Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

16ª SEDUTA

MARTEDI’ 29 APRILE 1997

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
GUI
CIRAMI (CCD), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
GRIMALDI (Rif.Com. - Progr.), deputato
GUALTIERI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore
MANCA (Forza Italia), senatore
MAZZOCCHIN (Rinnovamento italiano), deputato
PALOMBO (AN), senatore
TASSONE (Misto Cdu), deputato
ZANI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato

 

La seduta ha inizio alle ore 18,50.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito l'onorevole Palombo a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

PALOMBO, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 18 aprile 1997.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

Comunico che il senatore Andreotti e l'onorevole Forlani hanno provveduto a restituire, debitamente sottoscritti ai sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, i resoconti stenografici delle loro audizioni svoltesi rispettivamente il 17 e il 18 aprile scorso, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.

 

SULL’INTERVISTA RILASCIATA DAL SENATORE GUALTIERI A «LA STAMPA» DEL 18 APRILE 1997

GUALTIERI. Siccome ho ascoltato per la prima volta, in base alla lettura del processo verbale testé avvenuta, l'espressione di questo sdegno nei miei confronti, credo di essere stato censurato per aver detto che sono contrario alla chiusura della Commissione.

PRESIDENTE. No. Per aver detto che ci sarebbe un mio accordo con il Polo, fatto su disposizione dell'onorevole D'Alema. Siccome sono sicuro che lei non ha detto quel che il giornale le attribuisce, lei potrà fornire un chiarimento. Le leggo cori precisione la frase riportata da «La Stampa» del 18 aprile 1997: «Senta, io guardo al merito delle cose. Per esempio, vedo che il Pds per fare l'accordo con la destra si sta comportando in un certo modo anche in Commissione stragi. Il presidente Giovanni Pellegrino vuole chiudere tutto, sostiene che sui misteri d'Italia noi sappiamo già ogni cosa. E se Folena ha l'assenso di D’Alema, è lecito pensare che pure Pellegrino ce l'abbia. La verità è che ci sono personaggi che per siglare l'accordo con il Polo farebbero di tutto». Poiche' conosco la bella giornalista alla quale lei ha reso l’intervista, sono portato a credere che lei non abbia pronunciato queste frasi.

GUALTIERI. Non nego di aver parlato con la giornalista; nego dì aver pronunciato in quei termini il mio pensiero. Voglio dire chiaramente che da tempo - e lei lo sa - sono sempre stato contrario a che si lavori per la chiusura della Commissione entro una determinata scadenza. Ho fatto presente con lettera ai Presidenti di Camera e Senato che considero un grave errore chiudere la Commissione nel momento in cui vengono fuori, non solo per la scoperta di archivi o di fatti, elementi importanti, ma perché il momento è tale che non si può pensare di chiudere la nostra Commissione parlamentare nel momento in cui rinasce il problema del terrorismo e siamo nel pieno di inchieste che non riusciamo a concludere. Le ho sempre contestato che si possa sostenere che noi conosciamo tutta la verità sui misteri. Noi non la conosciamo. Non sono d'accordo che la Commissione stragi chiuda i suoi lavori con il riconoscimento che è tempo di chiudere perché abbiamo già saputo tutto. Questo non credo sia ingiurioso per nessuno. Se lei ritiene che io abbia detto - cosa che non ho fatto - che questo è stato imposto a lei da D'Alema, le dico che non l'ho detto in questi termini, quindi la prego di accettare questa precisazione; ma il mio pensiero non lo sposto per niente dal fatto che sono totalmente contrario a lavorare su uno schema di chiusura fissa della Commissione, quando Commissioni di questo tipo hanno motivo di esistere perché i fenomeni su cui stiamo indagando non sono chiusi, anzi si riaprono pericolosamente proprio nel momento in cui noi vediamo avvicinarsi i termini di chiusura che ci sono stati dati, non so perché. Non si è mai visto che una Commissione parlamentare abbia assegnato un termine. L'abbiamo prorogata venti volte ormai questa Commissione nel corso degli anni: perché questa volta deve avere dei termini di chiusura prima di avere accertato i fatti? La prego di accettare la precisazione che certe espressioni non le ho pronunciate. Lei sa come vengono raccolte dai giornalisti (quella non era un'intervista di cui io possa rispondere del virgolettato), se si rilascia un'intervista si risponde, mentre quelle sono dichiarazioni raccolte in conversazioni volanti o sulla base di battute.

PRESIDENTE. E’ vero. Le do atto di questo chiarimento.

TASSONE. Vorrei dire al senatore Gualtieri che non c'è stato, da parte mia almeno, cioè il collega che ha posto la questione, nessun desiderio di stigmatizzare la sua posizione e le parole che ha detto. Soltanto che io ravviso, nelle espressioni contenute nell'intervista rilasciata a Maria Teresa Meli su «La Stampa» del 18 aprile 1997, delle considerazioni estremamente preoccupanti. Non si tratta di un problema di rapporti tra lei e il presidente Pellegrino, senatore Gualtieri, nella maniera più assoluta. Non è una combinata che può essere conclusa attraverso una sua valutazione, perché la considero una persona abbastanza seria, ha la mia considerazione e la mia stima, ma lei ha fatto delle affermazioni di grande pesantezza. Non so, ma credo che lei abbia letto - sono passati oltre dieci giorni - l'intervista del 18 aprile, però non credo che ci sia stata una smentita, ma nemmeno un correttivo.

GUALTIERI. Non ho smentito niente.

TASSONE. Lei non ha smentito, per cui ritengo di dover sollecitare ancora la proposta che ho già avanzato e posto all'attenzione della Commissione, cioè di ascoltare lei per sapere sulla base di quali elementi ha fatto quelle considerazioni. Infatti, se si trattasse di sole ipotesi, ovviamente sarebbe un discorso, ma se lei ha qualche elemento, qualche dato, è bene che noi lo sottoponiamo alla Commissione.

Signor Presidente, noi oggi stiamo per ascoltare l'onorevole Gui ed abbiamo ascoltato anche altri illustri personaggi, però sul lavoro della Commissione c'è questa intervista, queste considerazioni che io ritengo di una certa gravità, Non credo che si possa andare avanti in termini sereni se non abbiamo contezza se esistono delle riserve all’interno della Commissione, oppure se alcuni dati che noi non abbiamo siano in possesso di qualche componente della Commissione. Perciò mi permetto di recuperare questa mia proposta: noi dobbiamo ascoltare il senatore Gualtieri perché la vicenda pubblicata su «La Stampa» non credo possa essere risolta attraverso le valutazioni del senatore Gualtieri stesso che certamente non smentiscono nulla. Anzi, recupero un altro discorso che non ha nulla a che fare con l'intervista rilasciata alla stampa: è bene che noi sentiamo il senatore Gualtieri, ovviamente alla luce della sua esperienza consumata come Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi e come parlamentare, perché è bene che queste cose ce le chiariamo in termini di grande serietà e tranquillità. Altrimenti sarebbe inutile proseguire con l'audizione di altre persone quando c'è qualcuno che forse ha qualche elemento sul fatto che esiste all'interno della Commissione un tentativo o un disegno di occultare attraverso un accordo di vertice tra maggioranza e opposizione. Questo è un fatto di estrema gravità di fronte a cui, ovviamente, le altre audizioni impallidiscono e sono quanto meno di minore importanza.

PRESIDENTE. Vorrei fare alla Commissione una proposta. Innanzitutto faccio questa premessa: l'onorevole Gui non stava bene, tanto che avevo già pensato che avremmo dovuto soprassedere o superare l'esigenza di questa audizione. Poi ci ha detto che sarebbe venuto oggi e ci ha specificato che poteva farlo solo oggi. Quindi mi sembrerebbe un fatto di cortesia per l'onorevole Gui rinviare questo nostro dibattito. Voglio solo dire una cosa, per un fatto di lealtà: le cose che ha detto questa sera il senatore Gualtieri corrispondono ad un pensiero che egli ha espresso molte volte e qualche volta abbiamo avuto anche una polemica su questo punto. Tuttavia, proprio in previsione di quel dibattito, vorrei affidare alla riflessione della Commissione questa osservazione: penso che in parte il senatore Gualtieri abbia ragione. Noi ci eravamo mossi originariamente sull'ipotesi di una proroga della Commissione di diciotto mesi. Poi è stata una scelta del Parlamento di scendere a dieci mesi, scelta che mi vincola sia perché mi viene dalla legge, sia perché i Presidenti di Camera e Senato mi hanno fatto chiaramente capire che, poiché un membro della maggioranza presiedeva questa Commissione, questa avrebbe dovuto chiudere entro dieci mesi. Io sono onorato di presiedere questa Commissione, ma tengo al suo funzionamento più che al fatto che io la presieda. Non avrei niente in contrario se noi pensassimo, ad esempio, ad una proroga, ma per questo occorre una iniziativa parlamentare. Noi però potremmo fare un dibattito in cui la Commissione possa evidenziare la necessità di un periodo ulteriore. Infatti, ci stiamo avviando verso un periodo in cui ci sono acquisizioni documentali che stanno avvenendo in maniera alluvionale e noi entro ottobre non sapremo che cosa dicono quei documenti. Poi, verso settembre, probabilmente avremo la chiusura di una serie di inchieste (quella di Salvini, quella di Lornbardi, quella di Priore e quella di Mastelloni) che pure potranno costituire, ad un certo punto, una base. E’ vero, non occorre attendere l'esito finale, ma qui rinascerebbe il dissenso tra me e il senatore Gualtieri che direbbe che a quel punto si dovrebbe attendere l'esito finale dei processi. Io credo, invece, all'autonomia dell'inchiesta parlamentare rispetto a quella giudiziaria e dico che possiamo prescindere dalla chiusura dei processi. Non mi sembra però che possiamo prescindere almeno dalla chiusura dell'istruttoria. Qui fra di noi ci sono degli ex magistrati e capiranno quello che voglio dire: la chiusura dell'istruttoria ci dà comunque una messe documentale su cui noi possiamo fare valutazioni autonome. Comunque, se ci fosse la proroga, non avrei alcuna difficoltà, arrivati ad ottobre, a rimettere il mandato ai Presidenti di Camera e Senato perché questa Commissione potrebbe anche essere presieduta da altri. Però, se potessimo ritornare all'idea originaria dei diciotto mesi faremmo cosa utile a noi stessi e al Parlamento. Ma di questo discuteremo un'altra volta, se siamo d'accordo, e pertanto passerei all'audizione dell'onorevole Gui.

