "Storia dell'Italia repubblicana" pubblicata da Einaudi, il saggio del professor Nicola Tranfaglia, il quale scrive: "Pare ormai accertata una volontà politica prevalente all'interno del Governo guidato da Andreotti e negli apparati repressivi e di sicurezza che da quel Governo dipendevano", e questi apparati repressivi di sicurezza abbiamo visto cosa erano, "volontà che si esprimeva nel lasciare mano libera al brigatisti prima di nascondere la prigione in cui era rinchiuso l'uomo politico democristiano", quindi una volontà prima di far scomparire la prigione, poi di ucciderlo e infine di restituirlo nella maniera teatrale e macabra in cui si realizzò: e continua: "Allo stato delle nostre conoscenze, non si può dubitare: si tratta di una considerazione che scaturisce in maniera oggettiva dai fatti e dai documenti". Io le domando: ma è questa una lettura possibile? Cioè, c'è veramente questa volontà di nascondere la prigione, di non far trovare Moro, di ucciderlo, quando vediamo che le condizioni in cui sono state condotte le ricerche mi sembra che ci orientino verso un altro significato? Possiamo accusare di inefficienza o di stupidità la classe politica, non so quale dazio deve pagare, ma a questo punto comincio a ritenere improbabile l'idea del grande complotto, anche per quello che lei ci ha raccontato questa sera: l'Arma funzionava in un determinato modo, divisa in corpi territoriali e corpi speciali. Mi sembra di rivivere i momenti che sto vivendo adesso come Presidente della Commissione difesa del Senato, con la tragedia dei corpi speciali e dei corpi territoriali. E’ possibile che il nostro paese debba arrivare a questi livelli di inefficienza totale? Anche il successo delle vostre operazioni, come lei ha detto, spesso è dovuto al fatto che qualcuno ha parlato. Avete trovato Peci perché ha parlato Sandalo, altrimenti il terrorismo sarebbe andato avanti altri dieci anni.

BOZZO. E no, senatore, li abbiamo arrestati tutti, noi. Lei mi parla del 1978, eravamo all'inizio.

GUALTIERI. Quando è stato rapito Moro e la scorta è stata uccisa eravamo già al decimo anno del terrorismo.

BOZZO. Però il brigatismo era considerato un problema del Nord.

GUALTIERI. Ma i reparti di Dalla Chiesa al Nord avevano già avuto successi strepitosi e la Polizia non era affatto sguarnita perché a Roma operava uno come Santillo. Ciò che mi fa rabbia è che non è vero che non ci fossero gli uomini e i reparti, perché a Roma c'era Santillo che ha distrutto i Nap in sei mesi. Questo bisogna dirlo. Perché allora - e finisco - ad un certo punto, nel 1975, Dalla Chiesa chiede che venga creato il comando unico antiterrorismo nazionale? Eravamo in un periodo in cui se si fosse creato questo comando unico probabilmente avremmo avuto successi rilevanti.

BOZZO. E’ molto probabile.

GUALTIERI. Perché l'Arma non si dà un Comando unico, che invece si dà dieci giorni dopo l'uccisione di Moro? Il problema poi è questo.

BOZZO. E’ tutto lì il problema, senatore!

GUALTIERI. Il problema non è che non avessimo gli uomini e le strutture.

BOZZO. Non le posso rispondere.

GUALTIERI. Allora ho finito.

PRESIDENTE. Io volevo avanzare un'ipotesi, se lei mi consente, che forse sta a metà tra le due, perché la disorganizzazione è tale da sembrare quasi inverosimile. Allora, mi domando se dietro tutto questo non ci possa essere una responsabilità politica di tipo diverso, senatore Gualtieri. In realtà, la politica si divide in due schieramenti: uno è il partito della fermezza, l'altro è il partito della trattativa. Personalmente ritengo - sbaglierò - che il partito della fermezza avesse ragione, ma naturalmente il partito della fermezza (che non voleva trattare con le Brigate rosse) avrebbe dovuto avere come prosecuzione naturale dell'atteggiamento la massima efficienza possibile nell'andarlo a trovare. Ma non ci poteva essere il rischio che l'operazione militare per liberare Moro potesse portare anche all'uccisione accidentale dell'ostaggio e che ciò potesse determinare che la fermezza diventasse stasi, stallo? Infatti, se questo fosse avvenuto, il partito della trattativa avrebbe rivendicato le proprie ragioni. Addirittura l'atteggiamento della famiglia sembra andare in qualche modo in questo senso, cioè la famiglia sembra non voler collaborare per trovare la prigione, perché aveva paura che l'azione militare potesse concludersi tragicamente.

