Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

21ª SEDUTA

MERCOLEDI 4 GIUGNO 1997

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

prima parte

seconda parte

Seconda parte

Indice degli interventi

PRESIDENTE
ARCAI
BONFIETTI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore
CORSINI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato
FRAGALA' (AN), deputato
MANTICA (AN), senatore

 

CORSINI. Per quanto riguarda la mattina del 28 maggio - come lei sa - ci furono polemiche a causa della rimozione dei detriti e del lavaggio della piazza con gli idranti due ore dopo la strage. Vorrei richiamare alla sua memoria questa vicenda perché sulla responsabilità di questa decisione, che mi pare si possa definire del tutto improvvida, esistono opinioni assolutamente contrastanti: secondo alcuni, la decisione sarebbe stata presa dal vice questore; secondo altri, dal sostituto di turno, secondo altri ancora - mi sembra anche lei da quanto ha scritto - dal Procuratore generale della Repubblica. Che cosa può dirci in merito a questa vicenda?

ARCAI. Il Procuratore generale della Repubblica non c'entra niente e non posso proprio averlo detto io. Ho scritto un apposito capitolo sul rigetto e disprezzo della prova generica in certi procedimenti penali, diventato da un po' di tempo di uso comune. Ricordo quanto segue: per me è stata una delle tante mistificazioni fatte ad arte. Quando appresi dell'esplosione la prima cosa che pensai era che si trattasse di un diversivo per far tentare l'evasione di Carlo Fumagalli dalle carceri. Se ne parlava perché, già nel '70, vi era stato un suo progetto per far evadere Gaetano Orlando e si sapeva che costui, che non era stato catturato, coltivava questo progetto. Questo era quello che si sapeva; quello che dicevano i ragazzi. Telefonai pertanto a Delfino, a quelli del nucleo, ma non trovai nessun carabiniere; telefonai al carcere ed alla questura ed ad un certo punto io stesso scesi giù in cortile diretto al carcere a piedi per vedere cosa stesse capitando ed incontrai in cortile il Procuratore capo della Repubblica, dottor Salvatore Maiorana, il dottor Lisciotto e il dottor Giannini che venivano da piazza della Loggia. Tra l'altro, parlammo di ciò che si sarebbe dovuto fare in piazza della Loggia e Maiorana disse che non si sarebbe potuto fare niente. Se ben ricordo, qualcuno aveva addirittura tentato di perquisire anche loro. A questo punto dissi: «Vai su, telefona e chiama l'esercito. Fagli occupare la piazza. Vi è stata una strage: devi mandare periti, fotografi». Questo fu il mio suggerimento che mi fu contestato in sede di procedimento disciplinare. Chissà per quale motivo davo suggerimenti del genere? La risposta fu comunque negativa. In un caso del genere - lo stabilisce la procedura penale - chi assume la direzione delle indagini è il Procuratore capo della Repubblica o un sostituto da lui appositamente delegato. Non fu fatto niente, non fu scritto niente, non esiste alcun atto scritto. Per cui, la piazza è rimasta in mano ai manifestanti scioccati, giustamente arrabbiati per quanto era accaduto.

CORSINI. Posso testimoniare anch'io, perché c'ero.

ARCAI. La piazza rimase in mano a Diamare e al tenente Ferrari. In particolare Diamare non aveva alcuna funzione di polizia giudiziaria, aveva solo funzione di ordine pubblico. Diamare era il commissario che fu accusato di aver fatto lavare la piazza: a mio avviso non c'entra niente, è un altro capro espiatorio, un'altra mistificazione. Sarebbe stato dovere dell'autorità giudiziaria, è inutile che stiamo a discutere.

CORSINI. Chi diede l'ordine di lavare la piazza?

ARCAI. Esiste una scheda dei vigili del fuoco firmata dall'ingegner Chiuzzelin, dove c'è scritto cosa accadde. E’ un atto pubblico che fa fede fino a prova del contrario. Io l'ho trovato perché ero incarognito, altrimenti non sarebbe uscito fuori. I vigili del fuoco sono arrivati ed hanno assistito. A un certo punto, andata via l'autorità giudiziaria, hanno aiutato i netturbini a rimuovere i vetri del negozio Tadini e a mettere nei sacchi neri degli spazzini i reperti. Quindi hanno lavato la piazza.

PRESIDENTE. Il dottor Arcai vuole dire di questo atteggiamento abdicativo dell'autorità giudiziaria, per cui si innestava lo scopino...

ARCAI. Lì doveva essere mandata una squadra di polizia giudiziaria, fotografi, raccoglitori eccetera. Ma è successo di più: il giorno stesso o due o tre giorni dopo venne nominato un perito per fare quello che doveva essere fatto già prima, un ingegnere. La perizia è agli atti e vi si legge - una perizia ufficiale pagata - che il palco stava sotto alla Loggia.

CORSINI. Ho avuto modo di leggere la sua relazione su questo argomento.

ARCAI. Roba da matti! E c'è la firma dei due magistrati accanto all'errore del perito. Non solo, il perito era stato invitato a localizzare i posti in cui si trovavano le diverse vittime: ha localizzato solo il posto di tre vittime, le altre non esistevano! Di chi è la colpa di tutto questo?

PRESIDENTE. Dunque il palco viene localizzato erroneamente?

CORSINI. Il palco si trovava in mezzo alla piazza.

ARCAI. , dove c'è il tombino, dove vi sono gli allacci elettrici per gli altoparlanti. La Loggia invece è un edificio enorme, è il palazzo del municipio che si trova a ovest della piazza. Invece i portici sono ad est, fronteggiano la Loggia, sono porticati. E un porticato non è la Loggia.

PRESIDENTE. Quindi la perizia sposta la localizzazione del palco dal centro della piazza a sotto la Loggia.

CORSINI. Una domanda provocatoria, se permette, dottor Arcai. In un testo che lei certamente conosce sta scritto che lei è stato protagonista, il 3 giugno 1974, di un incontro a Rovato con il senatore Giorgio Pisanò, alla presenza del capitano Delfino.

ARCAI. E’ un altro depistaggio di Delfino. Ma non si dice Giorgio Pisanò, si dice «con un confidente».

CORSINI. Così sta scritto in questo libro dei giornalisti Bianchi e Iannacci, pubblicato da Valerio Marchi. Le chiedo come è avvenuto questo incontro, perché dice che è un depistaggio?

ARCAI. E’ un depistaggio infame, Delfino lo ha tirato fuori nel primo dibattimento: ho tutte le carte che riguardano il caso e nel testo che ho depositato ci sono i documenti allegati. Il capitano Delfino, in dibattimento venne fuori con una accusa specifica, e io non compresi perché questa venne fuori proprio da lui. L'accusa era che la sera del giorno 3 gli avevo telefonato per dirgli di trovarsi l'indomani mattina, da solo, in macchina sotto casa mia: avremmo dovuto incontrare un confidente. Prosegue: ci trovammo poi nella caserma e il senatore Pisanò parlò con il giudice Arcai, raccontando diverse cose; fra l'altro ci diede un identikit degli autori della strage (corrispondente a quello degli autori da me scoperti, cioè Buzzi e compagnia bella). Questo dice Delfino in dibattimento. Dice inoltre: all'esito dell'incontro con «questo confidente» (non era un deputato o senatore membro della Commissione antimafia, era «un confidente dell'Msi») il dottor Arcai mi chiese di curarlo, di stargli dietro per seguire altre cose. «Non lo feci perché non mi sembrava giusto seguire un fascista». Lo avesse detto a me, gli avrei fatto mettere i ferri! Ma il fatto è tutt'altro, l'ho scritto alla Corte di Assise. Il giorno 3 io non ero a Brescia: tornai a casa tardissimo, ero fuori - guarda caso - con il dottor Trovato; e il dottor Trovato quando Delfino raccontò queste balle non disse niente, non si oppose. Secondo Delfino la sera del giorno 3 io gli avevo telefonato per dirgli: capitano domattina si trovi da solo sotto casa in macchina, e dobbiamo andare ad incontrare un confidente. Chi era questo confidente? Ci trovammo poi nella caserma - è lui che racconta in dibattimento e dovreste avere gli interrogatori del primo processo -. Era il senatore Pisanò che parlò con il giudice Arcai. Ma Delfino non poteva telefonarmi a casa il giorno 3: non c'ero. Tornai da Verona, se ben ricordo, a tarda notte. Tant'è vero che poi il senatore Pisanò, nel suo racconto - ed è registrato - disse che alle ore 2 di notte lui era ancora in Svizzera, quindi non poteva aver preso contatto con me dalle 2 durante la notte per trovarsi lì. C'è di più: lo stesso Delfino disse in dibattimento, su contestazioni del presidente Allegri: scusate, ma questo incontro dove è avvenuto? Nella caserma - risponde Delfino - dei carabinieri di Rovato. Ma dove esattamente? C'è una grande sala, ci sono diversi tavoli. Ma c'era il cancelliere? Tenderei ad escluderlo. Il giudice che va dal confidente accompagnato solo dal capitano dei carabinieri senza cancelliere: e proprio un confidente, non è un atto istruttorio. Tenderei ad escluderlo. Non lo ricordo perché eravamo in una grande sala con marescialli e carabinieri che andavano e venivano. Ma allora non è un incontro segreto: eravamo nel foro boario di Rovato!