 

INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI: AUDIZIONE DELL'ONOREVOLE LUIGI GUI

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, per l'inchiesta su stragi e depistaggi, l'audizione dell'onorevole Luigi Gui che ringrazio di essere qui presente, anche per le cose che ho detto prima. Devo poi dire che quando sono fatte garbatamente, accolgo tutte le critiche, per cui vorrei evitare di fare la prolusione ce ho fatto altre volte, come è stato sottolineato dall'onorevole Fragalà. Vorrei passare pertanto alle domande da porre all'onorevole Gui, cui curriculum politico non ripeto alla Commissione perché lo per noto. E’ stato in pratica un uomo quasi sempre presente in responsabilità prima di Sottosegretario e poi di Ministro direi dall’inizio degli anni '50 fino all'inizio della seconda metà degli anni '70, quindi in periodi che strettamente attengono ai lavori di questa Commissione. Anche all'onorevole Gui ho mandato la proposta di relazione e penso che egli l'abbia letta.

GUI. Quale proposta di relazione?

PRESIDENTE. La mia proposta di relazione. Lei non l'ha avuta?

GUI. No, ho avuto il plico dell'interrogatorio del generale Maletti.

PRESIDENTE. Dall'interrogatorio del generale Maletti più o meno traspare qual è l'ipotesi di lavoro su cui la Commissione si sta muovendo, anche per effetto del mandato vincolato che ho ricevuto dai Presidenti di Camera e Senato. Penso di poter passare senz'altro ad alcune domande che ho preparato in maniera da lasciare ai colleghi della Commissione la possibilità di proporre domande a loro volta.

Onorevole Gui, tornando a ringraziarla della sua disponibilità, lei ha visto che il generale Maletti già nell'intervista che appare sul settimanale «Tempo» del 20 giugno 1976 dichiarò che nel luglio del 1975 le inviò, nella sua qualità all'epoca di Ministro dell'interno (lei ebbe in quel periodo il Ministero dell'interno dopo essere stato per lunghissimo tempo al Ministero della pubblica istruzione), un rapporto nel quale si preannunciava il tentativo di riorganizzare e rilanciare le Brigate rosse sotto forma di un gruppo ancora più segreto e clandestino, costituito da persone insospettabili anche per censo e per cultura, e con propositi più cruenti. Questa nuova organizzazione partiva con il proposito esplicito di sparare, il che non era nella pratica delle Brigate rosse fino ad allora conosciute (tranne un caso isolato, per necessità). I loro mandanti - secondo l'articolo di quel settimanale che riprendeva il rapporto di Maletti - non si potevano dire di sinistra. Quando siamo andati a Johannesburg e abbiamo sentito Maletti il generale ci ha confermato di averle mandato un rapporto di circa due pagine, al quale fece seguito una riunione che si tenne nella sala riunioni del Ministero dell'interno, con la partecipazione sua, ovviamente come Ministro, del Capo del Sid, che allora era l’ammiraglio Casardi, del prefetto D'Amato, dei capi di Stato maggiore dei carabinieri e della Guardia di finanza, e forse del Capo della polizia - non lo ricordava bene Maletti - o di un suo rappresentante. Quindi la domanda è anzitutto se tutto questo risponda a verità; ove rispondesse a verità, poiché quella era effettivamente una fase direi di quiescenza del fenomeno del brigatismo rosso - in un recente libro ne ha parlato uno dei magistrati che più si è impegnato nella lotta al brigatismo rosso, il dottor Caselli - e invece un anno dopo vi fu il terribile attentato al giudice Coco e alla sua scorta seguito da altri attentati sanguinosi, non le sembra che il rapporto di Maletti fosse assolutamente preciso e tempestivo e al contrario non le sembra che vi sia stata una grave sottovalutazione di quel rapporto, visto che dal luglio 1976 vi fu la gravissima escalation brigatista che culminò con il sequestro e l'omicidio dell'onorevole Moro? Quali misure ed iniziative furono prese nella riunione del luglio 1975? Su un piano informativo, di intelligence, quali approfondimenti furono disposti al fine di chiarire chi fossero le persone insospettabili anche per censo e per cultura? Lei ritiene che esista un verbale di quella riunione? Vi furono riunioni successive? Lei ebbe mai colloqui riservati con il prefetto D'Amato per valutare il rapporto del generale Maletti e più in generale sul fenomeno del terrorismo rosso?

Ciò che la pubblicistica, ma anche le indagini della Commissione confermano è che le Brigate rosse sembravano in quella fase pronte a ricevere il colpo dì grazia e invece sembrò quasi che vi fosse un arresto nell'attività di prevenzione che diede alle Brigate rosse la possibilità di riorganizzarsi e di ripartire con un'offensiva certo più cruenta.

GUI. Io mi scuso anzitutto se non sono potuto venire prima di oggi perché sono stato ammalato e non potevo muovermi da casa: ho suggerito io la data della riunione di questa sera perché sono appena guarito.

Per quanto riguarda questa relazione, questo progetto di relazione, non lo ho ricevuto e quindi non posso dire niente. Ho ricevuto invece dalla Commissione la fotocopia della deposizione della discussione con il generale Maletti. Io sono stato al Ministero dell'interno praticamente dal 15 novembre 1974 al febbraio del 1976: mi sono dimesso nel febbraio 1976, anche se poi la crisi e la sostituzione sono avvenute praticamente in marzo, in relazione alla vicenda che era scoppiata sulla stampa, la vicenda Loockheed. Ho dichiarato al Presidente del Consiglio Moro che non mi sarei sentito di far il Ministro dell'interno e contemporaneamente dovermi difendere dagli attacchi su tale questione che aveva dimensioni mondiali, dall'America al Giappone, all'Italia, alla Germania e via dicendo per la relazione della Commissione americana Church. Il presidente Moro non era del parere che dovessi dimettermi: pregò il ministro della difesa Forlani di assumere l'interim, ma Forlani non accettò e così si andò avanti ancora qualche giorno: poi venne la crisi ed io lasciai il Ministero. Nel mio periodo, devo dire, c'erano altri grossi problemi: per esempio si era molto sviluppata la questione dei sequestri di persona. Fu un periodo di acutizzazione di questo fenomeno: forse anche loro ricorderanno il caso clamoroso di Cristina Mazzotti in Lombardia, nell'alta Lombardia, e molti altri casi al Nord, al Centro e al Sud. lo ho dovuto occuparmi molto di questa faccenda dei sequestri di persona ed anzi avevo elaborato uno schema di disegno di legge che stabiliva che preventivamente per le famiglie dei sequestrati fossero bloccati tutti i beni in modo da rendere impossibile il pagamento di somme di riscatto. Questa misura preventiva avrebbe avuto probabilmente l'effetto di diminuire i sequestri, perché mirava a rendere impossibile ricevere le somme che i sequestratori volevano ricevere. Il Presidente del Consiglio Moro non fu di questo parere, fedele come sempre al suo pensiero che il valore supremo è la vita umana: mi obiettò che il giorno in cui fossero stati effettuati sequestri con questa normativa in vigore o si doveva violare la legge o avremmo esposto a rischio la vita del sequestrato. Io insistetti, ma alla fine cedetti e il disegno di legge non fu presentato. Questo per dire come il problema dei sequestri di persona era molto impegnativo in quell'anno per la mia attività di Ministro dell'interno: così come era molto impegnativo naturalmente il problema in generale della criminalità che si andava sviluppando e, certo, anche il problema del terrorismo. Non ci furono stragi nel mio periodo, fortunatamente, né fatti gravi di espressione di violenza; non ce ne furono, ma certo c'erano i postumi degli altri fatti gravi intervenuti ancora nel 1974 e cioè la strage di Brescia di piazza della Loggia, e quella del treno Italicus sulla ferrovia dello Stato. Quindi l'atmosfera delle stragi era naturalmente anch'essa incombente, per cui mi dedicai molto anche a questi fenomeni. C'erano anche altri fatti che adesso è inutile che ricordi: ricorderò, per esempio, che era abbastanza vivo il problema nella Polizia della sindacalizzazione ed era un tema allora molto agitato...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole, io tornerei alla domanda.

GUI. E di fatti vengo alle domande. In questa situazione fu organizzato un centro antisequestri ed uno antiterrorismo al Ministero dell'interno.

PRESIDENTE. Quello antiterrorismo era diretto da Santillo?

GUI. Sì, da Santillo. Ci sono stati cambiamenti anche di dirigenti in quel periodo: prima a capo della polizia c'era Zanda Loy, poi fu Menichini, che era il mio Capo di Gabinetto. C'erano dunque questi centri organizzati allora per queste funzioni particolari. Ricordo di aver indetto una riunione, che ebbe luogo al Ministero dell'interno, degli esponenti principali dei Ministeri interessati alla lotta al terrorismo, quindi esponenti del Ministero della difesa e dell'interno. Non ricordo se di queste riunioni ne abbiamo fatta una sola o, forse, due: quindi sotto questo profilo il riferimento alla riunione che ho letto nella deposizione del generale Maletti corrisponde anche al mio ricordo, alla mia memoria. Io invece non ricordo, ma non lo nego, di aver ricevuto questo promemoria da parte del generale Maletti, cioè questa particolare indicazione. Del resto, erano tanti gli appunti e le informazioni che arrivavano al Ministro che non ci sarebbe proprio da stupirsi se qualcun altro di questi non dovesse essere presente alla mia memoria. Non posso smentire né confermare questo appunto in particolare, mentre confermo - ripeto - che ci fu la riunione dedicata in particolare alla lotta contro il terrorismo.

PRESIDENTE. Ma lei ricorda se alla riunione partecipava il prefetto D'Amato?

GUI. Ho l'impressione di sì, anche se non ricordo i nomi di tutti i presenti.

PRESIDENTE. La mia domanda a questo punto diventa la seguente. Il prefetto D'Amato aveva lasciato nel giugno 1974 la direzione del Servizio informazioni generali e sicurezza interna, nell'ambito della Direzione Affari riservati, per assumere la direzione del Servizio di polizia stradale, di frontiera, ferroviaria e postale: che rapporti aveva con il terrorismo?

GUI. Adesso non ricordo, non individuo le persone invitate, ma forse egli c'era perché aveva una esperienza precedente ed avrebbe potuto eventualmente portare, un suo contributo sulla base di tale esperienza.

PRESIDENTE. Le faccio questa domanda perché, a riprova del fatto che la verità è «sparsa» anche negli archivi del Parlamento, se uno ci si volesse mettere e radunare insieme le varie cose, il discorso verrebbe lentamente fuori. Ebbene, D'Amato ha fornito alla Commissione P2 una lunghissima audizione, che era centrata soprattutto su ciò che egli sapeva di Gelli, su che rapporti aveva avuto con Calvi o con Pazienza: in tale audizione però egli aveva dato un po' la descrizione di questo suo ruolo che vorrei definire quanto meno singolare, perché sicuramente al di fuori di una logica istituzionale. Egli disse infatti che nel 1974, in quanto vi era stata una serie di attacchi alla sua persona, nonché ai Governi del periodo, lasciò il Servizio informazioni generali e sicurezza interna per andare a dirigere un'altra struttura. Disse però anche che da tutti i Ministri dell'interno - e nominò anche lei - fu sempre pregato di mantenere al servizio dello Stato questa enorme esperienza nazionale ed internazionale che aveva accumulato sin dall'immediato dopoguerra.

