Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi
15ª SEDUTA
VENERDI 18 APRILE 1997
Presidenza del Presidente PELLEGRINO
indi del vice Presidente GRIMALDI
Indice degli interventi
PRESIDENTE |
FORLANI |
CIRAMI (CCD), senatore |
CORSINI (Sin.dem.-l'Ulivo), deputato |
DE LUCA Athos (Verdi-l'Ulivo), senatore |
FRAGALA' (AN), deputato |
TASSONE (Misto Cdu), deputato |
La seduta ha inizio alle ore 10.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.
Invito l'onorevole Pace a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
PACE, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 17 aprile 1997.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI: AUDIZIONE DELL'ONOREVOLE ARNALDO FORLANI
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'inchiesta su stragi e depistaggi.. E in programma oggi l'audizione dell'onorevole Arnaldo Forlani che ringrazio della sua presenza. Ho da tempo inviato allonorevole Forlani la proposta di relazione conclusiva perché egli fosse informato di quale è l'ipotesi di lavoro su cui ci stiamo muovendo, ovviamente con l'avvertenza quasi superflua che la proposta è frutto di un lavoro individuale, è l'espressione di un punto di vista del Presidente di questa Commissione e non è ancora un documento deliberato e approvato dalla Commissione.
Il senso complessivo della relazione penso sia chiaro all'onorevole Forlani; ritengo che gli elementi di cui siamo in possesso e che vengono in gran parte dai processi che si sono svolti, sono stati poi arricchiti da una messe documentale che cresce giorno per giorno, da una serie di ammissioni che ci sono state fatte, da fatti che risultano per ammissione dei protagonisti direttamente di fronte alla Commissione, dall'ausilio della storiografia. Questa mattina ho ricevuto una richiesta di appuntamento da uno studente che ha fatto sull'argomento una tesi di laurea, che ha esaminato la proposta di relazione di cui parlavo prima. Questi documenti consentono ormai alla Commissione di esprimere ormai in maniera compiuta un giudizio su queste pagine tragiche della storia del paese e ci consentono di dare risposta ai due interrogativi fondamentali: perché le stragi sono avvenute e perché, nella maggior parte dei casi, i responsabili delle stragi non sono stati puniti. Il senso della proposta di relazione è che le ragioni dello stragismo e della mancata individuazione degli stragisti in parte coincidono e si inseriscono in una storia del paese che si sviluppa dall'immediato dopoguerra, in una logica atlantica di un paese che era la frontiera fra i due blocchi, una frontiera resa delicata dalla presenza del Vaticano in Italia e resa delicatissima dal fatto che il maggior partito di opposizione aveva saldi legami con il centro dell'impero avversario, sicché un ricambio politico era impossibile. In questa situazione si sviluppano nel nostro paese una serie di reti clandestine che avevano vertici nel Ministero dell'interno e in particolare nell'ufficio Affari riservati del Ministero dell'interno e avevano vertice istituzionale negli apparati militari.
E di questi giorni l'acquisizione della prova documentale che, proprio nell'arco di tempo indicato nell'immediato dopoguerra, anche uomini come Hass (uno dei due imputati del processo delle Fosse Ardeatine) erano degli operatori dell'ufficio Affari riservati del Ministero dell'interno e venivano protetti. Quando il Servizio militare scopre questo legame fra il Ministero dell'interno e Hass, il Ministro dell'interno dell'epoca copre tutto con un passaporto diplomatico e consente ad Hass di restare in Italia. Queste reti clandestine sono ín qualche modo l'albero genealogico di Gladio ma quando la Gladio nasce continuano a vivere a fianco e intorno a Gladio. I colleghi ricorderanno che, ad una mia precisa domanda al generale Maletti se esistesse un livello sotterraneo di Gladio o se Gladio - che sembra una testa grande su un corpo piccolo perché il numero di 623 gladiatori sembra risibile, forse pensata in funzione dell'attivazione di altre strutture - il generale Maletti ci ha detto che le due ipotesi convivono. Vi era quindi un livello sotterraneo di Gladio e c'erano altre strutture che Gladio poteva attivare. Questo mondo di reti clandestine viene negli anni '60 fortemente innervato da rapporti che si intrecciano con elementi di estremismo politico, in prevalenza appartenenti alla destra radicale ma non esclusivamente parti di essa, in un collante che era ovviamente quello dell'anticomunismo e che diventa tanto più acceso quanto più inizia nel mondo invece un periodo di distensione tra i due blocchi, Krusciov, Kermedy, Papa Giovanni XXIII. E un periodo in cui l'opinione pubblica moderata italiana è fortemente allarmata dal primo centro-sinistra. I colleghi ricorderanno che ieri ho citato al senatore Andreotti la voce diritto civile dell'Enciclopedia del diritto, scritta da un grande giurista, un mio maestro che lei avrà conosciuto, onorevole Forlani, Rosario Nicolò. Egli nel 1964 era talmente preoccupato dalla possibile evoluzione dei quadro politico interno italiano da scrivere che fra possibile legge sui suoli - il riferimento è implicito - e programmazione economica la stessa costruzione del diritto civile sarebbe potuta finire come costruzione dell'animo umano e della libertà umana. Vi era quindi indubbiamente un'opinione pubblica moderata che tendeva a contrastare quello che sembrava ormai il corso ineludibile delle cose.
Alla fine degli anni '60 il Paese è attraversato dalle ventate della contestazione studentesca e della contestazione operaia. In quel mondo nascono progetti di involuzione autoritaria con sfumature diverse che vanno dal pronunciamento militare vero e proprio ad una involuzione invece di tipo gollista e a tutto ciò chiaramente partecipano anche settori delle forze politiche moderate e di centro. Ieri abbiamo fatto i nomi di Ivan Matteo Lombardo e di Pacciardi ma sicuramente ce ne sono stati altri. Noi riteniamo che la strategia della tensione - questa è l'ipotesi da cui muove la relazione - nasce in quegli anni e nasce per questo, come un modo cioè per contrastare questa evoluzione e che lo stragismo proviene da quel mondo; naturalmente proviene dagli operatori estremi di quel mondo. Il generale Maletti ha parlato di attivismo intempestivo: si volevano porre le condizioni perché determinati progetti, puramente enunciati e forse velleitari, precipitassero verso il loro esito naturale. Quando le indagini si avviano e si indirizzano verso quello che era un obiettivo probabilmente esatto (per lo meno non centravano l'obiettivo, ma vi andavano vicino, come una volta disse efficacemente il dottor D'Ambrosio) gli apparati di sicurezza intervengono per coprire e per creare un ostacolo alle indagini stesse. L'ipotesi che fa la relazione è la seguente: probabilmente non si voleva coprire la responsabilità di un ordine che gli arruolati avevano ricevuto, piuttosto si voleva coprire la responsabilità dell'arruolamento, cioè le conseguenze istituzionali e politiche che si sarebbero potute creare se si fosse saputo che un estremista politico, un bombarolo, quattro giorni prima aveva parlato con un capitano dell'esercito dei carabinieri, che a sua volta aveva parlato con un generale; il generale poi avrebbe potuto dire che vi erano uomini politici che erano a conoscenza di tali contatti o per lo meno li intuivano e non intervenivano. Poco fa ho detto all'onorevole Forlani che oggi io periodizzerei meglio e riscriverei almeno due capitoli della proposta di relazione: quello conclusivo e quello sulla svolta del 1974. Infatti dalle affermazioni del generale Maletti e anche del senatore Andreotti, che in qualche modo ha confermato quanto dichiarato dal generale Maletti, diventa chiaro che nel 1974, quando il senatore Andreotti ritorna al Ministero della difesa, quell'assenza assoluta di una direzione politica, che si è notata nel periodo precedente, in qualche modo finisce e vengono recisi questi legami. Da quel momento in poi semmai li fanno fuggire, non consentono ai giudici di catturarli; però nel rapporto tra apparati e la destra eversiva, in tutto questo mondo (qualche vicenda si chiude anche tragicamente come quella di Esposti a Pian del Rascino) c'è tutto un cambiamento, che si collega ad un cambiamento di carattere internazionale: la fine del regime dei colonnelli, la lunga agonia di Franco, la rivolta dei Garofani nel Portogallo. Diciamo che se quella possibilità che si era potuta vagheggiare di una involuzione autoritaria delle istituzioni democratiche italiane fino al 1974 era stata fino a quel momento velleitaria, da quell'anno in poi diventa assolutamente impraticabile. Ciò che semmai emerge è che la tensione successiva nella seconda metà del decennio degli anni '70 è una tensione che ha una matrice prevalentemente di sinistra. Il fenomeno più rilevante è quello del terrorismo di sinistra. In relazione a ciò sorge il problema, in relazione al quale porrò alcune domande all'onorevole Forlani, dei motivi per cui il terrorismo di sinistra non è stato contrastato fino in fondo e perché il successo finale non sia stato ottenuto prima. Si tratta di interrogativi che i membri della Commissione conoscono e che ancora non hanno ottenuto una risposta.
Vorrei che l'onorevole Forlani ci dicesse il suo punto di vista su questa ipotesi ricostruttiva. Ci troviamo ancora una volta a confronto con uno dei protagonisti della vita politica italiana del periodo. Infatti lonorevole Forlani è stato ministro senza portafoglio dal 5 agosto all'11 novembre 1969; Ministro della difesa dal 1974 al 1976; Ministro degli esteri dal 1976 al 1979; poi Presidente dei Consiglio dall'ottobre del 1980 al giugno dei 1981 e Vicepresidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Inoltre è stato un uomo di vertice del partito della Democrazia cristiana, cioè del principale partito politico italiano, Quindi mi sembra giusto, senza rivolgergli almeno per ora domande specifiche, chiedergli di misurarsi con quest'ipotesi ricostruttiva della storia del periodo. In che limiti essa è vera? In che limiti quanto ho detto, se non è certo, almeno è altamente probabile? In che limiti, invece, potrebbe essere sbagliato, perché, magari i fatti si sono svolti in maniera completamente diversa da come li ho descritti?
Desidero fare una breve considerazione e mi scuso con i colleghi e con l'onorevole Forlani se inserisco un tema non strettamente coerente con l'oggetto dell'audizione. Mi ha sorpreso oggi leggere sui giornali quanto ha dichiarato il senatore Gualtieri, cioè che vi sarebbe una mia volontà di chiudere la Commissione e ciò farebbe parte di un patto politico con il Polo, connesso al patto sulla giustizia, che avrebbe addirittura l'avallo del Segretario del mio partito. Penso che questo sia un modo sbagliato di dialettizzarci e misurarci in un confronto tra di noi. Ricordo che ho depositato la proposta di relazione nel dicembre 1995, quando si sapeva che la dodicesima legislatura stava per terminare e quando ancora non si sapeva quale sarebbe stato il risultato delle elezioni del 1996. In quella relazione è scritta a chiare lettere quella che è la mia valutazione e quanto abbiamo capito o per le meno quanto qualcuno di noi ha capito; se poi c'è qualcuno che non comprende, cercherò di spiegarmi meglio. Personalmente ritengo di aver capito e, nei limiti di quanto ho compreso, penso di avere il dovere di dire agli italiani quello che ho capito. Poi sarà il Parlamento a decidere se dovranno essere costituite due o tre Commissioni di inchiesta che continueranno il nostro lavoro. Ma continuare a dire agli italiani che è tutto misterioso, che sullo stragismo non si è capito niente lo considero un venir meno ad un dovere di serietà. Non può essere che vi sia un Parlamento nazionale che affermi di avere un grado di conoscenza minore di quello degli studenti del Paese che in questi anni stanno conseguendo le lauree nelle nostre università con tesi su questi argomenti. Vuol dire che, me ne procurerò qualcuna e la invierò al senatore Gualtieri. Mi domando comunque come mai questi studenti hanno capito quelle che noi ci rifiutiamo di dire di aver compreso.
FORLANI. Signor Presidente, credo che sia da apprezzare la ricerca della verità e il tentativo di offrire una interpretazione e una spiegazione il più possibile razionale degli avvenimenti tortuosi, contraddittori e spesso drammatici che hanno accompagnato il complessivo processo di rinascita e di consolidamento della democrazia in Italia. Se mi è consentito, vorrei sottolineare un rischio, visto che il presidente Pellegrino mi ha invitato a non limitarmi...
PRESIDENTE. L'ho invitata a dialettizzarsi.
