Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi
14ª SEDUTA
GIOVEDI 17 APRILE 1997
Presidenza del Presidente PELLEGRINO
I N D I C E
La seduta ha inizio alle ore 19,50.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.
Invito l'onorevole Palombo a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
PALOMBO, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta dell11 aprile 1997.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE
PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.
Comunico che il senatore Andreotti ha provveduto a restituire, debitamente sottoscritto, ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento interno, il resoconto stenografico della sua audizione svoltasi l'l 1 aprile scorso, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.
Informo che, in data 15 aprile 1997, il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione il senatore Melchiorre Cirami, in sostituzione del senatore Agazio Loiero, dimissionario. Diamo il benvenuto al senatore Cirami. Ricordo che il senatore Loiero era componente prezioso della Commissione perché aveva una forte conoscenza dei fatti di cui ci occupiamo. Per questo motivo rimpiango il fatto che non faccia più parte della Commissione, ma sono convinto che il senatore Cirami, anche per la sua esperienza e competenza professionale, sarà ugualmente prezioso per la Commissione.
Comunico che l'onorevole Gui - la cui audizione è stata già deliberata - ha comunicato che le sue condizioni di salute non gli consentono per il momento di assumere impegni per date differenti da quella di martedì 29 aprile prossimo. A quella data egli, che risiede normalmente a Padova, potrà essere a Roma, disponibile per l'audizione. Propongo pertanto di fissare per quella data la sua audizione. Poiché non si fanno osservazioni, così resta stabilito.
INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI: SEGUITO DELLAUDIZIONE DEL SENATORE GIULIO ANDREOTTI
PRESIDENTE. Proseguiamo oggi l'audizione del senatore Giulio Andreotti che è qui ancora una volta e di questo lo ringrazio. Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei fissare alcuni principi per l'audizione, alcuni monocraticamente, altri da valutare insieme alla Commissione.
Come voi sapete, il senatore Andreotti è oggetto di due noti processi penali, che si svolgono uno a Perugia e uno a Palermo. Voglio allora dire subito che non riterrò ammissibili domande che possono in qualche modo riguardare questi due processi. Lo faccio per due considerazioni, la prima delle quali è di carattere istituzionale, circa il rapporto tra indagine parlamentare e indagine giudiziaria. In molti paesi occidentali le due indagini non possono essere contemporanee e al Parlamento è inibito indagare su vicende che sono oggetto di indagini giudiziarie. In Italia non abbiamo questa regola: se così fosse, noi non potremmo indagare sulle stragi, che sin dall'inizio della vita della Commissione sono sempre stato oggetto dell'indagine giudiziaria. Dobbiamo però muoverci su un difficile crinale, e quindi non possiamo creare interferenze tra i due versanti.
Aggiungo poi che vi è da considerare una esigenza di garanzia. Infatti, il senatore Andreotti è qui in sede di libera audizione, non è munito di difensore, e quindi io porrò un ostacolo a qualsiasi domanda che mi sembrerà poter interferire con i due processi, salvo che il senatore Andreotti di sua volontà non mi faccia sapere che intende rispondere a quella domanda.
L'altro principio, sul quale dovremmo metterci d'accordo, riguarda invece il tempo degli interventi. Vorrei assegnare un tempo di sette minuti a ciascuno dei Commissari, i quali cercheranno di utilizzare tale tempo per fare delle domande brevi, secche ed incisive, senza fare discorsi, dissertazioni, commenti e valutazioni, che sono cose che potremo fare quando inizieremo a discutere tra di noi sulle conclusioni cui dobbiamo pervenire. Su questa proposta vorrei sapere se la Commissione è d'accordo.
GUALTIERI. Se mi dà soltanto sette minuti, rinuncio ad intervenire.
FRAGALA. Signor Presidente, significherebbe non fare l'audizione.
GUALTIERI. Quando era membro di questa Commissione, il senatore Boato parlava dalle tre alle quattro ore!
PRESIDENTE. Io ho letto in questi giorni molti verbali delle Commissioni d'inchiesta Moro e P2, ed ho potuto constatare che i Commissari facevano delle domande, mentre in questa Commissione vi è una lunga tradizione a fare dei discorsi. Potrei, in alternativa, proporvi di assegnare per ogni domanda un tempo di tre minuti, ovviamente non comprensivi della risposta. L'alternativa sarebbe quella di fare notte! (Commenti).
Comunque, se la Commissione non è d'accordo, non posso cambiare le regole. Non possiamo ovviamente introdurre per un'audizione così importante un cambiamento di metodo, se non siamo tutti d'accordo. Poiché mi sembra che non siamo d'accordo, proseguiamo con il metodo solito, però con una raccomandazione, che credo di poter fare, senatore Gualtieri: mi riferisco all'osservazione che, più la domanda è breve, più è efficace; invece, più la domanda è lunga, più se ne perde il senso e quindi viene meno l'utilità dell'insieme. Resta comunque agli atti che avevo consigliato un certo metodo che però si è deciso di non seguire.
MANCA. Signor Presidente, cercherò di essere breve e di fare domande appunto brevi e secche: incisive non lo so, dovrebbero essere giudicate dagli altri.
Presidente Andreotti, toccherò, per così dire, due temi e mezzo. Il primo è relativo alla reazione dell'onorevole Moro all'arresto del generale Miceli: poi qualche domandina sul generale Maletti; quindi qualcosa sulla Gladio, ivi compresa una notizia - se la conosce - riguardante l'organizzazione cosiddetta Ossi.
Salto il preambolo e le faccio le prime domande. Come giudicò le parole di stima e di solidarietà che l'onorevole Moro volle indirizzare al generale Miceli dopo il suo arresto? E vero, a suo parere, che il generale Miceli e Mino erano particolarmente vicini all'onorevole Moro? A suo parere, ha qualche fondamento la tesi, sostenuta da molte ricostruzioni storiche, secondo cui il generale Maletti sarebbe stato in qualche modo "andreottiano", come si suol dire? E, a proposito di Maletti, quest'ultimo sostiene - ce lo ha detto a Johannesburg - di essere stato in disaccordo con la politica filo-araba del governo italiano dell'epoca, in particolare con il trasferimento di armi alla Libia, considerandola scarsamente compatibile con la lealtà nei confronti degli Stati Uniti. Il generale Maletti è teso pertanto a ricondurre a questa ragione il suo contrasto personale con il generale Miceli. Possiamo sapere, Presidente Andreotti, quale fu la sua personale posizione in merito a questa linea politica?
Passo al secondo gruppo di domande, sulla Gladio. Per quanto attiene alla rimozione del segreto sull'organizzazione Gladio, nel 1990, come si sa e come ha confermato in questa Comissione, lei decise di rimuovere il segreto di Stato, ritenendo che la situazione internazionale fosse tale che non vi era più bisogno di quell'organismo. Ci può dire se acquisì in merito il parere preventivo dei Ministri competenti? Quella decisione fu concordata con il Presidente della Repubblica? Fu concordata con il Governo degli Stati Uniti, partner nell'accordo stipulato? Quali reazioni determinò la decisione del Governo italiano nell'ambito dell'Alleanza? Quale reazione determinò la sua decisione da parte del Presidente della Repubblica? Ebbe a questo riguardo colloqui, preventivi o successivi, con il capo dell'opposizione, onorevole Occhetto, o con altri esponenti del mondo politico, imprenditoriale o dell'informazione?
Infine, ci può dire se era a conoscenza dell'organizzazione dei cosiddetti Ossi (Operatori speciali dei servizi segreti) di cui avrebbe fatto parte un addestratore della Gladio, il maresciallo Licausi, una organizzazione preposta ad attività di guerra non ortodossa?
PRESIDENTE. La ringrazio per la sinteticità e precisione delle sue domande, senatore Manca.
ANDREOTTI. Ritengo che le parole di apprezzamento dell'onorevole Moro, in modo particolare una lettera che egli mandò al generale Miceli, debbano essere interpretate sotto un profilo umanitario e non sotto quello di condivisione di una politica, segnatamente in dissenso da quelle che erano iniziative adottate prima dai magistrati e poi da me (in quanto avevo dovuto rimuovere il generale Miceli dal suo incarico e avevo dovuto annullare anche la sua destinazione a comandare il Corpo d'armata di Milano).
Per quello che riguarda le dichiarazioni del generale Maletti, non so bene cosa voglia dire "andreottiano". Certamente, con il generale Maletti il mio è stato un rapporto solo formale, d'ufficio. Personalmente l'ho visto soltanto due volte, la prima, come ho ricordato l'altro giorno, quando venne a rendermi edotto dell'inchiesta che lui aveva fatto sul golpe Borghese; la seconda, quando venne a dirmi dell'iniziativa di approfondimento nei confronti del partito che quel signor Foligni stava allestendo, di cui il Servizio si era occupato legittimamente, anzi doverosamente (in quanto si parlava di una formazione politica che faceva affidamento su militari e su ambasciate straniere); mi disse: "Guardi, abbiamo fatto le indagini, si tratta di quattro "sfessati" (o un'espressione equipollente).
Per il resto, che vi sia stato un dissenso all'interno dei Servizi nei confronti della cosiddetta politica araba è una ínterna corporís che a me non fu mai manifestata; peraltro non ritengo che fossero i Servizi ad adottare la linea politica, bensì i responsabili politici.
L'opinione di Maletti che la fornitura di armi - oltretutto, se non vado errato, da parte dell'Oto Melara, società a partecipazione statale, del tutto in conformità delle leggi - fosse un modo di contrariare gli Stati Uniti è un'opinione, non voglio dire apprezzabile, perché non l'apprezzo molto, comunque un'opinione personale che non devo io commentare.
Per quanto riguarda la pubblicazione dell'elenco degli appartenenti della struttura Gladio, non dovevo domandare a nessuno; vi era un apprezzamento politico, essendo una struttura predisposta per il caso di invasione dell'Italia ed essendo completamente cambiata la situazione politica internazionale. Non essendovi quindi alcun motivo (almeno allo stato) di temere invasioni, a mio avviso era più che dovuto rendere pubblico quell'elenco. Arrivammo alla decisione dopo una riunione, che ho ricordato l'altra volta, fatta con i responsabili dei Servizi, con il Comandante dei carabinieri, il Capo della polizia ed altri colleghi Ministri competenti. Nella riunione dicemmo: "Se vi sono elementi che voi ritenete debbano essere coperti dal segreto, diteli, noi li valuteremo". Però dissi pure che se qualcuno non diceva tutta la verità in quella occasione, si poteva considerare dimissionario; perché era veramente un atto dovuto. E che vi sia stata, secondo l'opinione di alcuni e dello stesso ammiraglio Martini, una reazione internazionale, a me non risulta affatto. Anche nei mesi successivi, ho avuto occasione di incontrarmi con colleghi Capi di Governo e di parlare con gli americani: non ho sentito una sola lamentela per questo. So che poi anche altri paesi hanno fatto lo stesso. E ritengo che non vi era nessun motivo per fare diversamente.
Della organizzazione Ossi ho appreso l'esistenza solo di recente, in occasione di un processo che cè stato.
Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, con cui ero in contatto si può dire quotidiano, non ho mai avuto da parte sua manifestazioni di dissenso circa la pubblicazione di questi elenchi o sulla messa a conoscenza del Parlamento - specificamente della Commissione -delle liste di composizione dell'organizzazione.
PRESIDENTE. Senatore Andreotti, mi consenta la richiesta di un chiarimento. La questione di Miceli e di Maletti ci riporta all'indagine sul golpe dell'Immacolata. Ho riletto il verbale che abbiamo approvato della sua audizione e lei ci ha confermato di ritenere quell'episodio grave, da non sottovalutare. Poiché normalmente lei non è persona che enfatizza le cose, che lei ci abbia detto che è una questione che deve essere tenuta in considerazione è un fatto che valuteremo. Lei ci ha anche detto che probabilmente il golpe si arresta perché Almirante non dà la solidarietà del Movimento Sociale Italiano.
Da questa ricostruzione però Borghese fa la figura di uno sprovveduto, perché era mai pensabile che si potesse progettare un colpo di Stato con la guardia forestale, un po' di giovanotti scalmanati e armati che si erano radunati in una nota palestra, senza che ci fosse un qualche affidamento di qualche copertura politica importante e, soprattutto, che ci fosse un affidamento sulla non reazione delle Forze armate e degli apparati di sicurezza.
Quello su cui mi sono interrogato è che Borghese non era uno sprovveduto; la sua storia, il ruolo che ha avuto durante tutta la Resistenza, della X Mas, il modo con il quale viene salvato nel 1945, descrive Borghese come un uomo d'arme ma anche come un uomo che conosce la logica del potere, e direi anche la logica occulta del potere.
E verosimile che si sia messo alla testa di un'avventura di questo tipo senza avere una serie di affidamenti che a un certo momento vengono meno, o forse fin dall'inizio era stato deliberato che venissero meno per farlo "scoprire", e poi arrestare a un certo momento l'intero movimento? La sua valutazione su questo, qual è?
ANDREOTTI. Intanto vorrei confermare quel che ho detto l'altro giorno, che nella istruttoria fatta dalla Procura della Repubblica e nella requisitoria che ho inviato alla Commissione, e che può essere letta, si conferma che quanto ha detto Maletti, cioè che l'istruttoria del procuratore fosse stata superficiale, è completamente falso. L'istruttoria fu molto approfondita e anzi, se eventualmente c'è da poter fare una critica alla requisitoria - potrete leggere quel documento - è che forse è stata di un'eccessiva severità.
PRESIDENTE. Senatore, la mia domanda è proprio questa: forse è non aver dato risposta alle domande che ho posto che rendeva debole quell'ipotesi accusatoria.
ANDREOTTI. Aggiungo che dopo le arringhe dei difensori - anche questo è depositato nella documentazione che ho chiesto al senatore Vitalone e che ho inviato alla Commissione - Vitalone riprese la parola proprio nei confronti del generale Miceli dicendo che, se l'attribuzione specifica del reato addebitato a Miceli era meno grave, però il suo ruolo e proprio la sua funzione rendevano molto più forte la sua responsabilità.
Alla domanda: "aveva valutato le proprie forze il Borghese?"... lo non l'ho conosciuto, quindi non so se avesse questa capacità di valutazione e se pensasse che, creando una condizione di eccezionalità, cioè in una notte di vigilia di un giorno festivo (quando in fondo gli apparati dello Stato sono normalmente meno guarniti) andando a occupare la radio e compiendo anche azioni ciò provocasse una specie di consenso militare. Credo probabilmente sia stato vittima di informazioni sbagliate che gli venivano date; perché credo di aver conosciuto in profondità le Forze armate e non ho mai pensato che fossero disponibili come tali per manifestazioni contro l'ordine costituzionale, contro la legalità. Chi si faceva illusione di questo genere era, nell'ipotesi migliore, un visionario.
Se guardiamo anche alla qualità umana delle persone che stavano intorno al principe Borghese...
PRESIDENTE. Erano di basso livello.