Addirittura, agli atti della Commissione è allegata una risposta di D'Amato del 28 ottobre 1981 ad una contestazione di addebiti (che probabilmente gli era stata fatta dal Ministro dell'interno, visto che la risposta era indirizzata al Ministero dell'interno) in cui egli descriveva questo suo ruolo e ad un certo punto diceva: «Operando - come ho detto - in modo autonomo e personale ho preso contatto e ho sviluppato rapporti in tutti i settori e con ogni persona che giudicavo utile a tali fini. Se le mie frequentazioni dovessero essere interpretate come una scelta, io, come chiunque peraltro svolga compiti del genere, potrei essere considerato caso per caso fiancheggiatore di Autonomia operaia o del terrorismo palestinese, agente dei Servizi americani o sovietici emissario di questo o di quel partito politico».Ora, noi purtroppo il prefetto D'Amato non lo possiamo più sentire. Io voglio ammettere che l'attività di intelligence spesso comporti questi ambigui rapporti, però la mia domanda, che rivolgo a lei in quanto uomo di Stato di un lungo periodo, è: se le sembra possibile che tutto questo D'Amato lo facesse da solo? E’ pensabile che un uomo come D'Amato abbia avuto rapporti personali tali da poter essere ritenuto un fiancheggiatore di Autonomia operaia? O dobbiamo invece pensare più probabilmente che il prefetto D'Amato continuò ad essere il vertice di una struttura di informatori che continuava a gestire in proprio e al di fuori dei circuiti istituzionali?

GUI. Di questa struttura di informatori non ho né ricordo né notizia. Non so se lui abbia agito personalmente, al di fuori della legalità. Allora egli aveva lasciato da poco quell'incarico e, siccome vi era, questa esigenza di informazione reciproca per combattere meglio e più efficacemente il terrorismo sia di destra che di sinistra (almeno questa era la linea da me seguita presso il Ministero dell'interno), egli può aver partecipato a questa riunione: ma su di lui altro non posso e non so dire.

PRESIDENTE. La mia domanda, che si collega a quella che le facevo prima, riguardava soprattutto questa sua ammissione di poter essere ritenuto fiancheggiatore di Autonomia operaia. Infatti, per chi ha conosciuto il prefetto D'Amato - e lei lo ha conosciuto - era un tipo di persona che difficilmente poteva avere rapporti diretti con Autonomia operaia. Che potesse avere rapporti diretti con agenti dei Servizi statunitensi o sovietici lo ritengo credibile, ma ritengo assolutamente inverosimile che lui potesse ad un certo punto, da solo, infiltrarsi in Autonomia operaia. Era un uomo di vita, che amava il bel vivere, che frequentava i ristoranti, era un esperto di arte culinaria: lo vedo, come personaggio, difficilmente a contatto, ad esempio, con Pifano. Un rapporto D'Amato-Pifano mi sembrerebbe singolare.

GUI. Io non conoscevo l'uomo D'Amato, se non per averlo visto qualche volta al Ministero, e quindi non posso esprimere giudizi su sue attività eventualmente extra istituzionali.

PRESIDENTE. Ma nei rapporti le sembrava un profondo conoscitore del terrorismo rosso?

GUI. No, per la verità non mi ha dato quest'impressione. Non mi sento di esprimere un giudizio sulla persona. Peraltro non aveva rapporti molto intensi con me, perché vi erano il Capo della polizia e il Capo di Gabinetto che erano le persone con cui io trattavo e verso le quali lui stesso era subordinato e responsabile. Quindi non è che io ho avuto con lui rapporti intensi. Qualche volta, occasionalmente, ho parlato con lui e, quando era il momento mi avrà riferito attraverso il Capo della polizia, che era il suo superiore. Ma io non posso dare dei giudizi in questi termini.

PRESIDENTE. Però, se continuavate a servirvene, lo ritenevate una persona seria, un fedele servitore dello Stato. Se continuavate ad utilizzarlo per la sua esperienza anche quando faceva altre cose.

GUI. Probabilmente. Certamente si valutava il fatto che aveva lunga conoscenza di questa attività degli Affari riservati, e quindi era utilizzabile, ma certamente non ha avuto alcuna influenza sul mio comportamento in particolare, né credo che sia esatta questa osservazione secondo la quale vi sarebbe stata una disattenzione nei confronti del terrorismo rosso e delle varie organizzazioni. Vi era un'attenzione assolutamente imparziale e rigida verso ogni forma di terrorismo o di strategia della tensione ai miei tempi; senza dubbio, non vi fu alcuna debolezza, alcuna omissione. Che io ricordi, per esempio, vi sono stati degli interventi sul terrorismo nero. Ai miei tempi, nel periodo in cui ero Ministro, è stato arrestato in Francia da due agenti italiani il terrorista neofascista Tuti. E in quel periodo vi è stato un mio intenso richiamo nei confronti della polizia periferica per quanto riguardava le violenze rosse. Peraltro io ero a questo argomento molto sensibile perché nella mia provincia le agitazioni da parte del mondo violento di sinistra erano molto intense. Adesso non potrei dire esattamente le date, ma vi sono state le famose «gambizzazioni», che a Padova sono state parecchie, compiute da agenti di sinistra contro persone, professori universitari...

PRESIDENTE. Conosciamo la storia di Autonomia operaia.

GUI. Voglio dire che c'era una attenzione molto intensa anche nei confronti delle agitazioni provenienti da Sinistra e una spinta da parte mia ad attuare la massima prevenzione possibile, con la cattura, se possibile, dei responsabili.

PRESIDENTE. Però questo D'Amato, secondo una sua valutazione, poteva essere un millantatore, cioè una persona che tendeva ad enfatizzare la portata delle sue conoscenze?

GUI. Dare giudizi sull'intimo delle persone.

PRESIDENTE. Io le domando come lei valutava un suo funzionario.

GUI. Non gli davo grandissima importanza.

PRESIDENTE. Nel 1974 D'Amato, che allora era ancora a capo della Divisione affari riservati, rilascia all'«Espresso» un'intervista in cui afferma che «questi delle Brigate rosse li conosciamo tutti, uno per uno; sono una quarantina di persone, non di più, quasi tutti giovani e sono tutti militanti fedeli, coerenti, indottrinati, ben preparati, né corrotti, né corruttibili». Alla domanda «li conoscete tutti?». La risposta fu: «Praticamente sì». Poi, nel prosieguo dell'intervista, a seguito dell'inevitabile domanda «se li conoscete tutti così bene perché non li arrestate?», D'Amato rispondeva che li avevano presi ma che la magistratura li aveva scarcerati. Questa non è una spiegazione troppo semplicistica? Tenga presente che il generale Romeo, udito da questa Commissione, ci ha detto che loro avevano avuto infiltrati nelle Brigate rosse, e non faceva riferimento a Pisetta ed a Girotto, cioè ai due noti infiltrati nelle Brigate rosse. D'Amato afferma che conosce tutti quanti, eccetera, e, in un documento ufficiale, rispondendo al Ministro dell'interno, afferma di avere rapporti tali che, a voler pensare male, potrebbe essere ritenuto anche un fiancheggiatore di Autonomia operaia. L'impressione che io ne ricavo, allora, è che in realtà questo D'Amato avesse una penetrazione in questo ambiente del brigatismo rosso e la domanda è perché poi non sia stata utilizzata tutta questa attività informativa legittima che veniva posta in essere.

GUI. Ripeto, non avevo un grandissimo concetto di questo D'Amato. All'interno degli ambienti della Pubblica sicurezza e del Ministero era valutata la sua esperienza, però io non avevo grandi rapporti, né un grandissimo giudizio sulla sua persona. Mi fidavo molto di più del capo della polizia. di Zanda Lov, di Menichini. di altri, cioè delle persone con le quali avevo rapporti continui.

PRESIDENTE. E, cambiando versante circa chi potesse avere rapporti informativi con elementi dell'eversione di Destra, come Delfo Zorzi o Delle Chiaie o altri uomini di Avanguardia nazionale?

Come posso dire se lui aveva personalmente tali rapporti?

PRESIDENTE. Se emergessero, ad esempio, dalle documentazioni valutazioni di questo genere, lei che valutazione ne darebbe? Cioè, che una struttura del Ministero dell'interno retta prima da lei e poi da altre persone del suo partito, che sicuramente dal 1974 in poi avevano ricevuto input precisi di recidere questi elementi con il mondo della Destra radicale, invece abbia continuato ad avere questo tipo di rapporti. Lei oggi, ripensando all'esperienza di quegli anni terribili, che valutazione ne dà nel suo complesso?

GUI. Intanto devo dire che tra i miei predecessori al Ministero dell'interno c'è stato il ministro Taviani, persona di cui io avevo molta fiducia, anche nella sua capacità di gestione. Quindi, anche la scelta delle persone che poi ho ereditato partiva da un presupposto di un impegno serio e sicuro da parte di queste persone nell'esercizio del loro dovere. Poi, durante la mia gestione è avvenuto qualche cambiamento, ma un'opinione così personale e profonda sul D'Amato io non ce l'avevo, non aveva questo grande rilievo.

PRESIDENTE. Ma lei che valutazione fa circa quella sensazione di impotenza che lo Stato dette durante i cinquantacinque giorni del sequestro Moro? Lo vorrei dire senza nessuna polemica; si metta un po' nell'ottica della Commissione che indaga oggi su quelle vicende. Viene Romeo e ci dice che c'erano uomini infiltrati nelle Brigate rosse, viene D'Amato e fa le dichiarazioni che ho detto, che come vede sono dichiarazioni che si confermano le une con le altre; poi le Brigate rosse rapiscono Moro e per cinquantacinque giorni lo Stato dà una sensazione di impotenza terribile. Moro muore, si sa che ha parlato; vengono ridati pieni poteri a Dalla Chiesa e lui in tre settimane trova le carte di Moro, entra a via Montenevoso e prende almeno metà della direzione strategica delle Brigate rosse. A rifletterci oggi, non colpiscono questi fatti? Non sembra che in qualche modo gli apparati di sicurezza durante il sequestro Moro non abbiano fatto ciò che potevano fare? Cioè, non hanno dimostrato quella capacità operativa che subito dopo dimostrano; sono bravissimi nel trovare le carte di Moro, invece per ritrovare Moro c'è questa sensazione di impotenza. Lei era molto legato all'onorevole Moro. Uno degli uomini molto vicini a Moro, il suo addetto stampa Guerzoni, in questa sede ci ha parlato di un sequestro appaltato alle Brigate rosse. Io, per la verità, nella mia proposta di relazione ho detto che questa mi sembra un'ipotesi eccessiva. La sensazione che non si sia fatto tutto il possibile per salvarlo, però, rimane.