FORLANI. Queste ricerche e questo impegno ricostruttivo presentano sempre dei rischi, specialmente quando si è immersi ancora in una fase politica cosiddetta di transizione, - come talvolta pure si dice - rivoluzionaria, di rovesciamento cioè della situazione precedente. Il rischio di stravolgimenti della verità è oggettivo ed è nelle cose, è caratteristica costante dei processi di transizione delegittimare il passato e accreditare di valori e di aspetti positivi il presente e il possibile futuro. Lo schema proposto nella relazione presentata dal presidente Pellegrino rappresenta un tentativo serio di offrire una spiegazione. La rifondazione della democrazia, l'inserimento dell'Italia nel sistema occidentale, la ricostruzione del paese, l'avvio di un processo di sviluppo e di industrializzazione, il tentativo di superamento delle aree di più forte depressione e di saldatura delle contraddizioni e degli squilibri nella nostra società sono avvenuti in un quadro storico che aveva come riferimento essenziale una contrapposizione radicale ideologica e politica di dimensione planetaria. Essa trovava una precisa Corrispondenza in Italia nel contrasto tra forze che possiamo definire democratiche in senso tradizionale ed il partito comunista più forte dell'occidente, collegato più o meno organicamente - come fra ricordato poco fa il presidente Pellegrino -- con la centrale dell'impero sovietico. Il presidente Pellegrino ha ricordato anche le responsabilità che ho avuto, oltre che nel Governo, come dirigente di partito. Alla luce di questa mia particolare esperienza, posso affermare che una nota costante, un dato permanente dell'impegno della Democrazia cristiana sin dalla sua nascita con De Gasperi direi la sua preoccupazione di fondo è stata certamente quella di salvaguardare le ragioni della democrazia, di contrastare il comunismo, contenendo e portando nell'alveo democratico la vasta opinione moderata del paese. Specialmente negli uomini che derivavano il loro impegno politico dall'esperienza che aveva preceduto l'avvento del fascismo, questa preoccupazione è stata dominante, e trasmessa alla nuova generazione. C'era la consapevolezza che la maggioranza, la vasta area dei ceti medi, si sarebbe contrapposta comunque al comunismo; se questa opinione maggioritaria non avesse trovato un alveo democratico sicuro, una possibilità reale di tenuta e di rappresentanza in un grande partito nazionale o in un gruppo di partiti nazionali, la situazione italiana nel quadro dell'Alleanza atlantica dei collegamenti occidentali, avrebbe potuto avere sbocchi di tipo autoritario.
PRESIDENTE. Onorevole Forlani, considero ciò che lei sta dicendo non solo di alto livello ma anche estremamente esatto; infatti, in una valutazione oggi dovuta, soprattutto dopo contributi offerti dall'intera storiografia che ha avuto il professor De Felice come suo maestro, la verità è che i ceti borghesi moderati e i ceti alti italiani non erano democratici ma rappresentavano ceti che andavano educati alla democrazia e che avevano dato al fascismo un'adesione reale, di consenso reale e che potevano essere effettivamente portati dall'anticomunismo a cercare risposte che democratiche non fossero,
Capisco pertanto le sue affermazioni, cioè la grande difficoltà di un partito come la Democrazia cristiana che doveva condurre alla democrazia e doveva. introiettare fino in fondo i valori democratici in un mondo che, invece, con la democrazia cominciava ad avere appena un primo rapporto. Comprendo quindi che esisteva questa contrapposizione tra Scilla e Cariddi e che l'anticomunismo non avesse una risposta di tipo autoritario.
FORLANI. Non penso che si possa affermare che quest'area maggioritaria dell'opinione pubblica del paese fosse antidemocratica; essa, rispetto alla minaccia comunista...
PRESIDENTE. Esatto, possiamo dire che essa poteva dubitare che la democrazia fosse un modo per combatterla.
FORLANI. ...e di un sovvertimento delle alleanze, sarebbe stata disposta o comunque, con alta probabilità, avrebbe potuto imboccare una strada reattiva fino ad abbracciare, rispetto alla minaccia comunista, soluzioni autoritarie. D'altronde la nostra vicenda è stata accompagnata nell'area vicina del Mediterraneo da soluzioni che hanno avuto proprio questo carattere. In Grecia, il colpo di stato che ha portato al regime dei colonnelli rappresenta un esempio di questo tipo; in Turchia si sono verificati analoghi eventi. Per un certo periodo gruppi eversivi più o meno velleitari, compresi quelli che poi si sono ritrovati nel tentativo del golpe Borghese, hanno avuto rapporti con elementi del regime falangista in Spagna o con quello portoghese. Si tratta di fatti che stanno ad indicare come attorno a inquietudini varie si siano coagulate volta a volta anche spinte organizzative e disegni non privi di qualche collegamento internazionale. In questo senso è ben comprensibile la preoccupazione della Democrazia cristiana e anche dei partiti che si sono riconosciuti nella stessa alleanza e nella comune prospettiva democratica di battere sul piano politico ed elettorale, il Partito comunista, inalveando però sul terreno della legalità e dell'ordine democratico l'opinione maggioritaria del Paese.
Secondo me questa linea e questa strategia hanno avuto successo. Non posso dire che non ci fosse la possibilità di un'alternativa e di un'alternanza. La conventio ad escludendum di cui si è tanto parlato, che è stata tanto teorizzata, in realtà non c'era. Se nella competizione tra le grandi forze politiche del Paese e i diversi sistemi di alleanza che si sono confrontati fosse prevalsa elettoralmente la componente di sinistra, guidata ed egemonizzata dal Partito comunista, credo personalmente che avremmo avuto in Italia reazioni e contrasti, ma il Partito comunista sarebbe andato al potere.
PRESIDENTE. Il Partito comunista non ci credeva tanto, se è vero che Berlinguer alla metà degli anni settanta si spaventava di vincere.
FORLANI. Certo non alla vigilia dei 18 aprile! Dopo si è teorizzato molto su questa. Alla vigilia di quelle elezioni, quando le previsioni non escludevano davvero la vittoria del Fronte popolare, l'atteggiamento di Togliatti non era di grande preoccupazione. Era un atteggiamento risoluto e di pronta disponibilità ad assumere la responsabilità del Governo. Dopo sono intervenute tante teorizzazioni e spiegazioni diverse, ma noi, che qualche rapporto nell'ambito dell'Alleanza atlantica, anche fiduciario e confidenziale, nel corso degli anni pure abbiamo avuto, possiamo dire che in realtà né sulla base degli accordi di Yalta, né di altre trattative intervenute successivamente, fosse previsto un piano responsabile, una ipotesi di intervento in Italia per impedire questo avvenimento. Si manifestavano preoccupazioni, ma non veniva messo in conto un intervento di tipo autoritativo o militare. Naturalmente, poi, nelle ricostruzioni storiche c'è sempre una propensione a schematizzare, a dare spiegazione organica di cose che invece rimangono avvolte nella complessità di umori, di contraddizioni, di cambiamenti di opinione.
Sono partito infatti da questa considerazione: il rischio che nella ricostruzione del passato, anche in buona fede, prevalgono ormai la tendenza alla delegittimazione di ciò che è stato, e quindi la giustificazione e l'accreditamento per ciò che è e per ciò che si spera sarà.
PRESIDENTE. Il rischio di cui lei parla lo vedo. Riconosco di avere una cultura antagonista a quella del senatore Andreotti, nel senso che il senatore Andreotti - lo abbiamo visto nelle due lunghe audizioni che si sono svolte in questi giorni - aderisce talmente alla specificità del singolo evento da finire per rendere quasi impossibile la possibilità di mettere insieme i vari particolari e di vedere quale è il disegno comune. C'è una prospettiva di tanta adesione al particolare, al certo, al reale, all'aspetto apparente delle cose, che poi le varie contraddizioni finiscono per non essere spiegate. Ammetto che invece io tendo ad una semplificazione, ricostruendo per grandi linee, il che implica sempre la possibilità di qualche forzatura. Ma non penso che mi si possa addebitare il facile manicheismo della fase nuova rispetto alla fase precedente. Infatti nella parte conclusiva della mia relazione scrivo testualmente: "E dovere peraltro riconoscere che le forze politiche di Governo" - e il suo partito è stata la principale forza di Governo del Paese - "in ragione di una sempre crescente interiorizzazione dei valori democratici, abbiano agito in modo tale da frenare, neutralizzare e infine sconfiggere le spinte verso l'involuzione autoritaria dell'ordinamento repubblicano". Mi sembra un giudizio preciso che è stato anche discusso come eccessivamente benevolo.
Le vorrei rivolgere la seguente domanda. Non si sarebbe potuto fare niente di più e di meglio perché il Paese, per tutto questo, non pagasse fino in fondo il prezzo di sangue che poi ha pagato? Questo è un fatto certo, non è un giudizio negativo. Ieri ho letto al senatore Andreotti una frase, da lui stesso pronunciata davanti ad un'altra Commissione di inchiesta, e ricordo che lui è stato Ministro della difesa per sette anni a cominciare dal 1959: "Le prime cose che mi spiegarono degli esperti fu che un Ministro della difesa che volesse avere prestigio non doveva occuparsi né di servizi segreti né di forniture". Ci ha poi spiegato che quando è ritornato al Ministero della difesa nel 1974 decise di occuparsi fortemente dei Servizi. Se la decisione fosse stata presa prima probabilmente le cose non sarebbero andate meglio? Quando Aldo Moro nel suo memoriale parla di "indulgenze e connivenze" anche -- l'anche è una mia aggiunta perché nel memoriale non c'è - "di settori della Democrazia cristiana, con la strategia della tensione", non dice qualcosa che la spinge, non personalmente ma come uomo di vertice di quel partito, almeno ad una marginale autocritica, a dire di sì, che c'erano stati momenti in almeno qualcuno di noi ha pensato che l'evoluzione italiana potesse essere altra, che forse le richieste che provenivano dall'elettorato moderato non dovessero essere contrastate fino in fondo e che quindi abbiamo lasciato spazio a redini non sufficientemente tirate agli apparati di sicurezza? Un personaggio come Umberto D'Amato non è stato tollerato con connivenza ed indulgenza? Maletti ci ha detto che nel 1974 gli spiegarono che c'era una Costituzione democratica ma che fino a quel momento non gli aveva neanche detto - i politici si intende - se dovevano battersi o meno per difendere la Costituzione. L'ammiraglio Martini ci ha detto: "Questo è un paese dove per cinquant'anni ai servizi segreti stranieri abbiamo fatto fare quello che volevamo". Maletti ci ha detto: "Sì, ma fino al 1974 linput che ci veniva era più di lotta politica interna, sorvegliamo Tizio e Caio o le abitudini sessuali di Sempronio. Capisco che i processi alla storia hanno un senso relativo, però noi abbiamo responsabilità verso un paese che ha pagato un prezzo di sangue a tutto questo.
FORLANI. Quando io parlo del rischio che nella ricostruzione di un periodo storico prevalgano oramai le tendenze alla delegittimazione del passato e all'accreditamento del presente, non mi riferisco alla sua ipotesi di relazione, mi riferisco ad un generale andamento positivo. Anche per le persone che vengono interrogate oggi dalla Commissione parlamentare, secondo me balza evidente questa tendenza a parlare e riferire in un certo modo.
PRESIDENTE. Andreotti ci ha parlato a questo proposito di "maddalenismo" come se oggi fossero tutte Maddalene pentite; sì, però Maddalena aveva peccato.
FORLANI. La tendenza a compiacere e ad assecondare quella che si suppone possa essere la convinzione e il convincimento di chi interroga. Quindi, anche da parte di Maletti od altri, come si fa ad affermare "non eravamo educati, istruiti, orientati all'osservanza dei valori posti a fondamento della Costituzione?".
PRESIDENTE. Però non penso che questo trovi conferma in quello che Andreotti ha detto non a noi, ma in una precedente Commissione, di se stesso: "mi fu spiegato che non mi dovevo occupare né di servizi segreti, né di forniture,". Io ho detto ieri al senatore Andreotti che mi sembravano due cose sbagliatissime: un Ministro della difesa si deve occupare (con l'ordinamento di allora, poi dopo è stato tutto attribuito alla responsabilità della Presidenza del Consiglio dei ministri) del servizio segreto militare ed anche delle forniture, perché le forniture militari, come il caso Lockheed oggi può essere letto, potevano essere anche grosse occasioni di finanziamento straniero a forze politiche interne.