CORSINI. Allora questo incontro non è mai avvenuto?

ARCAI. Certo che è avvenuto, ma è avvenuto con un atto istruttorio. Dove? Il Pisanò aveva avuto notizia di questo Fumagalli già da tempo; ed anche li è tutto un altro racconto che arriva fino al 1970. Siccome era anche giornalista era andato in Valtellina ed in Svizzera per un'indagine su Carlo Fumagalli; aveva saputo determinate notizie importanti ed intendeva riferirmele. Siccome doveva essere in giornata a Roma in Commissione antimafia alla quale avrebbe dovuto riferire anche le scoperte appena fatte - c'entravano dei contrabbandieri che erano implicati nel sequestro di Rossi di Montelera e via dicendo - ma prima voleva riferirne a me. Io proposi di trovarci in un punto intermedio, o meglio a Rovato. Lui disse di avere con se un registratore: lei registra tutto io ritiro il nastro, lo faccio trascrivere e poi lei conferma e firma. Difatti ci trovammo; io andai a Rovato con il capitano Delfino, e c'era l'autista, non era solo, ed andai con il cancelliere...

BONFIETTI. In quali giorni?

ARCAI. La stessa mattina del 4, andai con il cancelliere Eugenio Piovani perché andavo a fare un atto istruttorio di un personaggio che per me era qualificato perché si presentava come membro della Commissione antimafia; quindi non potevo dirgli: ci vediamo dopo domani mattina. Il senatore Pisanò venne accompagnato dall'avvocato Tremaglia, che io non conoscevo, che si sedette da una parte.

MANTICA. Pisanò era già onorevole?

ARCAI. . Se ben ricordo era già onorevole. Andavano entrambi a Roma, avevano premura, se ben ricordo, perché dovevano prendere l'aereo.

PRESIDENTE. Quindi fu un atto istruttorio che lei condusse?

ARCAI. Sì un atto istruttorio regolare e verbalizzato.

PRESIDENTE Il verbale che fine fa?

ARCAI. E’ agli atti. Non solo: successivamente, quando io venni chiamato dalla Commissione parlamentare antimafia a Milano ne approfittai per far firmare da Pisanò un primo verbalino di poche righe. Il nastro registrato venne da me consegnato al capitano Colonna della Polizia tributaria per la trascrizione. Doveva trascrivermi le dichiarazioni di Zicari, rese a Tamburino a Padova. Feci trascrivere da Colonna quelle di Zicari e quelle di Pisanò. Era un atto istruttorio al quale doveva partecipare anche il pubblico ministero che, come capitava spesso, non venne. Insegnava diritto all'istituto degli Artigianelli Pia Marta, mi sembra la sezione geometri, non ricordo bene. Lui aveva chiesto, di solito mai capitava, l'applicazione dell'articolo, se ben ricordo, 303 dell'allora codice di procedura penale, che consentiva al pubblico ministero di chiedere formalmente al giudice istruttore di assistere a tutti gli atti, e quindi il giudice istruttore lo informava di ogni operazione. Io andai senza il pubblico ministero perché lui aveva l'impegno scolastico. Quindi il maggiore Colonna trascrive le registrazioni, io convoco il Pisanò se ben ricordo, fra novembre-dicembre del 1974 a Brescia, il giorno che conveniva anche al pubblico ministero che poteva essere presente, per la lettura, la correzione della trascrizione e la firma.

PRESIDENTE. Che cosa succede?

ARCAI. Venne fatto un verbale, firmato in ogni pagina, con tutta la trascrizione. Strano: quando Delfino parlerà in dibattimento, il pubblico ministero, che aveva tutti questi atti, è presente: non apre bocca, lascia che dica Delfino. E' successo di più: lo stesso Delfino ha messo in crisi il pubblico ministero, come suo stile, dicendo che copia di quel nastro registrato è nella tasca del pubblico ministero. Difatti ce l'aveva, il pubblico ministero; copia uscita non autorizzata da me come giudice istruttore. Comunque contraddiceva la tesi del capitano Delfino detta in tribunale, secondo cui il Pisanò aveva dato una descrizione degli autori della strage uguale a quella degli autori da lui accertati, e cioè erano dei ladri, dei mascalzoni, dei pederasti tra l'altro. Perché? C'era stata l'accusa di abusi sessuali al Buzzi - dalla quale peraltro fu assolto - ma lui Delfino si era messo in testa che il senatore Pisanò avesse parlato anche di pederasti, ma non era vero perché non risultava assolutamente. Tant'è vero che poi fu contestato a Delfino - fu messo in croce se ben ricordo dall'avvocato Secchi - e rispose: «a me pare, non pare»: no, non esisteva assolutamente, era un'invenzione questa.

CORSINI. Lei è senz'altro a conoscenza del fatto che fino al processo per il furto del Romanino che Buzzi e i suoi coimputati per alcuni mesi in isolamento, durante tale periodo perdurano in isolamento ed interrogati come testimoni della circostanza della morte avvenuta qualche giorno prima di Silvio Ferrari, dunque senza difensori, Angiolino Papa e Ugo Bonatti, confessarono la loro partecipazione alla strage. Cosa pensa del modo in cui il capitano Delfino accolse la confessione di Angioni?

ARCAI. Quello delle preposizioni ipotetiche secondo Port Royal?

CORSINI. Questa è una sua valutazione letterale. Questa è una cosa che dice Delfino, sono passaggi che la relazione del presidente Pellegrino contesta.

ARCAI. Cosa contesta? E’ tutto negli atti processuali. Io leggo di vostri consulenti, ma li leggono, gli atti processuali? E’ già tutto scritto nella sentenza di secondo grado. Quella operazione di Delfino viene definita «la pagina più conturbante e meno gloriosa dell'intero processo». E’ scritto nella sentenza, è così. Precisiamo: il processo era in formale istruttoria, quindi il dominus dell'istruttoria è il giudice istruttore; solo lui può interrogare ed avere contatti con gli imputati, neppure il pubblico ministero. Accade questo: un giorno devono interrogare Angelino Papa in Cremona, nel carcere di Cremona, dove io sono stato infinite volte, però dicono che quel giorno faceva freddo, per cui dal carcere si spostano alla caserma dei carabinieri dove, evidentemente, è presente Delfino che conosce corridoi, sale e salette. Ad un certo punto - è la denuncia che aveva già fatto da tempo Angelino Papa - «il capitano Delfino mi prese in disparte, mi portò in una saletta e mi disse: tu qui devi darci una mano. Noi sappiamo che Buzzi la strage l'ha fatta, ma tu sei un teste valido, ci devi dare una mano; ci sono per te dieci milioni, avrai la libertà provvisoria, viaggi tranquillo». Indi il presidente Allegri contesta a Delfino questo: «è vero o non è vero che lei ha avuto rapporti con un imputato in formale istruttoria ed essendo lì in caserma anche il giudice istruttore?». Delfino lo ha ammesso: «sì, ma non è come dice Angelino Papa. Ad Angelino Papa, mentre i due giudici (il pubblico ministero e il giudice istruttore) passeggiavano in un corridoio, io ho detto: è inutile che tu ti lamenti, devi toglierti il rospo, ma devi togliertelo per tua volontà, perché anche se io ti promettessi dieci milioni... Eccetera». La Corte ha bollato questo, anche perché c'è un altro: nel contempo il maresciallo Arli...

PRESIDENTE. Per la verità poi la Corte d'Assise di Venezia, tutto sommato, sulla responsabilità di Buzzi e di Angelino Papa esprime alla fine un giudizio diverso.

ARCAI. E cioè?

PRESIDENTE. Cioè che Buzzi Ermanno non era un cadavere da assolvere.

ARCAI. Mi permetto di contraddirla, signor Presidente, perché ho scritto anche questo rispondendo a Delfino. Ho depositato un mio testo, forse da pubblicare, in difesa di Manlio Milani in cui spiego queste cose. Non è vero; queste sono cose erronee dette da Delfino, perché la Cassazione (estensore Feliciangeli) si è ancora richiamata alla sentenza della Corte d'Appello di Brescia dove Buzzi era un cadavere da assolvere. E’ Venezia che lo scrisse, ma Venezia non può prevaricare i paletti che la Cassazione gli ha messo su tutto.

PRESIDENTE. Noi siamo una Commissione parlamentare d'inchiesta, non possiamo metterci a fare manuali di procedura penale. Sta di fatto che alla fine l'ultimo giudice di merito che si esprime su questa vicenda è la Corte di Venezia, che in qualche modo ridà una qualche dignità all'ipotesi di primo grado, salvo i quattro imputati che erano stati subito esclusi.