GUI. Vorrei che si tenesse conto che in quel periodo, 1977-1978, che comprende il periodo del sequestro Moro, questi Servizi erano in una situazione particolare. Nel 1977 era intervenuta la divisione dei servizi di informazione della difesa e dell'interno. Io ovviamente non ho notizie dirette perché ero fuori dal Ministero e avevo da occuparmi di quella grana della Loockheed, ma ho avuto in qualche modo l'impressione che quei Servizi così divisi in quel periodo fossero anche in una certa crisi di organizzazione.

PRESIDENTE. Ciò valeva per i due servizi segreti ma non valeva, secondo me, per le strutture interne al Ministero dell'interno, perché quelle non erano attraversate dalla crisi. Ad esempio, viene sciolto l'ispettorato antiterrorismo di Santillo; già la prima Commissione d'inchiesta sul caso Moro ha detto che questo è un fatto senza spiegazioni, cioè non si riesce a capire perché quell'ispettorato che era così efficiente fu smantellato.

GUI. Non saprei che dire, perché non è avvenuto nel periodo in cui ero presente. Credo che sia collegato con questa divisione dei Servizi, con la creazione delle due diverse strutture; quindi anche nella scelta degli uomini credo siano stati in difficoltà. Io avevo una mia linea particolare e personale, ma, ripeto, non avevo più nessun impegno. Lei ha detto che la mia presenza si è protratta fino alla seconda metà del 1978. Non è così.

PRESIDENTE. Mi riferivo ai ruoli di responsabilità governativa; lei era uno degli esponenti di spicco della Democrazia cristiana.

GUI. Ma già dall'inizio della seconda metà del 1976 non avevo più responsabilità.

PRESIDENTE. Degli apparati di sicurezza sicuramente.

GUI. Non negli apparati di sicurezza, in nessun incarico governativo. Non avevo più nessun incarico governativo. Ho lasciato il Ministero dell'interno nel febbraio-marzo del 1976.

PRESIDENTE. Ho capito, poi scoppiò lo scandalo Loockheed. Un'ultima domanda. Adesso, a tanti anni di distanza, il presidente Cossiga, recentemente, in una lunga intervista ad una rivista ha detto che in Italia c'è sempre stato un partito «amerikano». Cioè lui dice che la parola «amerikano» si deve scrivere rigidamente con la lettera «K». Ha fatto una serie di nomi. A mio avviso ha fatto anche alcune singolari omissioni: per esempio, non ha nominato l’onorevole Tanassi. Allora le pongo una duplice domanda: a distanza di anni quello che fu valutato in sede giudiziaria come un ordinario fatto di corruzione non può essere interpretato come il modo con cui si finanziava politicamente questo «partito amerikano»? E se questo è vero, non pensa che lo scandalo fu pilotato nei suoi confronti per poter colpire l'onorevole Moro, cui lei era molto vicino?

GUI. Per quello che so, come Ministro della difesa dell'epoca questa faccenda Loockheed non aveva alcuna connessione col finanziamento della Democrazia cristiana.

PRESIDENTE. I soldi li prendeva Tanassi.

GUI. Allora dopo di me. Se questa faccenda sia iniziata prima, non posso dirlo.

PRESIDENTE. Ma questo «partito amerikano» trasversale c'è stato o no in Italia?

GUI. Non credo: almeno per quanto riguarda il mio partito non ho mai avuto esperienza dell'esistenza di questo «partito amerikano». Su di: me, per esempio, non hanno mai esercitato alcuna forma di pressione, Non ne ho mai saputo nulla, pur avendo avuto incarichi delicati come quelli ai Ministeri della difesa e dell'interno. Qual era la sua seconda domanda?

PRESIDENTE. La seconda domanda presuppone una risposta alla prima: chiedevo se secondo lei lo scandalo fu pilotato verso di lei per colpire, attraverso la sua persona, l'onorevole Moro. In quel periodo apparve sulla stampa l'ipotesi che «antelope Kobbler» fosse proprio Moro.

GUI. Bisogna partire dall'inizio. E sul piano scandalistico l'inizio furono i lavori della commissione Church che il Congresso americano incaricò di indagare sull'attività della Loockheed. La commissione Church si occupò della vendita di aerei della Loockheed al Giappone, alla Germania, all'Olanda ed all'Italia. Tutto nacque lì, quando venne fatto qualche riferimento anche all'Italia. Poi le indagini giudiziarie hanno approfondito come sono andate realmente le cose. Comunque, non ho l'impressione che la montatura sullo scandalo Loockheed fosse connessa alla creazione o al sostegno di questo «partito amerikano».

PRESIDENTE. E circa il coinvolgimento di Moro? Sui giornali apparve l'ipotesi che fosse lui «antelope Kobbler».

GUI. Non ricordo che Moro fosse mai stato coinvolto nella vicenda Loockheed. Del resto in quel periodo Moro non era neanche Presidente del Consiglio: c'era stato il governo Leone nel quale io fui Ministro della difesa, e poi ci furono i due Governi Rumor. Moro non c'entrava ed io non ho mai sentito di questo tentativo di coinvolgerlo nella vicenda Loockheed. Anzi Moro credeva che la vicenda si sarebbe conclusa molto rapidamente, tant'è vero che, una volta scoppiato lo scandalo, sono andato da lui e gli ho detto che non potevo difendermi ed essere contemporaneamente Ministro dell'interno; lui mi disse: «Vedrai che la cosa si chiude presto» e propose di dare l'interim all'onorevole Forlani, che era Ministro della difesa. Forlani non accettò, ma resta il fatto che Moro aveva l'impressione che la vicenda si sarebbe conclusa quanto prima. Non credo che si possa tentare di coinvolgerlo.

PRESIDENTE Non mi sono spiegato: non volevo dire che era coinvolto, ma che ci poteva essere un tentativo di coinvolgerlo personalmente.

GUI. Non l'ho mai percepito.

CIRAMI. La domanda era diversa: il Presidente ha chiesto se si voleva colpire Gui per colpire Moro.

GUI. Non credo proprio. Quelli che hanno montato la cosa si basavano su alcune parole della relazione Church che coinvolgevano il Ministero della difesa. Ma come è poi risultato, si trattava di organi del Ministero della difesa, dell'Aeronautica e del Ministro che mi è succeduto. Non ho avuto l'impressione circa il tentativo di coinvolgere Moro. Per quanto riguarda il periodo in cui Moro era prigioniero delle Brigate rosse, ho avuto un'opinione diversa rispetto allo svolgimento della vicenda; un'opinione che non ho mai pronunciato in pubblico perché, essendo colpito dalle accuse sulla vicenda Loockhecd, non avevo autorità per fare dichiarazioni e proteste. In pubblico sono sempre stato molto riservato, però ero dell'opinione che fosse possibile gestire direttamente la questione da parte del Governo. Occorreva che i partiti la smettessero con questa diatriba della trattativa sì, trattativa no, a proposito della liberazione di Moro. Lui stesso, nella lettera in cui scriveva che era favorevole alla trattativa, citava la mia testimonianza: « ... come può dire Gui ... » a proposito di quel disegno di legge sui sequestri di persona.

PRESIDENTE. Volevo dirlo prima quando lei ha fatto cenno alla questione: sembrava quasi una frase profetica.

GUI. Allora io confermai pubblicamente che avevo proposto quel disegno di legge e che Moro sempre mi aveva detto che il valore supremo doveva essere la difesa della persona. In una lettera successiva Moro mi ringraziò per aver dato questa testimonianza. Dato il rilievo della persona, pensavo che la vicenda potesse essere sottratta alla diatriba quotidiana tra i partiti, che peraltro avrebbe reso inevitabilmente molto più difficile la soluzione della questione.

PRESIDENTE. Quel che lei ha detto corrisponde ad un giudizio che ho dato al senatore Andreotti e che lui non ha condiviso. Penso che alla fine il partito della trattativa e quello della fermezza si fecero del male a vicenda, perché il partito della trattativa avrebbe sentito come una sua sconfitta politica un'azione militare che avesse liberato Moro e quindi probabilmente non diede agli apparati di sicurezza tutta una serie di informazioni che avrebbero potuto essere utili: a sua volta, il partito della fermezza può aver avuto la preoccupazione politica che un'azione come quella che poi si fece per il rapimento Dozier potesse portare alla morte dell'onorevole Moro, il che avrebbe provocato una reazione politica enorme. Così venne attuata una fermezza di tipo statico: non si trattava ma non si faceva niente di serio per arrivare alla prigione di Moro. Se ho ben capito, il suo giudizio è più o meno questo.

GUI. Ho avuto l'impressione che avesse prevalso la concorrenza tra i partiti nel dibattito tra chi si schierava per la trattativa e chi era contrario. Invece una concentrazione di attenzione sul modo migliore per' arrivare alla liberazione di Moro sarebbe stata più proficua. Credo che il Governo sia stato sopraffatto da questa diatriba.

PRESIDENTE. Torniamo sempre a dove siamo partiti: se un uomo come D'Amato conosceva esponenti di Autonomia operaia, sarebbe bastato un banale pedinamento da parte di un poliziotto di esponenti di quell'area politica. Si sarebbe così arrivati a Morucci e alla Faranda, questi avrebbero portato a Moretti e così si sarebbe arrivati a Moro. Cioè: tutto quello che avvenne in quei cinquantacinque giorni avrebbe avuto una sua spiegazione logica se gli apparati di sicurezza dello Stato italiano non avessero saputo nulla, se fossero stati nelle condizioni in cui mi trovavo io allora, quando facevo l'avvocato a Lecce, per cui, se mi avessero detto: «trova le Brigate rosse!», avrei risposto: «E’ una parola!». Ma nel momento in cui i Carabinieri si erano infiltrati, D'Amato dichiara che aveva tali rapporti con Autonomia operaia che avrebbe potuto essere frainteso il suo ruolo (lo scrive in una lettera al Ministro, quando risponde a degli addebiti dicendo: sia chiaro che, se leggete male alcune cose che ho fatto, potreste ritenere che sono stato un collaboratore dì Autonomia operaia), tutta questa massa di informazioni non viene utilizzata; viene invece utilizzata rapidamente dopo per trovare le carte: questo è il fatto che mi colpisce.

GUI. Tenga forse anche presente la situazione dei Servizi.

PRESIDENTE. Comunque, io ho concluso. Lascio la parola ai colleghi.