FORLANI. Che ci sia un dato permanente e di caratterizzazione della particolare attività dei servizi segreti nella storia di ogni paese, credo lo si debba tener presente. Cioè, se noi siamo all'interno di un sistema di alleanze fondato anche su un patto di integrazione militare, i servizi segreti hanno un loro collegamento e uno spazio, diciamo, di autonomia per gli aspetti operativi, rispetto ai quali non sempre il potere politico può arrivare ad osservare e a controllare in modo puntuale. Questo sì, ma che ci sia stato un atteggiamento di disinvoltura da parte del potere politico, questo non me la sentirei di affermarlo. Come sempre nelle cose, ci sono dei periodi di maggiore efficienza, di maggiore attenzione e dei periodi se non di inerzia, magari di eccessiva fiducia rispetto a dei servizi che devono avere un certo loro margine di autonomia. Però, almeno per l'esperienza che ho fatto al Ministero della difesa, ricordo che c'era, da parte del responsabile del servizio, un riferimento abbastanza puntuale.
PRESIDENTE. Sì, però lei viene dopo la svolta di Andreotti; lei va al Ministero della difesa dopo che Andreotti aveva cambiato atteggiamento.
FORLANI. Dall'autunno del 1974 al 1976, un periodo che è stato segnato da avvenimenti così drammatici, che hanno messo a dura prova l'efficienza o meno dei servizi e dei dispositivi di sicurezza.
PRESIDENTE. Voglio però sottolineare questa differenza. Mentre lei parla di fatti drammatici, che sono piazza Fontana, Peteano, l'Italicus, Brescia, la spiegazione che ha dato il senatore Andreotti sii tutto il problema era la Commissione Alessi, che aveva detto quello che aveva, detto sul caso dei 1964. Trovo più realistica la sua spiegazione di quella di Andreotti.
FORLANI. Andreotti è stato sempre uomo di governo, quindi ha semmai una propensione maggiore alla concretezza, al dettaglio, ai fatti. Io sono stato prevalentemente uomo di partito, almeno come responsabilità di direzione, anche se ho avuto impegni di governo vari e rilevanti. Nel nostro impegno di partito dovevano avere una visione generale, la preoccupazione diretta a comprendere i problemi nella loro dimensione anche in un certo senso, planetaria. I nostri collegamenti ci portavano, ad esempio, a tener conto molto della vicenda cilena, di ciò che era avvenuto in Grecia, dei rapporti che i gruppi eversivi intrecciavano sul piano internazionale, e quindi i rischi di involuzione e di una fase regressiva nella vicenda del paese sono stati sempre un motivo conduttore, un riferimento di fondo del nostro impegno.
PRESIDENTE. Ho capito e la ringrazio. Perché tutta questa audizione non finisca per essere un dibattito culturale cosa che mi appassiona, però forse non è propria di una Commissione di inchiesta le vorrei fare solo qualche domanda. E noto che lei, nel novembre dei '72, in un pubblico comizio a La Spezia, pronunciò parole molto gravi. In particolare lei disse: "E stato operato il tentativo più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato avanti dalla liberazione ad oggi. Questo tentativo disgregante, che è stato portato avanti con una trama che aveva radici organizzative e finanziarie consistenti, che ha trovato delle solidarietà probabilmente non soltanto di ordine interno, ma anche di ordine internazionale, questo tentativo non è finito. Noi sappiamo in modo documentato che questo tentativo è ancora in corso". Ora su questa sua frase la pubblicistica di settore si è spesso sbizzarrita, diciamo che è un reperto bibliografico estremamente ricorrente; e normalmente viene accompagnato da un commento: che lei non abbia mai chiarito che cosa veramente volesse dire. Ora io voglio darle atto che questo non è vero, perché lei fu udito dalla Commissione sulla P2, che le fece questa specifica domanda ed è vero che lei inizialmente tenta di dare una spiegazione di tipo elettoralistico alla frase: "stavo facendo un comizio elettorale, era una fase in cui il Movimento sociale era in forte crescita di voti, e quindi io volevo lanciare questo segnale: state attenti, la risposta all'anticomunismo siamo noi nella democrazia, non può essere il Movimento sociale, anzi, se non ci consentite di governare il paese, in realtà aprite una via all'ingovernabilità e quindi a un successo del comunismo". Però poi nel corso di quella audizione lei dice una serie di cose, che somigliano molto a quello che ci ha detto oggi, però particolareggiate, per cui io, che in questi giorni ho voluto rileggere con attenzione quella sua audizione, mi sono fatto questa esemplificazione che se le parole fossero un disegno e quello che lei disse in quell'occasione potesse essere vergato su una carta trasparente, e quel disegno venisse poi sovrapposto al disegno che emerge dalla proposta di relazione, essi combaciano perfettamente. Nel senso che lei li delinea una serie di linee portanti che poi quello che c'è nella mia proposta di relazione arricchisce di particolari, pur lasciando ancora molti spazi vuoti. Quindi io le do atto di questo, che ormai sono passati degli anni e il quadro interno e internazionale è completamente cambiato; io mi voglio augurare che lei voglia oggi aiutarci a completare qualcuno dei vuoti che ci sono nel disegno. Quindi le faccio delle domande e vorrei delle risposte precise. Tenga presente che noi oggi sappiamo, ce lo ha confermato anche Andreotti, che il golpe Borghese fu una cosa seria. Giorni fa Sogno ha pubblicamente detto che nel 1974 c'era effettivamente un disegno di involuzione autoritaria di cui egli era partecipe. Pertanto i due fatti del 1970 e 1974 accavallano la data in cui lei parla. Infatti lei dice che è avvenuto ma non è ancora finito, golpe Borghese e golpe Bianco del 1974. Pertanto, oggi, anche alla stregua delle conoscenze ulteriori che abbiamo acquisito, le chiedo a chi si riferisse quando parlava di tentativo della destra reazionaria.
FORLANI. Il tentativo di golpe Borghese è del dicembre del 1970, la notte dell'Immacolata. Non c'è stato solo quel fatto. E un periodo che va dal "Boia chi molla" di Reggio Calabria ai disordini de L'Aquila, dagli attentati sui treni alla strage di piazza Fontana. Certo è difficile non vedere nel golpe Borghese aspetti velleitari, e anche ridicoli. Ma chi ha conoscenza degli avvenimenti che hanno segnato anche la storia e le vicende tragiche del secolo che ci apprestiamo a concludere sa che spesso fatti sconvolgenti avvengono con punti di partenza magari di scarso rilievo. L'assalto al Palazzo d'inverno, la presa della Bastiglia, la stessa marcia su Rorna, non erano di per sé fatti così sconvolgenti, di generale mobilitazione e inarrestabili.
PRESIDENTE. Però ci sono le condizioni storico-politiche per cui il fatto riesce; infatti la marcia su Roma non venne contrastata. Se avessero schierato l'esercito non avrebbe avuto successo.
FORLANI. Certo. Pertanto a mio avviso era giusto un atteggiamento di allarme e inquietudine anche rispetto a fatti che potevano apparire velleitari o cialtroneschi.
PRESIDENTE. Quando lei parla di radici organizzative e finanziarie consistenti a cosa si riferisce? Può chiarire meglio questo aspetto?
FORLANI. Riandando a quel mio intervento nella campagna elettorale per il rinnovo dei consigli comunali nel novembre 1972, ricordo che poco prima c'era stato un dibattito alla Camera nel corso del quale erano intervenuti i maggiori esponenti dei diversi partiti. La preoccupazione, che poi ho tradotto nell'intervento pubblico, aveva trovato un denominatore comune, un concorso di voci sul piano parlamentare. Avevo avuto colloqui con vari segretari di partito. Nel dibattito era intervenuto con toni molto preoccupati e severi l'onorevole Berlinguer, con il quale anche avevo parlato in quella occasione.
PRESIDENTE. E noto che il Pci aveva una sua rete informativa interna. Quindi le preoccupazioni di Berlinguer provenivano da fatti reali o, per lo meno, da informazioni che aveva ricevuto.
FORLANI. Voglio dire però che allora rimasi ancora più preoccupato da quanto mi fu detto dal segretario del Movimento sociale italiano, Almirante, che volle un incontro riservato con me. Mi impressionò molto quello che mi disse Almirante: era molto preoccupato e voleva avvertire che movimenti che si stavano verificando nel paese e tentativi vari di eversione ed antisistema non solo sfuggivano completamente alle sue possibilità di controllo; ma si ponevano del tutto in antitesi con la sua posizione e voleva rendere ben chiaro che avremmo commesso tutti un errore madornale nel ritenere che ci fosse un qualche collegamento tra questi fenomeni e la posizione complessiva, strategica e di linea politica del Movimento sociale italiano, che poi in quel periodo era diventato Destra Nazionale. Il mio intervento è dunque da interpretare come un allarme, come un monito, diretto a rendere avvertita l'opinione pubblica e segnare, nel contempo, in modo preciso anche all'interno e all'esterno per i nostri alleati che la posizione della Democrazia cristiana non poteva e non doveva prestarsi ad equivoci di sorta. In Italia, qualsiasi cosa fosse avvenuta, la linea della Democrazia cristiana avrebbe continuato a muoversi secondo questa direttrice di fondo: contrastare il comunismo ma senza venir meno agli impegni di tenuta e difesa del metodo e del sistema democratico. Vorrei anche aggiungere che la trascrizione del mio intervento così come fu riportata da "Paese Sera" non corrisponde esattamente alle cose da me dette in quel comizio. Ho fatto un raffronto fra ciò che riporta il "Paese Sera", poi ripreso da "LUnità" e da altri giornali,. con il resoconto più ampio da "Il Popolo". Non c'è una esatta corrispondenza letterale con le espressioni riportate da "Paese Sera", ma il senso comunque è quello.
PRESIDENTE. Quando parla di "radici finanziarie", c'era un riferimento a vicende che avevano interessato anche la storia dei Servizi? Penso al suicidio, che ha lasciato sempre tanti punti interrogativi, del colonnello Rocca all'ufficio RI.
FORLANI. Non pensavo a quello, ma a gruppi eversivi di destra che (ne avevo avuto la conferma da Almirante) si ponevano anche in netta contraddizione rispetto alla linea della destra nazionale.
PRESIDENTE. E da chi erano finanziati? Questo, Almirante glielo disse?
FORLANI. Si diceva che questi gruppi avevano uno stretto collegamento con i regimi totalitari dell'area mediterranea, quindi Grecia, Spagna e Portogallo.
PRESIDENTE. Questo combacia con alcune delle cose che ci ha detto Maletti. Quindi erano queste le solidarietà internazionali o lei pensava che ci potessero anche essere settori, anche minoritari, dell'amministrazione americana che non sarebbero stati sfavorevoli ad una evoluzione della situazione italiana sul modello greco o turco?
FORLANI. Certamente si tratta di fatti che potevano trovare qualche corrispondenza in preoccupazioni anche interne all'alleanza atlantica. E chiaro che le posizioni dell'Italia, della Spagna, della Grecia e della Turchia erano considerate nevralgiche, vulnerabili e particolarmente importanti. Era dunque possibile che questi fatti eversivi di destra potessero trovare una qualche corrispondenza all'interno di certi settori; di qui la nostra preoccupazione ed anche l'atteggiamento, di allarme, di avvertimento e in qualche modo di deterrenza rispetto a fatti stessi.
PRESIDENTE. Quanto alle solidarietà interne? Pongo questa domanda poiché il senatore Andreotti ci ha detto di essere sempre stato sicuro della sostanziale fedeltà democratica delle Forze armate. Questo giudizio ci è stato dato anche dal generale Maletti, che però ha detto che ciò era vero fino ad un certo punto e che lui aveva notizie che proprio in quegli anni un diplomatico americano "girava" per il Nord-Est d'Italia cercando di solleticare volontà revanchiste in quadri intermedi dellesercito. L'ulteriore domanda che le pongo e che mi pongo è questa: il principe Borghese non era una sprovveduto, ma che aveva un passato alle spalle...
FRAGALA. Aveva anche delle difficoltà finanziarie!
PRESIDENTE. Sì aveva anche difficoltà finanziarie, che sono note!
FORLANI. Aveva un passato.
FRAGALA. Tutti abbiamo un passato alle spalle!
PRESIDENTE. Però era un uomo che aveva partecipato con un ruolo tutto particolare alla guerra di Resistenza, che era stato salvato dai Servizi occidentali e quindi conosceva anche l'aspetto segreto del potere.
FORLANI. Era un uomo che aveva coraggio.