ANDREOTTI. Probabilmente sono vere entrambe le ipotesi, cioè un timore oggettivo che il gesto potesse veramente sovvertire l'ordine costituzionale non sarebbe fondato, però una valutazione grave su quello che fu l'atto è altrettanto fondata. Nel documento di Vitalone si riporta, per esempio, il testo del messaggio che Borghese aveva (o gli avevano) preparato con un appello al Paese perché tutti riconoscessero qual era la verità, la giustizia, la bandiera e cose del genere.
A mio avviso è stato più che giusto irrogare delle condanne, però storicamente la libertà in Italia non ha corso un oggettivo pericolo. Sono due cose che non sono in contrasto come valutazione, né credo veramente che potesse fare affidamento reale su appoggi consistenti.
CORSINI. In questa sede mi limiterò ad avanzare domande e non esporrò valutazioni in merito al contenuto dell'audizione della volta scorsa.
Sento però il dovere, anche alla luce di polemiche giornalistiche che ho potuto leggere e senza voler qui anticipare valutazioni o la discussione che si farà nell'Ufficio di Presidenza di manifestare apprezzamento, stima e anche solidarietà personale al presidente Pellegrino, che mi pare coinvolto in polemiche del tutto pretestuose.
PRESIDENTE. La ringrazio.
CORSINI. Passando direttamente alle domande, torno all'audizione che la Commissione ha avuto con il generale Maletti a Johannesburg. In quell'occasione il generale Maletti ha riferito che lei - all'epoca era Ministro della difesa - suggerii di non comunicare all'autorità giudiziaria i nomi di alcune persone. In seguito avremo la certezza che si trattava di Licio Gelli, dell'ammiraglio Torrisi e di altri a vario titolo coinvolti nel golpe Borghese, ma rispetto al cui coinvolgimento gli accertamenti del Servizio erano incompleti e le informazioni in gran parte incontrollate.
Il generale Maletti, sempre nel corso della sua audizione, ha parlato di due incontri, avvenuti l'uno in un pomeriggio di luglio o di agosto del 1974 - un incontro a quattr'occhi tra lei e Maletti nel suo ufficio al Ministero - e l'altro all'inizio di agosto nel suo ufficio privato, con gli ammiragli Casardi ed Henke e un altro ufficiale, con la partecipazione del tenente colonnello Romagnoli e del capitano Labruna. Lei ricorda le due riunioni e ha qualcosa da dire in proposito, in modo particolare per quanto riguarda la dichiarazione di Maletti circa il suggerimento di espungere alcuni nomi dal "malloppone" che riguardava le indagini sul golpe Borghese?
ANDREOTTI. Non entro nel merito della sua premessa, però sono anch'io rammaricato di interpretazioni esterne che sono state poi date, perché citando un determinato episodio sembra che uno voglia attaccare questo o quel personaggio - in questo caso Prodi - ma non è certo così. Anche perché, che si trattasse di quel gruppo lì non lo ricordavo nemmeno bene, mi ricordavo bene il fatto ma non il gruppo.
Quel che dice il generale Maletti è vero per le due riunioni. La prima, più che una riunione fu un'udienza che lui chiese e ottenne da me al ministero quando mi venne a mettere al corrente appunto dell'inchiesta che avevano condotto, domandandomi come doveva comportarsi nei confronti del generale Miceli. Gli dissi: "Lei gerarchicamente è un subordinato del generale Miceli. Lei riferisca al generale Miceli: se poi il generale Miceli non prende delle conseguenze, non porta il fatto a mia conoscenza, lei torna da me e vedremo allora quello che dovremo fare".
Lui riferì al generale Miceli, il quale invece mi venne immediatamente a parlare e stabilimmo insieme di fare una audizione dei nastri di questa inchiesta che era stata portata avanti dagli uffici del generale Maletti. La facemmo nel mio studio anche per una maggiore riservatezza, presenti le persone che lei ha ricordato e, in più, i Capi di stato maggiore, il comandante dell'Arma e il comandante della Guardia di finanza. Intanto i nomi che lei ha fatto (siccome ha detto che "poi" avete acquisito la certezza, ma io non so da chi abbia acquisito tale certezza) non sono mai stati fatti, è un dato certo. Furono in particolare i militari a dire che bisognava distinguere quelli che erano fatti da quelle che erano invece solo speranze di adesioni. Nel senso che vi erano frasi di questo genere: si spera di avere anche l'appoggio del...; e si trattava sempre di militari, mai sono stati citati dai civili. 1 Capi di stato maggiore dissero che prima di portare questo materiale all'autorità giudiziaria dovevano fare un approfondimento; perché era inutile esporre dei nomi senza motivo. Furono proprio il Capo di stato maggiore della difesa e il Capo di stato maggiore dell'Esercito che riguardarono questi atti e mi portarono poi il testo da inviare all'autorità giudiziaria nel quale, del resto, qualche nome di militare, ma non erano molti, fu omesso ed erano proprio quelli che non c'entravano niente, tanto è vero che poi sono rimasti completamente fuori anche dall'inchiesta giudiziaria successiva. Quindi si tratta assolutamente di questo e siccome è un fatto notorio nell'amministrazione e più che documentabile che non c'era nessuna ragione di inviare nomi di estranei: condivisi la preoccupazione legittima delle Forze armate di non esporre alcuni nomi, che figuravano solo come oggetti di una speranza che potessero aderire, ma non c'era assolutamente nessun elemento per dire che avessero manifestato una predisposizione o ancor meno un'adesione.
CORSINI. Senatore Andreotti, tornerò poi sulla questione Miceli-Maletti. Leggendo la sua audizione della settimana scorsa mi viene spontanea una domanda. Leggo testualmente dal resoconto stenografico: "Si ironizza però sulla questione del riferimento a Gradoli. lo non ho mai creduto alla questione dello spiritismo". Poi, dopo una breve interruzione del Presidente, aggiunge: "Probabilmente è qualcuno di Autonomia operaia di Bologna che ha dato questa notizia". Quindi, stando alle sue affermazioni, non si fa riferimento ad un sentito dire, ma sostanzialmente ad un sapere. Le domando allora, se lei sapeva, perché in quella occasione ha ritenuto di non intervenire immediatamente e direttamente?
ANDREOTTI. Innanzi tutto, se io sapessi non avrei detto "probabilmente", perché ciò sarebbe in contrasto. Di questa storia, come del resto di una serie di iniziative che furono prese durante quelle drammatiche settimane, non essendo io al corrente giorno per giorno specificamente, sono venuto a conoscenza dopo che vi era stata questa segnalazione. Ammesso anche che a volte vi possano essere cose vere ma non verosimili, io sicuramente non credo alla possibilità di acquisire notizie con questo mezzo spiritico. Se ci fosse, invece di costituire una Commissione si potrebbe forse fare un "centralino spiritistico", sarebbe molto più rapido, non avremmo più misteri in Italia e non ne avremmo mai avuti. A questo mezzo non credo, ma non per ragioni confessionali. Detto ciò, pregherei di non insistere su questo aspetto perché altrimenti viene sfruttato - voi lo guarderete poi come vi pare - come un desiderio di disturbare il navigatore o cose del genere. Niente di tutto questo c'era nella mia mente. Ripeto, non mi ricordavo nemmeno, o forse non li avevo neanche saputi, i nomi di quelli che avevano fatto questa "trasmissione coperta".
CORSINI. Ho detto che mi esimo in questa sede dal fare commenti o valutazioni.
Nell'ottobre del 1975 il generale Maletti, che allora era capo del reparto D del Sid, fu improvvisamente trasferito al comando della divisione Granatieri di Sardegna. La decisione fu presa credo dal suo successore, il Ministro della difesa Forlani, con giustificazioni che, nel corso dell'audizione di Johannesburg, il generale ha definito false. Negli anni precedenti vi era stato un duro scontro tra il generale Maletti e il suo superiore diretto, il generale Miceli. Qualcuno che si è occupato di ricostruire questa vicenda avanza l'ipotesi che questo scontro fosse un riflesso di un supposto scontro politico tra lei e Aldo Moro. Altri, invece -forse ne ha avuto sentore anche adesso nella domanda che le è stata rivolta dal collega Manca - rimanda questa divaricazione tra i due ad una conseguenza dei rapporti che il generale Maletti aveva con gli israeliani e il generale Miceli con il mondo arabo. Lei può confermare questo scontro politico tra lei e l'onorevole Moro? Può confermare se quelle divergenze erano riconducibili a questo scontro politico o alle motivazioni internazionali cui prima abbiamo fatto riferimento?
PRESIDENTE. Aggiungo una domanda, anche in base a quanto ci ha detto Maletti: ci è potuta essere sull'allontanamento di Maletti una influenza americana?
ANDREOTTI. Circa il cambiamento di Maletti, io non sono intervenuto anche se ho visto che lui ritiene che io ne sia stato un poco il suggeritore.
PRESIDENTE. Forse che non lo abbia difeso.
ANDREOTTI. Non so da cosa dovessi difenderlo. Per la verità, può darsi che nelle Forze armate per lo sconquasso che si era verificato (l'arresto di un generale di corpo di armata non è un fatto ordinario) ci fosse anche qualcuno cui ciò non era andato giù. Può darsi benissimo, però Maletti non ha avuto nessuna misura negativa assunta nei suoi confronti. Questo poi può essere accertato e mi sembra che avete detto che sentirete anche Forlani. lo non ebbi alcuna occasione di parlare con Forlani di questa storia. Maletti era generale di divisione ed i militari sanno che per poter essere scrutinati (e si ha diritto ad essere scrutinati entro un determinato tempo, perché altrimenti vi sono poi tutta una serie di conseguenze negative anche su terzi) occorre avere avuto il comando di un'unità. In precedenza, ma ciò era stato censurato, nel periodo del generale De Lorenzo, era stato fatto un decreto del Ministro pro tempore, che penso fossi io, della cosiddetta equipollenza. Cioè, la direzione del Servizio era considerata come il comando di un'unità militare. L'equipollenza è prevista dalla legge, non è un sopruso, però creava sempre delle irritazioni.
Allora il generale Maletti, che doveva comandare la divisione, fu mandato a comandare la divisione dei granatieri di Sardegna, che era una delle più prestigiose delle Forze armate; quindi, non era un atto di ostilità.
Quali fossero poi i rapporti interni tra lui e Miceli, io non lo so. Successivamente si è scoperto che tutti e due appartenevano ad una medesima confraternita massonica (erano dei rapporti un po' intermittenti se queste cose sono vere, anche se poi mi sembra che Maletti abbia sostenuto che lui figurava come iscritto ma non partecipava. Peraltro, quasi tutti mi pare che dicano qualcosa del genere, non so se i nomi li prendessero dall'elenco telefonico, comunque questo è un affare loro).
Siccome la domanda che mi ha rivolto è specificamente politica, le rispondo che con Moro non ho mai avuto dissensi, salvo proprio sulla questione Miceli. Moro pensava forse che io dovessi fare di più per togliere il generale Miceli dalle "grinfie" della magistratura, poiché riteneva che fosse stato colpito un uomo buono. Miceli era una brava persona, però a mio avviso in alcune circostanze dimostrò di essere molto sprovveduto; e probabilmente l'errore fu di averlo nominato ad un posto per il quale non era qualificato.
Sui contrasti nei confronti di Moro, anche se poi se ne è voluto porre un accento, devo dire che certamente all'interno di un partito ci sono momenti in cui due posizioni divergono e momenti in cui convergono. Certamente, io appoggiai Moro per bloccare quello che sembrava un cammino troppo rapido verso il centro-sinistra, che era portato avanti da Fanfani; qualche mese dopo, Moro scavalcò Fanfani in questa stessa direzione. Ma direi che sono questioni interne di partito mentre, per il resto, non abbiamo mai avuto dei dissensi. Mi riferisco a quella che si chiama la politica araba, ad esempio, che poi io ritengo sia tanto valida da essere stata adottata nel 1980 a Venezia dalla Comunità europea: la politica di spingere perché ci fosse un accordo, un negoziato intorno ad uno stesso tavolo, tra palestinesi ed israeliani; e d'altra parte di non accettare demonizzazioni nei confronti di nessuno, anche perché gli alleati uno se li sceglie, ma i vicini se li trova; e quando ci sono dei vicini uno deve cercare di avere possibilmente almeno un colloquio e non avere motivi di contrasto, se non strettamente necessari.
Quindi, voler fare un'equazione tra il rapporto politico tra Moro me e il rapporto politico tra Miceli e Maletti è proprio fantapolitica.
PRESIDENTE. Vorrei un chiarimento su questo punto, senatore Andreotti. D'altra parte, non ho fatto domande e i colleghi mi scuseranno se mi intrometto per cercare pure io di dare un contributo all'audizione.
Tutto questo avviene dopo il 1974. Lei, nella scorsa audizione, ci ha spiegato che quando è tornato al Ministero della difesa nel 1974, dato che vi era stata tutta la vicenda di De Lorenzo e i risultati della Commissione Alessi, ha cercato di porre ordine nella materia dei Servizi. E devo dire che, da quello che ci ha detto lei e da quello che ci ha detto anche il generale Maletti, penso di dover correggere un giudizio espresso nella parte finale della mia relazione, quando sottolineo che nell'epoca della guerra fredda, da una parte e dall'altra, i Servizi acquistavano una straordinaria autonomia e che questo fenomeno mi sembrava in Italia più accentuato, quasi con un atteggiamento proprio recessivo della classe politica nei confronti dei Servizi. Penso che effettivamente il giudizio debba essere corretto, distinguendo la fase anteriore al 1974 da quella successiva a tale data.
Per quello che riguarda la fase anteriore, lei, ascoltato dalla Commissione P2, ha detto testualmente: "Una delle cose che ho imparato quando nel 1959 ho cominciato a fare il Ministro della difesa - sotto un aspetto era sbagliata, ma sotto un altro no - è che il Ministro, per avere prestigio, non doveva occuparsi né di servizi segreti né di forniture. Per i servizi segreti forse detti una confidenza eccessiva agli esperti; infatti la seconda volta" - quindi nel 1971 - "me ne sono occupato piuttosto attivamente. Ma per quello che riguarda le forniture non me ne sono occupato".
La mia domanda è: da chi ha imparato che per avere prestigio un Ministro della difesa non si deve occupare né di servizi segreti né di forniture? Chi erano gli esperti che le dettero tale consiglio?
Questo è un giudizio che in parte conferma l'esattezza della mia valutazione per il periodo anteriore al 1974.
ANDREOTTI. Credo di averlo anche accennato l'altra volta: quando inopinatamente mi trovai ad essere Ministro della difesa, il primo o quasi che mi venne a trovare fu l'ex comandante dei carabinieri generale Cerica, che conoscevo poiché era della regione laziale e fu anche nostro senatore. Egli mi disse di non avere preoccupazioni riguardo alla tecnica militare, l'essenziale era che lo non mi occupassi né di Servizi né di forniture. lo apprezzai questa valutazione, di cui lui dava anche una spiegazione. Sulle forniture non c'era necessità, anche se successivamente ho visto che una delle tante maldicenze nei miei confronti è che io avrei fatto dare una fornitura di materassi Permaflex alla Nato...
PRESIDENTE. Di questo lei parla poi nell'audizione.