MANCA. Signor Presidente, vorrei rivolgere una domanda molto breve all'onorevole Gui. Mi riferisco a dei ricordi. E' solo una battuta tra me e l'insigne collega Fragalà.Onorevole Gui, la sua presenza qui mi consente di avere una risposta ad una domanda che mi ha sempre interessato prima come cittadino, poi come ufficiale e alla fine come parlamentare. Questa risposta non verrebbe da un operatore dei mass media o da persone che hanno parlato per sentito dire. Lei invece - come più volte abbiamo ricordato in questa sede - è stato un autorevole rappresentante del Governo ed è stato comunque un autorevole esponente del mondo politico. La domanda è la seguente: ci può dire quale era l'atteggiamento delle forze politiche di sinistra nei riguardi del terrorismo rosso? Ricordo vagamente cosa successe al prefetto di Milano Mazza, il quale - se non ricordo male - aveva fatto un rapporto in cui si parlava di un organigramma o comunque di persone (mi sembra che ne contò 20.000) disposte a prendere le armi; comunque aveva tratteggiato il fenomeno che poi, dopo, tanti lutti ha sparso. Lei adesso cosa ci dice al riguardo? Come veniva visto questo fenomeno, al suo nascere oppure nel suo divenire, dalle forze politiche di sinistra del nostro paese?

GUI. Dalle forze di sinistra? Non come Ministro?

MANCA. No, da lei come protagonista della vita politica italiana e anche come Ministro. A me interessa sapere come le forze politiche di sinistra vedevano il fenomeno: minimizzavano, erano distratte o avevano collusioni? Ecco, ci dica tutto quello che lei reputa di ricordare su questo aspetto.

GUI. Posso esprimere su questo giudizi diretti ed esperienze personali. Non posso esprimermi circa il fatto se avessero o meno rapporti. Come posso sapere se avevano o meno rapporti? Indubbiamente, vi era stata una certa, insomma, minore decisione di quella che avevamo noi, di quella, non vi è dubbio, che avevano per lo meno i dirigenti della Democrazia cristiana contro queste agitazioni, violenze, terrorismo di sinistra, contro Autonomia operaia, poi le Brigate rosse, eccetera. Io senza dubbio ero molto deciso nel condannare questi fenomeni di violenza. Il comportamento delle forze di sinistra a quei tempi a me pare certo molto più equivoco.

MANCA. Non ci può dire altro?

GUI. No, proprio non ho notizie di corresponsabilità.

MANCA. Non intendevo dire questo.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Gui, è stato Ministro dell'interno, diciamo un prefetto di polizia: dai rapporti che lei riceveva, vi era prova di connivenze, complicità fra la forza maggiore di sinistra il Partito comunista italiano, e gli ambienti delle Brigate rosse, di Prima linea o di Autonomia operaia?

GUI. Non ricordo di aver avuto rapporti del genere.

MANCA. Riguardo alla sottovalutazione del fenomeno, secondo lei hanno avuto corresponsabilità? Per lo meno questo. Non voglio parlare di connivenze perché magari a lei non l'hanno detto oppure non vi erano prove. Storicamente noi oggi siamo chiamati ad esprimere un giudizio storico-politico su questi fenomeni: possiamo addebitare qualcosa alle forze di sinistra per avere portato fuori strada o magari sottovalutato o fatto altre cose in relazione ad un fenomeno che invece si presentava? Molti dicono infatti, ed è stato scritto, che il rapporto Mazza abbia urtato più che altro la suscettibilità delle forze di sinistra e quelle reazioni che ci sono state nei riguardi di Mazza avevano un soggetto; molti dicono che erano dovute alle pressioni delle forze di sinistra.

PRESIDENTE. Però storicizziamo. Di che anno è il rapporto Mazza?

GRIMALDI. Comunque, quel rapporto riguardava gli scioperi non il terrorismo.

MANCA. No, riguardava il terrorismo rosso.

FRAGALA’. Il rapporto risale al 1971.

MANCA. Mi sono rivolto al ministro Gui in qualità di uomo politico. Certamente lui era più vicino a questo fenomeno di quanto non era allora il grande avvocato di Lecce o il tenente colonnello Manca o forse anche il magistrato che lei è stato, onorevole Grimaldi.

GUI. Ma qui si va in una discussione politica.

PRESIDENTE. Se vuole rispondere, può farlo.

GUI. Ho già detto che l'atteggiamento delle forze di sinistra nel condannare queste violenze che venivano da sinistra, non era certamente così. deciso, come il nostro.

PRESIDENTE. Voglio sottolineare, per smorzare la polemica, che in quella proposta di relazione io faccio due notazioni: anzitutto che, rispetto al fenomeno delle Brigate rosse, ci fu indubbiamente un ritardo nel percepirne la vera natura. Troppo a lungo si disse «le sedicenti Brigate rosse»; poi si diceva «farneticanti proclami», mentre se si fossero studiati bene i proclami, si sarebbe saputo cosa avrebbero fatto dopo un mese, però questo vale anche per gli apparati di sicurezza. Rispetto a fenomeni come Prima linea, ho parlato di «sottovalutazione» di un'intera opinione pubblica di sinistra e anche di «sottovalutazione giudiziaria». Se lei legge onorevole Gui, quella parte della relazione...

MANCA. Caro Presidente, io mi muovevo proprio su quel filone e volevo approfittare delle presenza dell'onorevole Gui per avere una conferma o un approfondimento di questi punti.

GUI. Non ho questa proposta dì relazione e quindi non posso discuterne.

PRESIDENTE. Gliela farò avere e mi scuso di non avergliela fatta pervenire prima. Dopo averla letta, vorrà farci avere pure un memoriale o comunque una nota, le sarei grato.

GUI. Comunque me la faccia leggere.

MANCA. Signor Presidente, io non avrei altre domande. Mi scuso se questa volta sono andato al di là di un minuto con il mio intervento.

FRAGALA’. Onorevole Gui, mi riporlo subito ad una domanda che le ha fatto il Presidente e su cui lei non ha un ricordo, in effetti, fu clamoroso il tentativo di coinvolgimento dell'onorevole Moro nell'affare Loockheed perché l'ambasciatore Luca Danielli, proprio il giorno dell'agguato in via Fani, disse che Aldo Moro era Antelope Kobbler, e da quella dichiarazione la stampa fece una polemica enorme e su questa dichiarazione poi si incentrò quel giudizio che alcuni settori politici e della stampa internazionale diedero del famoso discorso pronunciato alla, Camera dei deputati dall'onorevole Aldo Moro in sua difesa. Quindi, lei ha già detto che non ricorda la vicenda ma fu un fatto clamoroso perché coincise con il giorno dell'agguato e del rapimento dell'onorevole Aldo Moro.Ora, proprio partendo da questa vicenda di Moro e ribadendo che naturalmente tutti noi sappiamo ma ormai anche la storia sa e ha valutato quanto lei sia stato vicino all'onorevole Moro e quanto abbia sofferto per la terribile agonia che ha dovuto subire l'onorevole Moro prima di essere ucciso, le chiedo alcune valutazioni. Noi abbiamo saputo nell'ambito delle audizioni della Commissione, dagli onorevoli Andreotti e Forlani, poi attraverso una dichiarazione pubblica sulla stampa dell'onorevole Piccoli, che su quella vicenda centrale del rapimento Moro che fu il famoso covo di via Gradoli vi fu un atteggiamento di copertura e di mistificazione della fonte dell'allora professor Romano Prodi, che venne informato dell'esistenza del covo di via Gradoli e rassegnò questa notizia attraverso la famosa seduta spiritica. Andreotti è venuto a direi che la seduta spiritica è stata un'invenzione per coprire la fonte di Autonomia, che ha detto a Prodi che in via Gradoli vi era un covo. Poi, ancora, onorevole Gui, dalla vicenda di via Gradoli, che è al centro di questi misteri, pare che vi sia la possibilità di leggere che un'ala cosiddetta garantista e trattativista delle Brigate rosse per ben tre volte abbia segnalato agli inquirenti attraverso tre sistemi diversi, l'esistenza del covo di via Gradoli, dal quale un certo ingegner Borghi, che in effetti era Mario Moretti, ogni mattina usciva con la cartella sotto il braccio per andare ad interrogare Moro in via Montalcini per poi tornare tranquillamente in via Gradoli. Questo covo, abbiamo saputo da documenti processuali, era sottoposto all'attenzione dell'Ucigos, cioè dell'ufficio della polizia del Ministero dell'interno che si occupava di antiterrorismo, prima del 16 marzo, cioè prima del sequestro Moro. Quindi, come ha detto poco fa il Presidente, pare che non si sia voluto scoprire il covo di via Gradoli nonostante l'ala garantista delle Brigate rosse, che probabilmente individuiamo in Morucci, lo abbia per tre volte segnalato agli inquirenti: la prima volta attraverso un'indicazione diretta all'allora capo della polizia, dottor Parlato, e con la visita in via Gradoli n. 96, palazzina A interno 11, di quel famoso brigadiere Merola che andò a bussare alle sette del mattino, noti aprì nessuno e passò avanti; poi ancora, il 2 aprile con la segnalazione diretta al professor Prodi dell'esistenza del covo di via Gradoli; poi quando quest'ala garantista delle Brigate rosse si rese conto che gli apparati investigativi non volevano scoprire questo covo, addirittura allagarono l'appartamento per far intervenire i pompieri e l'ingegner Borghi, alias Mario Moretti, quando vide la televisione e i pompieri sotto casa si informò di cosa si trattasse e andò tranquillamente via, o quasi.

PRESIDENTE. Perché il covo era «freddo».

FRAGALA’. Il covo era «freddo», però era stato...

PRESIDENTE. La vicenda della doccia è inquietante.

FRAGALA’. Onorevole Gui, è possibile (le chiediamo una sua valutazione politica come testimone di quei momenti e amico personale, oltre che allievo politico, dell’onorevole Moro) che al dì là di quelle polemiche politiche tra i partiti, che secondo lei hanno impedito l'individuazione, del rifugio o del covo in cui era sequestrato...

GUI. Non ho detto che hanno impedito l’individuazione.

FRAGALA’. Al di là di queste polemiche dei partiti, lei non pensa che, nonostante questa ripetuta segnalazione dall'interno delle Brigate rosse del covo di via Gradoli, invece vi sia stato un intento preciso di non arrivare a questo covo, quindi a Moretti e quindi al covo di via Montalcini, dove era segregato Moro, perché un servizio segreto straniero, ad esempio il Kgb, aveva ritenuto che Moro doveva essere assassinato comunque per motivi di equilibri politici all'interno del nostro paese?

Presidenza del Vice presidente GRIMALDI

GUI. Su questo non le so e non le posso dire proprio niente. Anche come opinione non credo abbia fondamento. In ogni caso, io ero completamente fuori, ero investito da tutt'altra vicenda.Ricordo che in quelle circostanze andai a parlare con il segretario della Democrazia cristiana, Benigno Zaccagnini, e sperimentai tutta la tragedia e il dramma della sua vita in quei momenti, la sua sofferenza profonda, che riguardava appunto questo dibattito tra trattativa e non trattativa, ma non so dire niente su questa asserita inefficienza dei Servizi. Su questa volontà di non scoprire. Su questo proprio non posso dire niente, non avevo alcuna responsabilità e alcuna informazione. Ripeto che, poi, ero investito da altri pensieri. Ho vissuto, quelle poche volte in cui gli ho parlato, il dramma di Zaccagnini. lo avrei preferito un silenzio dei partiti e una trasmissione totale della responsabilità al Governo, che avrebbe poi riferito al Parlamento a vicenda conclusa. Questo silenzio responsabile - secondo me – non c'è stato da parte dei partiti e questo forse ha influito anche sulla conclusione della vicenda, ma notizie dirette non ne ho e non posso dare conferma a queste spiegazioni. Non ero in condizione di avere alcuna informazione diretta.