PRESIDENTE. Era un uomo coraggioso, ma non era uno sprovveduto. Lui parte e si ferma nel tentativo di golpe; su quali solidarietà politiche e militari contava, che vengono meno, o sulle quali aveva fatto forse imprudentemente affidamento? Un affidamento, però, ci doveva essere: non posso pensare che intendesse fare il colpo di Stato con le guardie forestali. A parte poi le complicità che ci sono potute essere per il fatto del trafugamento delle armi dal Ministero dell'interno, dal Viminale.
FORLANI. Sono d'accordo con quanto ha detto Andreotti. Credo che sostanzialmente nei quadri centrali, di responsabilità, ma anche nei quadri intermedi, nella generalità delle Forze armate, sul sistema complessivo di sicurezza del Paese non ci siano stati cedimenti: credo che la tenuta e la lealtà delle Forze armate rispetto al sistema democratico sia un fatto sicuro, direi costitutivo, radicato ormai nel costume. Quindi, Borghese avrà interpretato con una certa faciloneria qualche atteggiamento di amicizia, di simpatia personale o magari qualche frase di taluno ed abbia immaginato trovare una corrispondenza che in realtà non aveva basi reali.
PRESIDENTE. Ma secondo lei, perché avviene l'arresto del movimento? Andreotti ci ha detto che probabilmente ciò è avvenuto perché Almirante gli dice: "Noi non ti seguiamo"; ma mi sembra difficile che potessero fidare sul Movimento sociale. Certo, se non lo seguiva nemmeno il Movimento sociale, si sarebbe trattato di un'impresa disperata.
FORLANI. E sicuro che non l'avrebbe seguito! Almirante certamente non lo avrebbe seguito.
PRESIDENTE. E quindi su quali affidamenti politici o militari poteva contare? Per esempio, l'ammiraglio Torrisi, secondo lei, era coinvolto in tutta la vicenda? Miceli aveva un ruolo indubbiamente ambiguo, tanto è vero che fu anche processato per questo: poi lo ritroviamo in Parlamento.
FORLANI. Non credo che sia venuta meno la loro lealtà. Penso che nei servizi segreti ci siano atteggiamenti individuali che possono apparire ambigui, a volte, per necessità di ufficio, in un certo senso. Ma non credo che sia mancata, la lealtà né da parte di questi responsabili dei servizi, né tanto meno negli organi direttivi e responsabili delle Forze armate: Esercito, Aviazione e Marina. Nessuno ha potuto dare una spiegazione sicura di questo atteggiamento di Borghese improvvisamente rinunciatario. Probabilmente la sola spiegazione logica è che è partito per un'impresa che non aveva una base realistica, e alla prova dei fatti ha constatato questo dato di fatto e si è ritirato.
PRESIDENTE. Beh, ci fa la figura dello sprovveduto: questo dobbiamo ammetterlo!
FORLANI. Anche dello sprovveduto. Credo sia un'osservazione che deriva dal senso comune anche se, come gli inglesi, sono convinto che il senso comune sia una cosa piuttosto rara.
PRESIDENTE. Sarà che non ne sono dotato ma non è una spiegazione che mi convince pienamente. Penso anche io che nell'insieme la fedeltà democratica delle Forze armate fosse sicura; che in qualche elemento delle Forze armate non ci fosse mi sembra altrettanto certo. Risulta addirittura che il colonnello Spiazzi spostò truppe in quello stesso giorno.
FORLANI. Fu il solo caso. Si trattò di un movimento poco definibile, Spiazzi ha incolonnato dei militari verso Sesto San Giovanni.
PRESIDENTE. La Forestale invece si mosse, entrò a Roma armata. L'altro fece un movimento non perfettamente percepibile, però c'è stato.
FORLANI. E ci fu allarme e preoccupazione...
PRESIDENTE. Volevo aggiungere che nei fatti c'era questa fedeltà democratica, questa volontà di non passare all'azione e di non assumere rischi. Tuttavia dobbiamo dire anche che nelle parole non era così: chiunque abbia conosciuto quegli ambienti in quegli anni sa che spesso i discorsi che si facevano erano di segno diverso, che la tentazione del pronunciamento a livello verbale era piuttosto frequente. Questo può aver fatto nascere affidamenti.
FORLANI. In parte certamente queste cose possono avere concorso. Non è escluso nemmeno che nei suoi collegamenti internazionali qualcuno all'esterno che abbia detto che era opportuno muoversi, prendere qualche iniziativa, perché poi le solidarietà sarebbero intervenute. Questo è molto probabile, è un'ipotesi che si può fare. Ma che nel complesso l'impresa sia stata improvvisata, condotta (e sconfessata) in modo sconsiderato, cervellotico, questo mi sembra evidente.
PRESIDENTE. Passiamo ad un altro aspetto. A quanto ho capito, lei, diventato Ministro della difesa continua nella linea che era stata segnata dal suo immediato predecessore, il senatore, Andreotti. Quali direttive diede per colpire i nuclei eversivi di destra e i loro eventuali protettori istituzionali da Ministro della difesa?
FORLANI. Le direttive più che del Ministro della difesa erano del Governo nella sua collegialità, le direttive sono state sempre risolute e severe. Immaginare che possa esserci stata una qualche arrendevolezza o compiacenza da parte nostra, da parte dei politici investiti di responsabilità direttive e di governo nei confronti dei fatti eversivi di segno nero o di segno rosso, sarebbe veramente un divagare, un andare fuor d'opera.Ci possono essere stati dei periodi in cui queste direttive sono state tradotte nei fatti con maggiore efficienza e risolutezza e altri periodi nei quali, almeno alla luce dei risultati mancati, può essere apparsa una certa inefficienza. Questo è possibile ma non nelle direttive che sono state sempre di assoluta risolutezza e di grande coerenza.
PRESIDENTE. Sul "sempre" ho qualche perplessità perché mi sembra che gli atti che abbiamo lo smentiscano. Dal 1974 in poi mi sembra invece che possiamo dire che questo è avvenuto per quanto riguarda la destra. Veniamo ora ad un altro profilo, a quello del contrasto con l'eversione di sinistra. Nell'ottobre del 1975 viene a cessare (diciamo così per adesso) l'incarico di Capo del reparto D del Sid del generale Gian Adelio Maletti. II senatore Andreotti qui ha confermato quello che lei dice nell'audizione a cui facevo riferimento prima alla Commissione P2, cioè che in realtà si trattò di una sostanziale promozione. Il dubbio è che promoveatur ut amoveatur, che fosse in realtà più che promosso, rimosso sostanzialmente. Risulta che il generale Maletti in quel periodo era allarmato per una possibile recrudescenza del terrorismo di sinistra. Lui ce lo ha confermato, disse che ne informò il Ministro dell'interno, il ministro Gui, addirittura con un documento scritto di due pagine in cui si diceva che le Brigate rosse in quel momento avevano ricevuto gravi colpi ma che si stessero riorganizzando e che potessero addirittura perdere il connotato di gruppi ideologici di sinistra, che avrebbero alzato il tiro, cominciando a sparare alle gambe e poi non soltanto alle gambe. Fino a quel momento le Brigate rosse non avevano mai ucciso: cominciano a farlo con l'omicidio Coco. Il generale Maletti ci ha detto che in quel periodo la sua impressione era che il mondo politico italiano non fosse attento al pericolo che veniva dal terrorismo di sinistra, così come nel periodo anteriore non era stato attento al pericolo che poteva venire dal terrorismo di destra. Lui ci ha detto che non crede che lo si sia voluto promuovere ma piuttosto che lo si sia voluto rimuovere. Ci ha detto anche di aver ritenuto che lei abbia preso questa decisione sull'input che le veniva da altro grosso dirigente della Democrazia cristiana, uomo di grande potere in quel momento. Il riferimento al senatore Andreotti ci è sembrato abbastanza trasparente. Ci ha detto anche di aver vivacemente protestato con lei per quella decisione e di ritenere estremamente probabile che ci fosse stata una influenza americana. A chi gli ha fatto vedere una certa contraddizione in quest'ultima osservazione - perché se lui rappresentava all'interno dei Servizi la linea israeliana e contrastava Miceli che invece interpretava la linea filo-libica, filo-araba, ciò sembrerebbe non verosimile lui ha risposto che non contava niente, ha fatto capire che ciò che in quel momento non era gradito era la sua linea di allarme nei confronti del terrorismo di sinistra. Devo dire che in quegli anni si percepisce chiaramente un abbassamento della guardia nei confronti del terrorismo di sinistra. Ne hanno parlato magistrati come Caselli che indagavano: viene sciolto il nucleo antiterrorismo di Dalla Chiesa e non si è mai capito perché; viene successivamente sciolto anche l'Ispettorato antiterrorismo di Santillo e anche questo non ha spiegazione; sta nei fatti che nel momento in cui le Brigate rosse raggiungono il maggior momento offensivo con il sequestro di Moro, l'uccisione della sua scorta e la successiva uccisione di Moro stesso, lo Stato sembra abbastanza disarmato. Cosa ci può dire su questo episodio particolare della protesta di Maletti? Egli ci dice: "Mentre ero in missione all'estero il ministro Forlani mi fece comunicare che dovevo rientrare d'urgenza per prendere il comando di divisione. Il ministro Forlani stesso poco prima della mia partenza per questa missione mi aveva detto, quando mi ero presentato a lui per chiedergli se ci fossero trasferimenti in vista, di non preoccuparmi perché sarei rimasto ancora per qualche tempo. Come mai questa improvvisa decisione? Non certo su richiesta del Capo di Stato Maggiore dell'esercito, non certo per sua decisione e non certo per decisione o richiesta dell'ammiraglio Casardi. Penso che la decisione sia stata presa da Forlani per incarico di un altro grosso dirigente della Democrazia cristiana, uomo di grande potere in quel momento".
FORLANI. Non riesco a dare una spiegazione di queste cose dette dal generale Maletti perché se avessero un senso logico bisognerebbe concludere che c'era da parte nostra un atteggiamento di remissione o di arrendevolezza o di compiacenza nei confronti del terrorismo rosso.
PRESIDENTE. Mi scuso della brutalità della dichiarazione, ma parlerei di sfruttamento militaristico. Se si ammazzava un magistrato, si spostavano dei voti in senso moderato.
FORLANI. Beh ...Ricordo la vicenda del generale Maletti in termini molto semplici. Lui era da molto tempo al reparto D, tanto è vero che aveva la consapevolezza di dover assumere il comando di una divisione. Venne appunto a trovarmi per sentire, sapendo che il suo periodo di permanenza all'ufficio D era terminato, se aveva ancora a disposizione del tempo, in quanto aveva in corso degli impegni e delle missioni da compiere. In quella circostanza gli dissi che avrebbe potuto disporre ancora di un breve periodo. Da parte mia c'era un atteggiamento nei confronti del generale Maletti di considerazione e stima. Quindi non vi è stato niente di drammatico, ma l'assegnazione di un comando che era dettata dalle esigenze proprie dello Stato Maggiore. Quando non si va al comando dopo un certo periodo, una serie di altre nomine rimane bloccata e questo crea malumori e proteste. Tutto qui.
PRESIDENTE. Ma è vero che in un successivo colloquio lui protestò?
FORLANI. No. Quando gli comunicai che doveva assumere il comando della divisione - mi sembra - dei granatieri di Sardegna manifestò, ma con grande correttezza ed in modo assai contenuto, il suo disappunto, perché aveva una serie di attività in corso. Gli dissi che le avrebbe trasmesse al suo successore e che sarebbe continuato il suo impegno di collaborazione, nel senso che anche trasferendosi al comando dei granatieri di Sardegna, con sede a Roma, avrebbe potuto benissimo comunicare al suo successore notizie utili e quanto necessario perché poi l'attività continuasse a svolgersi nel modo più efficace. Comunque non vi fu niente di drammatico e escludo di aver adottato questo provvedimento, ripeto di normalità, per input o per intervento di persone esterne al mondo militare e tanto meno di Andreotti. Poi Andreotti perché avrebbe dovuto intervenire? Caso mai la voce corrente, era che il rapporto di Maletti con Andreotti fosse di grande
PRESIDENTE. Fosse stretto.
FORLANI. ...reciproca fiducia, di grande rispetto reciproco. Anzi si diceva che Miceli fosse l'uomo di Moro e invece Maletti...
PRESIDENTE. Sì, lo sappiamo. Le volevo chiedere un'altra cosa. Di quei due episodi a cui ho fatto riferimento, cioè lo scioglimento del nucleo antiterrorismo di Dalla Chiesa e dell'Ispettorato di Santillo, lei sa dare una spiegazione? La Commissione di inchiesta sulla strage di via Fani e sull'omicidio di Moro ha detto che sembravano due fatti inspiegabili, visto che le Brigate rosse erano in una fase di riorganizzazione.