ANDREOTTI. L'ho letto e tra l'altro non è nemmeno una cosa fantasiosa: è stupida e falsa. Sui Servizi, naturalmente egli mi dava una spiegazione, poiché l'ambito in cui si muovono i Servizi è di estrema riservatezza. Quindi - egli diceva - il Ministro non deve sapere né chi sono gli informatori né che cosa fanno; l'essenziale è che i Servizi possano essere lasciati operare e che le persone siano affidabili. 2 uno dei settori in cui l'elemento fiduciario è estremamente vasto, molto più che in quasi tutte le altre mansioni.
Però, quando sono tornato per la seconda volta, avendo vissuto invece - specialmente tramite la Commissione Alessi - tutte le vicende e le polemiche ed avendo anche appreso, man mano, che spesso le posizioni di antagonismo personale erano micidiali, non solo tra le persone ma tra i rispettivi entourages, sono stato ad occhi più aperti ed ho cominciato a predisporre la riforma dei Servizi. Come ho detto prima, tale riforma fu poi elaborata in seno al Governo, fu presentata al Parlamento, il quale la cambiò totalmente, creando appunto i due Servizi più il coordinamento. A mio avviso, se si dovessero rimettere le mani in tale materia (è augurabile che ciò accada), bisognerebbe tornare indietro per semplificare molto tutta questa struttura.
PRESIDENTE. A me dispiace dover fare questo rilievo, però lei ammetterà che nel 1959 c'era la guerra fredda e che quindi di tutto questo si può dare una lettura diversa. 1 servizi segreti obbedivano ad altra catena di comando, quella atlantica. Sulle forniture poi non si doveva mettere il naso perché le forniture militari possono coprire grosse vicende di finanziamento politico; la faccenda della Lockheed è questa: è la vicenda di un grosso finanziamento politico che nasce da una fornitura materiale militare, di aerei, da parte di una società notoriamente vicina ai Servizi statunitensi. Questa è naturalmente una mia valutazione.
ANDREOTTI. Presidente, secondo me, siccome ho visto che anche Maletti insiste molto su questa posizione di soggiacenza agli americani, devo dire che non ho mai sentito nessuno di loro lamentarsi di questo. Come ho già detto l'altra volta, io sono veramente sorpreso nell'apprendere la deposizione qui dell'ammiraglio Martini, che avrebbe affermato che i servizi segreti stranieri per cinquant'anni potevano fare il comodo loro in Italia. Non capisco allora perché ci fossero i nostri servizi segreti e il contro spionaggio.
Io non credo che il fatto di avere una Alleanza, tra l'altro regolarmente votata dal Parlamento - che quindi obbliga lo Stato come tale -ci mettesse, o addirittura mettesse i Servizi, in una posizione quasi di dipendenza gerarchica, con una sovrapposizione degli americani. Non ho mai considerato che l'Alleanza porti. a questo, cioè ad un declassamento della nostra struttura amministrativa od altro. Certamente vi sono degli obblighi di rapporti, degli obblighi di controlli. L'altro giorno mi sono in un certo senso rallegrato giacché in un atto venuto alla ratifica della Commissione esteri del Senato, che è stato approvato, in materia di strutture difensive Ueo, si parla di nullaosta di segretezza per questa struttura difensiva ed ho visto che nessuno assume una posizione di scandalo rispetto a ciò. Queste sono delle esigenze: tuttavia la subordinazione nel senso di impedire l'esercizio libero e approfondito del proprio lavoro di informazione non credo fosse legittima; se qualcuno la intendeva così è perché aveva una mentalità coloniale.
PRESIDENTE. Le do atto che le cose sarebbero dovute andare come lei dice; le do anche atto che in più occasioni della sua lunga carriera politica lei si è comportato coerentemente con quanto ci sta dicendo, e lo abbiamo anche sottolineato nella scorsa audizione. Tuttavia l'impressione che traggo dall'insieme delle vicende è che non sempre le cose siano andate così. Ritengo che a tal proposito il senatore Manca possa fornirci una testimonianza.
MANCA. Ritengo che forse a livello politico questo non sia accaduto, ma a livello tecnico militare c'era effettivamente una soggezione nei riguardi degli Stati Uniti d'America. Questo credo fino ai primi anni '70. Non so se la svolta sia avvenuta per direttive politiche o per altre ragioni, ritengo anche perché cominciavamo ad avere dimestichezza con alcune tecniche e ad avere qualche mezzo in più, eravamo insomma cresciuti. Comunque fino ai primi anni '70 - per quanto riguarda i Servizi americani e non altri - esisteva effettivamente una soggezione tecnica ed a volta una guida su come si assumono informazioni. Questo posso testimoniarlo per quanto riguarda l'íntellígence esterna; eravamo in apprendistato per quanto riguarda questo aspetto.
D'altronde ciò era anche logico perché come ho detto in altre occasioni gli aerei che avevamo in quel periodo ci erano stati donati da questo grande Stato; le tecniche di addestramento ed altri aspetti ponevano l'organizzazione militare italiana in una posizione di soggezione, di questa natura e non di altra, a livello politico può darsi non vi fosse soggezione, però quando si parlava di tecniche è ovvio che loro avevano molta più esperienza di noi. Il generale Maletti ci ha parlato di uno scontro tra il Capo dei Servizi americani ed il nostro Capo dei Servizi. Lo ritengo possibile perché la soggezione tecnica porta anche ad una soggezione di carattere funzionale.
CORSINI. Senatore Andreotti, sarai molto curioso di conoscere in base a quali considerazioni nel gennaio del 1978 - lei all'epoca era se non sbaglio Presidente del Consiglio - alla guida del Sismi e del Sisde non furono nominati quelli che allora potevano apparire i candidati naturali e cioè il generale Dalla Chiesa e l'ispettore Santillo.
Sarebbe interessante conoscere chi suggerì o impose il nome del generale Santovito, che sarebbe stato poi coinvolto, seppure in modo abbastanza marginale, nelle attività di Edgardo Sogno, nell'estate del 1974, attività sulle quali Edgardo Sogno è tornato recentemente in occasione di alcuni convegni. Vorrei soprattutto conoscere quali sono state le ragioni, ammesso che fossero a sua conoscenza, per le quali Santillo non fu nominato capo dell'Ucigos e alla guida dell'organismo fu invece chiamato un altro funzionario.
ANDREOTTI. Circa le proposte per coprire questi incarichi, per quanto riguarda l'Interno ciò andrebbe chiesto alla struttura degli interni. Non so se Santillo fosse stato proposto da qualcuno; personalmente non ero grato a Santillo perché insieme all'ammiraglio Casardi aveva compiuto un atto non troppo leale nei confronti del Governo, e cioè portare alla Commissione una memoria di critica ad un testo del Governo. Questo non perché essi non potessero esprimere il loro avviso ma perché avrebbero almeno dovuto informare di ciò il Presidente del Consiglio.
PRESIDENTE. A quale memoria si riferisce e a quale Commissione?
ANDREOTTI. Mi riferisco alla stesura del testo di riforma dei Servizi con la creazione di un Servizio unico. L'ammiraglio Casardi ed il dottor Santillo portarono questa memoria unica; non voglio definirlo un atto di sedizione, ma comunque non mi piacque. Ciascuno può esprimere le proprie idee, ma andare a soffiare alle Commissioni che si voleva mettere in piedi uno strumento di potere, chissà con quali macchinazioni, mi sembrò scorretto. Detto questo, non ho mai saputo se Santillo fosse candidato a questa posizione. Dalla Chiesa non fu candidato a dirigere il Servizio né, che io sappia, aveva mai chiesto di fare ciò. Egli fu poi utilizzato in altra maniera; in quel momento si stava occupando molto efficacemente dell'ispettorato delle carceri, svolgendo un lavoro di grande importanza.
La proposta del generale Santovito fu fatta dallo Stato Maggiore, io non lo conoscevo di persona. Quanto alla persona di Sogno, andrei più cauto perché, come ho detto, tutto sommato quello che era stato l'estensore di questo programma (che oggi fa parte di uno degli aspetti di cui si occupa anche la Bicamerale, cioè di questa idea di struttura dello Stato), divenne poi procuratore generale della Corte d'appello di Milano, laddove altri ebbero delle grane; può darsi che Sogno abbia fatto anche altre cose ma non voglio addentrarmi su questo. In ogni caso non vi furono pressioni o imposizioni per quanto riguarda le nomine al Servizi. Anzi per il Cesis vi fu difficoltà a trovare qualcuno. In un primo tempo si era nominato il prefetto Napoletano, che lo conoscevo bene in quanto era stato prefetto a Roma e prima a Latina. Direi che il Cesis era di maggior correlazione con il Presidente del Consiglio; egli tuttavia lasciò, in parte perché i due Servizi non gli riconoscevano un potere effettivo ed anche perché cominciò a star male, tanto è vero che poco dopo morì. Vi fu difficoltà a trovare qualcuno che lo sostituisse. Ricordo che venne interpellato un prefetto e non accettò; venne interpellato un generale dei carabinieri e non accettò. Fu poi proposto dal Ministero il prefetto di Venezia, il quale tra l'altro venne senza grande entusiasmo, forse perché era più prestigioso ricoprire l'incarico di prefetto di Venezia che non quello di direttore del Cesis. Non vi furono però imposizioni da parte di nessuno, né da parte di americani, né di altre nazionalità, né da parte di confraternite.
CORSINI. Vorrei ora venire al caso Moro. Durante quel periodo lei era Presidente del Consiglio. Vorrei anzitutto una sua valutazione: lei ritiene che i nostri servizi segreti abbiano fatto tutto quanto era loro possibile per individuare la prigione di Moro e quindi per salvargli la vita? 0 ritiene plausibile che i due capi dei Servizi, ambedue aderenti alla loggia P2, abbiano tenuto una condotta per qualche verso passiva o addirittura ostativa, tale da facilitare una conclusione tragica, come poi è drammaticamente avvenuto, del sequestro?
Visto che ha pocanzi nominato il prefetto Napoletano, nel corso del sequestro lei forse ricevette comunicazioni scritte da parte del direttore del Cesis, prefetto Napoletano, in cui si denunziava la passività del Sismi e del Sisde? E ammesso che abbia ricevuto tali comunicazioni, ebbe occasione di rispondere?
Quando il prefetto, dopo gli eventi legati al falso comunicato del lago della Duchessa, rassegnò le dimissioni lei accettò senza avere un colloquio chiarificatore? Come mai? E come mai nominò in sostituzione il prefetto Walter Pelosi, il cui nome mi sembra sia poi finito nelle liste di Licio Gelli? Desidererei comunque in prima battuta una valutazione sul ruolo dei Servizi.
ANDREOTTI. Intanto, dobbiamo dire che bisogna guardare nel suo complesso e in tutte le sue articolazioni la pubblica amministrazione civile e militare. Non era certamente un compito esclusivo riservato dei servizi quello di individuare dove era tenuto prigioniero Aldo Moro. A me non risulta, né ebbi alcuna dichiarazione in senso contrario, che non si siano, cioè, impegnati adeguatamente e - ancor meno, mi rifiuto di accettare questa idea - che addirittura fosse una passività voluta per ragioni quali P2 o altra loggia.
Non lo ritengo accettabile: le difficoltà obiettive che ci furono nel rinvenire dove Moro era tenuto prigioniero furono difficoltà vere. Ricordo anche una delle critiche fatte, secondo cui bisognava essere molto più penetranti, per esempio, nella perlustrazione in città. A Roma ci sono alcune migliaia di appartamenti occupati da singoli o da coppie che lavorano entrambi e che durante tutta la giornata sono vuoti. Quindi, non si poteva - credo - sfondare porte. Ritengo che abbiano fatto quello che nel momento era ritenuto possibile. Penso che lo sforzo fosse stato fatto; certamente la volontà di arrivare ad una conclusione positiva era una volontà ed una tensione partecipata da tutti noi, purtroppo non si riuscì in questo.
Inoltre, non ricordo affatto che mi abbia mandato - ma dovrei escluderlo - una lettera Napoletano.
Tra l'altro, ero anche in grande rapporto personale con lui; lo sono tuttora con la sua vedova tramite mia moglie perché - ripeto - era stato prefetto di Latina e ci conoscevamo benissimo, egli lasciò perché era veramente malato: aveva un cancro ed è morto dopo poco tempo.
Per quanto riguarda la nomina di Pelosi, come ho detto prima, dopo che erano stati interpellati un prefetto, segnalato dal Ministero ed il generale Ferrara che non avevano accettato, il Ministero dell'interno ci propose il prefetto di Venezia il quale si lamentò e - da quello che si è visto dopo - alla P2 si sarebbe !scritto dopo.
PRESIDENTE. Senatore Andreotti, scusi la mia intromissione: I vertici del Partito socialista informarono lei ed il Ministro dell'interno dei contatti che avevano con Piperno e Pace, cioè con ambienti di Metropolis e dell'Autonomia con cui cercavano di lanciare la via della trattativa?
ANDREOTTI. No, Presidente. Allora non ho saputo questo: probabilmente se avessero avuto - ritengo almeno - delle possibilità concrete di proporre, questo sarebbe stato portato a conoscenza, come il segretario del Partito socialista certamente mi parlò di alcune iniziative (l'avvocato Guiso, che essendo difensore a Torino si sperava potesse aver qualche contatto; la cosa poi non andò in porto). Però, devo anche dire un fatto sulla linea, chiamata della fermezza, che è la linea del rispetto e non di una legalità astratta. Pensiamo a cosa sarebbe successo se, dinanzi a persone che avevano ucciso carabinieri, guardie di finanza, magistrati, giornalisti, per salvare uno di noi avessimo mollato e accettato di liberare i tredici che loro volevano e di riconoscere il loro status politico.
Questa era una linea su cui ci si trovava con una grande concordia. Ho conservato una dichiarazione di Enrico Berlinguer quando i rapporti, per altri motivi, con il Partito comunista, non erano più gli stessi del 1978. In occasione di una polemica fu resa una dichiarazione di Berlinguer molto ferma a questo riguardo dicendo che nulla è stato trascurato di quello che si poteva fare. Per il resto, l'approvazione della politica seguita dal Governo era fondamentale.
PRESIDENTE. Su questo voglio essere chiaro per quello che può valere una mia valutazione: all'epoca ero completamente fuori dalla politica; ero un modestissimo avvocato di provincia. Da cittadino italiano, ritenevo che la linea della fermezza fosse quella giusta: lo sviluppo della linea della fermezza però sarebbe stato cercare di fare di tutto, di rintracciare la prigione e liberare Moro.
La mia impressione, vivendo adesso nel mondo politico, è che però si attivò allora un conflitto politico, ancora una volta tutto spiegato sulla attualità, per cui, per i fautori della trattativa, la liberazione da parte delle forze di polizia di Moro sarebbe stata una sconfitta politica e quindi potevano non dare le informazioni che potevano servire a rintracciare ed a trovare Moro.