ARCAI. No, anche altri, perché è rimasto a Venezia in pratica soltanto Buzzi.

PRESIDENTE. Anche perché, se mi consente, sembra che questo personaggio di Buzzi...

ARCAI. Angelo Papa fu assolto per insufficienza di prove a Venezia.

PRESIDENTE. Esatto.

ARCAI. E’ rimasto solo Buzzi. I giudici veneziani non sono venuti…

PRESIDENTE. Insufficienza di prove significa che una probatio semiplena non ci può essere.

ARCAI. Allora, oggi non è più consentito; per questo motivo è stato cambiato, perché era pilatesco, indegno di un paese civile l'istituto dell'insufficienza di prove; mi ero battuto per farlo cancellare. Ho letto quella sentenza: i giudici veneziani non sono venuti a Brescia, sono arrivati al punto di giudicare attendibile - lo hanno detto, lo hanno scritto - la storia del bar dei miracoli, che è una storia cretina che solo una mente fantasiosa come quella del Bonatti o di Angelino Papa o dei loro cattivi consiglieri...

PRESIDENTE. Ma è evidente che una persona come il generale Delfino che vuole dare dignità alla sua ipotesi indagativa si attacchi alla sentenza di Venezia per dire che, tutto sommato, non era un'ipotesi cosi campata in aria. Teniamo presente che probabilmente questo personaggio di Buzzi - aspettiamo con la dovuta curiosità cosa verrà fuori dalla nuova indagine presso la Procura di Brescia...

ARCAI. Se il referente della Cia era a Brescia; io ho capito questo leggendo sulle novità. Buzzi lo conosco fin da quando era un ragazzotto, peraltro già in grado di commettere reati; era figlio di un comunista, operaio, uno stalinista sfegatato, stranamente sposato (e si amavano) con una monarchica che è l'attuale vedova Buzzi. Io dovetti togliere Ermanno Buzzi dalle mani del padre che nel mio ufficio lo prendeva a schiaffi con due mani enormi: ma Buzzi era matto. Ho fatto fare a Buzzi una perizia, che è passata agli annali della psichiatria, nella quale è stato dichiarato che Buzzi è un infermo di mente, con una mente rimasta bambina e con i sogni del bambino; fu arrestato una volta al confine italo-iugoslavo...

PRESIDENTE. Questo non renderebbe poco credibile che fosse un referente Cia?

ARCAI. Certo! Faceva la spia non si sa a chi, se per l'Italia o per la Jugoslavia; ad un certo punto lo mandarono a casa. Non basta: un'altra volta fu arrestato a Livorno in divisa da un ufficiale dell'aviazione...

CORSINI. Quindi per lei è assolutamente improbabile che potesse essere un informatore della Cia?

ARCAI. No; non per aver letto i libri sulla Cia, ma per l'istituzione che so essere la Cia. Io ho parlato con Buzzi e dico che quando uno parlava dieci minuti con Buzzi si accorgeva che era matto.

PRESIDENTE. E Concutelli e Tuti perché lo ammazzano? Perché in qualche modo anche la seconda ipotesi accusatoria, quella del processo contro Ferri nasce sempre...

ARCAI. Io ho la mia idea, basata su fatti, c'è tutto un problema.

CORSINI. La dica.

ARCAI. Durante il processo di primo grado - il Presidente era Allegri, tanto per intenderci - si ebbe la teoria del lavoro ai fianchi. Il capitano Delfino intendeva far passare Buzzi da intellettuale, o meglio da ladro intellettuale di opere d'arte fino ad arrivare alla trattazione di esplosivi e cose del genere. Il Presidente gli chiede in base a che cosa e lui risponde - questa è la sostanza, ma la questione è molto più complessa -perché nel novembre 1974 Buzzi, che era confidente con la qualifica di «confidente attendibile» dei carabinieri, aveva segnalato i fratelli Lavera di Iuzino perché detenevano refurtiva, armi, munizioni ed esplosivo.

CORSINI. Perché viene ucciso a Novara da Tuti e Concutelli secondo lei?

ARCAI. C'è un passaggio che ha una sua logica. Quindi il Presidente chiede: perché proprio Buzzi? Era il vostro confidente Buzzi? Lui dice io non lo so, forse era confidente dei miei uomini. Sentono il maresciallo Arli, il quale papale papale risponde che sì, era il confidente dei carabinieri, il mio confidente: in dibattimento, in pubblica udienza. Il giorno seguente era su tutta la stampa: Buzzi confidente dei carabinieri. Io poi ho letto le sentenze che riguardano la morte di Buzzi.

MANTICA. Mi sembra che venga tutto ricostruito.

ARCAI. , venne tutto ricostruito e il giudizio finale fu quello secondo il quale Buzzi non poteva aver detto nulla perché nulla sapeva. Buzzi è stato ucciso perché Tuti e Concutelli come hanno fatto con un altro soggetto di cui non ricordo il nome appena saputo che era un confidente dei carabinieri, dal momento che la notizia si era diffusa nelle carceri, il giorno dopo che Buzzi era arrivato in quella prigione, lo hanno ucciso. Ripeto, comunque Buzzi non sapeva niente e questo è il risultato del giudizio. Quindi Buzzi fu segnalato da Delfino e da Arli come confidente dei carabinieri. Non solo, Buzzi si trovava nel carcere di Brescia dove lavorava tranquillamente facendo il «legale», percependo 10.000 per le istanze che effettuava per i vari detenuti. Quanche giorno prima che venisse trasferito io stesso avevo telefonato a Girolamo Minervini, che al Ministero curava l'aspetto concernente le carceri, avendo saputo che c'era un progetto di trasferimento di Buzzi. In quella occasione chiesi a Minervini di farlo restare nel carcere di Brescia dal momento che aveva come unico affetto una madre che stravedeva per lui, a ciò si aggiungeva il fatto che Buzzi era in cura per determinate affezioni credo al fegato. Improvvisamente, invece, fu dato l'ordine perentorio di trasferire Buzzi a Novara. Ho letto nella sentenza di appello del processo Ferri che nella conduzione della vicenda vi sarebbero state sollecitazioni da parte del Partito comunista.

CORSINI. No, dottor Arcai, si tratta di una vicenda che io conosco e che è molto più modesta e irrilevante.

ARCAI. Io ho avuto modo di leggere questa notizia in tale sentenza, altro non ho da dire.

CORSINI. Quindi Buzzi non era sicuramente un agente della Cia. In un rapporto dei Ros si ipotizza con l'allora capitano Delfino fosse stato un agente dei servizi segreti italiani, ma che avesse anche rapporti con i servizi segreti statunitensi. Lei che cosa ne pensa, non ha alcun elemento in tal senso?

ARCAI. Non lo so, l'uomo è così versatile che si può pensare tutto e il contrario di tutto.

PRESIDENTE. Ebbene, l'uomo versatile, il generale Delfino ci ha mandato una documentazione in cui è contenuta una sua richiesta del giugno 1974 in cui tra l'altro lei chiede a Delfino di accertarsi dei seguenti elementi, leggo testualmente: «tenuto conto che il nome di Buzzi figura nella agendina di Colli Mauro, ogni collegamento di Buzzi Ermanno con il gruppo Fumagalli. Inoltre, sarà bene accertare i movimenti dello stesso Buzzi, nonché di Bonatti Ugo e Carrera Natale dal 19 al 28 maggio e successivamente, nonchè di Pederzani Paolo».

ARCAI. Sì, ricordo, si tratta di due fogli contenenti una ventina di richieste. In ogni caso io non seppi nulla, o meglio non mi fu riferito da Delfino che avesse fatto alcun accertamento in proposito.

PRESIDENTE. Delfino ce lo ha comunicato sostenendo di non aver inventato la pista Buzzi, perché a suo avviso in realtà era stato il giudice Arcai a metterlo sulle tracce di Buzzi.

ARCAI. In realtà lo ha scritto anche nel suo libello pubblicato sul quotidiano «l'Opinione». Io segnalai Buzzi, Bonatti e Pederzani nell'ambito dei sospetti che si avevano allora secondo i quali Buzzi, per il suo istinto di fare il poliziotto, trafficando in tutte le indagini di polizia e dei carabinieri sapesse qualcosa per lo meno su Fumagalli. Infatti, egli era amico di Mauro Colli e rubava opere d'arte come del resto anche Fumagalli.

PRESIDENTE. La fine di Buzzi la conosciamo, Bonatti che fine ha fatto?

ARCAI. Probabilmente è «ai cementi».

PRESIDENTE. Che cosa significa "ai cementi", ritiene che sia morto di lupara bianca?

ARCAI. In Corte d'appello ricordo che quando venne pronunciato il nome di Bonatti qualcuno sottovoce disse: «è ai cementi». L'ultima traccia che avevo di lui attraverso l'interessamento di alcuni amici in Venezuela lo davano in questo paese, ma mi è stato assicurato che in realtà non ci è mai arrivato. Altrimenti dovrebbe aver avuto nuovi documenti e una nuova faccia e quindi se le cose sono in questi termini è irrintracciabile.