FORLANI. No. Sarà stata dovuta a valutazioni e alla ricerca di soluzioni di maggior efficienza e di maggior corrispondenza alle direttive. Però su questo non saprei dare una spiegazione. Ciò che mi sento di poter dire con sicurezza e serenità, è che non è immaginabile che possa essere venuto meno da parte nostra, o abbia avuto un qualche cedimento, la direttiva generale di lotta e di contrasto al terrorismo.
PRESIDENTE. Però il terrorismo della sinistra indubbiamente giovava ad esiti elettorali moderati, tanto è vero che la sinistra commetteva l'errore storico - che ho più volte sottolineato nella proposta di relazione - di negare che le Brigate rosse fossero di sinistra. A mio avviso aver detto a lungo "le sedicenti Brigate rosse" e "i farneticanti proclami delle sedicenti Brigate rosse" era un errore culturale e politico, perché in realtà erano forze di sinistra che in quei farneticanti proclami spiegavano benissimo chi erano, che cosa avevano fatto e preannunciavano quello che avrebbero fatto successivamente. Sembrava quasi che nessuno leggesse con attenzione quei comunicati, anche per approntare un'azione di contrasto intelligente ed efficace.
FORLANI. Che questa sottovalutazione sia intervenuta in una fase iniziale nel Partito comunista, è anche comprensibile.
PRESIDENTE. Non era una sottovalutazione; quasi quasi si voleva dire che erano fascisti mascherati, il che era un falso storico perché non lo erano.
FORLANI. Si parlava anche di insorgenze giovanili. Ricordo di aver partecipato ad una serie di manifestazioni militari in cui erano state messe insieme le Forze armate e gli ex partigiani. Tenemmo dei discorsi, insieme a Boldrini, che era il capo dei partigiani, mentre io ero Ministro della difesa. In quelle occasioni abbiamo avuto contestazioni nei cortei si introducevano gruppi facinorosi di extraparlamentari. La contestazione proveniva chiaramente da sinistra. Ricordo la spiegazione in assoluta buona fede di Boldrini. Io ero allarmato da questi fatti e sostenevo che si preparava il terreno di coltura di fenomeni che sarebbero diventati via via più gravi e pericolosi. Ricordo la sua spiegazione: non bisognava esagerare perché si trattava di giovani che avevano questo atteggiamento di generale contestazione, anche nei loro confronti, anche nei confronti del Partito comunista, si trattava di un fenomeno che sarebbe stato riassorbito. C'era indubbiamente in giro questo atteggiamento, ma che abbia trovato una qualche rispondenza nei punti di responsabilità e di direzione, non me la sentirei proprio di affermarlo. Ci possono essere stati - è sicuro che vi siano stati - momenti di maggiore efficienza ed altri meno questo capita dappertutto. Ma se si dà un giudizio complessivo, sta di fatto che in Italia il sistema dell'eversione sia che derivasse da destra sia che provenisse da sinistra è stato comunque stroncato certamente con dei costi.
PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Forlani se la interrompo, ma desidero dire ai colleghi che io non mi diverto a rivolgere queste domande. Anzi, per il mio carattere, il ruolo che meno mi si addice è quello di inquisitore. Però ho il dovere istituzionale di rivolgere queste domande. C'è un fatto che mi colpisce. Il generale Romeo ha detto alla nostra Commissione che in realtà le Brigate rosse durante tutto il loro corso sono state seguite attentamente mediante infiltrati di cui non ci poteva fare il nome perché avrebbero potuto ancora correre dei pericoli. Quindi non si riferiva chiaramente agli infiltrati noti, quali Girotto e Pisetta; ce ne devono essere stati degli altri. Smantellato il nucleo di Dalla Chiesa e quello di Santillo, durante il sequestro Moro - possiamo almeno dire questo - la sensazione di impotenza dello Stato è clamorosa. Per 55 giorni Moro è a Roma, prigioniero, e non si riesce ad individuare il luogo della prigione; si sapeva che Moro era stato sottoposto ad un processo; le Brigate rosse avevano inizialmente affermato che le carte del processo sarebbero state pubblicate, ma poi - ed è uno dei misteri mai chiariti - decidono invece di non pubblicarle. Oggi che abbiamo a disposizione la versione integrale, o quasi, del memoriale di via Monte Nevoso, sappiamo che la sua pubblicazione avrebbe comportato forti effetti politici. Sono inoltre concessi nuovamente i pieni poteri al generale Dalla Chiesa. Io ho fatto il conto che in tre settimane Dalla Chiesa ha individuato il covo di via Monte Nevoso, rientra, arresta due su cinque personaggi della direzione strategica delle Brigate rosse e rintraccia le carte di Moro.
FRAGALA. Parte delle carte di Moro.
PRESIDENTE. Rintraccia le carte di Moro, alcune delle quali sono state rese note subito e altre successivamente. Secondo me, rintraccia tutte le carte di Moro. L'interrogativo che mi pongo è il seguente: non è singolare che per rintracciare Moro dentro Roma, non sono sufficienti cinquantacinque giorni mentre per rintracciare in tutta Italia le carte del processo Moro sono sufficienti tre settimane? Oggi, onorevole Forlani, qual è la sua valutazione?
FORLANI. Non ho gli elementi che mi possano consentire di offrire una spiegazione di tutto questo aggiuntiva e più sicura rispetto a quelle che sono state date. Questa è stata la pagina più tragica e angosciante fra quelle che abbiamo vissuto negli anni torbidi del terrorismo. Per un verso l'attentato è stato da tutti visto e interpretato come una manifestazione di straordinaria efficienza; si è parlato della geometrica potenza, della rapidità, nella distruzione della scorta, nel rapimento. In questo senso c'è stata una dimostrazione di grande efficienza. C'è stata poi, invece, la grande meraviglia perché non si è riusciti a trovare la prigione. Ma se c'è questa grande efficienza nellazione e improvvisamente il crimine è stato a lungo preparato, viene da pensare logicamente che altrettanta efficienza ci sia stata nella fase successiva, quella appunto della prigione. Un'operazione preparata in tutti i suoi aspetti, non soltanto nella fase esecutiva della strage e della cattura ma anche in quella successiva. Poi da certi fatti intervenuti e particolari vari (Gradoli, il fatto che non si sia entrati nell'appartamento), si è portati a pensare che ci sia stata molta sprovvedutezza, una imperizia che non ha permesso di raggiungere il risultato. Esiste però una certa contraddizione di fondo in tutto questo.
PRESIDENTE. Che si accentua perché, immediatamente dopo, questa impermeabilità delle Brigate rosse, cioè questa forza organizzativa, si rivela assai fragile se in tre settimane - ripeto - Dalla Chiesa riesce a capire dove stavano le carte; penso inoltre che se ci si ragiona sopra, il periodo è ancora minore perché, fra il momento in cui è stato individuato il covo di via Monte Nevoso e il momento in cui la polizia vi è entrata, è passato un po di tempo; infatti si sarà aspettato che ci fosse quanta più gente possibile, secondo le normali logiche di un'operazione di polizia. Il senatore Andreotti ha sostenuto che, evidentemente, Dalla Chiesa aveva le sue fonti informative, dal periodo precedente; ma allora perché durante il sequestro Moro non è stato chiamato il generale Dalla Chiesa per sapere se disponesse di queste fonti informative, se qualcuno potesse parlare e se potesse essere d'aiuto? Come ho già detto ieri al senatore Andreotti, è come se in fondo il contrasto politico che si accese sulla vicenda rese poi, forse, in qualche modo ineludibile l'epilogo tragico: perché il partito della trattativa avrebbe sentito come una sconfitta politica la liberazione di Moro attraverso un'operazione di polizia, per cui i vertici del Partito socialista lanciarono una trattativa personale con i vertici di Autonomia; sapevano infatti che questo era un tramite per arrivare alle Brigate rosse, ma non ne informarono gli apparati di sicurezza; perché la famiglia inizia una sua linea di trattativa ma non ne informa gli apparati di sicurezza. Nello stesso tempo, è come se il partito della fermezza non volesse compiere l'operazione militare per il timore che, se durante tale operazione, Moro fosse stato ucciso, la sconfitta politica sarebbe stata enorme e l'altra parte politica avrebbe avuto motivo di prendersi una grossa rivincita. Sono giunto a questa valutazione in base a tutto il contrasto politico attuale che si è acceso su una battuta del senatore Andreotti relativa alla vicenda di via Gradoli e ho riflettuto sul fatto che se, in certi momenti drammatici, tutto si spiega sul gioco politico riservato, sull'attualità e sull'interesse immediato, alla fine poi le risposte istituzionali sono frenate e diventano deboli.
FORLANI. Non so dare una spiegazione di tutto questo. Torno a sottolineare che l'operazione è stata condotta dai terroristi in modo molto efficiente e quindi lungamente preparata. Se così è stato, questo vale, almeno secondo il buon senso, sia per la fase iniziale di esecuzione che per la fase successiva. L'eccidio della scorta, sin dal primo momento ha portato molti a pensare che l'esito della vicenda sarebbe stato comunque l'assassinio di Moro. Onestamente non mi sento però di condividere l'opinione che ci sia stato un venir meno, una ambiguità nei punti di direzione dei dispositivi di sicurezza e di investigazione. Sino a prova contraria, la mia convinzione si muove in un'altra direzione. Penso che sia stato fatto quel che era possibile ed immaginabile, solo che oggi si ragiona alla luce di altri elementi, si ragiona a distanza di tempo: quelle giornate sono state convulse, c'è stata una grande confusione, il disorientamento era enorme, intervenivano le segnalazioni più diverse e più contraddittorie. Anche la storia di Gradoli, è comprensibile solo nel clima di quelle giornate. Penso che da parte del partito di Moro, degli altri partiti, e del governo, si è ricorso e si è tentato di ricorrere a tutto pur di ottenere la liberazione.
PRESIDENTE. Onorevole Forlani, lei ha risposto fino ad adesso è una mia valutazione personale - con una chiarezza che da altri non abbiamo avuto. Lei ci sta dicendo che probabilmente, nella fase del sequestro e nella fase della gestione dell'ostaggio, le Brigate rosse non erano solo come poi ritornarono ad essere immediatamente dopo: la forza della prima fase e la debolezza della fase successiva dipendevano proprio da questa differenza?
FORLANI. Non sto dicendo questo. Ho detto che l'operazione è stata preparata e realizzata in modo tale da far ritenere che anche la fase della prigionia, dei processi e dell'occultamento di Moro abbia avuto gli stessi caratteri di efficienza non possa essere posta in contraddizione con l'esecuzione iniziale. Credo che le cose siano state condotte da parte delle Brigate rosse con una efficienza che dalla fase iniziale alla fase conclusiva, sino a quando hanno portato il cadavere di Moro tra via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù.
PRESIDENTE. Però prima e dopo non si riscontra questa efficienza. Da quel che noi oggi sappiamo delle Brigate rosse, è difficile attribuire questa grande efficienza a Moretti o Gallinari. Questa è la tesi di Piperno che ancora adesso...
FORLANI. Per quel che ne so il generale Dalla Chiesa era convinto che il giorno in cui Moretti fosse stato catturato, il fenomeno sarebbe stato debellato. Era una convinzione molto forte.
PRESIDENTE. Perché Morettí da solo dava la forza o perché rappresentava qualcosa d'altro?
FORLANI. Dal generale Dalla Chiesa ho sentito proprio questa affermazione che la cattura di Moretti avrebbe segnato la fine delle Brigate rosse.
PRESIDENTE. Se me lo consente, Moretti viene catturato come un uomo che forse è stato abbandonato da qualcuno o da qualcosa. Conosco personalmente l'ufficiale di pubblica sicurezza che l'ha catturato; devo dire che, da come me l'ha raccontata, la primula rossa del terrorismo non doveva essere catturata in quel modo. Aggiungo che Moretti in precedenza sfuggì ad una cattura in un modo che non è stato mai chiarito per intero. Aggiungo ancora che Fransceschini in questi giorni ha pubblicato un romanzo nel quale la versione che lui dà è questa, che le Brigate rosse fossero una cosa e che Moretti fosse un'altra cosa.
FORLANI. Non so.