D'altra parte, il partito della fermezza poteva avere la grossa preoccupazione del rischio (che indubbiamente c'era nella liberazione manu militari di Moro) di un esito tragico dell'intera vicenda, perché allora sarebbero stati responsabilizzati della sua morte. Questo poteva portare a quello che la Commissione di indagine sul caso Moro disse: "quello stato quasi di rassegnata attesa che gli eventi giungessero al loro esito naturale".
ANDREOTTI. Signor Presidente, questa credo sia una ricostruzione che rispetto, ma che non corrisponde minimamente al vero: siamo stati in una tensione enorme in quel periodo, sentendo veramente la drammaticità del fatto e nessuno pensava che qualcosa dovesse essere trascurato o faceva delle ipotesi subordinate di che cosa succedesse e di un rischio nel caso di un conflitto a fuoco.
Se noi avessimo saputo dove, certamente sarebbe stato meglio affrontato questo rischio che non lasciare Moro in mano loro. Questo purtroppo non si è mai verificato, né credo che potesse verificarsi.
Se veramente ci fosse stato qualcuno dell'amministrazione che avesse fatto questi ragionamenti sarebbe stato arbitrario ed un folle, anzi direi un mascalzone.
PRESIDENTE. Vorrei precisare che lei non condivide una valutazione che non è mia, ma della Commissione Moro che parlò appunto di questa rassegnazione di questo atteggiamento di inerzia e di impreparazione. Per quanto riguarda l'altro aspetto della vicenda (cioè che il partito della trattativa non desse le informazioni possibili) in fondo sarebbe stato sufficiente pedinare Pace per arrivare a Morucci e pedinare Morucci per arrivare a Moretti. Loro andavano a parlare con Pace; evidentemente sapevano che Pace era un interlocutore possibile, un tramite della trattativa.
ANDREOTTI. Probabilmente, lo avranno fatto in maniera riservata e non informando allora di questa situazione, forse per mantenere un contatto, se questo fosse stato noto, certamente si sarebbe operato il pedinamento.
Seguimmo tutte le strade, anche delle strade indirette e demmo anche il consenso a che da parte di una personalità importante del Vaticano (il segretario di Paolo VI) si potesse tentare anche una possibilità di riscatto. Dispiaceva da un lato mettere un certo numero di miliardi in mano a questi poiché significava non farli utilizzare per cose innocue però, dicemmo che non c'era nessuna difficoltà anche a questo riguardo. Quindi, fu tentato di tutto; parlare di rassegnata inerzia...
PRESIDENTE. ...e da parte della famiglia potrebbe esserci stato per esempio il silenzio su alcune informazioni importanti, perché vi era una atmosfera di sfiducia, il cosiddetto canale di ritorno.
ANDREOTTI. Voglio fare due osservazioni. Siccome qui è stato evocato tra l'altro Cazora, voglio dire che ho appreso che vi era una intercettazione telefonica tra Cazora e Sereno Freato; l'ho notato adesso leggendo gli atti, ma non lo avevo mai saputo. Ebbene, che la famiglia potesse cercare di avere anche dei contatti personali era normale. Comunque, conservo un biglietto molto eloquente che ricorda che proprio la sera del 9 maggio Guerzoni mandò a Evangelisti, che era Sottosegretario, per ringraziare per tutto quello che noi avevamo fatto e pregandolo di ringraziare anche me. Fra l'altro, non so se qui o in altra sede, ho visto che Guerzoni aveva detto che io avrei fatto aggiungere o togliere alcune frasi nella lettera del Papa.
PRESIDENTE. Lo ha detto in questa sede.
ANDREOTTI. Questo appartiene ad una fantasia anche piuttosto fervida. Capisco che Guerzoni era attaccatissimo a Moro e che abbia sofferto la tragedia in maniera direi più che filiale, però non so chi abbia potuto pensare che il Papa mi abbia fatto leggere la lettera prima di mandarla.
PRESIDENTE. Lei avrà notato che, nella mia proposta di relazione, lo esamino le ipotesi ricostruttive di Guerzoni e dico che non ci sono elementi per ritenerle nemmeno altamente probabili.
ANDREOTTI. Noi abbiamo seguito tutto. Si ricorderà che vi era stata anche la possibilità di quell'avvocato svizzero che la famiglia voleva contattare. Noi avevamo dato tutti i consensi perché potesse essere attivata anche quella strada, che poi si dimostrò una pista non valida.
CORSINI. Vorrei ora passare alla questione di Gladio. Alcuni ex gladiatori manifestano atteggiamenti di risentimento nei suoi confronti perché nel novembre del 1990 è stata rivelata l'esistenza della struttura Gladio e qualche mese dopo sono stati resi noti i nomi degli aderenti. Vi è chi afferma che la sua decisione avrebbe irritato anche ambienti statunitensi della Nato. Da parte di taluni si giunge ad ipotizzare che ambienti americani non siano estranei alle accuse che poi sono state sollevate nei suoi confronti. Come giudica queste valutazioni?
ANDREOTTI. Tra le possibili interpretazioni dei fatti spesso la più semplice è quella più vera: la più semplice è quella che, essendo venuta meno la necessità di questa struttura, non solo quello non era un atto di ostilità verso queste persone, ma anzi un atto che a mio avviso avrebbe anche potuto comportare (se non si fossero messi poi a fare delle polemiche strane, di cui tuttora non mi rendo bene conto) un riconoscimento di carattere ufficiale di benemerenza per essersi resi disponibili ad una posizione che comunque poteva essere di rischio in caso di occupazione.
Che questo abbia disturbato ambienti Nato non ne ho mai avuta alcuna sensazione. Ho detto già prima che, come le incontravo prima, ho visto dopo quei fatti sia persone del Governo americano sia autorità della Nato e nessuno ha mai fatto una rimostranza per quella rivelazione. Direi che lo stato d'animo di questa associazione degli ex gladiatori (che si riuniscono e hanno anche fatto dei convegni) veramente non è giusto. R ovvio che poi ho dovuto prendere iniziative quando alcune cose nei servizi non erano andate bene e ho ritenuto di oppormi alla promozione del generale Inzerilli, si era sostenuto quasi che lo avessi "rotto il giocattolo" che loro avevano in mano; quasi con cattiveria in queste riunioni si sosteneva che io agissi per ingraziarmi il Partito comunista. In questi casi si vanno sempre a guardare le cose come se si trattasse del biliardo, in cui non c'è mai la sponda vera, perché si deve fare sempre un certo gioco se si vuole arrivare a fare i punti.
Comunque, ripeto, non ho avuto alcuna sensazione o alcun motivo per riconoscere un reale risentimento americano. Per quanto riguarda il resto, delle mie cose personali, se non è necessario, preferisco non parlare. Siamo solo al quinto anno di processo, non so quanto durerà, ma spero di vivere abbastanza per poterne parlare poi.
CORSINI. Le farò solo un'altra domanda, anche per non approfittare della pazienza sua e dei colleghi, ancora su Gladio. Sempre negli ambienti degli ex gladiatori, vi è chi insinua che lei abbia rivelato l'esistenza di Gladio come una sorta di depistaggio, in modo che venissero attribuite a questa struttura responsabilità che erano invece da ascrivere agli aderenti ai cosiddetti Nuclei per la difesa dello Stato. Lei, da Ministro della difesa o nel corso delle altissime responsabilità che ha avuto, fu posto al corrente o comunque venne a conoscenza di questi Nuclei? Ne ha comunque avuto sentore, in forma ufficiale o ufficiosa? E come si concilia l'esistenza di una struttura con fini eversivi con l'appartenenza dei suoi esponenti e dirigenti al ruoli delle Forze armate dello Stato?
ANDREOTTI. Rispondo con molta chiarezza. L'interpretazione di questi ex gladiatori, non che li si fosse esposti ad bestias, perché ci si rivolgeva al Parlamento e all'opinione pubblica, ma che insomma fosse stato reso noto il loro elenco per coprire altre cose, è del tutto fantasiosa e falsa. Per il resto, non conosco la struttura nascosta di cui lei parla.
CORSINI. Lei non ha mai sentito...?
ANDREOTTI. No.
CORSINI. Non ha mai avuto sentore ... ?
ANDREOTTI. No, che ci fosse una struttura nascosta no, me della struttura Gladio ero al corrente.
CORSINI. Lascio la parola ai colleghi, anche se mi dispiace di non poter continuare a rivolgere domande.
GUALTIERI. Signor Presidente, ho sperato - e spero - che potessimo cogliere con l'audizione del presidente Andreotti questa straordinaria occasione che ci viene offerta di conoscere non tanto i singoli episodi, ma i meccanismi del potere, il modo in cui venivano prese delle decisioni importanti per la Repubblica, e quindi di determinare anche il grado di responsabilità della classe politica e degli uomini che sono stati al Governo. I singoli episodi sono sì importanti, e possono essere ripercorsi, ma l'occasione di avere con noi un uomo che dal 1947 ad oggi ha ricoperto - se non sbaglio - per sei volte l'incarico di sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per otto volte quello di Ministro della difesa, per cinque volte quello di Ministro degli affari esteri, per sette volte quello di Presidente del Consiglio, per due volte quello di Ministro delle finanze, per due volte quello di Ministro per l'industria, per due volte quello del Ministro del bilancio e per una volta quello di Ministro del tesoro, essendo sempre stato oltretutto ai vertici del partito di maggioranza, rappresenta veramente la possibilità di osservare un percorso che, se lo volessimo seguire sui singoli episodi, comporterebbe la necessità di valutare una vita di cinquanta anni di potere. L'occasione dovrebbe essere invece quella di vedere i meccanismi che hanno prodotto la gestione del potere. Le vorrei rivolgere quindi alcune domande, presidente Andreotti.
PRESIDENTE. Devo dire che già questa è una domanda molto interessante, e la ringrazio per averla fatta, senatore Gualtieri.
GUALTIERI. La prima domanda è la seguente. Lei non è mai stato Ministro dell'interno, salvo per un periodo di venti giorni - se non sbaglio - in un Governo credo dell'onorevole Fanfani, che però non ebbe la fiducia.
ANDREOTTI. Esatto.
GUALTIERI. Le posso fare la prima domanda: perché non è mai stato Ministro dell'interno?
ANDREOTTI. Non sono mai stato neppure Ministro dell'agricoltura.
GUALTIERI. Non mi risponda così: il Ministero dell'interno lo metto tra quelli che partecipano ai meccanismi del potere.
ANDREOTTI. E una domanda un po' sui generís.
PRESIDENTE. La domanda di Gualtieri è: non glielo hanno fatto fare o lei ha preferito non farlo?
GUALTIERI. Ci sarei arrivato a questo.
ANDREOTTI. Io ho sempre avuto offerte da parte di chi presiedeva i Governi e, in alcuni casi, per fare il Presidente del Consiglio, dai partiti che dovevano dare gli appoggi. Raramente mi sono trovato a dover scegliere. Una volta ho scelto, veramente, quando, nel 1974, siccome probabilmente ero diventato "pesante" al Ministero della difesa - io anzi gradivo rimanere fuori -, mi costrinsero; c'era stata una specie di abbinata politica l'anno precedente, quando Forlani ed io eravamo stati per così dire congiuntamente messi fuori dal cosiddetto accordo di Palazzo Giustiniani (non pensavo che poi sarei venuto a lavorare a Palazzo Giustiniani): mi posero la questione che se non accettavo di rimanere nel Governo non entrava nemmeno Forlani. Allora accettai e Moro mi fece scegliere tra la Pubblica istruzione e l'Industria. Scelsi. il Ministero dell'industria, perché c'era un non democristiano e mi dispiaceva andare a togliere un democristiano da un Ministero: preferii allora subentrare all'onorevole Lami Starnuti. Un'altra volta non volevo rimanere nel Governo, quando si formò un Gabinetto che mi piaceva un po meno: per solidarietà fui pregato di rimanere.
Per quanto riguarda la domanda più generale che lei fa sui meccanismi di potere, senatore Gualtieri, qui bisogna stare attenti.
GUALTIERI. Cercherò di stare attento.
ANDREOTTI. Per carità, non era assolutamente irriguardosa la mia risposta.
Per esempio, ricordo l'esperienza di Nenni: Nenni per molti anni aveva pensato che la stanza dei bottoni fosse quasi un fatto di elettronica, una stanza dove si potesse entrare; poi ha l'atto il vice presidente del Consiglio ed il Ministro degli esteri e ha visto che il meccanismo che si chiama "del potere" è complesso, non è che esistono competenze di commissario, c'è collegialità in molte cose.
Quindi, non ho particolari rivelazioni da fare, senatore Gualtieri. Del resto, lei l'ha seguita da vicino la politica, non l'ha seguita da lontano.
GUALTIERI. Le dirò perché faccio questa domanda.
ANDREOTTI. Per il Ministero dell'interno non mi è mai stata offerta l'occasione. Non so se non hanno voluto o se non c'è stata occasione.
GUALTIERI. Non era una domanda a trabocchetto. L'ho fatta in considerazione di quanto è avvenuto nel periodo che va dal 1965 al 1975, dieci anni che sono gli anni centrali delle inchieste, delle indagini che stiamo conducendo, la strategia della tensione. Abbiamo due straordinarie sequenze: al Ministero dell'interno, in questi anni, abbiamo soltanto due uomini: Tavianí, Taviani, Taviani, Restivo, Restivo, Restivo, Restivo, Restivo, Restivo e Restivo: alla Difesa nello stesso periodo di dieci anni, abbiamo: Andreotti, Andreotti, Andreotti, Andreotti, Andreotti, Andreotti, Andreotti, Gui, Gui e Gui. Cioè, in dieci anni, questi due Ministeri chiave - perciò ho citato l'interno e non avrei citato l'Agricoltura - praticamente sono stati diretti da due uomini il primo e da due uomini il secondo.
Nello stesso periodo abbiamo una altrettanto importante sequenza per quanto riguarda i capi della Polizia: il Capo della Polizia è stato Vicari con tredici Governi diversi, e soltanto con due Ministri degli interni; Vicari, in quel periodo, è stato, credo per quattordici anni, Capo della Polizia; alla difesa abbiamo sequenze altrettanto alte: Allavena, Henke, Miceli nel Sid, De Lorenzo, Forlenza, Mino nel carabinieri; Ferrara per dieci anni Capo di Stato maggiore dei carabinieri, cioè una delle funzioni chiave.
Insomma, in uno dei periodi più drammatici abbiamo una straordinaria concentrazione di potere in pochissime mani. E allora, la domanda è la seguente. In questo periodo di tensioni, in cui nasceva la strategia della tensione, avevamo uomini di grandissima importanza, di grandissima valenza politica alla vetta dei due Ministeri chiave, con funzionari che sono stati per quattordici anni e per dieci anni di seguito in quelle cariche: una stabilità del potere c'era, insomma. Il partito di maggioranza o le coalizioni come indicavano i due responsabili di questi Ministeri principali? Perché lei sempre alla Difesa e Restivo sempre agli Interni?