FRAGALA’. Onorevole Gui, le ho detto poco fa che alcuni giorni or sono l'onorevole Piccoli ha dichiarato, a mezzo agenzia, che la vicenda della seduta spiritica e stata una vergogna che ha enormemente danneggiato la possibilità di liberare Moro. Lei ha un giudizio su questa vicenda della seduta spiritica?

GUI. Devo dire che quando ho letto sui . giornali questa notizia sono stato profondamente colpito e sorpreso, ma non posso dire altro.

FRAGALA’. Un altro argomento. Lei ha già detto di avere assunto la direzione del Ministero dell'interno nel IV governo Moro, nel novembre 1974. Pochi mesi prima della sua assunzione della responsabilità del Ministero accaddero in Italia due fatti di particolare gravità che riguardavano la violenza politica.

GUI. Li ho ricordati.

FRAGALA’. Uno il 28 maggio 1974: la strage di Brescia. Un altro il 13 maggio 1975: l'assassinio di Alceste Campanile, il giovane di Lotta continua. Adesso la Commissione stragi ha acquisito una serie di elementi. Sulla strage di Brescia, secondo delle informative dei Servizi, vi furono dei depistaggi organizzati dal Ministero dell'interno ai danni della cosiddetta Destra eversiva. Per l'uccisione di Alceste Campanile si organizzò un medesimo depistaggio per attribuire alla Destra l'assassinio di questo giovane di Lotta continua. Lei, quando assunse l'incarico di Ministro, su queste due vicende, entrambe depistate ai danni della Destra e sulle quali invece, specialmente per quanto riguarda Alceste Campanile, è stata acquisita una serie di elementi sulla responsabilità concreta di elementi di Sinistra, ha acquisito delle notizie da Ministro?

GUI. Non ricordo di aver avuto notizie. Tanto ormai la questione era in mano alla magistratura.

FRAGALA’. Ma io sto parlando dei depistaggi organizzati dal Ministero dell'interno.

GUI. Non ho alcuna notizia del genere. Non posso confermare minimamente.

FRAGALA’. Ancora un altro argomento: nel gennaio del 1976 un quotidiano americano denunciò finanziamenti da parte della Cia nei confronti di alcuni uomini politici italiani, tra cui Vito Scalia della Cisl, Andreotti e Donat-Cattin. Secondo queste fonti di informazione statunitensi altri destinatari politici avevano avuto in Italia finanziamenti da parte della Cia. Lei è a conoscenza di questi fatti che riguardano il mese di gennaio 1976, quando lei era a capo del Ministero dell'interno?

GUI. Non ho nessuna conoscenza di questi fatti, non posso dare nessuna conferma. Erano notizie giornalistiche, ma io non le ho approfondite. Poi, ripeto, stavo per lasciare il Ministero. Non posso dare alcuna conferma.

Presidenza del Presidente Pellegrino

FRAGALA’. Onorevole Gui, dal 1970 al 1976 il Governo italiano ha acquistato armi dagli Stati Uniti per 313 milioni di dollari dell'epoca e ci sono stati altri affari oltre la Loockheed. Sa dire alla Commissione chi decideva le forniture militari per questi importi particolari?

GUI. Le forniture ci ano per cose diverse. Ricordo che per la Loockheed ci fu una lunga trattativa. La proposta venne presentata dal capo dell'aeronautica, generale Fanali. Ricordo che ci fu una corrispondenza cui ho partecipato anche io; che noi abbiamo posto come, condizione alla Loockhecel un certo trattamento di favore per l'Italia. Poi ho lasciato il Ministero e non ho potuto avere alcuna influenza sulla conclusione. Sento che questi aerei sono ancora in servizio e senza dubbio sono stati efficienti. Però non ho nessuna notizia su quanto lei dice; non posso ricordare le cifre, come è stata fatta la trattativa: come posso ricordarlo?

FRAGALA’. Ancora un altro argomento: risulta che ex capi di Stato Maggiore ed ex generali dell'aviazione sono stati assunti con frequenza da industrie militari sia private che pubbliche, ottenendo incarichi di alto livello. In che modo il Governo considerava questa consuetudine e perché avveniva?

GUI. Non posso risponderle perché di questi fatti non ho conoscenza ne memoria. Bisognerebbe valutare i singoli casi e giudicarli. Io non sono in grado di farlo.

FRAGALA’. Se si fosse trattato di singoli casi evidentemente la domanda sarebbe stata ultronea. Il problema è relativo alla cadenza assoluta e precisa di tanti capi di Stato Maggiore, generali dell'aviazione, che venivano assunti in queste industrie militari private e pubbliche. Il tema è questo, onorevole Gui: si sono verificati acquisti di armi in appena sei anni per 313 milioni di dollari soltanto dagli Stati Uniti e poi la coincidenza che ex capi di Stato Maggiore ed ex generali dell'aviazione vengono assunti dalle industrie militari sia private che pubbliche con incarichi di alto livello: tutto questo non ha destato nei responsabili di Governo un qualche sospetto sulla fatale coincidenza?

PRESIDENTE. Noi non siamo una Commissione di indagine sulla corruzione. Vogliamo chiedere - avevo già posto io questa domanda - se tutto questo poteva servire a finanziare movimenti che rientrano nella competenza di questa Commissione. E’ questo il senso della domanda?

FRAGALA’. E’ ovvio, ci stavo arrivando, ma se l'onorevole Gui non lo sa è inutile che ponga la domanda.

GUI. Non ho ricordi di questo. Innanzitutto non ho in mente di questa consuetudine, di queste assunzioni cui lei si riferisce, perciò non posso esprimere giudizi.

FRAGALA’. Un'ultima domanda: sui rapporti particolarmente intensi per quanto riguarda le forniture militari e l'addestramento degli ufficiali - specialmente gli ufficiali piloti - tra l'Italia e la Libia nel momento in cui la Libia era un punto di crisi internazionale sul piano del terrorismo internazionale.

GUI. Anche su questo non so dirle niente.

PALOMBO. Non voglio fare domande specifiche, onorevole Gui, perché sono passati tanti anni e su certi argomenti specifici lei, molte volte, forse non ricorda bene e non è in grado di rispondere. Vorrei porle una domanda molto più semplice, onorevole Gui: sono passati tanti anni, ma il clima politico di quel periodo lo ricordiamo tutti. C'era ancora il muro di Berlino, le tensioni nel nostro paese erano molto grandi; vi erano i due blocchi che si contrapponevano: da una parte i paesi della Nato e dall'altra i paesi del Patto di Varsavia. Il nostro territorio, il territorio nazionale era diventato sede di scorribande di Servizi segreti che si contrapponevano l'uno all'altro. Quindi, quale era il clima di quel periodo e che cosa faceva il Ministero dell'interno? Che atteggiamento aveva nei confronti dei Servizi segreti che si combattevano in Italia? Queste cose le sappiamo perfettamente. I nostri Servizi segreti come si posizionavano in questa «guerra» tra Servizi del Patto di Varsavia e Servizi della Nato? Il Ministero dell'interno, poi, era a conoscenza dei corsi che frequentavano i giovani appartenenti alla sinistra italiana in paesi come la Polonia, la Germania dell'Est, l'Unione Sovietica, l'Angola e Cuba?

GUI. Devo dire che, per quel che ricordo, i Servizi del Ministero dell'interno - mi riferisco sempre ai capi che ho conosciuto - tenevano naturalmente un atteggiamento equilibrato e giusto. Certo, eravamo nell'Alleanza Atlantica e quindi i rapporti con gli Stati Uniti e con gli altri paesi dell'Alleanza erano intensi. Era comprensibile che questo avvenisse: c'era sempre il muro dì Berlino, tutti i rischi, Praga, tutte queste cose. Quindi era comprensibile che ci fossero rapporti con i paesi alleati, con i Ministeri della difesa e i Ministeri dell'interno. C'erano ogni tanto delle riunioni dei Ministri di questi paesi, ma che ci fossero stati coinvolgimenti che andavano al di là di quello che era regolare ed era anche giusto nella situazione in cui ci trovavamo io non ho memoria. Teniamo anche presente che quando ero al Ministero dell'interno c'era già qualcosa che nella situazione generale cominciava a modificare quella che era stata la netta separazione tra gruppi politici nel nostro paese: c'era stato il centro-sinistra; c'erano i movimenti dentro il centro-sinistra; c'era stato nel Partito socialista chi era favorevole e chi non era favorevole e c'era già anche l'inizio di un qualche sforzo di coinvolgimento nella maggioranza del Partito comunista. Su questo naturalmente ricordiamo l'ultimo discorso di Moro; ricordiamo anche il Partito comunista nella maggioranza ma non nel Governo, però questo avviene dopo il mio periodo al Ministero dell'interno. Tuttavia devo dire che c'erano già questi movimenti che portavano a superare la spaccatura radicale nel nostro Paese con uno sforzo di allargamento del costume democratico e di un avviamento a quella che si diceva la democrazia compiuta, questo dobbiamo tenerlo presente. Era già una situazione un po' in movimento sotto questo profilo, il che può aver da una parte irritato certi ambienti di destra e può aver dall'altra parte irritato ambienti di estrema sinistra. Moro era secondo me considerato un avversario anche da ambienti di estrema sinistra proprio perché favoriva questo avvicinamento del Partito comunista alla maggioranza. C’erano opposizioni nei confronti di Moro, della politica di allora, di provenienze a mio giudizio diverse; quali fossero poi gli addentellati concreti, i fatti, questo non sono in grado di dirlo e tanto meno di ricordarlo.

PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Gui e mi scusino i colleghi se mi inserisco, però ciò mi porta ad una sua valutazione che a me prima è sembrata contradditoria. Da un lato, infatti, lei ci ha detto che non aveva una grande stima personale del pretetto D’Amato o che per lo meno non le sembrava una persona di notevolissimo livello, non ne aveva un giudizio diciamo eccezionale; però continuava a sentirlo e a farlo partecipare a riunioni di particolare delicatezza nel momento in cui il prefetto D'Amato non occupava più un ruolo istituzionale che giustificasse tale sua partecipazione. La mia domanda è, allora, se a distanza di tanti anni ce lo può dire, in uno sforzo di sincerità: ciò che accreditava D'Amato era il suo noto rapporto con ambienti Nato e con ambienti statunitensi? Egli è stato addirittura rappresentante, diciamo, della sicurezza italiana in ambienti Nato, un ruolo che normalmente veniva dato a militari e invece in questo caso veniva dato ad un prefetto di polizia. Che ruolo svolgeva? Sono venuti qui magistrati a dirci che si sono trovati documenti secondo cui nell'immediato dopoguerra D'Amato era la prova vivente del doppio vincolo di fedeltà, perché era un funzionario del Ministero dell'interno ma era un agente dei servizi statunitensi, diciamo la fotografia del doppio giuramento.