PRESIDENTE. Tanto è vero che Franceschini ipotizza che in realtà una trattativa era andata a buon fine, che l'ostaggio doveva essere riconsegnato e Moretti lo uccide nella stessa Renault 4 mentre lo stavano trasportando sul luogo della consegna, il che mi sembra un po' fantasioso.
FRAGALA. E il romanzo di Franceschini.
PRESIDENTE. Sì, ma il messaggio che lancia quel romanzo coincide in parte con quello che l'onorevole Forlani ci sta facendo capire, che Moretti era qualcosa che si aggiungeva alle Brigate rosse, che gli dava una forza che senza Moretti non avrebbero avuto.
FRAGALA. L'onorevole Andreotti ci ha suggerito di sentire Moretti.
FORLANI. E stato sentito tante volte.
PRESIDENTE. Lui invece difende il fatto che le Brigate rosse non erano cosa diversa.
FORLANI. L'affermazione del generale Dalla Chiesa la ricordo perfettamente. Mi venne a trovare privatamente a casa, in borghese, sottolineando che si muoveva in quel modo perché così non era riconosciuto. Sul punto delle Brigate rosse aveva questa convinzione, che la cattura di Moretti avrebbe segnato la loro fine. Certo un'affermazione del genere può essere anche un po' enfatizzata in un colloquio ma mi sembrava corrispondere ad una precisa convinzione.
PRESIDENTE. Nella mia proposta di relazione ho sottolineato, ad esempio, l'interrogatorio di Savasta. Vengono fuori personaggi di uno spessore... Quando Savasta, da un interrogatorio nel processo, spiega perché hanno rapito Dozier, fa un discorso da folle, da fantascienza, senza senso comune. Per questo ci domandiamo se potevano essere questi gli uomini che tenevano in scacco uno Stato, anche se un po' disastrato, ma che pur sempre era una grande potenza industriale e militare, uno dei paesi più forti del mondo. L'Italia non era uno Stato sud americano, pur con tutti i suoi limiti e con i sostituti procuratori che andavano in vacanza mentre gestivano il sequestro Moro. Avevamo queste cadute ma nel complesso...
FORLANI. Con ogni probabilità, non è vero che ci siano state tutte queste incertezze all'interno delle Brigate rosse circa la conclusione della vicenda.
PRESIDENTE. Questo infatti lo escludo. Nella mia proposta di relazione sottolineo come sia chiaro che c'è uno scontro politico interno alle Brigate rosse ma che la logica del processo e - vorrei dire - le confessioni di Moro... perché nella logica del processo il memoriale e la confessione non potevano portare se non a quella condanna. Nel momento in cui Autonomia, attraverso Morucci e Faranda, si inserisce nel processo, cercando di piegarlo ad un esito diverso, Moretti accelera l'epilogo tragico della vicenda perché riconquista nelle Brigate rosse la leadership. Infatti in seguito l'ala di Morucci e Faranda viene sconfitta, entrambi vengono o si fanno catturare.
FORLANI. Se fosse stato o se fosse vero che un qualche riconoscimento in sede istituzionale di un ruolo politico delle Brigate rosse avrebbe consentito la liberazione di Moro, io non lo so e ci credo poco. Un riconoscimento in via ufficiale, fu sempre contrastato e contestato come possibile sia dalla Democrazia cristiana che dal Partito comunista, tuttavia non sono mancati atteggiamenti che potevano essere interpretati come un qualche riconoscimento, sia pure in termini di lotta e di duro antagonismo.
PRESIDENTE. Non so se lei ha letto il romanzo di Franceschini.
FORLANI. No.
PRESIDENTE. Nel romanzo egli dice che i brigatisti della prima generazione non capivano il fatto del riconoscimento politico, in quanto ritenevano che in qualche modo il riconoscimento politico c'era stato.
FORLANI. Tra l'altro, anche con una proiezione di valore internazionale. Ricordo l'intervento del segretario delle Nazioni Unite, il suo appello rivolto direttamente alle Brigate rosse, l'intervento del Papa. Secondo me, non c'era la volontà. Che poi ci siano state inefficienze operative, probabilmente una nostra incapacità complessiva e una difficoltà a capire anche qualche indicazione che poteva trasparire dai messaggi di Moro... Moro era una persona troppo intelligente per non aver tentato, attraverso le sue lettere e i suoi messaggi, di mandare qualche segnale. Però non abbiamo saputo decifrarlo, sono convinto di questo. Vedo in Commissione qualche parlamentare di derivazione democratico-cristiana. Certamente taluni passaggi delle lettere di Moro vogliono indicare qualcosa che non siamo riusciti a capire. Per fare un esempio, l'invito rivolto a Misasi a convocare il Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, cosa che per chi conosce le nostre vicende interne, non può non apparire singolare.
PRESIDENTE. Questa era una cosa che colpiva anche noi, il cittadino comune che, come me allora, era fuori dalle vicende politiche.
FORLANI. Come se avesse voluto dare qualche indicazione sulla regione, la Calabria, qualche altra cosa. Però, se non riusciamo nem0meno oggi a capirlo, è difficile immaginare come si potesse comprendere in quelle giornate, quando per ragioni comprensibili, non si voleva che si facesse troppa confusione: la famiglia per un verso, perché riteneva di poter arrivare per proprio conto al risultato della liberazione; la polizia, perché interpretava ogni interferenza dei politici come contributi aggiuntivi alla confusione.
PRESIDENTE. Vorrei farle due ultime domande, prima di lasciare la parola ai colleghi. Nel 1975, rispondendo ad una interrogazione di un deputato del Movimento sociale italiano, Niccolai, lei, a proposito di possibili operazioni del Governo a favore di terroristi arabi, affermò: "L'Aeronautica militare ha categoricamente smentito di aver programmato o effettuato le operazioni di trasporto con aereo militare di terroristi arabi cui fa riferimento linterrogante". Poi invece si è scoperto che i terroristi arabi erano stati rispediti in Libia; il generale Maletti ancora protesta (perché ha continuato a protestare per questa operazione nella audizione che noi abbiamo avuto a Johannesburg) per l'Argo 16, e c'è l'ipotesi molto probabile che l'Argo 16 sia stato addirittura abbattuto dal Mossad per ritorsione rispetto a questa sua utilizzazione. Aggiungo: l'Argo 16 era un aereo di cui si serviva la Gladio. Lei non disse la verità a Niccolai per un superiore interesse dello Stato, o l'Aeronautica l'aveva male informata?
FORLANI. Ho comunicato in sede parlamentare quello che mi era stato comunicato dall'Aeronautica militare. Rispondendo non potevo in quel momento che stare a ciò che mi veniva comunicato.
PRESIDENTE. Oggi, confrontando gli esiti solo apparentemente contrastanti della Commissione Anselmi (dico solo apparentemente perché forse è possibile una chiave di lettura diversa, che poi le proporrò sulla P2) la sua valutazione del fenomeno della P2 qual è? Che cosa è stata? Un luogo di ogni nequizia, come è descritto nella relazione della Commissione Anselmi? Un circolo di affaristi e di carrieristi, qual è l'esito giudiziario? O, secondo un'ipotesi della mia proposta di relazione, che Maletti ci ha confermato, un forte centro di irradiazione atlantica, americana in particolare?
FORLANI. Un po' di tutto, a mezza strada. Un centro un po' velleitario o un po' mitomane, che cercava di accreditarsi presso gli organi di direzione dello Stato e anche in sede internazionale. Un'associazione che nelle intenzioni di chi la guidava doveva servire come strumento di pressione nei confronti delle istituzioni in sede nazionale, di affidamento sul piano internazionale, nei confronti degli Stati Uniti e degli altri paesi dell'Occidente, e poi come ombrello anche di interessi. Direi un fenomeno che non doveva essere né sottovalutato, né sopravvalutato, anche perché mi è sembrato, per le osservazioni che ho potuto fare, per le informazioni che ho avuto in quel periodo, che l'appartenenza di molti a quest'associazione era il risultato di vere e proprie leggerezze e non certo di consegne e di convinzione, finalizzate al sovvertimento delle istituzioni.
PRESIDENTE. Però io faccio questa osservazione: per chi conosce la massoneria è difficile dire se ci sono categorie nel vasto mondo delle cooperazioni che siano più massoniche di altre, che so, i dottori commercialisti più degli avvocati, o gli avvocati più dei dottori commercialisti, eccetera. Io non penso che faccia parte della tradizione militare d'Italia una grossa quantità di affiliazioni massoniche, può darsi che mi sbagli. Quello che mi colpisce è che lì c'erano politici, c'erano medici in forte numero, c'erano giornalisti, c'era uno spaccato della società italiana, però tutti i vertici militari erano della P2. Quindi gli apparati di forze dello Stato stavano tutti lì con i loro vertici. Quando io dico un centro di irradiazione atlantica penso a questo, come se iscriversi alla P2 fosse una specie di nulla osta dì sicurezza; si attestava la fedeltà ad un sistema da parte degli uomini che, proprio per essere ai vertici degli apparati di forza, in quel sistema avevano un ruolo essenziale. Questa è una ricostruzione che non mi sembra forzata.
FORLANI. Date le caratteristiche e l'identikit di questa associazione - io non conosco bene il mondo della massoneria perché non me ne sono mai occupato - per quello che se ne sa, secondo la valutazione corrente, questa si differenziava dalle altre associazioni massoniche. Ad esempio, uno dei caratteri era l'oltranzismo atlantico, che comunque chiaramente veniva ostentato. Questo come fatto di accreditamento, perché chi li guidava poi voleva avere entrature soprattutto in queste direzioni.
PRESIDENTE. Questa mi sembra una spiegazione intelligente. Io sono entrato nel mondo della politica dopo il crollo dei muri. La cosa che mi sorprende, leggendo gli atti della P2, è che non vi è mai il riferimento alla situazione internazionale; sembra che l'Italia fosse un nomade che viveva staccata dal resto del mondo. Quasi come se ci fosse una rimozione di qualcosa che non potesse essere nominato.
FORLANI. Che ci fosse la tendenza in molti gruppi, e in questo in modo particolare, ad apparire comunque, nella valutazione anche della leadership statunitense, più fidati, più realisti del re, quindi più atlantici rispetto all'atteggiamento del mondo politico italiano, questo è evidente.
PRESIDENTE. La spiegazione che lei fornisce è intelligente: Gelli si accreditava presso gli Usa perché aveva, tutti i vertici militari nella Loggia di cui era segretario amministrativo e, nello stesso tempo, egli si accreditava presso i vertici americani come fiduciario americano. E una spiegazione che salta agli occhi: solo chi non vuole non la vede.
FORLANI. Poi ci sono i fattori di trascinamento, cioè si iscrive uno e trascina anche l'altro.
PRESIDENTE. Mi rendo conto, infatti scatta anche la gelosia di carriera: poiché tizio si è iscritto lo faccio anche io, altrimenti gli americani pensano che di quello ci si può fidare e di me no e dunque io non faccio carriera. Mi sembrano fenomeni abbastanza comprensibili, non per banalizzare ma per capire cosa è la P2 e cercare di mettere insieme due esiti istituzionali, che altrimenti possono far sembrare il paese schizzofrenico. Volevo porle un'ultima domanda. Il 27 maggio 1981, nel corso di una riunione da lei presieduta, alla quale parteciparono i Ministri della difesa, dell'interno e delle finanze, i capi dei servizi segreti e altri alti ufficiali, i dirigenti militari il cui nome compariva nelle liste furono provvisoriamente collocati in ferie. La decisione mi sembra saggia, a vederla oggi, ma per quale motivo fu consentito al generale Santovito di tornare nel Servizio per riordinare le carte? Ciò non ha forse potuto permettergli di far sparire con tranquillità documenti importanti che potrebbero riallacciarsi a quello che dicevamo prima relativamente alla P2 come luogo di oltranzismo atlantico?
FORLANI. Non ricordo questo particolare, ma con ogni probabilità si tratta di esigenze funzionali di servizio, di trasmissione di notizie e carte a chi avrebbe dovuto continuare l'attività.
PRESIDENTE. Per quanto mi riguarda ho terminato. Se mi consente una valutazione personale, sono soddisfatto della sua audizione in quanto anche nei punti di dissenso tra le sue valutazioni e le mie, è un dissenso con il quale riesco a confrontarmi. Chi invece continua a dirci che non si capisce niente, che non sì è capito niente, che bisogna continuare ad indagare per un'altra decina di anni, si colloca su una posizione con la quale non riesco a dialettizzare. Infatti mi sembra che altrimenti la permanenza di questa Commissione sia una specie di lavacro verso il Paese: non possiamo dire perché sono avvenute le stragi e perché i colpevoli non sono stati individuati perché non lo sappiamo, tanto è vero che c'è una Commissione di inchiesta che continua ad indagare su ciò.