Questo è uno dei problemi, ma c'è anche unaltra domanda: ci sono stati altri condizionamenti esterni? Ci siamo capiti su cosa voglio dire? Cera qualche pressione esterna che determinava la scelta dei nostri uomini? Sono sicuro di no, ma ho il dovere di domandarglielo. Infatti, si dice sempre che eravamo subordinati a potenze straniere: ora, se nel dieci anni fondamentali vi è stata quella situazione, ho il dovere di domandarle se lei può dire che vi siano state pressioni per avere questo quadro di comando nei Ministeri chiave della Repubblica.
ANDREOTTI. Dico con molta chiarezza che non mi risultano assolutamente delle pressioni. Cerano posti per cui erano utili le raccomandazioni, ma in questo caso non mi risulta che ve ne siano state; né ci sono state interferenze. E non ci sarebbe stato motivo (parlo di quello che conosco, cioè della mia persona) per avere un'interferenza - tanto per essere chiari, se non ho capito male - da parte degli americani.
GUALTIERI. O anche altri.
ANDREOTTI. Non so chi potrebbero essere "altri". Il fatto di una presenza abbastanza lunga in alcuni Ministeri, a mio avviso, è utile, perché si determina una crescente dimestichezza con l'apparato, conoscenza di uomini, conoscenza dei problemi, che sicuramente è un vantaggio. Perché, se dopo il rodaggio uno finisce e viene alternato, si ha soltanto una serie di rodaggi, non una acquisizione di competenza.
C'è stato un momento, quando si formò il primo governo di centro-sinistra, nel quale avevo chiesto di uscire dal governo; perché ritenevo - e ritengo tuttora - che le coalizioni sono valide se si formano dal basso. Se invece si formano dall'alto verso il basso sono fragili. Ritenevo quindi che bisognava creare le condizioni periferiche di una reciproca conoscenza e di una intesa, non procedere per un atto diciamo pure di verticismo. Sappiamo tutti, ed è stato scritto poi nel libro di SchIesinger "I mille giorni di Kennedy", che in quel momento vi furono riunioni qui a Roma, in casa di Tullia Zevi, con La Malfa, proprio per cercare di spingere.
Io ho anche scritto, che una volta il segretario di Stato Rusk mi disse: "Ma perché lei non è favorevole al centro-sinistra?" - e gli risposi: "Guardi, a parte che queste sono cose interne nostre, mi scusi sa, ma io parlo con lei di politica estera. Comunque, se lei vuol sapere, non è che non sono favorevole perché non desideri che si allarghi l'area di chi consente alla politica atlantica, anzi sono del parere che questo è il nostro sforzo", questo sforzo lo abbiamo sempre proseguito. Però nel momento in cui si formò il Governo di centro-sinistra dissi a Moro che preferivo lasciare perché non mi sentivo politicamente di condividere questa svolta così repentina. Moro invece mi pregò fortemente di rimanere - cosa che poi feci - facendomi osservare che, se si cambiava il Ministro della difesa, poteva sembrare ci fosse un cambiamento di politica estera, un mutamento effettivo.
Che ci siano state pressioni allora o in altri momenti nei miei confronti e nei confronti del Ministero dell'interno lo escluderei, ripeto che probabilmente la ragione di una permanenza così lunga era di cercare di acquisire in Ministeri di particolare delicatezza una conoscenza possibilmente più approfondita con anni di mansione da parte di un titolare che - ripeto - sia per i problemi, sia per le persone aveva un vantaggio in questa ferma a termine più lungo. Per il resto veramente non mi risulta che ci siano state mai delle pressioni o delle indicazioni nominative.
PRESIDENTE. Sì, ma questa continuità - che il senatore Gualtieri ha così efficacemente evidenziata - rende poi più incredibile che di certe cose non ci si rendesse conto. Lei dice, per esempio, che resta sorpreso nel sentir dire dal capo dei Servizi che per cinquantanni i servizi segreti facevano quello che volevano; resta sorpreso che Maletti ci abbia parlato di una sostanziale subordinazione del Servizio italiano a quello americano; qui poi, questa sera, un membro della Commissione, militare, ci ha dato una testimonianza dicendo: "Noi militari in realtà avevamo questo vincolo gerarchico nei confronti dell'Alleanza atlantica".
Il Ministro dell'interno o una forza politica che ha sempre tenuto il Ministero dell'interno, ecco, di un personaggio come Federico Umberto D'Amato cosa ci dice? Noi abbiamo la prova documentale che questi, nellimmediato dopoguerra, era la prova vivente del doppio vincolo di fedeltà, perché era uomo del nostro apparato, uomo dell'apparato dellintelligence americano, ha avuto sempre ruoli di altissima responsabilità.
Il Ministro dell'interno democratico-cristiano poteva non sapere che ex ufficiali delle SS erano agenti dei Servizi italiani?
Secondo me, se poi uno va a vedere la storia, di tutto questo riesce a trovare una spiegazione e in gran parte una giustificazione anche politica, ma il fatto che non venga riconosciuto è qualcosa che francamente mi lascia interdetto. Possibile che in due anni, forse sbagliando, prendendo cantonate, mi è sembrato di leggere tante e tante vicende con tanta chiarezza e poi viene lei, che ha questa importanza - abbiamo oggi un'occasione storica mentre la sentiamo - e abbiamo questo tipo di risposte che trovo francamente deludenti.
Penso che questo sia il senso della domanda del senatore Gualtieri.
ANDREOTTI. Ho già detto che una permanenza piuttosto lunga corrisponde peraltro a tutta quella teoria, che si cerca di rafforzare, di una certa stabilità. In generale anche dei Governi si dice che sarebbe l'ideale averli per tutta una legislatura.
Cos'è il vincolo gerarchico? Perché poi uno dice: "Ma come non si è accorto?". A parte che su alcune di queste affermazioni che sono state fatte dai responsabili dei Servizi, o di primo piano o di secondo livello, faccio tutte le mie riserve perché sono anche ricostruzioni che, secondo me, sono fatte ora e non sono state fatte allora.
Ritengo che se, per esempio, ci fosse stata una constatazione rispetto a uno straripare dei Servizi esteri, un invadere campi che non dovevano essere occupati, avremmo adottato delle misure. Nessuno di questi ha mai detto una parola di questo genere, quindi questa specie di maddalenismo dei pensionati mi dà notevole perplessità.
E chiaro che quando si è in un'alleanza c'è un rapporto gerarchico, però anche l'opposizione di allora ha avuto una possibilità, fra l'altro, di conoscere tutto. Io stesso rimasi un po' colpito del fatto che, per esempio, due dei capi dei Servizi finissero come parlamentari di un partito di opposizione. Vorrei che non si dimenticasse che la persona che degli italiani aveva avuto il massimo grado militare nella struttura Nato, il generale Pasti, finì indipendente di sinistra al Parlamento. Quindi, se ci fossero state delle cose veramente così terrificanti o di una soggezione tale, perché non l'ha detto? Personalmente sono rimasto sempre in rapporti di grande cordialità e non l'ho mai sentito lamentare né prima né dopo questa specie di vincolo.
E chiaro che una subordinazione organica esiste. Quando c'è un'alleanza è chiaro che c'è una struttura, ma parlare di una subordinazione...
Mi rifiuto di credere e mi rifiuto di accettare la tesi che, non qui, ma qualcuno qualche volta nella letteratura porta, e cioè che dato che gli altri avevano una dipendenza da una parte vi deve essere una dipendenza anche dall'altra. Ma nemmeno per sogno; è un modo di ricostruire la storia d'Italia molto parziale e secondo me non accettabile.
Né credo di essere stato a occhi chiusi quando ho fatto il Ministro.
GUALTIERI. Proprio per questo le ho fatto quella domanda. So che lei, senatore Andreotti non è mai stato a occhi chiusi, quindi le pongo tali domande proprio perché penso realmente questo.
Quando però - lei ha già in parte risposto - il generale Maletti ci viene a dire della - lo dico tra virgolette - "totale subordinazione" del nostro Servizio militare alla Cia, le chiedo se negli anni in cui ha avuto la responsabilità di dirigere il settore che aveva a carico il Servizio si è mai accorto che il nostro Servizio ubbidisse a uno Stato estero piuttosto che al Governo italiano, perché questo è ciò che ci è venuto a riferire anche l'ammiraglio Martini.
Lei ha detto: "Sono maddalenismi da pensionati", però questo fatto è penetrato nella nostra storia come una specie di cosa di cui non abbiamo mai avuto il controllo. Mi permetto di dirlo prendendo una frase della relazione del presidente Pellegrino: "La responsabilità della sicurezza è stata costantemente delegata dal potere politico al vertice dei Servizi".
Nelle posizioni di vertice che ha avuto, ha mai delegato la sicurezza ad altri che non a se stesso, o al settore che rappresentava?
ANDREOTTI. No.
GUALTIERI. Dobbiamo chiarire questo fatto: o c'è stata una delega o c'è stato un tradimento. Dobbiamo arrivare a rompere questo nodo. Lei ha avuto il sospetto che i nostri Servizi siano sempre stati totalmente subordinati (non so, gli israeliani, i francesi, i tedeschi, chiamiamoli come vogliamo) ad altri che non erano il Governo italiano?
ANDREOTTI. Io non sono assolutamente convinto di questo, che cioè vi fosse questa subordinazione di cui adesso si cerca di dare un'immagine. E ovvio che vi erano relazioni e rapporti, come è chiaro che vi fossero, per quel che ho prima accennato. I nulla osta di segretezza erano delegati ad un Servizio, alcune volte quello militare, altre il Cesis. Dovevano effettuare questi approfondimenti secondo le regole Nato; ma non che vi fosse una subordinazione. Guardiamo poi l'oggetto politico. L'aspetto politico che abbiamo avuto in linee importanti indica anche posizioni diverse. Quando abbiamo ricevuto in Italia Arafat, sempre ripeto in una posizione che non era affatto anti-israeliana ma che era dettata dalla convinzione che ho tuttora che senza una ricerca faticosa di convivenza non si risolve il problema nell'area del medio oriente, noi abbiamo seguito una politica che non era affatto partecipata dagli americani. Vorrei ricordare che quando il Consiglio nazionale palestinese decise ad Algeri di iniziare la revisione dell'articolo del loro statuto che demonizza Israele e non ne riconosce l'esistenza, Arafat per andare ad esporre tale posizione alle Nazioni Unite, non avendo egli il visto di ingresso negli Stati Uniti, dovette far spostare queste ultime a Ginevra per ascoltarlo. Dico questo per affermare che non esiste questa subordinazione politica. Certamente, è chiaro che vi era una convergenza in molti dei problemi e nella politica di sicurezza, nonché in quella di Difesa, ma ciò era il fondamento della scelta del popolo italiano nella sua maggioranza e con grande soddisfazione. Del resto non si sarebbe fatto il Governo di solidarietà nazionale se non ci fosse stato l'impegno chiaro che su tale problema della Nato e sul problema della Comunità europea vi fossero delle riserve. Tanto è vero che l'anno successivo - novembre 1977 - fu votato il famoso ordine del giorno del Parlamento nel quale si riconosce che il Patto atlantico e la Comunità europea sono punti di riferimento fondamentali della politica estera italiana. Quindi, io ritengo che noi non siamo mai stati in un certo senso vassalli di nessuno, forse non saremo stati neanche feudatari perché non rientra nemmeno nel nostro costume.
PRESIDENTE, Quindi nemmeno quell'aspro contrasto, che pur risulta dal memoriale Moro e da quello che ci ha detto Guerzoni, tra l'onorevole Moro e il Governo statunitense sull'apertura che poi portava alla solidarietà nazionale sarebbe vero? E un fatto enfatizzato?
ANDREOTTI. Io ritengo che fosse molto enfatizzato. Tra l'altro c'è anche una testimonianza orale - ma quelle orali contano poco - confermata agli atti di quella che è sempre stata l'interprete tra Aldo Moro e Kissinger.
Si parla spesso di questa incomprensione; certamente la mentalità delle due persone era molto diversa, anche il modo di esprimersi era estremamente diverso. Per quanto riguarda l'atteggiamento degli Stati Uniti, ho prima ricordato una fase nella quale questi si sono intromessi in un fatto che non li riguardava, a mio avviso. Qualche anno fa è venuto in Italia Schlesinger a presentare un libro insieme a me e io, ricordando quei giorni, gli ho detto che se lui si fosse fatto i fatti suoi - mi scuso per l'espressione - sarebbe stato molto più giusto; perché non capisco la ragione per la quale l'Amministrazione Usa doveva avere ingerenze in quell'avvenimento. Senza dubbio c'era una sensibilità particolare nei confronti dei comunisti. Quando nel 1975 - io pur essendo Ministro mi continuavo ad occupare del Gruppo italiano dell'Unione interparlamentare - facemmo una visita negli Stati Uniti, nella fase preparatoria, si espresse un non gradimento; allora era piuttosto raro che un comunista andasse negli Stati Uniti. Noi dicemmo allora che se loro non volevano i comunisti avremmo annullato la visita; del resto, la stessa cosa, se pur non sotto la mia presidenza, ma sotto quella di Vedovato, aveva fatto l'Unione interparlamentare nei confronti dell'Unione Sovietica, che non voleva i rappresentanti del Movimento sociale: se non volevano un rappresentante legittimo del Parlamento italiano, non si faceva la visita, punto e basta. Poi trovammo un accomodamento e andammo tutti, ricevendo ottime accoglienze. Oltretutto la visita fu anche molto interessante perché, una volta rimosso l'ostacolo iniziale, ci mostrarono anche le cose più riservate, ad esempio, il comando integrato canadese-americano a Colorado Springs, senza assolutamente alcuna riservatezza. Secondo me molto abilmente facevano vedere le loro attrezzature per dimostrare che erano un paese molto forte ed organizzato. Non vi era dubbio che vi fosse un orientamento contrario ai comunisti. Non parlo degli anni iniziali, degli anni Mc Carty, ma di fasi più recenti.
C'è stata una certa difficoltà, ad esempio, nel credere alla nostra fiducia di acquisire anche i comunisti alla Nato. Lo stesso Kissinger, parlando con me, pensava che questa sicurezza che avevo dell'evoluzione della situazione italiana verso un ampliamento di convergenza nei confronti dell'alleanza fosse ottimistica. Non mi è però mai veramente giunta un'informazione vera circa questa specie di contrasto o contrapposizione così dura, nei confronti di Moro. Ripeto, è viva e vitale quella che è stata l'interprete di tutti questi colloqui; anche se è soggetta al dovere di riservatezza degli interpreti lei si è stupita spesso quando ha letto di questi scontri che ci sarebbero stati nel corso dei colloqui. Lo testimoniò in Commissione parlamentare di inchiesta.
PRESIDENTE. Invece Guerzoni a noi ha detto che Moro ne uscì turbatissimo da pensare addirittura di abbandonare la politica, vado un po' a memoria.
ANDREOTTI. Io debbo però parlare di quello che so. Abbiamo parlato moltissime volte con Moro di questi argomenti, perché la politica non era gestita come un fatto personale dall'uno o dall'altro. Io non ho mai avuto la sensazione di ciò. Ora, che qualche volta gli americani od altri non capissero bene la politica italiana non mi meraviglia, perché anch'io alcune volte non la capisco; bisognava spiegargliela con grande pazienza e sulle linee di carattere generale.