PRESIDENTE. Che fine ha fatto Fumagalli?

ARCAI. Fumagalli è in libertà a Milano e credo abbia avuto gravi problemi di salute, forse un ictus, però se l'è cavata. So che è stato interrogato dal giudice Grassi, dal momento che ormai tutti interrogano tutti.

FRAGALA’. Mi risulta che Fumagalli sia morto.

ARCAI. Non che io sappia, credo sia morto il padre.

CORSINI. Mi sono distratto, lei ha parlato dell'eventuale fine di Bonatti?

PRESIDENTE. Il dottor Arcai ha dichiarato che Bonatti o è morto in qualche plinto di cemento, o vive all'estero sotto falsa identità.

CORSINI. Cioè lo hanno fatto fuggire.

BONFIETTI. Fuggire o morire.

ARCAI. Il giudice Besson ha accertato che Bonatti era latitante e nascosto in Puglia, protetto da un certo Pellé, vivendo in una tenda per nascondersi. Un giorno il Pellé fu mandato da Bonatti all'aeroporto di Rimini per ricevere un personaggio che veniva da Milano. Il Pellé si recò all'aeroporto all'ora convenuta, il personaggio arrivò e lo accompagnò dal Bonatti con il quale si appartò, in seguito lo stesso Pellè riaccompagnò il personaggio a prendere l'altro aereo che doveva riportarlo a Milano. Il Pellè ha poi sostenuto che in questa occasione aveva visto il Bonatti ricevere da questo personaggio, molto distinto, più di un milione e mezzo di lire, dopo di che Bonatti è scomparso.

PRESIDENTE. Un'ultima domanda provocatoria dottor Arcai. Sempre il generale Delfino sottolinea che lei dal 20 al 22 ottobre 1974, senza dare avviso a nessuno e senza essere accompagnato da un cancelliere, si recò a Roma ed ebbe un incontro con il Ministro della difesa (una conversazione durata un'ora e mezza) poi con il Ministro dell'interno (per un'ora e tre quarti) altresì con il generale Maletti del Sid (per due ore) e con l'ammiraglio Casardi, capo del Sid (per un'ora). Di tutto ciò lei avrebbe redatto solo degli appunti. Il generale Delfino ci scrive esplicitamente che a suo avviso dietro Fumagalli c'erano uomini dal potere politico al comando del paese da decenni quindi ritengo di area politica di centro. Rispetto a questo lei che cosa ci può dire? Innanzitutto questi colloqui ci sono effettivamente stati e di che cosa si è parlato?

ARCAI. Ci sono stati, ma non certo in quella data, probabilmente, secondo anche quanto ho scritto nella difesa di Manlio Milani; Delfino in quella occasione si affidò a un suo consigliere bresciano che forse ha cattiva memoria.

CORSINI. Chi è il consigliere bresciano di cui parla?

ARCAI. Il dottor Trovato. Infatti, solo lui poteva sapere queste cose anche perché ci fu in tal senso una sua presa di posizione. Se lei ricorda, si parlò di una controrequisitoria scritta da me dopo la mia «eliminazione» e successivamente la firma della chiusura dell'istruttoria da parte del dottor Simoni.

CORSINI. Lei sa che a un certo punto circolò a Brescia la voce che l'autore del volume di Lega e Santerini intitolato «Stragi a Brescia e a Roma» fosse proprio lei, dottor Arcai.

ARCAI. E’ nello stesso testo - che avete anche qui - in difesa di Manlio Milani: mi ricordo di averne parlato, perché questo fu contestato da Lega, da Santerini, dall'Unità, da Paolucci.

PRESIDENTE. Ma andiamo ai fatti. Quando avvennero e quali furono i contenuti di questi incontri?

ARCAI. Noi che non sapevamo nulla ricevemmo tutti gli atti del processo stragi. Ma da chi? Dai giornalisti, che erano in possesso di tutto.

PRESIDENTE. Questo succede tuttora!

ARCAI. Santerini e Lega avevano tutti gli atti. Siccome in seguito fu depositato il processo Mar, ebbero anche gli atti relativi al Mar. Inoltre io glieli segnalai. Si erano presentati come giornalisti - e lo erano - di sinistra, molto corretti, e io glieli segnalai. Ma poi hanno scritto loro. Penso però che ora, sia a Brescia che i Ros, girano con quel volumetto in tasca, perché molte cose le hanno anticipate e adesso le stanno scoprendo i carabinieri.

PRESIDENTE. Cosa può dirci lei degli incontri romani con i vertici governativi e degli apparati segreti?

ARCAI. Io dovevo andare a Roma per sentire questi personaggi. Mi interessava anzitutto, sempre nell'ambito del giudizio da dare su Maifredi, sentire l'onorevole Taviani. Io come sempre, quando dovevo andare fuori, avvertivo Trovato. Lo avvertii due volte, ma lui non venne perché aveva altri impegni. Alla fine andai con il tenente Ferrari. Sentii informalmente Taviani a proposito di Gianni Maifredi, ma disse di non averlo mai conosciuto. Chiamò il suo segretario, che aveva da anni, per chiedergli se conosceva Gianni Maifredi. Ma anche lui non lo conosceva. A quel punto io sono stato zitto, avevo fatto la mia verifica, anche se in modo informale, e d'altra parte non potevo fare nulla...

PRESIDENTE. Perché allora Taviani era Ministro dell'interno.

ARCAI. No, c'è un altro problema, dal mio punto di vista di carattere procedurale. A quel punto dovevo fare una comunicazione giudiziaria all'onorevole Taviani in quelle condizioni, nella sua condizione di Ministro e prevedere tutto quello che sarebbe accaduto. Io tendevo a definire quella istruttoria, sistemando Gianni Maifredi e la competenza, perché non vedevo la guerra civile, ritenevo che non ci fosse, e quindi dovevano essere assolti in istruttoria dalla guerra civile. Inoltre quel processo doveva tornare a Milano: questo era il mio punto di vista e l'ho scritto. La guerra civile fu un'invenzione surrettizia per tenere il processo a Brescia collegato con la strage. Io avevo fatto un'ordinanza per cui assegnavo il processo a Vino, essendo impossibile che uno solo istruisse il Mar e la strage, quindi lo si fa in due; però i pubblici ministeri si tengono al corrente di eventuali notizie dall'uno e dall'altro processo. Una volta che il processo Mar veniva staccato dalla strage non poteva restare più a Brescia perché c'erano gli avvocati Lener e Dina che hanno sollevato conflitto di competenza. Lo abbiamo risolto, su richiesta di Trovato, respingendo le loro richieste e tenendo ancora radicato a Brescia il processo, perché collegato al processo strage. Ma quando si arriva ad ottobre-novembre che non ne vien fuori niente...

Eliminata la guerra civile e l'attentato alla Costituzione, restava il sequestro Cannavale. Quindi il processo da Brescia, fosse o meno piaciuto agli avvocati bresciani, al comitato antifascista bresciano o a chiunque altro, tornava a Milano; io avrei fatto la sentenza di dichiarazione di incompetenza e lo avrei rimandato a Milano. E’ lì che crolla tutto. Difatti Trovato, pubblico ministero nel dibattimento del Mar, ha parlato per cinque giorni di guerra civile; la mattina del sesto giorno ha sostenuto sempre che c'era la guerra civile ma, arrivati a mezzogiorno, un angelo deve avergli tirato la toga, tanto che lui ha concluso: «Chiedo l'assoluzione per insufficienza di prove, perché in realtà non c’è prova della guerra civile».

PRESIDENTE. E degli altri reati?

ARCAI. Ormai la competenza era radicata - qui c'è un'altra scatola cinese - relativa ad Alberto Fadini. La difesa poi ha riproposto la questione della competenza anche in sede di appello e quest'ultima l'ha respinta, dicendo che ormai il processo, bene o male, era stato radicato a Brescia.

PRESIDENTE. Come si chiuse il processo?

ARCAI. Alberto Fadini, che è il soggetto usato da Trovato per radicare la definitiva competenza a Brescia, fu assolto.

PRESIDENTE. E Fumagalli?

ARCAI. Assolto da tutti i reati da ergastolo. La stampa dell'epoca per più giorni scrisse...

PRESIDENTE. Borromeo e gli altri?

ARCAI. Tutti assolti dalla guerra civile.

PRESIDENTE. E degli altri reati? Trasportavano armi, esplosivi...

ARCAI. Ma erano tutti reati inferiori al sequestro Cannavale.

CORSINI. Io, per concludere, le ricostruirò un piccolo scenario e lei in seguito potrà dirmi cosa ne pensa. Esistono in Veneto gruppi neofascisti radicali; gruppi che sono infiltrati, anzi non infiltrati, è una parola scorretta: esistono gruppi dentro i quali operano personaggi che sono informatori dei servizi italiani collegati con servizi stranieri.