BOZZO. E’ vero.

PRESIDENTE. Questo per dire che non ho tesi precostituite.

GUALTIERI. Vorrei aggiungere un'altra osservazione. Proprio ieri sul giornale è stata riportata la dichiarazione di uno di coloro che sono stati intervistati nella trasmissione che andrà in onda questa sera, Reichlin, il quale ha affermato che hanno sostenuto la tesi della fermezza per consentirci di trovare l'ostaggio. A parte questo, vorrei dire al Presidente e al generale, che stasera ci porta avanti in alcune considerazioni, che Steve Pieczenlk, l'americano esperto di salvataggi di ostaggi, quando arriva in Italia dice a Cossiga che avevano fatto male a sostenere che non avrebbero trattato con i terroristi. Sarebbe stato più opportuno prendere la decisione di non cedere mai al ricatto dei terroristi, ma lasciando aperte tutte le strade possibili per poter guadagnare tempo, perché la Polizia ha solo bisogno di tempo. Cossiga rispose: "Ma siamo in Italia, non in America, se io dico questo, tutti pensano che in realtà stiamo trattando". Invece in Germania, quando rapiscono Schleyer, Shmidt, che aveva fatto firmare a tutti, compreso Schleyer, che non poteva cedere al ricatto, e la famiglia sapeva che non doveva cedere, lascia andare avanti trattative parallele e lui stesso invia degli ambasciatori nelle nazioni arabe per chiedere se, nel caso in cui avessero lasciato liberi i terroristi, sarebbero stati disposti ad ospitarli in Libia o in Siria, e intanto guadagnava tempo. E’ vero che anche in quel caso, dopo 55 giorni, Schleyer fu ucciso, ma per due volte andarono vicini alla prigione, dalla quale l'ostaggio era stato spostato poche ore prima. Il compito di una trattativa non è quello di essere in astratto, Presidente, perché in questi casi, quando si tratta a quel livelli, si è "figli di puttana". La teoria della fermezza o della trattativa è in funzione della liberazione dell'ostaggio, non può basarsi su principi. Noi invece abbiamo ideologizzato la teoria della fermezza e non abbiamo cercato l'ostaggio. Questo è il dramma.

PRESIDENTE. La complicazione era costituita dal fatto che il vero leader della trattativa era l'ostaggio, perché Moro si inserisce in tutto questo e praticamente dice di trattare.

GUALTIERI. Indebolendo la posizione.

PRESIDENTE. Esatto.

DE LUCA Athos. Anch'io vorrei fare qualche domanda, prima che il generale parta. Io credo che lei abbia dato l'impressione a tutti, anche agli altri colleghi, di essere sincero in questa audizione e pertanto la ringrazio di questa sincerità. Però penso che anche lei si fermi ad una certa soglia, come è avvenuto anche per altre persone. Noi abbiamo avvertito la sua passionalità, quando quasi si arrabbia perché non le hanno consentito di fare fino in fondo ciò che voleva. Lei ha detto che per setacciare quel covo ci voleva un mese, invece dopo pochi giorni le hanno detto di chiudere perché non si doveva fare; lei ha affermato di essere per un solo giuramento nella vita mentre intorno aveva gente che proponeva di giurare più di una volta. Però in lei colgo una contraddizione. Lei afferma che esisteva una lobby di persone affiliate alla P2, fatto di cui è stato testimone, afferma che avevate nemici esterni ma anche interni...

BOZZO. Non nemici, ma difficoltà interne.