GUALTIERI. Senatore Andreotti, le rivolgo solo due domande per concludere. Nel decennio che ho ricordato prima, quando lei ha ricoperto questi incarichi continuativi ai Ministeri della difesa e dell'interno, è nata quella che viene chiamata la strategia della tensione, cioè una politica - viene detto - realizzata da poteri più forti di quelli ufficiali e diversa da quella seguita dichiaratamente dal Governo. In termini più precisi, lei, nella sua responsabilità primaria, si è accorto che sotto, o sopra, o accanto al primo Stato ce ne era un secondo che aveva altri input e che obbediva ad altre logiche? Si può leggere la storia degli anni settanta come il prodotto di due governi non coincidenti, uno sottostante e uno soprastante? Siccome so che lei è a conoscenza dei meccanismi del potere, se così posso dire, e poiché è nata una strategia della tensione proprio nel decennio in cui lei era stabilmente insediato nei posti di comando, che giudizio dava di questo? Era la politica di un Governo oppure il Governo veniva "cortocircuitato" da un'altra politica?
Le rivolgo poi la seconda domanda, così concludo. Quando c'è stato il colpo di freno al primo centro-sinistra, il piano Solo, eccetera (e lei era Ministro della difesa, all'interno c'era Taviani e la polizia era comandata da Vicari), lasciando stare come sono stati utilizzati i Presidenti della Repubblica e i relativi stati di salute, si, è trattato di un'operazione che ha avuto successo, non al contrario.
Il freno al centro-sinistra c'è stato e i partiti che allora dominavano il Parlamento si sono dovuti inginocchiare ed hanno dovuto accettare una pressione per cui hanno dovuto cambiare politica. Quello del 1964 èun golpe riuscito, non fallito; affermare che il piano Solo non ha avuto successo non è vero, perché ha avuto successo. Però, il Governo è rimasto tale, lei è rimasto alla difesa, Taviani è rimasto all'interno e il Capo della polizia è rimasto lo stesso. Allora io domando: questa strategia - il freno del centro-sinistra, l'avvio della strategia della tensione - era una politica che nasceva dal Governo o scaturiva da un piano sottostante?
Io non rivolgo questa domanda a personaggi che magari ci vengono a raccontare storie, lo domando a lei che - sono convinto - è la persona più in grado di rispondere. La offenderei se pensassi diversamente. Io ho la più profonda stima nel fatto che lei ha sempre gestito il potere vero, come si deve. Se però non riusciamo a capire perché proprio in questo periodo in cui lei era insediato in queste posizioni nascevano queste vicende, è inutile che ci soffermiamo sui singoli episodi.
Il problema di fondo è questo: perché sono partite le strategie della tensione e non le abbiamo interrotte per dieci o quindici anni? Perché hanno avuto successo operazioni di ostacolo di politiche nazionali, come la caduta del primo centro-sinistra? Perché ci siamo dovuti piegare ad altre cose?
Questa è l'ultima domanda che le rivolgo, senatore Andreotti.
PRESIDENTE. E di cui il presidente di questa Commissione la ringrazia.
ANDREOTTI. A me pare che si possa inquadrare così il problema. Certamente, proprio per la ragione cui prima ho accennato, cioè per il modo piuttosto brusco con cui era nato il centro-sinistra, anche all'interno delle forze politiche ci fu un cambiamento, anche con quella dizione che a mio avviso era infelice del centro-sinistra pulito o non pulito, a seconda della partecipazione o del semplice appoggio del partito socialista (questa era la dizione di quel momento). L'effetto pratico di questa politica certamente creò delle controindicazioni, che in parte si sarebbero forse ugualmente verificate, ma ci fu un certo freno nello sviluppo di carattere economico, ci fu una considerazione anche qui del passaggio piuttosto repentino da un certo modo di vedere la politica ad un altro modo di vedere la politica. Questo riguardò tutte le forze politiche, anche la sua. Lei ricorderà le lotte epiche all'interno del suo partito; tra l'altro io abitavo al piano superiore alla direzione del suo partito e Pacciardi e La Malfa si rincorrevano persino nelle scale. C'era una tensione che permeava un po' tutti.
Però, si può dire che ci fosse questa teoria, poi attuata, con una spinta di carattere esterno, o comunque di carattere interno organico, che producesse la strategia della tensione? A mio avviso, si deve considerare cosa c'è stato di reale. C'era un gruppo di persone che, ritenendo probabilmente di salvare chissà, non più l'impero, ma la Repubblica di allora, attuavano determinate strategie; e sono poi le persone che ritroviamo in molte di queste vicende, come Stefano Delle Chiaie. Ma, a mio avviso, tali strategie non erano mai effettivamente collegate con forze politiche rappresentate in Parlamento. Erano delle persone che ritenevano forse, anzi senz'altro, che il sistema fosse sbagliato e che la democrazia fosse un'illusione, o comunque fosse un qualcosa che non rispondeva né a sentimenti nazionali, né a interessi patriottici, né a possibilità di uno sviluppo della nostra nazione. Sappiamo del resto che alcune persone singole dei Servizi sono state poi coinvolte e si sono trovate a partecipare come tali in attività di questo genere.
Ma può dirsi addirittura che c'è stato un golpe del 1964? No, senatore Gualtieri, mi permetta, non ci credo. Che nel 1964 ci fosse una grande confusione, proprio per questo impatto...
GUALTIERI. Ho parlato di un fatto che ha avuto successo.
ANDREOTTI. No, mi pareva che lei avesse usato quell'espressione.
PRESIDENTE. Diciamo che la torsione della vicenda politica si è realizzata.
GUALTIERI. No, ripeto, ho parlato di un'operazione che ha avuto successo.
ANDREOTTI. A me era sembrato diversamente, forse ero distratto. Comunque, la situazione era differente. Nel 1964 si è verificata la coincidenza di uno stato di grande tensione e di grande preoccupazione, a mio avviso esagerata, anche ai vertici di carattere politico, che ha fatto una leva notevole nelle condizioni di salute del Presidente della Repubblica. Questi aveva un'enorme fiducia nel generale De Lorenzo, rispetto al quale l'altro giorno lo ho detto che, secondo me, storicamente si rivedrà la posizione: non credo sia un uomo da doversi lapidare. Probabilmente è stato un errore tranquillizzare il Presidente dicendo: "ci pensiamo noi"; anche gli uomini politici, tra l'altro all'insaputa di Taviani, ministro dell'interno, e mia, fecero quella famosa riunione che poi saltò fuori, per cui naturalmente bisognava studiare le possibili evoluzioni o involuzioni.
Era un nervosismo che non aveva fondamento. Il Capo dello Stato telefonò anche al Capo di Stato Maggiore chiedendogli se l'Esercito fosse calmo. Gli fu risposto di sì, che non c'era motivo per cui non dovesse essere calmo.
ANDREOTTI. Secondo me il piano Solo fu una esagerazione di questa specie di mandato a essere la riserva della sicurezza della Repubblica che il generale De Lorenzo aveva assunto.
SARACENI. Quindi un eccesso di zelo?
ANDREOTTI. A mio avviso sì, un eccesso di zelo ed una sopravvalutazione di un pericolo che veramente non c'era; questa è la mia opinione, io ci vivevo dentro; non condividevo queste involuzioni, tanto è vero che dopo non successe niente.
Le due cose sono esistite. Del resto quando vi furono gli estremi in anni precedenti per rendere fuori legge una di queste strutture che iniziava, Ordine nuovo, l'applicazione della legge che la consentiva era stata fatta dal Governo. Tuttavia, e non per sottovalutare, storicamente ritengo - quello che poi si legge negli atti, quel modo di convocare alcuni e non altri, comandanti e non comandanti - di ipotizzare un momento che tutti hanno sopravvalutato. In un recentissimo libro di Caprara ho letto che i comunisti temevano continuamente, anche in anni precedenti, che vi fosse questo golpe, tant'è vero che avevano conquistato il "governo politico" dell'Aeroclub di Roma.
PRESIDENTE. Avevano anche degli appartamenti riservati qui a Roma, fa parte di una storia nota.
ANDREOTTI. La vicenda degli appartamenti riservati era nota, ma che avessero fatto in modo di avere sempre un aereo pronto all'aeroporto dell'Urbe, per poter "esfiltrare" in caso di golpe, per poter far andare Togliatti al sicuro, non voglio dire che fosse una sopravvalutazione, perché non lo abbiamo mai pensato, ma a mio avviso la differenza su l'Italia e la Grecia è stata proprio questa; e questa storia va ricostruita.
PRESIDENTE. Le voglio fare un esempio che i colleghi avvocati Saraceni e Cirami apprezzeranno. Se si va nello studio di un avvocato o nello studio di un magistrato e si consulta l'Enciclopedia del diritto di Giuffrè, sotto "Dir", si trova la voce Diritto civile. Questa è stata scritta da uno dei maggiori giuristi italiani del secolo, un liberale, un democratico. Ebbene le ultime cinquanta righe di quella voce rappresentano un grido di allarme ed io le ho volute riportare per questo nella proposta di relazione. Nell'atmosfera del 1964 e del centro-sinistra addirittura Rosario Nicolò preconizzava "la fine del diritto civile ... splendida creazione dell'intelletto e dell'attività umana" ed insieme "la fine sul piano etico e sociale di valori ancora più sostanziali che investono la stessa dignità dell'uomo, come essere libero e dei quali il diritto civile costituisce la forma giuridica". Se un giurista nutre una tale preoccupazione non ha altre armi se non quella di impugnare la penna e scrivere una voce dell'Enciclopedia del diritto. La domanda è: cosa fa un generale, cosa fa un uomo degli apparati di sicurezza se nutre lo stesso tipo di preoccupazione? Ecco perché tutto questo non fa parte di una storiografia fantasiosa o enfatizzata. Che poi tutte queste paure fossero irreali ci è dimostrato dalla storia perché alla fine la democrazia ha tenuto. Ed è merito delle classi politiche dell'epoca se queste tentazioni sono restate tali; la tensione però è nata da questo, da tensioni reali che c'erano nella società. Se un giurista scrive, un generale, un colonnello, Federico Umberto D'Amato, avranno fatto una serie di altre cose. lo sto parlando del mio Maestro, giacché ero assistente di Nicolò quando scriveva quella voce dell'Enciclopedia del diritto ed era un uomo che conosceva il mondo, era un grande avvocato.
ANDREOTTI. Non solo il potere politico ma anche le Forze armate come tali sono state immuni. Ritengo che se ad un certo momento a qualcuno fosse venuto in mente sul serio di applicare il piano Solo non avrebbe avuto la partecipazione neppure dell'Arma dei carabinieri. E mia opinione perché le Forze armate come tali non hanno mai condiviso questo; è storia, che ognuno può ricostruire. E chiaro che la svolta politica del centro-sinistra era stata una svolta importante, ho ricordato anche altre volte che al primo Consiglio Nato il ministro del bilancio Giolitti non potè partecipare perché non aveva il visto Nato.
SARACENI. Nenni lo sentì il rumore di sciabole o se lo inventò?
ANDREOTTI. Sono grato a Nenni perché, come ho detto la volta scorsa, nel suo diario, che è pubblicato, ha chiarito che De Lorenzo fu nominato Capo di Stato Maggiore non perché fosse il mio candidato, giacché il mio candidato era un altro, ma per i suoi precedenti partigiani.
SARACENI. Anche Sogno è stato partigiano.
ANDREOTTI. Comunque devo dire che non ho sentito un tintinnare di sciabole. Devo dire che vivendoci dentro avrei sentito più facilmente se vi fosse stato e questo lo dico da un punto di vista storico; anzi adesso potrei quasi dire che se uno riconosce che proprio i politici non hanno dato seguito a questo potrebbe anche essere un giudizio comodo, ma non sarebbe giusto.
PALOMBO. Perché non ci si viene a dire dove erano dislocati i reparti operativi dell'Arma in quel periodo, in quella fase, dove stavano facendo i campi. Risulta che erano disseminati in tutta Italia e non avevano la possibilità di arrivare a Roma in 24 ore perché non c'erano neppure i mezzi di trasporto. In quella fase la 121 brigata era comandata dal generale Lorentelli ed aveva 13 battaglioni che erano dislocati in tutta Italia. Proprio in quella fase tre battaglioni si trovavano a Foce di Reno per esercitazioni a fuoco e non c'erano, per portarli, mezzi ferroviari o altro. Se si vuole organizzare un colpo di Stato si deve andare sulla Capitale e nelle città più importanti, insomma far accentrare i mezzi corazzati in quelle zone.
ANDREOTTI. Ritengo comunque di aver risposto, nel senso che credo che chiunque ha preso o ritenuto di prendere delle iniziative di questo carattere eversivo - se fosse in buona fede o no lo vedrà il Signore nell'altro mondo - certamente ha camminato fuori di quella che era una linea partecipata dal potere politico, dal Parlamento e devo dire dalle Forze armate come tali.
CO'. Senatore Andreotti, vorrei partire con una domanda su Gladio. Lei all'epoca fece una relazione al Parlamento che è stata smentita almeno su tre punti. Il primo riguarda il numero dei gladiatori; il secondo l'assenza, che lei dichiarò in questa relazione, di appartenenti all'estrema destra; il terzo è che lei omise di dire che la struttura era stata sostanzialmente disattivata nel 1972. Oggi lei è in grado di dirci sulla base di quali indicazioni e da parte di chi riferì queste inesattezze? Oggi può dirci i nomi dei responsabili di queste errate informazioni sulla base delle quali lei ha riferito in Parlamento?
ANDREOTTI. Rispondo senz'altro, ma credo che bisogna prendere atto che almeno due di queste cose non sono state invece smentite: per quello che riguarda il numero, ho detto prima che noi facemmo una riunione con il capo del servizio e con il capo della struttura (il capo del servizio era l'ammiraglio Martini, il capo della struttura era il - forse ancora - colonnello Inzerilli). Chiedemmo in maniera assoluta di darci per iscritto l'elenco e demmo incarico al comandante dei carabinieri e al Capo della polizia di verificare se in questo elenco vi fossero persone che avessero avuto delle controindicazioni di carattere politico. Il numero che, fino a prova contraria, devo ritenere effettivo è quello che mi hanno dato. E vero che sarebbe emerso (mi sembra che anche in questa commissione siano state riferite delle distribuzioni di archivi) ma, fino a prova contraria, debbo ritenere che il numero che fu dato e trasmesso al Parlamento fosse quello effettivo. Non ho elementi per poter dire di no: discutere se il numero fosse eccessivo o limitato non so. Naturalmente, l'unico modo che un ministro ha per poter riferire al Parlamento è quello di dire alla struttura: vi obbligo a dire tutto. Tanto è vero che, ho detto prima, cosa che non mi è capitata quasi mai di dover dire, dissi: guardate che se mi dite delle cose che non corrispondono vi potete considerare dimissionari. I numeri che ho dato erano questi, per dimostrare che quel numero non è vero bisogna documentarlo in qualche modo.
La verifica, fatta nello spazio di tre o quattro giorni da parte del comandante dell'Arma e del Capo della polizia, portò a dire che nessuno di questi elementi avesse delle controindicazioni.