Presidenza del Vice Presidente GRIMALDI
DE LUCA Athos. In quegli anni ero studente e vedevo alla televisione lei, il senatore Andreotti ed altri, che poi sono stati e saranno auditi da questa Commissione. Ai miei occhi di studente liceale in quegli anni voi eravate lo Stato italiano, la Repubblica italiana. C'era questa coincidenza: la Democrazia cristiana amava identificarsi nello Stato, è stata anche una strategia del partito. Avete ricoperto in quegli anni ruoli strategici; ieri dicevamo di Andreotti che con il suo curriculum - anche il suo é abbastanza prestigioso - sicuramente era la persona che in quegli anni non doveva avere segreti e cioè tutto quello che lo Stato democratico e repubblicano poteva e doveva sapere per difendere la Repubblica quelle persone avevano gli strumenti per saperlo. Fatta questa premessa, lei ha detto che ci può essere un rischio in questa ricostruzione storica, anche se in realtà il presidente Pellegrino e noi non dobbiamo scrivere un libro da pubblicare ma una relazione per individuare i responsabili delle stragi. Infatti la Commissione si chiama Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi: questo è il nostro compito, non quello di fare ricostruzioni storiche ma di individuare i responsabili delle stragi. Per questo è stato rinnovato il mandato e questa è la nostra delega e proprio a tali fini abbiamo anche dei poteri: mi sembra che lei sia vincolato da un giuramento per le sue dichiarazioni in Commissione. Lei diceva che c'era un rischio perché oggi si è portati a delegittimare il passato e dire che noi rappresentiamo il corso nuovo e che nel passato quella classe politica ha commesso alcuni errori e adesso noi dobbiamo riportare la verità ma il prezzo è la delegittimazione (come i figli che nella loro vita hanno bisogno ad un certo momento di negare i padri o ribellarsi per affermare la loro personalità); e quindi che questa classe dirigente dovesse in qualche modo "assassinare" il passato per legittimarsi a diventare la nuova Repubblica. Ma tenga conto, onorevole Forlani, che c'è un altro rischio, forse meno psicologico e più concreto, e cioè che i protagonisti di quella classe politica e di quegli anni, di cui lei è un rappresentante autorevole, siano portati a fare un'altra cosa: a difendere tutto quell'operato, quella classe politica, ed anche - non so se si possa ancora dire - quel passato della Democrazia cristiana. Si tratta di un rischio, se non pari, forse più cogente, di quelli che vengono attribuiti a noi.
FORLANI. Solo che non sono più eguali le parti. Come nel mondo della giustizia, tra accusa e difesa c'è una sperequazione.
DE LUCA Athos. Quantitativa, onorevole Forlani.
FORLANI. E il sistema nel suo complesso, infatti non mi riferisco solo alla classe dirigente politica: è il sistema che ormai, con le sue possibilità di orientamento dell'opinione pubblica, ha un potere di influenza, orientativo, assai maggiore degli uomini del passato che ormai non hanno possibilità di intervento sulla scena.
DE LUCA Athos, Credo che gli uomini del passato, non so se lei si ascrive tra essi...
FORLANI. Sì, della prima Repubblica.
DE LUCA Athos. Credo che invece gli uomini del passato... forse la sfida che abbiamo accettato come Commissione è proprio questa: è stata chiesta la proroga per sfidare la dicotomia e cioè per appurare la verità non postuma, quando la generazione che ne è stata protagonista non ci sarà più, ma per farlo al momento in cui quella classe dirigente esiste ancora, ha e vuole svolgere ancora un ruolo nella Repubblica. Lei dice che quella classe politica non ha più potere, ma non è così. Io credo che questa sede possa offrirle la possibilità di svolgere un ruolo molto importante. Il mio rammarico, invece, è che lei si rifiuta di svolgerlo e che non ci dà la possibilità di dare continuità al suo essere stato uomo di Stato allora ritenendo che solo voi potreste oggi rafforzare la democrazia. Infatti una democrazia matura e forte, credo, sia quella che riesca a non avere più scheletri nell'armadio a fare luce sulle stragi anche arrivando al paradosso di dire: quel sangue versato è stato il minimo che si è riusciti a fare con quelle contraddizioni e responsabilità.
Presidenza del Presidente PELLEGRINO
DE LUCA Athos. Anche se devo darle atto che su alcune cose è stato chiaro, il salto di qualità che almeno io mi aspettavo (forse perché, come ricordava ieri sera il presidente Pellegrino, ho qualche anno in meno e comunque questa è la mia prima esperienza parlamentare ed ho una dose di maggiore fiducia o ottimismo in alcuni organi), lei non ce lo ha offerto. Le pongo poi questa domanda. Lei pensa o fa parte di coloro che pensano che continuare a scavare in quegli anni è inutile, perché si tirano fuori solo asti o veleni o questioni che oggi non servono più alla nostra Repubblica, e quindi ritiene che allo stato attuale (immagino che avrà letto la relazione che ha predisposto il presidente Pellegrino e che deve essere ultimata anche alla luce di queste ultime audizioni) sostanzialmente siamo pervenuti al nocciolo, ad individuare responsabilità e che quindi i compiti di questa Commissione sono stati sostanzialmente svolti? Cosa ritiene che, in questo scenario e dalla sua audizione di questa mattina, noi dobbiamo desumere? Che responsabilità politiche non ve ne furono? Che non ve ne furono neppure da parte dei Servizi? Che quel che è accaduto, quel sangue versato, è frutto di attività di gruppi isolati almeno da questi soggetti (i Servizi, i politici e lo Stato)? Se così è, se cioè è valida questa terza ipotesi (che "salverebbe" un po' la classe dirigente dell'epoca), questi "gruppuscoli" avrebbero potuto... Lei ha sostenuto poc'anzi che in realtà la bontà della riuscita dell'azione delle Brigate rosse nel caso Moro è dovuta al fatto che era stata preparata da lungo tempo e con grande perfezione: mi permetto di dirle che io potrei dedicare magari tutta la mia vita ad un progetto di quel genere, ma non mi sembra che il tempo da dedicare ad un progetto possa essere considerato un requisito, né ritengo possa garantire l'efficacia della portata del progetto stesso. E sempre se si ritiene valida la terza ipotesi, quella dei gruppuscoli, questi erano funzionali al Governo dì quegli anni della Democrazia cristiana?
Mi spiego meglio. In realtà il colpo di Stato, la svolta a destra in Italia non serviva, perché la Dc di allora garantiva con la politica degli opposti estremismi gli americani e la stabilità, purché però accadesse, ad adiuvandum, che durante questo Governo della Dc, considerato che su tante questioni c'era fermento (pensiamo agli aspetti sociali di quegli anni: c'erano una bomba da una parte, qualcos'altro dall'altra) si potesse esorcizzare certe situazioni: bisognava votare per questo partito proprio perché teneva lontani i pericoli sia di destra che di sinistra. Questa, però, sarebbe una lettura storica non molto interna ad una classe di potere che vuole rimanere al potere e quindi si colloca in questa lettura. Concludo osservando che, secondo me, questa reticenza c'era. La sfida che abbiamo lanciato e che anch'io personalmente mi sento di lanciarle, onorevole Forlani, è relativa al fatto che non so se noi o lei avremo altre occasioni come questa, formale ed ufficiale, con una classe dirigente di colleghi che hanno un mandato dallo Stato per affrontare e dire certe cose nella sede e nel momento giusti. Lei, a questo riguardo, si riferiva al rischio dei momenti di transizione: credo che offriremmo un grande contributo ed un grande servizio alla Repubblica - della quale si sta anche cercando di aggiornare la Carta costituzionale e che dopo mezzo secolo cerca di rispondere ai cittadini - se riuscissimo a fare quello che si dice di voler fare in tutte le campagne elettorali (e che forse sosteneva anche il suo partito): "far luce sulle stragi, perché un Paese democratico non può avere questi scheletri nell'armadio". Concludo sperando che in quest'ultima parte dell'audizione lei possa darci una speranza di fiducia su questo fronte, non tanto a noi o a me, ma alle nuove generazioni della nostra Repubblica.
FORLANI. Non credo di poter aggiungere molto alle cose che ho già detto. E certo che non ci può che essere un atteggiamento positivo, di apprezzamento rispetto all'impegno della Commissione, che deve essere condiviso da noi e da tutti: quello di ricercare il più possibile la verita' in ordine alle vicende che sono rimaste in parte inspiegabili, avvolte dalla nebbia o segnate da contraddizioni e ambiguità che non ne hanno consentito la piena comprensione. Dal mio punto di vista vorrei però aggiungere che nessuno può essere più interessato a questo di noi, di chi quelle esperienze le ha vissute e all'interno di quei fatti ha dovuto operare. Certo, per raggiungere la verità (per tornare al discorso sulle caratteristiche dei periodi di transizione), come dice Kafka nei suoi romanzi, "bisogna che ci sia la buona volontà"; non basta la disponibilità di chi è stato nel passato, bisogna che ci sia la buona volontà anche dell'interlocutore del presente, in chi ricerca nel presente la spiegazione di questi fatti. A mio avviso non ci sono stati dei punti di direzione nella vita politica del Paese che non fossero in linea. con le direttive di risolutezza e coerenza nella lotta ai tentativi di eversione, da qualsiasi parte questi provenissero. Ciò non significa che non possano essere registrati momenti, periodi di maggiore efficienza, con successi e risultati, e invece vicende che non hanno avuto sbocco e soluzione.
PRESIDENTE. Tendendo sempre a sintetizzare le questioni: la tensione era una cosa e la strategia della tensione era un'altra, era una utilizzazione della tensione ad un fine di stabilizzazione in senso moderato. Che in Italia ci sia stata una strategia della tensione, Moro lo riconosce, parla dì responsabilità nazionali e internazionali. Parlando del suo partito, della Democrazia cristiana, dice "connivenze e indulgenze". Penso che quel riferimento esclusivo alla Democrazia cristiana sia stato ingiusto, si spiega nella logica del processo che gli veniva fatto come Presidente di quel partito. In realtà anche recentemente il presidente Cossiga ha parlato di un "partito arnerikano" e ci ha detto che va. scritto rigidamente così, con la lettera "k", che non significa quindi una responsabilità del Governo Usa ma è come se ci fosse in Italia, anche nel ceto politico in maniera trasversale alle forze politiche del centro un "partito amerikano", un partito di oltranzismo atlantico che voleva utilizzare la tensione per una involuzione di tipo autoritario (come anche lei ha detto) delle istituzioni democratiche.
Quel giudizio di Moro, sia pure espresso in condizioni tragiche e difficilissime, lei lo condivide? C'è stata in Italia una strategia della tensione? C'è stato questo partito "amerikano"? Voglio ricordare a me stesso che il termine "strategia della tensione" nasce in Italia in una polemica interna al mondo socialista, una polemica fra il partito socialista e il partito socialdemocratico (chiamiamolo così) subito dopo la scissione. Su questo vorrei sapere se lei può aggiungerci qualcosa, qualche nome; alcuni sono noti come Ivan Matteo Lombardo e Pacciardi ma altri? Nei partiti, ovunque, la lotta politica ha la sua specificità e i suoi contrasti. Ieri il senatore Andreotti diceva che si diventa ministro della difesa o dell'interno quasi per caso, perché qualcuno prega una persona di assumere il ministero. Noi sappiamo che non è così anche per diventare sottosegretario vi sono pressioni da una parte e dall'altra e contrasti: questo avviene nella seconda Repubblica e quindi immagino che sia avvenuto anche nella prima. Le parole dì Moro sono molto precise: egli parla di un fine politico che non sì realizza e che sta all'interno dì quello che ci dice lei. Alla fine però la direzione politica prevalente fu per sconfiggere la strategia della tensione, ma chi l'aveva messa in campo?
FORLANI. Che ci siano state tentazioni più o meno velleitarie dì condizionamento dei partiti, del mondo politico, posizioni più oltranziste rispetto a quelle assunte, registrate e approvate in sede rappresentativa, democratica, parlamentare e di Governo, che queste tentazioni o questi fatti siano intervenuti, è fuori di dubbio. Quello che a me interessa sottolineare e rendere chiaro è che rispetto a questa realtà l'atteggiamento responsabile dei governi e del partito di maggioranza relativa ha avuto una sua coerenza di fondo che non è mai venuta meno. Queste sono le convinzioni che io traggo dalla mia esperienza.