DE LUCA Athos. Difficoltà interne che non vi consentivano di fare il vostro dovere. In molti passaggi si avverte il suo disappunto perché non vi hanno lasciato fare, vi hanno frenato. Poi però si ferma davanti ad alcune domande, come quando le è stato chiesto perché non si voleva che faceste il vostro dovere. Allora perché vi hanno mandato via dopo cinque giorni? Credo che lei avrà detto qualcosa, aveva l'autorità per dire che bisognava lasciare gli uomini altri dieci giorni.

BOZZO. Per evitare i contrasti, che danneggiano il servizio. Quindi si è trattato di una scelta opportuna, anche se purtroppo ci è costata quell'errore. Non vedo assolutamente alcun complotto.

DE LUCA Athos. Io non sto parlando di complotti, sto solo rilevando una contraddizione nella sua esposizione. Lei cita tutta una serie di situazioni di inquinamento all'interno dell'Arma da parte di persone che erano affiliate alla P2, di ordini e di disposizioni che creavano disorganizzazione e non consentivano la piena efficienza. Lo ricordava adesso anche il senatore Gualtieri: lei non era utilizzato nemmeno per le operazioni. Poi, però, di fronte alla domanda rispetto alle responsabilità di tale situazione, con tutta la sua esperienza (non stiamo parlando ad un gregario, ma ad uno dei protagonisti più autorevoli di certe vicende), ci dice appunto che non ci sono responsabilità politiche, che non c'è stata una volontà politica di non andare fino in fondo.

BOZZO. Non ho le prove. Posso immaginare, ma nemmeno... Ad un dato momento mi debbo fermare.

DE LUCA Athos. Lei ha detto all'inizio che, così come il generale Dalla Chiesa, pur sapendo molte cose ha una soglia al di là della quale non si fanno nomi, non si fanno ipotesi. Credo invece che forse lei oggi avrebbe potuto permettersi, in una Commissione parlamentare d'inchiesta come la nostra, che apprezza fino in fondo alcune cose che lei ha detto, di fare appunto delle ipotesi. Personalmente sono stato colpito dal giudizio che lei ha dato della P2 come strumento della CIA...

BOZZO. Io ho detto che era anche uno strumento della CIA.

DE LUCA Athos. Mi hanno colpito altre sue considerazioni, che saranno comunque utili: però devo registrare che lei non ha sfruttato appieno quest'audizione, così come poteva, fornendoci qualche valutazione ulteriore. Non si è sentito di toccare la soglia politica, benché lei oggi si trovi in una condizione di privilegio, cioè di essere ascoltato da una Commissione d'inchiesta e di non avere più responsabilità dirette, potendo dare quindi un contributo pieno alla ricerca della verità. Vorrei inoltre semplicemente chiederle alcuni chiarimenti molto concreti. Si è parlato di un appartamento utilizzato come base coperta dei servizi segreti e neofascisti a Milano. Lei ha avuto mai notizia di questo?

BOZZO. No.

DE LUCA Athos. Lei ha avuto notizia che vi fosse, sempre a Milano, una sede dell'Istituto Pollio?

BOZZO. No.

DE LUCA Athos. Lei pensa che, prima che la lobby da lei descrittaci si affiliasse alla P2, queste persone facessero parte di un'altra organizzazione o fossero legate da altri interessi?

BOZZO. Sì.

DE LUCA Athos. Può approfondire questa sua risposta?

BOZZO. Penso di sì perché è la storia stessa di queste persone che porta a fare determinate considerazioni. Anche il comandante della divisione aveva aderito alla Repubblica sociale e quindi la pensava in un certo modo.

PRESIDENTE. Lei pensa che questo mondo potesse non volere la salvezza di Moro?

BOZZO. No. A parte il fatto che all'epoca del sequestro di Moro alcuni di tali personaggi erano già in congedo, non ho mai avvertito qualcosa del genere nel modo più assoluto. Però mi spiace quello che ha detto il senatore De Luca.

DE LUCA Athos. Voglio concludere sottolineando una sua frase, che mi ero appuntata: "ci avevano in messo in naftalina".