ARCAI. Nel Veneto c'è la Nato.

CORSINI. Esattamente! Questi informatori sono peraltro ideologicamente e politicamente riconducibili a quest'area di estremismo radicale di destra; entrano in contatto ed hanno rapporti stretti con ambienti omologhi milanesi e in qualche misura possono essere individuati - sembrerebbe questo anche il senso delle ultime iniziative della procura della Repubblica di Brescia - come il terreno di coltura dentro il quale scaturisce la volontà di compiere la strage. I gruppi veneti e milanesi sono a loro volta collegati con un gruppo bresciano. I giornali - non io - fanno riferimento, all'indomani dell'iscrizione al registro degli indagati da parte della procura della Repubblica di Brescia di alcuni personaggi, ad un circolo culturale e politico che lei conosce perfettamente e che si chiama «La riscossa».

ARCAI. «La riscossa» di Benedetti.

CORSINI. Sì, di Benedetti, di Marcello Mainardi. Io sono un cittadino che legge con molta attenzione e con molta curiosità i giornali, e dai giornali mi faccio questa idea: che la strage di Brescia è il frutto della convergente azione di gruppi veneti, di gruppi milanesi e di un gruppo bresciano, che fanno riferimento a quest'area del radicalismo estremo della destra eversiva. In questi tre gruppi peraltro sono in qualche misura presenti alcuni personaggi che sono anch'essi neofascisti radicali e sono espressione di apparati dello Stato; sono legati ai servizi segreti. Lei come giudicherebbe questa ricostruzione?

ARCAI. Quali sono i nomi?

CORSINI. I nomi sono quelli apparsi sulla stampa.

ARCAI. Delfo Zorzi, i fratelli Soffiati; si riferisce a questi personaggi?

CORSINI. Sono i nomi che riporta la stampa nazionale. Lei cosa pensa di questa ipotesi?

MANTICA. Ma non possiamo parlare della stampa nella Commissione stragi!

CORSINI. Chiedo semplicemente un parere su uno scenario che non ho costruito io.

ARCAI. Ho già fatto un'analisi; se volete ve la lascio, ma ne avete già tante. Per me è aria che era già stata «fritta», inutile rifriggerla. In Veneto ci sono state sempre «teste calde». Ho avuto nel mio comando militari veneti «matti da legare», portati ad un certo tipo di violenza, anche se gente amabilissima sotto altri aspetti. Sono cose che sono già state dette in quelle carte di Giraudo - non so se adesso ci sia un certo Monti, perché non si capisce bene il suo ruolo dopo le disavventure con Salvini e soprattutto con Gerardo D'Ambrosio -. Ma è tutta aria fritta, inutile rifriggere queste cose. Circa i due giovani, se n'era parlato anche a proposito della strage solo che in quel caso quei due erano di Sinistra, mentre adesso sono diventati di Destra allora non erano stati detti i nomi. Dopo un fatto del genere ci sono tanti mitomani, fra i giornalisti soprattutto. Io ho tutte le raccolte. Si inventa: le lettere anonime arrivano a pacchi. Si parla dei due fratelli Soffiati, di un altro soggetto membro in contatto con la Cia, che doveva operare, ma che poi non sapeva nemmeno di Brescia. E' tutto molto contraddittorio.

CORSINI. Quindi, lei è molto scettico su questa ipotesi.

ARCAI. Io ho scritto, come estensore della sentenza della Corte d'assise d'appello di Milano una sentenza base sul terrorismo e le Brigate rosse, quella relativa a Feltrinelli e Curcio, in cui si afferma che la Corte d'appello una volta che è stata deviata dai carabinieri non crede più a nessun carabiniere.

PRESIDENTE. Quindi lei ritiene che i depistaggi che ci sono stati hanno avuto ormai un effetto così devastante che non consentiranno mai di ricostruire la verità.

ARCAI. Io non credo più a nessuno.

PRESIDENTE. In effetti anche io sono perplesso sulla possibilità che in tutte queste vicende si giunga a giudicati di condanna. Ciò che si potrebbe fare è dare un giudizio storico, ma ciò non è in qualche modo gradito.

FRAGALA’. Dottor Arcai, nelle carte del processo della strage di Brescia viene acquisita, nell'udienza del 2 marzo 1989, un'informazione riservata del Servizio di informazione e sicurezza militare, il Sismi, che era stata tenuta segreta e occultata anche ai magistrati e agli organi di polizia giudiziaria dal 1974 al 1989.

ARCAI. Dovrebbe essere il processo d'appello di Ferri.

FRAGALA’. Esatto. Dottor Arcai, questa informativa conteneva un'intercettazione telefonica che il Sismi aveva effettuato tenendo sotto controllo il telefono di tale Margherita Ragnoli, nata a Buones Aires il 26 aprile 1923, cosegretaria dell'Associazione Italia-Cuba di Brescia. Questa signora, in data 29 maggio 1974, viene intercettata dal Sismi nel corso di una conversazione telefonica interurbana in cui diceva che dell'attentato di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 se ne era parlato sin dalla sera precedente il giorno in cui si era verificato e la stessa signora soggiungeva di essere subito accorsa in piazza della Loggia in quanto le era stato riferito che uno dei morti apparteneva all'Associazione Italia-Cuba, notizia risultata poi infondata. Ora, di questa intercettazione telefonica e di questa nota riservata del Sismi non vengono informati né l'autorità giudiziaria, né gli organi di polizia giudiziaria e questa nota viene tenuta segreta per tantissimi anni, praticamente fino al 1989. Le chiedo ora se lei ha mai saputo che per la strage di Brescia esisteva una pista occultata proditoriamente dal Servizio di sicurezza militare e che riguardava la responsabilità, almeno a livello di conoscenza - ma dall'intercettazione telefonica sembra molto di più -, di questa signora che era la cosegretaria di un'associazione di estrema Sinistra denominata Associazione per l'Amicizia Italia-Cuba. Lei ha mai saputo di questo?

ARCAI. Mi faccia pensare, perché Ragnoli è un nome che non mi è nuovo.

CORSINI. E’ un personaggio più noto sotto il nome di «Baby» Ragnoli, tuttora segretaria dell'Associazione per l'amicizia Italia-Cuba. Si tratta di un'associazione conosciuta, che ha promosso iniziative conosciutissime. Comunque ogni addebito alla signora Ragnoli farebbe ridere tutta Brescia.

FRAGALA’. Lei ha mai saputo di questa signora?

ARCAI. Ricordo che si era parlato di un qualcosa del genere. Onorevole Fragalà, le vorrei precisare una cosa che so di fatto: subito dopo la strage la questura «batte» a Sinistra. Fa perquisizioni a Sinistra, nelle case dei partigiani. Dico di più. Dopo lo «sballo» della pista Esposti vi è Renato Curcio. Non dimentichiamo infatti che è Delfino a tirare fuori Renato Curcio. Fu una bella operazione questa. Poi la questura tirò fuori Arialdo Litrami con tutta un'altra vicenda. Ho letto da qualche parte - mi sembra anche nella proposta di Commissione - di quella tendenza di battere a sinistra....

FRAGALA’. Quindi nelle carte del processo sono spariti tutti gli atti di indagine che riguardavano la sinistra.

ARCAI. No. Non sono spariti. Non ci sono mai arrivati. Sono cose queste che a Brescia sappiamo. Personalmente me le ha dette un comunista, un ex partigiano.

CORSINI. Era un ex partigiano che aveva subito una perquisizione in casa sua; era un operaio dell'O.M, un pittore che si chiamava Giuseppe Bailetti, una persona rispettabile e figura nobilissima.

ARCAI. Esattamente, si tratta di un pittore che faceva esposizioni. Abbiamo in mano Fumagalli; ricercano Buzzi che cerca i residui delle mine dei minatori del Botticino. Abbiamo trovato un quintale di esplosivo e di quello non se ne parla. Delfino ed i suoi carabinieri, con tanto di nomi e cognomi riportati nei verbali fatti da me, hanno parlato proprio apertamente delle relazioni operative di Feltrinelli con Fumagalli.

FRAGALA’. Sì, lo so. Se lei ricorda subito dopo la strage di piazza della Loggia, il ministro dell'interno, Paolo Emilio Taviani, dichiarò che l'attentato era stato fatto dai nazisti di Anno zero. Era una rivista dell'area della Destra radicale ma non di un gruppo politico ed immediatamente scattò la repressione a destra. Come le ha sottolineato il presidente Pellegrino, in un appunto del Sid è uscito di recente che si era organizzata subito dopo la strage di Brescia una campagna di depistaggio e di provocazione per addebitare la strage alla destra. Dall'altra parte, sia lei che l'onorevole Corsini, come residenti a Brescia, ricordate che sono stati fatti una serie di atti di indagine nelle case di esponenti di sinistra, ma questi atti non sono mai entrati nelle cartelle del processo. Il Sismi ha occultato per oltre quindici anni una intercettazione telefonica su bobina di una signora che, facendo parte dell'associazione Italia-Cuba, allora come altri esponenti di questa associazione in tutta Italia, veniva controllata ed intercettata dal servizio segreto militare perché si riteneva che costoro potessero fare un servizio di spionaggio al di là dell'apparenza dell'associazione culturale. Per questo venne tirata fuori questa intercettazione molto inquietante che diceva chiaramente che la sera prima del 29, cioè il 28 maggio il giorno della strage, se ne era parlato fin dalla sera precedente la strage tanto è che addirittura si erano tutti preoccupati perché il giorno della strage pareva che un esponente dell'associazione fosse addirittura saltato in aria.