PRESIDENTE. Le do atto che poi la storia del Paese alla fine dimostra che le cose andarono così. Su questo non vi è dubbio ma il contrasto tra chi era? Nomi e persone.
FORLANI. Lei stesso ha menzionato personaggi che anche se avevano una loro rilevanza di prestigio, di esperienza personale, però non avevano un grande seguito nel Paese.
PRESIDENTE. Lei non ci può aggiungere altri nomi?
FORLANI. A parte che Pacciardi non si capisce bene come possa essere collocato su un certo versante, perché era indubbia la sua fedeltà ad una linea democratica; e poi sosteneva riforme istituzionali che mi pare adesso siano di grande attualità...
PRESIDENTE. Lei è una persona indubbiamente fine, colta e intelligente e lo ha dimostrato anche oggi ma, mi consenta, una valutazione di questo tipo è un errore politico e storico. Dire che Gelli era presidenzialista e quindi chi oggi è presidenzialista è iscritto alla P2 è un falso sillogismo...
FORLANI. Parlavo di Pacciardi.
PRESIDENTE. Sarebbe come dire che chi oggi pensa ad una soluzione istituzionale come quella a cui pensava Pacciardi sia assimilabile. Anche Calamandrei e Dossetti erano presidenzialisti nella prima fase dell'Assemblea Costituente: lo facevano evidentemente perché ritenevano che il parlamentarismo fosse stata una delle cause della nascita del regime. Allora la soluzione presidenziale era una forma di contrasto con l'ascesa del movimento operaio ma, direi più in generale, con una democrazia che diventava esigente come, se non sbaglio, disse proprio Moro. Oggi è l'idea che in un mondo sempre più tecnocratico o la politica si affida alla delega o il mandato finisce di essere tale e la stessa democrazia finisce per prendere contenuti diversi. Scelte istituzionali assumono significato diverso a seconda delle motivazioni e dei momenti storici in cui vengono proposte. Io volevo sapere, all'interno del suo partito, a chi poteva riferirsi Moro quando parlava di "connivenze o indulgenze"?
FORLANI. Insisto sul fatto (perché non è irrilevante) che Moro scrive queste cose in condizioni del tutto particolari e lei giustamente lo ha ricordato. All'interno della Democrazia cristiana dove pure il confronto, la dialettica fra i gruppi e le correnti è stata sempre piuttosto vivace, posizioni di questo genere bisognerebbe andarle a cercare con il lanternino, se si dovessero fare dei nomi. Parlavo prima di Pacciardi: era un personaggio di sicura vocazione democratica. La sua storia, la sua partecipazione alla guerra civile ìn Spagna, le sue battaglie per la Repubblica in Italia...
PRESIDENTE. Qui ci mettiamo su un crinale delicato perché anche Sogno era stato un partigiano bianco ed anche Fumagalli...
FORLANI. Infatti sono posizioni che rimangono molto problematiche e discutibili anche oggi.
PRESIDENTE Le volevo fare una domanda precisa: in sede giudiziaria è stata avanzata l'ipotesi che nel contesto eversivo da cui viene lo stragismo ci fosse un affidamento dovuto al fatto che, dopo un grave fatto di sangue come la strage di piazza Fontana, il presidente dei Consiglio Rumor avrebbe potuto dichiarare lo stato d'emergenza. Di conseguenza l'attentato del 1973 in via Fatebenefratelli sarebbe stata la punizione per una solidarietà che poi non era scattata. Può dirci qualcosa su questo?
FORLANI. Alla luce delle mie convinzioni e della conoscenza che ho di fatti e di persone, sì tratta di cose del tutto prive di significato, di cose dissennate. Immaginare che dietro alla strategia della tensione ci fosse una qualche direttiva che potesse far capo...
PRESIDENTE. Non una direttiva. Ho chiesto agli uffici se possiamo acquisire dalla Rai le cassette del discorso televisivo che egli fece dopo la strage di piazza Fontana: ricordo l'immagine di un uomo lacerato dalla tensione estrema. In una persona fragile la valutazione se la dichiarazione di uno stato di emergenza fosse una necessità non può essere balenata come un'ipotesi possibile, e quindi aver dato luogo ad un affidamento?
FORLANI. No, Rumor non era uomo che potesse assumere decisioni di questo genere se non passando attraverso il filtro di una collegialità e di una discussione democratica in seno al suo partito.
PRESIDENTE. Penso anche io che fosse così, ma lo ha mai proposto? Lei ricorda, ad esempio che all'interno del suo partito ci sia stato mai qualcuno che ha preso posizione in questo senso dicendo così non si poteva andare avanti, che il disordine era troppo e che vi era una fase in cui qualche garanzia costituzionale doveva venire meno per poter in questo modo consolidare in prospettiva futura ima evoluzione democratica?
FORLANI. No. Certamente in qualche occasione di dibattito, come immagino accada all'interno di tutti i partiti, si sono enucleate delle posizioni di maggiore reattività o di maggiore aggressività rispetto a fatti o a fenomeni eversivi, ma il risultato del confronto e della discussione si è tradotto sempre in linee che sono peraltro anche ben rappresentate da quel mio intervento fatto come segretario politico della Democrazia cristiana. Sono stato segretario della Democrazia cristiana in periodi diversi, abbastanza lontani, riguardano una parte considerevole della mia vita, cioè circa sette anni. Allora ritengo di poter affermare che c'è stata una linea di grande coerenza su questo terreno.
SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE
FRAGALA. Signor Presidente, a questo punto debbo chiederle il rinvio della seduta perché sono passate tre ore e, tranne la breve parentesi del senatore De Luca, abbiamo ascoltato con particolare soddisfazione la sua prolusione, quella dell'onorevole Forlani e tutte le domande che lei gli ha rivolto. Noi abbiamo previsto per le ore 13 altri impegni. Siccome dovremmo occupare altro tempo per consentire a tutti i membri della Commissione di rivolgere le domande che ritengono opportune, penso che sia assolutamente inutile farlo adesso. Quindi, sono costretto a chiederle, signor Presidente, questo rinvio. Inoltre le chiedo se la prossima volta consentirà prima ai componenti della Commissione di rivolgere le proprie domande; poi lo farà lei. Infatti oggi abbiamo occupato tre ore senza aver potuto dire una parola, tranne il senatore De Luca. Non dico ciò per polemica, assolutamente, ma perché la situazione dell'arte è questa; io evidentemente alle 12,55 non sono in grado di poter rivolgere delle domande e addirittura altri colleghi se ne sono andati. Poi naturalmente mi rimetto, come sempre, al giudizio della maggioranza.
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, non ho alcuna difficoltà ad accettare la sua prima richiesta. Mi dispiace soltanto di dover dare all'onorevole Forlani l'incomodo di recarsi un'altra volta in Commissione. Per quanto riguarda il secondo fatto a cui lei ha accennato, faccio presente che cerco di trovare una mediazione con il regolamento. In base al regolamento i membri della Commissione dovrebbero proporre le loro domande a me ed io le dovrei rivolgere all'audito, dopo aver valutato l'ordine in cui porle. Io invece amo lasciare spazio ai membri della Commissione...
FRAGALA. Allora bisogna cambiare il regolamento, altrimenti la nostra Commissione è inutile.
PRESIDENTE. No; perché sta dicendo così? Io le sto dicendo che lei avrà il vantaggio di poter leggere quanto l'onorevole Forlani ci ha detto e quindi di calibrare meglio le sue domande, come è stato fatto tutte le altre volte.
CORSINI. Signor Presidente, considerato che la seduta sta per concludersi, e mi scuso con l'onorevole Forlani se la mia osservazione non riguarda l'audizione di oggi, sento la necessità di fare una breve osservazione in merito alle dichiarazioni del senatore Gualtieri che non sono soltanto offensive nei confronti del Presidente. La mia osservazione sarà breve perché ho rispetto della maggiore età di qualche commissario e questa è una tra le ragioni che mi porta a moderare il linguaggio. Infatti trovo veramente offensiva la dichiarazione fatta dal collega, non veritiera, non rispondente all'andamento dei fatti, irrispettosa nei confronti dei colleghi, oltre che politicamente ingiudicabile e irricevibile. Tuttavia, credo che il senatore Gualtieri meriti tutto il rispetto come qualsiasi altro membro della Commissione; ciascuno dì noi svolge il proprio ruolo in ragione delle proprie convinzioni, peraltro senza vincolo di mandato. Ciascuno di noi porta il contributo delle proprie competenze e conoscenze e quindi ciascuno di noi è degno del rispetto che evidentemente il senatore Gualtieri non ci porta. Il senatore Gualtieri peraltro ha sollevato un problema di carattere politico che giudico del tutto infondato, non rispondente all'andamento dei lavori, allo stile e all'impegno che ciascuno di noi profonde, a partire dal Presidente che viene chiamato in causa sulla base di una supposizione assolutamente infondata. Non sono abituato a convocare conferenze stampa o a mandare comunicati alle agenzie; però ho sentito il dovere in questa Commissione di manifestare il mio totale disappunto per le dichiarazioni rilasciate dal collega. Per quanto riguarda, invece, eventuali ulteriori richieste all'onorevoe Forlani, se avremo - come auspico - un secondo incontro mi impegno a definire un quadro di richieste e di chiarimenti alla luce delle valutazioni che l'onorevole Forlani ha esposto e non ha esposto.
TASSONE. Signor Presidente, sono d'accordo con l'onorevole Fragalà per un aggiornamento della riunione. Come ha già detto l'onorevole Corsini, le dichiarazioni rese dal senatore Gualtieri su "La Stampa", che desidero richiamare perché anche lei, signor Presidente ne ha parlato, sono di un'estrema gravità. Noi questa mattina abbiamo ascoltato l'onorevole Forlani ed abbiamo sentito una lunga esegesi delle fonti della storia da parte del senatore De Luca, ma in questo caso sono state fatte delle affermazioni di un'estrema gravità per cui non è sufficiente parlarne in questa sede in termini fugaci e limitati...
PRESIDENTE. Da parte di chi?
TASSONE. Da parte del senatore Gualtieri nell'intervista al giornale "La Stampa" di Torino.
PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Tassone, ma ho avuto un attimo di cedimento dell'attenzione.
TASSONE. Ritengo che noi dobbiamo dedicare una seduta a tale questione. Noi procediamo all'audizione anche di persone estranee alla Commissione. Ci sono delle affermazioni che devono essere chiarite da parte del senatore Gualtieri perché sono state avanzate delle accuse molto precise, di occultamento della verità. Esprimo la mia solidarietà al Presidente di questa Commissione innanzitutto, e, in secondo luogo, a tutta la Commissione. Se il senatore Gualtieri ha elementi o dati da portare avanti, li rassegni alla Commissione stessa e non ne faccia oggetto di interviste e di affermazioni così generiche e quanto meno non supportate da elementi e da prove. Non basta una ricognizione formale, ma bisogna procedere ad una valutazione molto più profonda, complessa, stringente e puntuale. Ritengo quindi che il senatore Gualtieri debba essere sentito dalla Commissione stessa per chiarirci il tono delle affermazioni e sulla base dì quali elementi ha fatto queste dichiarazioni alla giornalista Maria Teresa Meli de "La Stampa".
CIRAMI. Signor Presidente, mi associo a queste consìderazioni.
PRESIDENTE. Vi ringrazio. Vorrei aggiungere che il problema non riguarda solamente la mancanza di riguardo nei confronti del Presidente della Commissione - di relativa importanza - ma riguarda la mancanza di riguardo anche nei confronti del Presidente della Camera e del Presidente del Senato. Nella mia relazione semestrale, ho scritto di aver ricevuto un mandato vincolato relativamente alla chiusura dei lavori della Commissione; non so, pertanto, come potrei regolarmi diversamente. A questo punto, se questa Commissione deve adottare una linea diversa, non potrei essere più io a presiederla, perché agirei al di fuori del mandato ricevuto. Sì prenderanno successivamente accordi con gli uffici e con l'onorevole Forlani; bisognerà infatti convocare la Commissione per svolgere una discussione dì carattere generale affinché si individui la linea da seguire; dovranno proseguire le audizioni del senatore Andreotti e dell'onorevole Forlani; si renderà infine necessaria la convocazione dell'Ufficio di Presidenza per stabilire nuove audizioni, considerando che per il 29 aprile prossimo è già fissata l'audizione dell'onorevole Gui.
La seduta termina alle ore 13,05.