BOZZO. Non l'ho detto lo, comunque non ci hanno messo in naftalina. In quel periodo ci hanno tolto la piena disponibilità dei reparti antiterrorismo e li hanno invece inglobati nei comandi provinciali. E’ ovvio che noi avevamo una certa esperienza ma meno capacità di azione; però sono interpretazioni sulla organizzazione del servizio rispetto alla quale non ho mai visto nulla di malizioso, di men che corretto. Indubbiamente sono posizioni opinabili, però non posso dire, non ho le prove per dire che sia stato fatto in funzione di scopi illeciti. L'avrei detto, come ho detto ben altre cose, ma onestamente non posso affermarlo.

DE LUCA Athos. E rispetto a omertà massoniche o solidarietà nell'Arma?

BOZZO. Questo sì, è naturale, accade in tutte le Forze armate, nella pubblica amministrazione...

PALOMBO. Nella magistratura.

BOZZO. E’ una costante secolare.

PALOMBO. Innanzitutto la ringrazio per la sua lucidissima esposizione, che mi ha fatto fare un salto indietro di vent'anni. Vorrei poi farle una domanda semplicissima. La nomina del generale Mino, che proveniva dal Corpo delle trasmissioni, provocò un notevole sconcerto nell'Arma perché per la prima volta un comandante generale proveniva da un corpo tecnico e non combattente. Ci furono all'inizio grandissime perplessità...

BOZZO. Molte.

PALOMBO. Queste perplessità aumentarono quando Kappler fu portato via dalla signora Annelise dal Celio - e lo sottolineo - episodio in seguito al quale il generale Mino destituì tutti i comandanti, trasferì il comandante della brigata e finanche Capuzzella che io poi sostituii al Celio. Il generale Mino, invece, rimase al suo posto. Durante la sua gestione, Musumeci era il capo di stato maggiore dell'undicesima brigata, quella che raggruppava tutti i battaglioni d'Italia, e il colonnello Belmonte - legato a sua volta a Musumeci e quindi coinvolto in tutti i suoi disastri - era il capo dell'ufficio operazioni della undicesima brigata. Picchiotti, infine, aveva lasciato da poco il posto di capo di stato maggiore, ma era legatissimo a tutta questa gente. Come lei ha detto, giustamente, a Roma c'era questo gruppo di potere ed io vorrei sapere chi erano i referenti politici di questi signori. Da chi erano protetti? Da chi erano gestiti? Per quali scopi i politici mantenevano al loro posto questa gente, che è stata deleteria, come lei ha detto e come tutti sappiamo? Le volevo fare poi una seconda domanda. Le risulta che le brigate rosse hanno avuto contatti con i palestinesi, con i campi di addestramento in Cecoslovacchia e nel Libano e con i servizi segreti della DDR?

BOZZO. Rispondo subito alla seconda domanda, in senso affermativo per quanto riguarda i rapporti con i palestinesi. Infatti Moretti si recò in Libano a ritirare un carico di armi che poi furono distribuite a tutte le colonne. Non mi risultano, invece, rapporti con la DDR. L'unico rapporto che mi risulta tra Brigate rosse e servizi di sicurezza dell'est è quello con i bulgari in occasione del sequestro Dozier. Passando all'altra domanda, bisognerebbe consultare gli atti parlamentari e verificare chi erano i Ministri della difesa e dell'interno dell'epoca: così si può ricostruire un po’ la vicenda perché certamente da lì derivava il potere di queste persone.

GUALTIERI. Chi erano i Ministri?

BOZZO. Questo non lo dico.

PALOMBO. Signor Presidente, le chiedo di proseguire in seduta segreta perché si tratta di un punto importantissimo.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 23,44.

...omissis ...

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 23,48.

PRESIDENTE. Un ultimo flash: oltre quello di Savona ci sono stati altri episodi di attentati prima o dopo che potevano rientrare nella strategia della tensione?

BOZZO. Li ho detti: è iniziato con Milano, poi c'è stato Piazza della Loggia, l'Italicus ..

PRESIDENTE. Questi sono quelli noti, altri?

BOZZO. No, non mi risultano.

PRESIDENTE. Ringraziamo il generale Bozzo per la sua cortese presenza. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle ore 23,50.

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