GUI. Io proprio non posso seguirla su questa strada, noti ho questi elementi. Intanto devo dire che il fatto che D'Amato fosse da tempo a quel settore degli Affari riservati, che vi fosse stato conservato certamente da una persona di grande fedeltà atlantica come Taviani, era un elemento che lo accreditava anche presso di me, che pure noti avevo una esperienza diretta, e questa sua esperienza, questa lunga esperienza spiega che qualche volta ci fosse stato qualche incontro anche con luì. ma io non ho una conoscenza particolare dell'uomo.

TASSONE. Volevo formulare una domanda partendo da una valutazione, da una considerazione. L'onorevole Gui ha avuto una serie di responsabilità, possiamo dire, nel periodo di incubazione di quello che è stato poi il terrorismo oppure lo stragismo, come vogliamo chiamarlo, all'interno del nostro paese: è stato responsabile agli interni, è stato responsabile alla difesa. Credo che abbia vissuto anche l'esperienza degli anni 1968, 1969 e 1970, il movimento studentesco e quindi, successivamente, anche i processi degenerativi di tale movimento sia da responsabile di Governo sia anche da parlamentare di una città, di una circoscrizione in cui c'è stato il clou di questi movimenti. Volevo chiederle: nella sua esperienza, visto e considerato che anche in quel periodo si è sempre parlato di corpi separati dello Stato - c'era il mondo politico, della responsabilità, e c'era un altro tipo di mondo, di responsabilità che si muovevano autonomamente o contro il sistema - lei, onorevole Gui, ha avuto qualche percezione che le attività del Ministro o dei Ministri sia agli interni che alla difesa fossero quanto mene. condizionate o non avessero quel tipo di espansione e di capacità di farsi seguire, di far rispettare quelle che erano le disposizioni di carattere amministrativo? Ovviamente ciò si riferisce non soltanto ai servizi segreti (i nostri servizi segreti ritornano continuamente alla nostra mente, alla nostra attenzione con un commento ad alta voce, avevamo cercato di democratizzare i servizi segreti con la legge n. 801 che purtroppo si è rivelata molto limitata, ma questo è un commento mio ad alta voce); mi riferisco anche ad altre strutture, sia del Ministero della difesa che del Ministero dell'interno. Vorrei sapere se ha avuto qualche tipo di percezione di ciò soprattutto dopo gli anni 1972-1973-1974, quando c'è stato un po' il movimento antisistema che è sfuggito tutto sommato ai partiti; io mi ricordo che alcuni movimenti studenteschi non rispondevano più alle organizzazioni ufficiali, alle organizzazioni giovanili di partito, non rispondevano più; la Fgci era diventata di destra e reazionaria, non parliamo degli altri movimenti di partito. Sono momenti di storia che abbiamo vissuto, onorevole Gui, in Parlamento, ma che abbiamo vissuto anche sulle piazze. Ha avuto qualche tipo di percezione, poi, il fatto Moro, il fatto Loockheed, una serie di vicende in un certo senso conseguenziali a mio avviso di tutta ,ma storia che è venuta fuori in termini deflagranti all'interno del nostro Paese? Volevo solo sapere questo: se ha avuto percezione che vi erano dei mondi che camminavano al di fuori e al di là della politica.

PRESIDENTE. Mi sembra una domanda pertinente ed intelligente, e vorrei chiederle se lei può darci un qualche contributo, nel farci capire. Questa è una Commissione che esiste perché ci sono state le stragi, ed è un fatto. Perché i responsabili delle stragi non sono stati quasi mai rintracciati, ed è un altro fatto; un altro fatto è che gli apparati di sicurezza hanno sicuramente impedito una serie di indagini sui responsabili delle stragi. Lei oggi, a distanza di anni, che valutazione ne dà?

GUI. Lei ha fatto una domanda molto complessa. lo ero stato lunghi anni al Ministero della pubblica istruzione e avevo già allora cominciato a sperimentare questi movimenti studenteschi che poi si aggravarono dopo il 1968-1969, e già c'era nel Paese un'insorgenza di agitazioni e di movimenti che sfuggivano anche ai partiti. Di lì certamente hanno tratto forza anche questi movimenti successivi: allora erano prevalentemente di sinistra, ma ce ne era anche qualcuno di estrema destra. Dopo l'incarico di Ministro della pubblica istruzione nel 1968 e fino agli inizi del 1970 sono stato alla Difesa. Che avessi percezione di Servizi che sfuggissero al controllo del Ministro non lo posso dire. Vi è stata la vicenda Loockheed, ma ai miei tempi non vi era stato un fenomeno di corruzione o di apparati che fossero sfuggiti al controllo....

PRESIDENTE. L'onorevole Tassone non si riferisce alla corruzione, ma all'impressione che gli apparati potessero fare una politica loro.

GUI. A questo sto rispondendo, non avevo questa impressione mentre dirigevo il Ministero della difesa. Poi, dopo aver lasciato la Difesa, sono stato per tre o quattro anni nel Parlamento ma non con incarichi ministeriali.

CIRAMI. Il riferimento alla Difesa è un lapsus?

TASSONE. No, è stato Ministro della difesa, anche se nel curriculum non risulta.

PRESIDENTE. D'altronde la vicenda Loockheed partiva da lì!

GUI. Successivamente ho avuto altri incarichi mi sono occupato dell'ufficio legislativo della Democrazia cristiana e poi sono stato per quasi un anno alla Sanità; successivamente, mi sono occupato della riforma dell'amministrazione e poi, alla fine del 1974, come ho detto prima, sono stato chiamato a dirigere il Ministero dell'interno. Ebbene, io questa percezione di apparati dello Stato che sfuggivano alla direttiva dei Ministri o al loro controllo non l'ho avuta, per quanto riguarda il perioriodo alla Difesa. Del resto, risulta anche nelle deposizioni precedenti. Sono stato interrogato nel 1991 ...

PRESIDENTE. Quando esplode il caso del processo di Catanzaro e si viene a sapere che i Servizi facevano scappare Giannettini e Pozzan o che proteggevano....

GUI. Questo è avvenuto tutto dopo, molto dopo.

PRESIDENTE. No, è venuto fuori dopo, ma riguardava fatti che storicamente erano avvenuti nella prima metà degli anni '70, quindi addirittura prima che lei assumesse la responsabilità del Ministero della difesa. Dopo, che valutazione ne ha dato lei?

GUI. No, al Ministero della difesa io sono andato nel 1968.

PRESIDENTE. Volevo dire prima che lei diventasse Ministro dell'interno. Lei ha avuto incarichi ministeriali fino alla metà degli anni '70. Questi fatti emergono nel processo di Catanzaro, verso la fine degli anni '70, però erano fatti avvenuti anni prima.

GUI. Su questi singoli fatti e sulle date non insisto, perché non li ho presenti. lo questa impressione generale che apparati o paGrte degli apparati dello Stato sfuggissero al controllo dei Ministri o del Governo non l'ho avuta.

PRESIDENTE. Le voglio leggere una frase: «Per quanto riguarda la strategia della tensione, che per anni ha insanguinato l'Italia pur senza conseguire i suoi obiettivi politici, non possono non rilevarsi, accanto a responsabilità che si collocano fuori dall'Italia, indulgenze e connivenze di organi dello Stato e della Democrazia cristiana in alcuni suoi settori». Questo lo scrive Aldo Moro in un brano del memoriale che è stato ritrovato a via Monte Nevoso. Lei, che è stato molto vicino all'onorevole Moro, ritiene che fossero le tragiche circostanze in cui si trovava che lo portavano a scrivere queste cose oppure, come per quasi tutto quello che si ritrova nel memoriale, egli faceva riferimento invece a fatti reali?

GUI. Io queste confessioni da lui in vita, come amico, non le ho avute. Lui aveva altre preoccupazioni, certamente per la crisi del costume politico nel nostro paese, per i contrasti di correnti e per le degenerazioni tra i gruppi; sii questo senza dubbio il suo giudizio era molto preoccupato. Ricordo le sue famose frasi secondo le quali, se non avesse prevalso una ripresa di ordine morale, la libertà nel nostro paese sarebbe stata in pericolo. Questi giudizi li ricordo, ma informazioni su fatti singoli ed anche indicazioni precise per quanto riguarda gli apparati dello Stato non le ho avute.

PRESIDENTE. Quindi tutta la storia che lui racconta, sempre nel memoriale, per cui quando scoppia la bomba di piazza Fontana lui torna apposta da Parigi ed ha la sensazione che qualcosa di oscuro e di terribile si stesse attivando nel paese...

GUI. Certo, questo era....

PRESIDENTE. Ma non qualcosa di oscuro nel senso che vi erano gli anarchici che mettevano le bombe, ma nel senso che vi era qualcosa o qualcuno che cercava di utilizzare la bomba e l'attribuzione agli anarchici per determinare un'involuzione autoritaria delle istituzioni. Il discorso che Moro fa è chiarissimo. Lo fa in una condizione tutta particolare, però a distanza di anni è difficile trovare che Moro abbia detto in questo memoriale qualcosa che non avesse riscontri precisi.

GUI. Credo che lui, se lo ha scritto, lo ha fatto con consapevolezza. Certo, la strage di piazza Fontana ha cominciato a far nascere preoccupazioni vaste. Però io ho lasciato poco dopo l'incarico, perché agli inizi del 1970 ho lasciato il Ministero della difesa, e quindi non ho potuto seguire i fatti. Certo è stato un fatto che mi ha impressionato, indubbiamente. Si trattava di un sintomo che, non tanto negli apparati dello Stato, ma nel tessuto del paese stessero sorgendo movimenti ed azioni di questa natura.

PRESIDENTE. Il giudizio che ci ha dato l'onorevole Andreotti è che della fedeltà democratica delle Forze armate, salvo qualche testa calda, non si poteva dubitare, ma che in realtà soprattutto i vertici delle Forze armate fossero contrari alla politica della distensione e alle novità da essa rappresentate, anche alla distensione tra i blocchi politici. Lei ha mai avuto percezione di questo?

GUI. Per il periodo in cui ero alla Difesa questa percezione non l'ho mai avuta. Ricordo i rapporti con il comandante Capo di Stato Maggiore, generale Vedovato, ricordo persone che non mi hanno mai dato questa impressione.

PRESIDENTE. Lei e stato alla Difesa in che periodo?'

GUI. Dall'autunno del 1968 fino marzo dei 1970.