Tutto questo - le chiedo - può essere stato il frutto di quella orchestrazione ai danni della destra di cui gli ha parlato il senatore Pellegrino? Di questo occultamento delle piste di sinistra di cui le sto parlando io? Inoltre, la mia domanda specifica è se l'onorevole Taviani, quando si recò a Roma per sentirlo - e lei ha lasciato intendere che da quell'incontro è scaturita poi l'operazione anche per sottrarle in modo fraudolento l'indagine sui Mar - le disse qualcosa sulle piste di indagine da battere per la strage di Brescia o per la strage di piazza della Loggia?

ARCAI. Ho già fornito delle precisazioni in proposito. Con Taviani me ne guardavo bene dal trattare della strage di piazza della Loggia. Avevo il rovello di completare la figura di Maifredi che doveva finire con una comunicazione giudiziaria ed una imputazione. L'unica cosa che mi interessò chiedere all'onorevole Taviani era se conoscesse Maifredi e lui mi rispose di no, confermato anche dal segretario. Questo era ciò che mi interessava. Nella mia coscienza, avevo già un riferimento; poi lo avrei dovuto sentire formalmente ma secondo gli sviluppi dell'istruttoria, magari previa emissione di una comunicazione giudiziaria. Il problema era se farlo prima della chiusura dell'istruttoria oppure fare uno stralcio per rimandarlo a dopo...

FRAGALA’. Un ministro dell'interno come Paolo Emilio Taviani che lei sa benissimo essere il capo dei cosiddetti partigiani bianchi, addirittura il Presidente dell'associazione nazionale dei partigiani democristiani; addirittura, un ministro dell'interno che all'indomani della strage di Brescia dichiara che la strage è nazista...

ARCAI. No, non disse esattamente questo.

FRAGALA’. Disse esattamente questo; posso citarle anche la notizia di stampa in cui lo disse e parlò di Anno zero.

ARCAI. Le notizie di stampa sono quelle che sono.

FRAGALA’. Le dichiarazioni dei politici si prendono dai giornali e non dagli atti processuali.

ARCAI. Per quanto ricordo, disse che era di «chiara marca fascista». Ricordo che mi «attaccai» al telefono e gli chiesi come si potesse permettere di fare tali affermazioni. Stavamo iniziando allora le indagini e lui sembrava aver capito tutto. Avevamo in ballo Renato Curcio a Brescia. Disse che tali affermazioni sarebbero state ridimensionate, se ben ricordo. Fu una telefonata un po' brutale. Io lo aggredii dicendogli che era tutto da creare, da verificare mentre lui aveva già risolto tutto. E allora l'istruttoria chi l'avrebbe fatta più?

FRAGALA’. C'è un motivo perché lui aveva risolto tutto.

ARCAI. Non lo so e non lo voglio sapere. Personalmente, agivo da giudice istruttore con un compito preciso.

PRESIDENTE. L'obiettivo della strage faceva oggettivamente pensare ad una matrice di destra, visto che la bomba venne messa durante la manifestazione sindacale in una città dove prima una serie di attentati sicuramente di responsabilità della destra c'erano stati.

ARCAI. Signor Presidente, anche in quel caso vi è stata un'altra mistificazione perché vi è un precedente poi stranamente scomparso. La manifestazione era stata indetta per gli ultimi fatti accaduti a Brescia e per gli altri in sede nazionale ad opera di quella - ricordo a memoria -«banda di delinquenti comuni autodefinitasi Brigate rosse». La notte tra il 27 ed il 28 febbraio i carabinieri avevano in corso - io lo sapevo - una vasta operazione; venne arrestato il famoso colonnello Maurizio; è quello di cui l'Unità, Enzo Passanisi e Nozza, scrivevano: il colonnello Ferrari Maurizio di rosso ha soltanto i capelli che sono rossissimi: per il resto è fascista. «l'Avanti», Marcella Andreoli; su un altro giornale, un certo Obici, dice: «Ormai anche il popolo sa che le Brigate rosse sono nere».

PRESIDENTE. E invece non era vero, errore storico della sinistra. Su questo non c'è dubbio. Però Silvio Ferrari saltò in aria su una lambretta.

ARCAI. Quello era nero. Nei diversi processi che ho fatto ho visto stranamente che frange sotterranee di rossi si univano a frange sotterranee di neri.

PRESIDENTE. Questo è credibile.

ARCAI. Cioè, c'era una politica che indubbiamente non veniva pensata da questi ragazzi, essi non erano all'altezza. Era una politica manovrata, appunto, dagli opposti estremismi.

PRESIDENTE. Su questo concordo, è un giudizio storico su cui chiunque si avvicina sgombro da pregiudizi di parte non può che convenire.

FRAGALA’. Una puntualizzazione. A me risulta che quella manifestazione sindacale aveva anche e soprattutto come oggetto la protesta contro la banda di delinquenti detta Brigate rosse che in verità sono nere e sono dei fascisti: quindi era una manifestazione antifascista contro le Brigate rosse.

ARCAI. C'era l'equivoco.

FRAGALA’. Lo so che c'era l'equivoco, so dell'articolo di Andreoli su «l'Avanti» e del commento su «l'Unità». Ora c'è un problema. In piazza della Loggia vengono scattate una serie di fotografie. In una di queste viene riconosciuto Renato Curcio. Non so se lei o un altro magistrato cercate di far identificare questo soggetto che pare essere Renato Curcio dai carabinieri. I carabinieri prima riconoscono e poi dicono che la foto non è di Renato Curcio. La foto viene mandata a un certo punto al giudice istruttore di Torino, Caselli, e anche a Violante. Da Torino arriva la conferma: il personaggio ritratto nella foto scattata durante la manifestazione anti-Brigate rosse, antifascista ma anti-Brigate rosse, è Renato Curcio. Lei può dire alla Commissione se è vero che da Torino avete avuto conferma da parte del giudice Caselli e del giudice Violante che quel personaggio era Renato Curcio?

ARCAI. Per averla vissuta in prima persona questa vicenda la conosco in modo completamente diverso. Ricordo che questa fotografia mi fu mostrata da Delfino, ma allora Renato Curcio non lo conoscevo. «Era presente in piazza della Loggia. E allora? Che cosa ha fatto?». Questo fu il mio discorso con Delfino: «Era presente? E allora indagate. Ha fatto o non ha fatto?».

FRAGALA’. E’ vero che da Caselli, da Torino, avete avuto la conferma del riconoscimento?

ARCAI. No, è il contrario. Durante il dibattimento di primo grado, il presidente Allegri chiese a Delfino: «Risulta che avete fatto anche indagini sulle Brigate rosse. Come è iniziata e come è finita questa pista?». Delfino dice: «Sì, è vero, abbiamo indagato anche sulle brigate rosse, perché c'era una certa fotografia che si diceva di Renato Curcio. Sennonché poi - a memoria lo so questo - da Torino è venuta notizia che il giudice Caselli aveva negato che quella fotografia fosse di Renato Curcio. Perciò abbiamo chiuso la pista Brigate rosse».

FRAGALA’. La foto è allegata agli atti?

ARCAI. No.

FRAGALA’. E’ rimasta nelle mani di Delfino?

ARCAI. Non lo so.

PRESIDENTE. Potrei capirlo se ciò avvenisse nel 1974, ma oggi che sappiamo tutto sulle Brigate rosse, possiamo pensare che avrebbe avuto un senso che commettessero quell'attentato?

FRAGALA’. Non voglio accertare questo.

ARCAI. Ho constatato che avevano esplosivi anche loro.

FRAGALA’. Nell'immaginario collettivo la manifestazione sindacale è antifascista.

CORSINI. Non solo nell'immaginario collettivo; posso dare lettura dei volantini diffusi nell'occasione, volantini che sono pubblicati nel libro da me scritto su questa vicenda. Il CUPA, d'accordo con Cgil, Cisl, Ull, indice una manifestazione antifascista: «Ancora una volta il fascismo si manifesta nella nostra città e nella nostra provincia con i caratteri ripugnanti del terrorismo omicida, della provocazione e della violenza. Tutto ciò deve cessare! Le indagini vanno portate sino in fondo, episodi di provocazione come quello di piazza Mercato vanno stroncati sul nascere. La delinquenza nera deve essere isolata e schiacciata senza esitazione». Quindi la manifestazione viene indetta in seguito allo stillicidio di vicende che avevano insanguinato la città dal gennaio 1974 e viene convocata con una parola d'ordine evidentemente antifascista.