Da che cosa venne fuori l'ipotesi che invece fossero stati di più? Dal fatto che il servizio dopo che erano state scrutinate un numero di proposte molto ampie, selezionate. Del resto, devo credere alle persone in via di principio.
PRESIDENTE. Gli ultimi risultati della indagine della procura romana li ha visti?
ANDREOTTI. No. Quali sarebbero?
PRESIDENTE. L'ultimo documento che abbiamo ricevuto noi.
ANDREOTTI. Non ho avuto dei documenti, ma so che i responsabili sostenevano che vi era una rigorosa selezione; quindi, quando venivano proposti dei nomi, un certo numero ne venivano scartati proprio perché avevano delle ombre di politicizzazione. Con questo non voglio dire che fossero ombre di per sé negative. Ci fu poi un equivoco sulla data di chiusura effettiva della struttura invece che dello smantellamento delle basi: in un primo tempo il 1972, quando furono smantellate le basi, fu indicato come data di cessazione della struttura, mentre si trattava appunto dello smantellamento delle basi. La struttura, infatti, è stata sciolta successivamente.
Questi sono i dati. Dei dati di cui parla il presidente Pellegrino della Procura di Roma, non conosco alcunché.
PRESIDENTE. Non vorrei dire una inesattezza, ma sono state avanzate imputazioni di falso.
Ad essere benevoli, l'impressione che si ha nel leggere tutte quelle carte è che non sapessero bene quanti fossero e che facessero un po' di confusione fra i vari elenchi, cercando di ricostruirli; ad essere malevoli l'ipotesi diventa un'altra; è quella avanzata dalla magistratura inquirente.
ANDREOTTI. Non posso ragionare per ipotesi: l'unico strumento che avevo per poter riferire in Parlamento era quello di accertarlo presso gli organi competenti.
PRESIDENTE. Sì, senatore Andreotti, questo risulta. Non è qualcosa che riguarda la politica.
ANDREOTTI. Nel caso in cui vi siano elementi diversi che via via emergono, allora è giusto prendere le misure necessarie nei confronti di chi ha dato dei dati falsi e spiegarne anche il motivo.
CO'. Nominativamente, chi le diede questi dati?
ANDREOTTI. Mi furono dati dall'ammiraglio Martini e dal generale Inzerilli. Probabilmente, lo stesso ammiraglio Martini agiva sulla fede di quanto detto da Inzerilli, il capo di questa struttura, che ho visto che di tanto in tanto ha espresso nei miei confronti apprezzamenti non positivi, ai quali sopravvivo.
CO'. Parliamo della strategia della tensione...
GUALTIERI. Leggere il libro di Inzerilli è la più grande punizione che un uomo possa infliggersi.
ANDREOTTI. Infatti non mi sono autoinflitto questo.
CO'. Senatore Andreotti, lei fu invitato nel novembre del 1961 al convegno della Lega della Libertà che si è svolto a Roma.
ANDREOTTI. Cos'è?
CO'. Risulta che lei fu invitato a quel convegno, ma non vi partecipò. Tra gli organizzatori del convegno spiccano i nomi di Randolfo Pacciardi, Ivan Matteo Lombardo e Susan Laben o Labin. Che cosa ci può dire di questi ultimi due personaggi?
ANDREOTTI. Non ricordo l'esistenza di questa Lega della libertà. Non so se sono stato invitato, certamente non sono andato altrimenti me lo sarei ricordato, ma non so bene di cosa si tratti. Posso eventualmente guardare nelle mie carte.
Per quanto riguarda Randolfo Pacciardi sappiamo tutti quale sia la sua personalità, è stato Ministro della difesa e lo conosco bene.
Per quanto riguarda Ivan Matteo Lombardo, egli è stato Ministro ed ha rappresentato uno dei personaggi di un certo spicco del Partito socialista.
Per quanto riguarda l'ultima, di cui non ricordo il nome...
CO'. Si chiama Susan Laben, è una scrittrice.
ANDREOTTI. No, è un nome nuovo, non l'ho mai sentita nominare.
CO'. Tornato al Ministero della difesa nel 1974, ebbe occasione di sapere qualcosa sullo scioglimento del comando designato della terza armata? E, in particolare, che cosa sa della morte in rapida successione dei due generali comandanti, Ciglieri e Rubino?
ANDREOTTI. Sullo scioglimento della terza armata non so.
CO'. Nel 1974.
ANDREOTTI. Del generale Ciglieri, ricordo bene che era noto perché era un generale che si era reso molto popolare anche per l'intervento molto tempestivo e rapido, in occasione del Vajont, del suo corpo d'armata; tanto è vero che era uno di quelli che avevo proposto come capo di Stato Maggiore, di cui ho detto prima a proposito della nota del diario di Nenni. Del generale Rubino, non mi ricordo veramente chi fosse.
PRESIDENTE. Senatore Cò, potrebbe spiegare ulteriormente, altrimenti diventerà incomprensibile anche il verbale, il problema della terza armata? Se ben ricordo, mi sembra si trattasse di un comando di cui mancava l'armata. E così, senatore Cò?
CO'. Esatto. Mi pare che sostanzialmente si trattava di una specie di comando fantasma e che in realtà non esistesse.
PRESIDENTE. Non si capisce bene in realtà chi fossero gli armati che dipendevano dal comando della terza armata.
ANDREOTTI. Io ricordo il IV ed il V Corpo, che erano a Vittorio Veneto e a Bolzano...
PRESIDENTE. Per essere chiari fino in fondo, l'ipotesi è che questo comando della terza armata fosse in realtà il vertice militare di strutture clandestine non ufficiali, che si sarebbero potute attivare nella logica di Gladio... Il fatto certo è che vi era un Coniando d'armata e che l'armata non c'era.
CIRAMI. Quanto lei dice fa parte delle illazioni.
PRESIDENTE. Ho detto che è un'ipotesi. In realtà le ipotesi sono due: o esisteva, oppure era un modo per dare dei gradi cui non corrispondeva una realtà operativa.
FRAGALA. Sa quanti sono i presidenti di Corte di Cassazione e quante sono le sedi, signor Presidente?
PRESIDENTE. Questo è un altro argomento.
ANDREOTTI. Non ho notizie mie, salvo per la morte di Ciglieri, che mi colpì molto, perché morì in un incidente automobilistico tornando a casa una sera. Di questa storia della terza armata posso però informarmi, e voi meglio di me. Ricordo il III, il IV ed il V Corpo d'armata perché erano operativi.
CO'. Cambiando argomento, nel memoriale rinvenuto in Montenevoso l'onorevole Aldo Moro fa ripetutamente cenno al ruolo dei servizi segreti americani, tedeschi e greci nella strategia della tensione. Lei ritiene quella indicazione esatta e ha degli elementi da fornirci su questa interpretazione?
ANDREOTTI. Personalmente non ho alcun elemento per poter dire che vi sia stato un ruolo dei servizi stranieri, né di quelli nominati, né di altri, nella strategia della tensione.
PRESIDENTE. Oggi a tanta distanza di anni vogliamo capire se Moro scrive quelle cose perché tutto sommato la condizione psicologica era di un certo tipo, e quindi scrive delle cose non vere, o invece perché erano i giudizi che un uomo politico faceva, sia pure in una situazione estremamente difficile, di una storia che aveva immediatamente alle spalle e che aveva vissuto. Vorrei che lei si mettesse un po' dal nostro punto di vista: vengono gli uomini dei servizi e ci dicono certe cose, si trovano i documenti e ci vengono dette certe cose, si trova il memoriale di Moro che ci dice una serie di cose che si inquadrano perfettamente in questo quadro ricostruttivo della vita nazionale. Sulla base di quali elementi dovremmo dire che poi questa non è la verità? Si metta nei miei panni: fino a che non sono stato Presidente di questa Commissione di queste cose non sapevo nulla; poi ho studiato, ho guardato tutte le carte e mi sembra emergere una certa verità.
ANDREOTTI. Prima di dire che è la verità bisogna...
PRESIDENTE. Perché Moro doveva dire cose non esatte? Ad esempio, su Gladio Moro è estremamente misurato, dicendo che non si era mai enfatizzata l'importanza di una struttura in ambito Nato. Quindi, non sembra uno che racconti cose non vere per cercare di ottenere indulgenza da chi in quel momento lo processava, ma piuttosto uno che ad un certo punto decide di raccontare le cose come erano andate, sia pure in una situazione difficilissima.
ANDREOTTI. Però su alcuni punti...
PRESIDENTE. Voglio ammettere che alcuni fatti che potevano riguardare lei o la Democrazia cristiana potevano corrispondere ad un momento di risentimento, perché egli sentiva venuta meno una solidarietà, però altri fatti lui li racconta mentre avrebbe potuto non farlo. L'impressione che si ha è che chi gli faceva le domande non li conosceva, e che quindi egli ne parlava spontaneamente e non perché ci fosse un interrogatorio stringente che lo costringesse ad ammetterli.
ANDREOTTI. Per quanto riguarda alcuni punti, per certi versi marginali, devo dire che sicuramente non possono essere "farina del sacco" di Moro, e mi spiego. A parte la critica, ad esempio, della nomina del senatore Medici, che tra l'altro era un suo grande amico, alla Montedison, è strano quando poi egli aggiunge che il problema vero della Montedison era l'aumento di capitale. Ebbene, Moro sicuramente non sapeva cosa fosse un aumento di capitale.
PRESIDENTE. Era professore di diritto, sia pure se di filosofia del diritto!
ANDREOTTI. No, era del tutto estraneo a questi argomenti, che io cito come esempi.
Vi è poi un altro punto importante delle dichiarazioni di Moro, quando dice che si augurava che Carter non avrebbe continuato in una certa forma di finanziamento: io mi sono permesso di inviare alla Commissione una documentazione della richiesta formale, fatta all'ambasciatore americano Volpe e all'ambasciatore Martin che aveva fatto delle dichiarazioni dicendo che aveva speso denaro in Italia nel 1972, per farci dire a chi erano stati dati questi soldi.
PRESIDENTE. Ha avuto mai risposta a questo interrogativo?
ANDREOTTI. No, e non sono neanche mai riuscito ad avere il recapito di Martin. Però è una delle cose che mi è andata meno giù, perché non può rimanere pendente il fatto di un ambasciatore americano che dichiara di aver speso dei soldi per le elezioni in Italia. Questo è veramente un fatto grave a mio giudizio; egli avrebbe dovuto chiarire questa storia. Però, nonostante tutti i passi che sono stati fatti presso l'ambasciatore...
PRESIDENTE. Penso però che dallaltra parte i rubli arrivassero!
ANDREOTTI. Di questo non ne dubito.
PRESIDENTE. Perché dobbiamo allora dubitare che arrivassero i dollari da quest'altra parte? Sembrerebbe altrimenti una cosa squilibrata.
ANDREOTTI. No, sono due cose diverse, perché non credo che i rubli andassero a finire a singole persone. Del resto adesso lo si può sapere, perché lo hanno detto i russi, non perché lo dico io. Forse i primi anni ci faceva anche comodo, perché pagavano in dollari, e quindi alla bilancia valutarla italiana era anche utile che arrivassero queste somme, sia pure politicamente contro di noi. Però, detto questo, non vorrei, data questa grande fiducia di Moro nei confronti dei capi dei Servizi (sia con De Lorenzo, sia con Miceli, con i quali aveva un grande rapporto di fiducia e un notevole affiatamento), che alcune di queste cose fossero poi il frutto di una sorta di disinformazione che volutamente queste persone finivano col fornirgli. Certamente, siccome non ho vissuto sulla luna, mi rifiuto di credere che vi sia veramente stata questa forma di interferenza e di pressione, almeno in questa dimensione, perché altrimenti me ne sarei avveduto, e certamente non l'avrei personalmente tollerata. Non sono affatto un nazionalista, però ho sempre avuto un forte rispetto per certe cose, specialmente nei confronti dei servizi, sia dei nostri, sia degli altri paesi, perché c'è da avere sempre una grande cautela per non rischiare di confondere il mandato politico con queste attività.
CO'. Vorrei cambiare tema. A proposito della strage di piazza Fontana, lei ritiene possibile che alcuni settori del servizio militare abbiano fatto pervenire ai giornalisti della cosiddetta controinformazione di allora notizie, sospetti ed elementi a proposito della strategia della tensione in generale e della strage di Milano in particolare?
ANDREOTTI. Questo sospetto è emerso, ed in alcuni risvolti è anche poi risultato effettivo, nel senso che potrebbero avere, nella migliore ipotesi, anticipato una versione e indirizzato verso una determinata linea quella che era una responsabilità di un l'atto che tuttora, nonostante il processo, per alcuni versi resta non completamente chiara. Mi riferisco ad esempio alla partecipazione o meno di Valpreda. Quello che sembra chiaro è che probabilmente lo scopo di chiunque lo avesse messo in atto era uno scopo dimostrativo. Le bombe a Roma di venerdì pomeriggio non fecero danno alle persone, mentre a Milano quel venerdì vi era una "Borsa merci" o qualcosa del genere, comunque qualcosa di non previsto dalle normali tabelle di orari di banca. Ora, che sia stato possibile essere indirizzati in un modo o in un altro è difficile dirlo. Dal ricordo che ho del processo, credo che vi fu anche una grande abilità da parte degli avvocati i quali - e il collega Calvi lo ricorderà meglio di me - si rispettarono tra gli avvocati della destra e quelli della sinistra, forse silenziosamente, concentrando un po' la responsabilità nei confronti del servizio, in questo facilitati dall'errore fatto nell'inventare alcune storie, come quella dell'espatrio di Pozzan, dicendosi che non si sapeva chi fosse.
Però certamente, anche in questo caso - mi pare che l'ho detto l'altra volta - quando il Servizio ed il Ministero, per una ragione di principio, avevano negato al magistrato il diritto di conoscere se uno fosse informatore o no, questa difficoltà fu rimossa perché era sproporzionata rispetto all'esigenza di una procedura giudiziaria per un fatto così importante.
PRESIDENTE. Non vorrei aver capito male, ma la domanda del senatore Cò, andava in direzione opposta: cosa intende per "giornali della controinformazione", senatore Cò?
CO'. Diciamo tutta la stampa della sinistra.
PRESIDENTE. Quindi l'informazione poteva essere quella di dire: la pista degli anarchici è falsa, non vera. Questo poteva voler dire che vi fossero dei contatti con l'ufficio Affari riservati.
ANDREOTTI. Non lo so. Dopo è risultato abbastanza chiaro, ma prima, le linee di confine tra sinistra e anarchici non erano molto chiare; sia in un senso che nell'altro: intendo dire che una certa frontiera aperta vi era tra lo stesso estremismo di destra e l'anarchia. Era abbastanza difficile, ad esempio, collocare alcuni di questi personaggi, i vari Merlino. Questo nell'immediato, poi si è saputo meglio come stessero le cose e che vi erano stati tentativi di disinformazione. Questo sì, probabilmente ci sono stati: non so quanto abbiano influito per un processo molto difficile che è stato portato avanti.