PRESIDENTE. Che tre anni prima fosse stato organizzato un noto convegno all'Hotel Parco dei Principi dall’Istituto Pollio…

FRAGALA’. ...in cui vi era un famoso esponente comunista…

PRESIDENTE. Lasciamo stare: sappiamo che su questo non siamo d'accordo. Lei, onorevole Gui, ne ebbe notizia?

GUI. Tre anni prima ero alla Pubblica istruzione e mi occupavo di altro.

PRESIDENTE. Che Freda e Ventura avevano pubblicato un noto pamphlet intitolato «Le mani rosse sulle Forze armate»....

FRAGALA’. Non erano Freda e Ventura! Era Aloja!

MAZZOCCHIN. Era Rauti!

PRESIDENTE. Comunque, che ci fosse questo noto pamph1et, distribuito dal generale Aloja, non le risulta?

GUI. No, non ne ho avuto notizia.

PRESIDENTE. Che vi era una specie di documento firmato Nuclei per la difesa dello Stato, che pure aveva circolato: neanche di questo aveva avuto notizia?

GUI. Sì, questa notizia c'era.

PRESIDENTE. E che valutazione ne dava?

GUI. Che si trattava di fenomeni certamente di estremismo, ma non tanto pericolosi. Avevo avuto questa percezione: condannabili, ma non di grandissimo rilievo.

PRESIDENTE. Non tali da porre in dubbio la fedeltà complessiva delle Forze armate: questo è il suo giudizio?

GUI. No, questo no. Devo dire che non ho mai avuto questa percezione che non ci si potesse fidare delle Forze armate. Non ho mai avuto l'impressione che ne fosse incrinata la fedeltà.

CIRAMI. Signor Presidente, invece che rivolgere delle domande all'onorevole Gui, vorrei rimettere a lei la valutazione delle domande che vorrei porre, spostando un po’ l’asse delle domande fino ad ora fatte dai colleghi. Vorrei partire da una affermazione dell'onorevole Gui che mi pare che alla prima domanda posta all'inizio della nostra conversazione, abbia risposto che negli anni del terrorismo, dal 1974 al 1976, vi erano al Ministero che lui guidava altre preoccupazioni, quali i sequestri di persona ed i fatti di criminalità organizzata.

GUI. Anche altre.

CIRAMI. Ma mi pare che lei sottolineasse più questo aspetto tanto che per questo lei varò un disegno di legge che fu poi contrastato dall'onorevole Moro. Non mi pare di aver registrato analoghe iniziative - forse sarà una mia manchevolezza - in materia di persecuzione del terrorismo. Però, vista la sua attenzione come Ministro dell'interno alla criminalità che in quel momento si estrinsecava con numerosi sequestri di persona, vorrei chiederle, ed è questa la domanda che rimetto al Presidente che ne valuterà la pertinenza: ha mai avuto conoscenza di rapporti di finanziamento che arrivassero ai terroristi di qualsiasi specie e se in particolare in questi vi fosse la mano della delinquenza organizzata, che poi era quella che gestiva i sequestri di persona e altri fatti di criminalità che al tempo certamente erano molto diffusi? La seconda domanda è la seguente. Lei poi fu travolto dallo scandalo Loockheed (per il quale fu costretto alle dimissioni, o lei si dimise) che ha rappresentato un grosso fatto di tangenti internazionali; lei ritiene di poter escludere, o perlomeno quale è la sua opinione, che a questa attività di tangenti partecipassero anche le mafie o le delinquenze organizzate d'Italia e di America? O lei non ha avuto la curiosità di sapere quali fossero le fonti di finanziamento del terrorismo di Destra, di Sinistra, o di qualsiasi altra parte, e organizzazioni delinquenziali che, per tenere a bada il territorio, erano certamente più organizzate, quantomeno storicamente, di quanto non lo fosse il terrorismo? Infine, un'ultima domanda, circa le connessioni che certamente dovranno esserci state, almeno per quello che mi è stato dato di leggere, non mi sembra di aver visto qualcosa di più concreto, tra il mondo economico-finanziario, inseriti grossi esponenti di mafia (cito due nomi per citarli tutti, Gelli e Sindona) e il terrorismo. Questi rapporti lei ha mai avuto curiosità di approfondirli, di apprenderli o di elaborarli, come Ministro dell'interno? Si è mai chiesto e preoccupato di sapere se il terrorismo avesse contatti con il mondo delinquenziale, cosiddetto comune, che forse disponeva anche di mezzi economici e di manovalanza?

GUI. Devo dire che allora questa valutazione non era percepibile, non c'era ancora questa sensazione di collegamento tra il terrorismo ed i poteri economici, i poteri criminali eccetera.

CIRAMI. Mi scusi l’interruzione, ma chi riferiva di questi rapporti con il terrorismo ha mai parlato di fondi di finanziamento, di contiguità dei terroristi con la delinquenza comune?

GUI. Come posso dirlo, non li ho di certo in mente questi rapporti. Comunque non era questo un fatto che mi fosse stato segnalato in modo che io lo potessi percepire. Sia per quanto riguarda la strage di piazza Fontana, quando ero alla Difesa, sia per quanto riguarda gli sforzi di approfondimento della strategia della tensione, quando ero all'interno, tutto questo non c'era. Io mi sono preoccupato, ho fatto anche una riunione dei Capi servizio dei vari Ministeri per mettere insieme le impressioni, confrontarle e dibatterne; forse ne ho fatta più di una, ma adesso, non ricordo i particolari. C'era una mia grave preoccupazione insieme a quella dei sequestri di persona e della criminalità, ma questa percezione di un collegamento con poteri economici, con poteri mafiosi, con questi fatti, io non l'avevo. Di Gelli e di Sindona non se ne parlava allora, sono questioni emerse dopo. Allora non se ne parlava, io non avevo nessuna notizia.

CIRAMI. Ma le riferivano se qualcuno finanziava e da che parte potevano venire i finanziamenti?

GUI. No, questa impressione non ce l'ho avuta.

CIRAMI. Signor Presidente, ho elencato tutte le domande, noti so se lei ritiene che esse possano essere nuovamente riproposte ma mi pare che la risposta dell'onorevole Gui sia stata troncante.

ZANI, Signor Presidente, abbiamo sentito che l'onorevole Gui non ha mai avuto percezione di deviazioni o di infedeltà negli apparati dello Stato, soprattutto quelli a lui sottoposti quando rivestiva le cariche che ha ricoperto. Onorevole Gui, lei ha avuto percezione di una qualche inefficienza. al limite del surreale di taluni di questi apparati? Inoltre, fra mai saputo di una organizzazione denominata Gladio?

GUI. Questa domanda mi è già stata posta nel 1991, quindi credo che se lei va a leggere i verbali di quella seduta troverà le risposte. La questione mi era già stata posta allora, quando la Commissione si è occupata di questo periodo e di questi problemi. Ho già detto allora che quando sono arrivato al Ministero della difesa mi è stato chiesto dalla Presidenza del Consiglio di conservare la delega al Sottosegretario incaricato per quanto riguardava i rapporti con i servizi segreti militari. Perché il segreto militare di Stato era dì competenza della Presidenza del Consiglio, la quale incaricava un Sottosegretario di mantenere rapporti continui con la stessa Presidenza su tutte le questioni che potevano riguardare il segreto militare di Stato. Questo c'era già con i Ministri miei predecessori ed era previsto nella delega lasciata ai Sottosegretari. Quindi, circa la faccenda Gladio, se questa c'era già allora e se era organizzata in qualche modo, io non ne ho mai saputo niente. Lo ho saputo dopo, quando sono iniziate a circolare queste notizie. Ma allora non ne ho mai saputo niente, come non ho saputo di altre questioni di rapporti con Servizi stranieri eccetera, che. ripeto, erano delegati al Sottosegretario che agiva di concerto con la Presidenza del Consiglio.

PRESIDENTE. Mi scusi, per sanare un mio vuoto di informazione vorrei sapere da lei chi erano all'epoca il Presidente del Consiglio e i Sottosegretari.

GUI. Presidente del Consiglio per i primi mesi fu Leone, poi Rumor, si tratta di due Governi ai quali ho partecipato in veste di Ministro della difesa. Sottosegretario alla Difesa era l'onorevole Cossiga, che era stato Sottosegretario anche con ì Ministri precedenti.

PRESIDENTE. E tutto ciò non le faceva nascere una curiosità od una preoccupazione? Cioè bastava la delega al Sottosegretario per escludere ogni responsabilità politica del Ministro della difesa?

GUI. La responsabilità era del Presidente del Consiglio e doveva essere lasciata alla Presidenza del Consiglio. Il rapporto con il Ministero della difesa passava attraverso una delega particolare al Sottosegretario. Era così da tempo.

PRESIDENTE. Sembrava una struttura fatta. apposta perché il minor numero di persone sapesse quel che era opportuno sapere. Rivisitando quell'epoca, con gli arricchimenti che abbiamo oggi e con il distacco che la prospettiva del tempo dovrebbe poter consentire, non ritiene che tutto sommato ci sia stato qualcosa di sbagliato in questa organizzazione? Non ritiene che in fondo i controlli democratici si siano allentati proprio nell'esclusività di certi rapporti?

GUI. Le vicende coperte dal segreto di Stato non potevano che essere esclusive. Certamente la fiducia era attribuita al Presidente del Consiglio e su di lui ricadeva la responsabilità in tale materia.

PRESIDENTE. E come Ministro dell'interno di tutto questo mondo del segreto lei non ha mai saputo niente? C'erano dei compartimenti stagni tra segreto militare e segreto di Stato?

GUI. Sì. Di altre questioni, che riguardavano il funzionamento delle Forze di polizia o di avvenimenti di natura politica o criminale io avevo conoscenza.

PRESIDENTE. Tutto questo non creava una debolezza complessiva? Questo sistema a compartimenti stagni tra gli apparati di sicurezza in certe occasioni poteva addirittura attivarsi tutto insieme: pensiamo al sequestro Moro.

GUI. Dopo che ho lasciato il Ministero dell'interno sono stati creati addirittura due Servizi di sicurezza, il Sismi e il Sisde. E questa decisione è stata assunta dal Parlamento.

PRESIDENTE. Ciò non toglie che vige il principio dell'unitarietà della responsabilità politica: in una democrazia, il Governo è responsabile di tutto. Capisco quel che lei dice: tutto si convoglia nella responsabilità dei singoli Presidenti del Consiglio. Però, allo stato dell'arte, dobbiamo dire che il sistema ha funzionato poco e male ed ha portato a casi di «surreale inefficienza», come diceva l'onorevole Zani.

GUI. Ci sono stati aspetti positivi ed aspetti negativi.

PRESIDENTE. Se i colleghi non devono porre altre domande, ringraziamo l'onorevole Gui per la sua partecipazione al nostri lavori.

L'Ufficio di Presidenza è convocato per domani mattina alle ore 9.

La seduta termina alle ore 20,55.

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