ARCAI. Questo era il volantino del CUPA, di Nicoletto. Poi c'è quello dei sindacati. Chi aveva voce in capitolo in quella manifestazione erano i sindacati, in prevalenza i sindacati dei professori. Questo l'ho scritto e dovreste averlo agli atti. Era pubblicato in «Brescia oggi». Si è avuta la bella idea di allegare «Brescia oggi» e il «Giornale di Brescia» precedente dove si legge della sfida (ci si riferiva al rapimento Sossi) della banda di delinquenti comuni definitasi Brigate rosse contro lo Stato. E’ scritto così.

CORSINI. E’ il sindacato stesso che denuncia: «E’ grave che si sfugga all'attentato per cause fortuite» - il riferimento è alla bomba inesplosa collocata presso la sede della Cisl - «e che si scoprano le trame nere per accidenti dovuti all'incoscienza, all'inesperienza, all'irresponsabilità».

ARCAI. Nella materia si è creata una tale confusione...

CORSINI. La federazione Cgil, Cisl, Uil proclama uno sciopero generale di quattro ore, per reagire «al clima di tensione sempre più acuta ... contraddistinto oramai da numerosi episodi non solo di teppismo fascista ma di vere e proprie azioni organizzate», e per permettere insieme ai lavoratori di segnare «con la loro massiccia partecipazione... la volontà di difendere la democrazia, la Costituzione e l'uguaglianza dei cittadini». Alla denuncia del disegno delle «forze reazionarie» miranti «alla distruzione dello Stato» e ad imporre «un regime autoritario» si accompagna così, nella mozione conclusiva approvata dalle organizzazioni sindacali e dal CUPA, una denuncia speculare della trama eversiva sviluppata da «una banda di delinquenti comuni denominatasi Brigate rosse».

FRAGALA’. Dottor Arcai...

ARCAI. Allora, quando lessi questa dichiarazione di Delfino presi il treno e andai a Torino da Caselli. «Leggi qui, la foto comparsa sul quotidiano: questo chi è? Questo è Renato Curcio. Come mai hai dichiarato che non era Renato Curcio?». Caselli andò su tutte le furie e insieme ci recammo da Bruno Caccia (che poi fu ucciso). Gli spiegammo il caso ed egli la giudicò una cosa enorme dicendo a Caselli che era stato tratto in inganno. Agli atti dell'indagine c'è la lettera che Caselli scrisse ad Allegri in presenza mia e di Bruno Caccia. Successivamente Curcio l'ho avuto in dibattimento e ho verificato che era lui, Renato Curcio lo conoscevano anche i bambini dell'asilo.

FRAGALA’. E quindi Curcio è stato fotografato la mattina del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia?

ARCAI. No.

FRAGALA’. Allora quale fotografia è stata scattata?

ARCAI. E chi lo sa?

FRAGALA’. Anche quello è un altro depistaggio, un altro imbroglio.

PRESIDENTE. Direi che questa Commissione commetterebbe un grave errore se facesse oggi cassa di risonanza ad antichi e puerili depistaggi.

ARCAI. Ma continuano perché se sento che Buzzi è il referente della Cia a Brescia, mi ribello. Con Buzzi ho parlato ma quando una persona con un minimo di giudizio parlava con Buzzi era ineluttabile che dopo qualche minuto si accorgesse che era un matto. Vorrei identificare quel dirigente della Cia che avrebbe nominato il Buzzi suo referente a Brescia: sarebbe da mettere in manicomio anche lui!

FRAGALA’. Dottor Arcai, è vero che a lei è stato richiesto da un certo Adelino Ruggeri, un esponente massone di Brescia, di aderire alla Loggia massonica Zanardelli di Brescia di cui faceva parte l'avvocato Loda, poi diventato parlamentare del Partito comunista italiano?

ARCAI. Mi faccia ricordare: nel mese di giugno venne da me un signore che si qualificò come maestro venerabile della Loggia massonica Zanardelli di Brescia e mi invitò ad aderire ad una Loggia massonica che avrei deciso in seguito. Molto tempo dopo capii il riferimento alla P2, allora non si sapeva nulla se non poche notizie. Io gli dissi brutalmente: non mi interessa, non sono neanche iscritto alla Associazione magistrati, da quando è stata politicizzata non ho rinnovato l'iscrizione, non sono neanche iscritto all'Associazione d'Arma e lei mi invita domani a venire nella sua chiesa...

FRAGALA’. Nella sua Loggia.

ARCAI. ... ma neanche per sogno! Non solo: due o tre settimane dopo spiccai un mandato di cattura contro questo signore.

FRAGALA’. E per quale reato?

ARCAI. Con Fumagalli, era l'amico del generale Nardella, era amico di Piccone Chiodo, aveva trafficato con Fumagalli. Devo dire però che poi nel dibattimento passò per insufficienza di prove. Gli indizi c'erano perché quest'uomo si era dato da fare: era andato a San Remo dove Fumagalli teneva nascosto il generale Nardella, doveva interessarsi per trovare il compagno di corso del generale Nardella per far espatriare il generale Nardella in Olanda, se ben ricordo. Quel compagno di corso era Palumbo. Io lo accertai al Sid a Roma chiedendo tutti gli annuari dell'Accademia; trovammo che Nardella e Palumbo avevano fatto lo stesso corso. Io ho tuttora le carte che Adelino Ruggeri mi aveva dato per invogliarmi ad iscrivermi alla Loggia massonica. Ho visto che nella stessa Loggia c'erano diversi avvocati bresciani, ottime persone, tra le quali l'avvocato Loda che era «in sonno». Nel gergo massonico «essere in sonno» non significa non essere più massone: massone si è e massone si muore. A me è risultato anche che l'avvocato Loda era iscritto anche alla P2.

CORSINI. Su questo problema è uscito un libro di Silvano Danesi che ha fatto chiarezza: non è la P2 di Licio Gelli. Non si possono fare illazioni gratuite. La figura dell'onorevole Francesco Loda va rispettata.

ARCAI. E’ un'altra P2?

PRESIDENTE. Non ci allontaniamo dall'argomento.

FRAGALA’. L'avvocato Loda è stato difensore...

ARCAI. ... l'avvocato Loda è morto pochi giorni fa...

FRAGALA’. ...difensore di parte civile, insieme all'onorevole Martinazzoli nel processo della strage di Brescia. Adesso, siccome lei ha parlato del problema di Buzzi e ne ha parlato anche il collega Corsini, c'è un'indicazione che vuole che sul direttore del quinto ufficio del Ministero di grazia e giustizia - l'ufficio che si occupa degli istituti penitenziari - per sollecitare il trasferimento da Brescia a Novara, il direttore che si chiamava...

ARCAI. Gerolamo Minervini. A me pare, non vorrei sbagliare, che fu ucciso dalle Brigate rosse in quei giorni. Fu deciso da un altro. Io che conoscevo i problemi di Buzzi, affidatomi dal padre, lo affidavo a Gerolamo Minervini che era figlio del questore di Brescia postliberazione, mio carissimo amico e lui faceva quello che poteva. Nel frattempo, due giorni dopo questa telefonata Gerolamo Minervini fu ucciso in tram qui a Roma. Quindi è successo qualcosa.

PRESIDENTE. Si chiamava Sisti, probabilmente.

ARCAI. Mi pare di sì. Non avevo alcuna relazione, alcun rapporto con lui, per me fu una sorpresa anche questa.

FRAGALA’. C'è un'indicazione che vuole - lei ne ha parlato - che siano stati ambienti dell'allora Partito comunista a chiedere e ad imporre il trasferimento di Buzzi da Brescia a Novara. Pare che in questa...

CORSINI. Queste sono fantasie.

PRESIDENTE. Ne ha parlato il dottor Arcai.

FRAGALA’. Anche l'onorevole Corsini ne ha parlato.

ARCAI. La sentenza d'appello di Brescia, scritta, se ben ricordo, dal consigliere relatore ed estensore Ferrante lo dice apertis verbis. Per conto mio so un'altra versione che è quella che conosco di fatto.

PRESIDENTE. Qual è?

ARCAI. Sono cose penose.

FRAGALA’. Le può dire.

ARCAI. Come ho già accennato, Buzzi nel carcere di Brescia era il legale di tutti.

FRAGALA’. Era trattato bene, conosceva tutti.

ARCAI. Era trattato bene, scriveva le istanze, si faceva pagare dalle dieci, alle venti, trenta mila lire, non ricordo bene, però curava una cosa in particolare. Quando sapeva (e lo sapeva sempre) che il giudice Vino o il dottor Trovato sarebbero venuti in carcere - c'era allora una certa libertà di passaggio da un settore all'altro nelle carceri durante il giorno, per la socializzazione - Buzzi faceva in modo di trovarsi sulle tracce di Vino o di Trovato e li salutava in questo modo: buongiorno, collega imputato. Normalmente. Era diventata la favola del carcere: il Buzzi che salutava in questo modo. Perché? C'era una ragione. Avevo querelato Buzzi, Bonatti e Angelino Papa e il processo pendeva a Venezia, ove pendeva altra querela da me fatta contro Vino e Trovato perché avevo scoperto che dicevano agli avvocati di certi imputati: dite ai vostri clienti, che finora negano, che prima o poi il grande protettore della strage, o meglio il figlio del grande protettore, verrà messo dentro e allora si scioglierà anche la vostra lingua. Io l'ho saputo, ho avanzato una querela, la Cassazione ha mandato anche questa a Venezia. A Venezia ho fatto una cosa di cui forse adesso, in vecchiaia, mi pento: ho fatto in modo che i due processi venissero abbinati a dibattimento, di modo da trovare Vino in mezzo a Ombretta, Giacomazzi e Angelino Papa e Trovato in mezzo a Buzzi e compagni. Fu veramente abbinato, e quindi erano coimputati nello stesso processo e si trovavano sullo stesso banco degli imputati. Poi intervennero altri colleghi che mi convinsero dicendo: in fin dei conti ormai tuo figlio è stato assolto, hai distrutto tutto; e allora su richiesta di Corigliano, l'allora Procuratore della Repubblica, del dottor Lisciotto (entrambi si misero in mezzo) e altri colleghi, ritirai la querela sia per Buzzi e compagni che per loro, non esigendo niente da Buzzi e dagli altri, esigendo però da loro il pagamento delle spese processuali, cosa che avvenne. Loro pagarono le spese processuali all'avvocato Secchi ed io ritirai la querela. Tuttavia nella mente di Buzzi, mente di bambino vendicativo, il suo gusto era quello. A me era stato detto dello scempio anche della figura del magistrato che appunto si faceva in carcere quando lui, Buzzi, li salutava «buongiorno, collega imputato»-, ed era vero, non potevano fargli niente se non trasferirlo. Questa è la storia come la so io. E fu trasferito.

FRAGALA’. Fu trasferito allora su input di questi due magistrati?

ARCAI. Non lo so.

PRESIDENTE. Da quanto ho capito, secondo il dottor Arcai, per eliminare questa situazione di oggettivo imbarazzo...

ARCAI. Era bestiale; se io fossi stato Vino avrei preso a calci Buzzi o mi sarei dato da fare per non trovarmelo più tra i piedi. E' umano. Loro, anche ammesso che fossero loro, come potevano andare ad immaginare che a Novara ci sarebbe stato Concutelli; è un po' romanzata la faccenda. La verità è che Tuti, se ben ricordo, aveva già avuto rapporti con il Buzzi e non lo aveva ben definito nel carcere di Volterra: o Concutelli o Tuti, erano stati insieme e non c'era un buon ricordo. Se lo sono trovato lì, preceduto da una fama divulgata sulla stampa ed accertata in dibattimento di confidente declamata dal maresciallo Arli: lo hanno ammazzato.

PRESIDENTE. E lo strozzano con un laccio da scarpe. Quindi lei ritiene che il trasferimento di Buzzi sia stato tutto sommato casuale e che l'uccisione di Buzzi da parte di Tuti e Concutelli era soltanto dovuta al fatto che lui aveva questo marchio di infame perché confidente dei carabinieri.

ARCAI. Ne avevano già ucciso un altro, non mi ricordo chi, sempre per la stessa ragione. Era una regola delle carceri; non dobbiamo meravigliarci, accade tutti i giorni. Io li ho chiamati gli scannatori di Stato: sono stato giudice di sorveglianza per dodici anni e ne ho viste.

FRAGALA’. Sì, però questo è stato l'unico imputato in un processo di matrice politica che è stato ucciso in un carcere, e il carcere di Novara era già allora un carcere di massima sicurezza in cui il Ministero e l'ufficio quinto del Ministero sapevano che vi erano reclusi non soltanto Concutelli e Tuti, ma terroristi di tutte le aree politiche.

ARCAI. Io penso lo sapesse Gerolamo Minervini, ma per telefono non è che mi abbia detto niente. Minervini aveva promesso che sarebbe restato a Brescia; di lì a qualche settimana, un mese o due, doveva tenersi il processo di appello, ma il processo d'appello non era più un problema per Buzzi, a quanto diceva il suo avvocato, lo scriveva...

FRAGALA’. Allora, Presidente, non ho nessun'altra domanda, però chiedo che agli atti della Commissione venga allegata la fotocopia di questa informativa del Sismi sulla intercettazione telefonica che interessa la signora Margherita Ragnoli e chiedo che venga richiesta la bobina telefonica di tale intercettazione che è depositata nell'ultimo processo d'appello della strage di piazza della Loggia.

ARCAI. Ma esiste?

FRAGALA’. Sì, la bobina c'è.

ARCAI. Speriamo.

FRAGALA’. C'è intanto l'informativa.

ARCAI. C'era un'altra donna, Maria, Maria la pazza, c'era un'altra matta da legare...

PRESIDENTE. Vediamo questa informativa.

ARCAI. L'ho sentito da lei questo, in questa forma non mi risultava.

FRAGALA’. Perché c'è qualche verità che ancora deve venire fuori, dottor Arcai. Non tutto è disvelato.

PRESIDENTE. Quindi lei non sta esibendo l'informativa del Sismi, sta esibendo una lettera in cui si dà notizia di un'informativa del Sismi.

FRAGALA’. Ma è una lettera del Sismi. L'informativa sarebbe anonima, signor Presidente.

PRESIDENTE. Non ho capito, pensavo che lei stesse esibendo l'informativa.

FRAGALA’. Questo è il documento ufficiale che riguarda l'informativa; l'informativa sarebbe un foglio di carta senza firma.

PRESIDENTE. Che cosa le dà la certezza che c'è la registrazione che noi dovremmo acquisire?

FRAGALA’. Io ho saputo che c'è l'intercettazione e voglio verificare se…

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Fragalà, nel documento che lei ha presentato si legge: «Dal documento si rileva che una tale "Margherita" da identificarsi in Ragnoli Margherita, nata a Buenos Aires il 26 aprile 1923, co-segretario dell'associazione Italia-Cuba di Brescia, in data 29 maggio 1974, nel corso di una conversazione telefonica interurbana, avrebbe detto che dell'attentato di piazza della Loggia (28 maggio 1974) "se ne era parlato fin dalla sera precedente" il giorno in cui si è verificato, soggiungendo di essere subito accorsa in piazza della Loggia in quanto le era stato riferito che uno dei morti apparteneva all'associazione "Italia-Cuba", notizia risultata poi infondata. Dalla documentazione in atti relativa alla strage di Brescia non risulta che della notizia siano stati informati a suo tempo, organi e/o autorità esterni al Sid, né al riguardo sono disponibili ulteriori elementi di valutazione. Quanto sopra segnalato ai sensi dell'articolo 9, terzo comma, della legge n. 801 del 1977». Da che cosa risulta che esiste la registrazione?

FRAGALA’. Ho avuto notizia che assieme a questo atto formale dovrebbe esservi la bobina relativa all'intercettazione telefonica e tuttavia è necessario verificare questa informazione.

PRESIDENTE. Ovviamente se debbo effettuare un ordine di acquisizione è necessario avere naturalmente la certezza che la bobina esiste e dal documento in nostro possesso mi sembrerebbe di capire che la bobina non ci sia. Quindi a chi dovremmo chiederla onorevole Fragalà?

FRAGALA’. A mio avviso dovremmo richiederla all'archivio della Corte d'appello che per ultima si è occupata del processo, mi sembra che sia la Corte di appello di Venezia. Chiedo inoltre che venga richiesta al Sismi una copia dell'informativa in originale e altresì la copia della bobina dell'intercettazione telefonica, ove esistente.

PRESIDENTE. Ho l'impressione che non si tratti della Corte di appello di Venezia, ma di quella di Brescia.

FRAGALA’. A mio parere ci sono elementi bastevoli per rintracciare quanto da me richiesto.

PRESIDENTE. Ribadisco che si dovrebbe trattare del tribunale di Brescia perché il processo contro Ferri e Stefanov si chiuse con una sentenza firmata dal presidente Carlo Ferrante il 10 marzo 1989 proprio a Brescia. Invece il processo di Venezia chiude l'altra tranche processuale del 1985.

Ringrazio il dottor Arcai per la disponibilità dimostrata in questa lunghissima audizione e dichiaro chiusa l'audizione.

Comunico che per domani è previsto l'Ufficio di Presidenza nel corso del quale fisseremo le date delle altre audizioni ricordo che è già stata deliberata l'audizione del capitano Delfino che a questo punto mi sembra ovvia ed urgente, inoltre decideremo quali altri atti istruttori procedere.

La seduta termina alle ore 00,15 del 5 giugno.

Fine seconda parte

prima parte

seconda parte

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