CO'. Le bombe di Milano esplodono esattamente lo stesso giorno in cui la Grecia dei Colonnelli veniva allontanata dal Consiglio d'Europa. Lei pensa che ci possa essere un nesso tra queste due cose?
ANDREOTTI. Non ho nessun elemento per dirlo: l'influenza in Italia dell'involuzione che c'era stata in Grecia fu piuttosto limitata, però non ho nessun elemento per dire se la coincidenza temporale rappresenti una connessione oggettiva.
CO'. E di questa crisi dei rapporti diplomatici tra Italia e Grecia fra i primi mesi del 1969 e la metà del 1970?
ANDREOTTI. Non ho memoria particolare, non me ne sono occupato. Probabilmente, può essere utile - io stesso posso fornire qualche elemento - vedere le discussioni in seno al Consiglio d'Europa e l'atteggiamento che è stato preso dall'Italia. Non lo ricordo a memoria, ma posso fare facilmente un confronto.
CO'. Ancora due domande. Secondo lei, come mai il rappresentante italiano nell'Ufficio di Sicurezza del Patto Atlantico era il dottor Federico Umberto D'Amato, un civile, non un militare?
PRESIDENTE. Questo si riallaccia alla domanda che le avevo rivolto precedentemente.
ANDREOTTI. Con D'Amato credo di aver parlato una volta e mezzo o due volte, non ho mai avuto particolare dimestichezza, né ho avuto occasione di occuparmene. Nell'opinione generale era considerato un grosso tecnico di questo mondo; poi, con grande sorpresa (ma poi lo sapevano tutti) si seppe che curava anche la rubrica gastronomica de "l'Espresso". Era un uomo dalle molte vite. Non ho mai avuto a che fare con quell'ufficio; anche perché fin da ragazzo - allora sotto un altro regime - verso l'ufficio speciale Affari riservati avevo non solo diffidenza, ma anche ostilità per quello che faceva.
PRESIDENTE. Questo mi sembra importante. Che significa "ostilità per quello che faceva"? Lasciamo perdere il regime fascista, ma nell'Italia democratica: per esempio che assumessero agenti ex ufficiali delle SS a livello politico era noto?
ANDREOTTI. Mi sono riferito al periodo fascista, perché quando sono venute fuori tutte le intercettazioni telefoniche, che qualche volta forse vengono fatte anche in regime democratico, mi colpì molto questa cosa.
PRESIDENTE. Però, anche in seguito all'amnistia che fece Togliatti, uomini dell'Ovra continuarono ad operare nell'ufficio Affari riservati.
ANDREOTTI. Non lo contesto, se lo dice lei sarà verissimo, però non so chi possano essere questi. Come ha detto il senatore Gualtieri, al Ministero dell'interno non ci sono mai stato.
PRESIDENTE. Il senatore Gualtieri si domandava perché.
ANDREOTTI. Avendo settantotto anni e qualche condizione di impedimento, non penso di poterlo fare.
PRESIDENTE. Si domandava se la tenevano lontano.
ANDREOTTI. Se me lo avessero offerto ci sarei andato, sia pure senza particolare entusiasmo. Ma nessuno me lo ha mai offerto e non ho avuto di queste tentazioni.
CO'. La strategia della tensione termina nel 1974, diciamo. Secondo lei - voglio una sua opinione - quali sono le cause interne ed internazionali che pongono fine a questo periodo, nonostante che i responsabili politici non fossero stati identificati?
PRESIDENTE. Aggiungo: lei ritiene che le sue direttive al Servizio militare abbiano potuto influire su questo?
ANDREOTTI. Certamente, credo che le direttive molto precise che detti al Servizio sulla strategia, su quello che era risultato in precedenza, furono sotto un aspetto utili; però penso che la risposta alla domanda del senatore Cò debba essere politicamente più ampia. Direi - nel 1974 eravamo già in una fase molto avanzata - la politica di Helsinki.
PRESIDENTE. Oh!
ANDREOTTI. Questo è molto importante.
PRESIDENTE. Queste cose vogliamo sentirci dire!
ANDREOTTI. La politica di Helsinki arrivò a conclusione nel 1975, ma erano già due anni e mezzo che si preparava. Tanto è vero che, in occasione di quel Governo che non durò molto a lungo (1972-1973), nel novembre, quando andai in Unione Sovietica, l'atteggiamento del nostro Ministero degli esteri (ricordo le carte che mi avevano preparato) era piuttosto scettico nei confronti della possibilità di arrivare ad una forma che poi fu quella della cooperazione e della sicurezza europea. Indubbiamente questa in quegli anni (1973, 1974, 1975) camminò molto, e allora, anche sul piano internazionale, vi fu un certo maggior respiro e un allentamento (sia pure non quello definitivo) della tensione tra l'Est e l'Ovest. Ricordo fra l'altro che proprio nel 1972, inizi del 1973, presidente Nixon, ci fu un passo notevole, cioè il riconoscimento della Cina comunista da parte degli Stati Uniti; pur mantenendo un eccellente rapporto con l'Unione Sovietica. E il primo ministro dell'Unione Sovietica, Kossighin - eravamo alla vigilia di due elezioni, quelle americane e quelle tedesche - disse a me che non erano preoccupati delle elezioni americane: " ... perché sappiamo che Nixon le vince, e noi abbiamo un rapporto di grande correttezza, ognuno nel suo campo", mentre era molto preoccupato delle elezioni tedesche nell'ipotesi che vincesse Strauss - che pure era il personaggio che aveva cominciato lostpolitik, i prestiti alla Polonia - spiegando: "Non voglio assolutamente dire che Strauss cambierebbe la politica, ma l'impatto immediato che avrebbe qui da noi sarebbe assolutamente non accettabile". Mi colpì questo e dissi: "Non posso condividere con lei".
PRESIDENTE. Mi scusi, senatore, nella mia proposta di relazione c'è un capitolo che si intitola "La svolta del '74". Da una serie di elementi enormi sembra evidente che a un certo punto il mutamento del quadro internazionale ha un'influenza diretta sulla situazione italiana. Mi chiedo allora perché diventa inverosimile che la situazione internazionale precedente abbia un rapporto eziologico, cioè di causa-effetto, con tutto quello che era successo prima in Italia.
ANDREOTTI. Signor Presidente, ritengo che anche l'individuo più antiamericano che possa esistere non possa ritenere che la politica di un paese come gli Stati Uniti si estrinsecasse facendo mettere le bombe, incoraggiando la strategia della tensione.
PRESIDENTE. E perché il fatto che la politica cambia fa cessare le bombe?
ANDREOTTI. Questo non lo so. Può darsi che venga meno in quel gruppo, che tra l'altro aveva avuto una serie di sconfitte e si era anche disperso nel mondo...
PRESIDENTE. Questo è vero.
ANDREOTTI. Quindi pensavano che ormai non fosse più praticabile.
Ricordiamoci un fatto che è sempre sembrato marginale. Dalle carte del memoriale per il golpe Borghese viene fuori a un certo momento la credulità - lei, signor Presidente, ha detto bene - di Borghese o di altri. Quando dice: "Nixon voleva essere informato", non so chi gliele raccontasse queste storie, però - ripeto - può darsi che qualcuna di queste teste calde ritenesse di poter veramente creare le condizioni per poter sovvertire il regime democratico. Può darsi, anzi credo che ci disprezzassero come democratici e, se avessero potuto farci la festa, lo avrebbero fatto. Per fortuna non hanno mai avuto le condizioni obiettive per far questo. Penso che bisogna stare attenti.
Se abbiamo avuto frange dei Servizi o figure individuali anche nei Servizi esteri che facevano una propria politica, non lo so, dovrei avere degli elementi. Non posso negare che questo possa esserci, però per quello che so, che ho vissuto, è che nella politica responsabile di un grande paese democratico non ci poteva essere un coinvolgimento e nemmeno un incoraggiamento.
PRESIDENTE. Condivido con lei che gli Stati Uniti sono una grande democrazia, però una Commissione parlamentare su questi fenomeni si attiva nel Congresso degli Stati Uniti nel 1975 e, su queste operazioni coperte dalla Cia, giunge a una conclusione che, se mi consente, trovo un po' "imperialista": conclude che erano illegali finché avvenivano negli Stati Uniti e non lo erano più quando avvenivano all'estero. Il senso della conclusione della Commissione Rockfeller sull'operazione Chaos è questo. Era tutta un'operazione di infiltrazione di gruppi anarchici, trotzkisti, leninisti, e via seguendo, per innalzarne il livello di pericolosità.
Trovo peraltro sia un grande fatto di democrazia che nel 1975 gli Stati Uniti hanno fatto i conti con questa parte della loro storia.
ANDREOTTI. A volte faccio una certa fatica a capire anche il metodo di lavoro. Per esempio, una volta mi dissero - e verifica! che era vero - che si poteva comprare nella libreria del Congresso un documento intitolato "Complotti contro capi di Stato stranieri" questo avveniva dopo la pubblicazione di una delle tante inchieste fatte sulla Cia: il documento costava quattro dollari e l'ho comprato, non so se ce l'ho più però me lo ricordo, ed era tutta una pianificazione di come si doveva fare per far fuori Trujllo e così via. Naturalmente dissero che erano degli studi però anche a me fece una certa impressione vedere quelle cose.
PRESIDENTE. Il problema è capire fino a che punto lo studio non è diventato poi operativo.
SARACENI. Sa se c'era anche Allende?
ANDREOTTI. No, onorevole. Forse questo era precedente.
PRESIDENTE. Su dieci studi uno poi forse è potuto diventare operativo. Lei però non ritiene che sia profondamente democratico il fatto che uno lì sa anche qual è il lavoro sporco che in un determinato periodo della storia di un paese può essere affidato ai Servizi segreti.
ANDREOTTI. Anche San Tommaso disse che è lecito uccidere il tiranno. Allora diventa un discorso...
PRESIDENTE. Non voglio dire che è bello che avvengano queste cose, ma è bello che, se avvengono, si sappia. E un discorso diverso.
ANDREOTTI. Però credo che, sia per un certo numero di inchieste che sono state fatte, sia per il fatto che oggi veramente c'è una possibilità di consultazione di atti in applicazione del termine ultimo che è venuto fuori dalla legislazione successiva al Watergate, sia possibile veramente approfondire queste cose.
PRESIDENTE. Mi scusi, e non le sembra singolare che dobbiamo ancora sapere dagli americani che cosa è successo in Italia? Non avremmo diritto di saperlo dai protagonisti della storia dell'epoca?
ANDREOTTI. Uno può dire le cose che sa, però se si arrende o si contenta di dire: "Gli altri potevano fare il comodo loro qui in ltalia".... chi ce le dovrebbe dire queste cose, non lo so. Sarebbe utile forse un ulteriore approfondimento, anche se il tempo che passa porta delle persone nell'impossibilità di essere consultate.
Ritengo che la cosa importante e che mi ha impressionato è quella di dire che magari non sarebbe la Cia, ma sarebbe un'altra cosa; cioè di accreditare senza un fondamento che possa esserci stato, direi, non un incoraggiamento politico, ma addirittura un coinvolgimento nel mettere bombe. Questo è veramente un qualcosa che sinceramente non riesco a concepire, perché mi pare contro una certa moralità intrinseca che c'è negli Stati Uniti. Certo, si tratta di un paese che ha fatto anche degli errori nella sua storia, ha assunto alcuni atteggiamenti nel distribuire patenti di demoni che non mi piacciono molto, però, sant'Iddio!, bisogna assolutamente approfondire questa cosa con tutti i mezzi possibili, perché è un fatto molto importante che non riguarda un'amministrazione o un'altra, ma i Servizi o i sottoservizi.
L'unica osservazione che mi sento di fare per rispondere a questa domanda è che trovo un lato di debolezza nella struttura degli Stati Uniti nel fatto che la loro Costituzione è perfetta per il loro interno. Se pensiamo che nel '700, quando non c'erano grandi centri, si sono salvaguardati dal prepotere dei grandi centri rispetto agli altri, stabilendo che la Camera dei rappresentanti è costituita in proporzione alla popolazione, ma il Senato sono due per ogni Stato in modo che c'è un bilanciamento. Questo è stupendo. Poi è stupendo il fatto del cambiamento: ogni quattro-otto anni cambia tutto, quando cambia il Presidente mutano tutte le strutture, gli ambasciatori sono presi fra i grandi elettori, in posti notevoli.
Tutte cose che andavano benissimo secondo me finchè gli Stati Uniti avevano un ruolo solo interno. Con un ruolo internazionale c'è questo rischio: chi è che dà una continuità? Fino a qualche tempo fa la davano nel Congresso determinati personaggi che stavano li magari trenta o quaranta anni ed erano dei punti di riferimento. Adesso però sta prevalendo una linea di limitazione dei mandati ed il rischio è che i Servizi diventino l'unico elemento di stabilità e di informazione di un paese.
Si tratta di un problema di cui ho parlato molte volte con degli amici americani, ma per loro pensare di toccare la Costituzione è qualcosa di inconcepibile. E comunque veramente un elemento di debolezza questo, ma non riguarda adesso direttamente il nostro lavoro.
DE LUCA Athos. Signor Presidente, è il primo anno che sono parlamentare della Repubblica italiana e il mio gruppo mi ha proposto di far parte di questa Commissione. Conoscendo il Presidente, i primi giorni avevo pensato, come anche i colleghi, che vi potessero essere le condizioni perché in questo paese, dove ogni volta che si installa un nuovo Governo si dice che si vuole far luce sulle stragi, questa potesse essere la volta buona o almeno vi fossero le condizioni politiche per consentire a lei, e ad altre persone protagoniste di questo mezzo secolo della nostra giovane Repubblica, per poter dare un contributo a fare questa benedetta luce.
Come lei saprà ci sono alcuni che sostengono, e anche a me lo hanno detto: tirare fuori questi veleni in questo paese adesso a che servirebbe? Occorrerebbe cioè guardare al futuro senza rivangare ciò che è accaduto. E una tesi. In un paese come il nostro forse è necessario che passi ancora del tempo? Il presidente Pellegrino ricordava che gli Stati Uniti, anche se con risultati un po' nazionalisti o un po' opportunisti, hanno fatto in fretta a fare luce. Un dato è certo però, signor Presidente, e mi corregga lei che ha studiato molto in questi mesi: noi siamo uno dei paesi che ha ancora tutte queste stragi, anche l'ultima di Ustica, sulle quali non si riesce mai a far luce: ci sono sempre degli ignoti. Malgrado siamo la culla del diritto, un paese di avvocati, di procuratori, di investigatori, di poliziotti, non riusciamo a dare al popolo italiano, e credo anche alle nuove generazioni della politica, la possibilità di liberarsi di questi cadaveri. Ormai il muro di Berlino è caduto, ci sono altri problemi, altri scenari e la mia constatazione era stata: forse riusciamo a farlo. Però ascoltandola, senatore Andreotti, ho compreso che forse non ce la faremo a fare questa luce. Il collega Corsini e anche poi lo stesso senatore Gualtieri dicevano che è un momento storico e che dobbiamo cogliere l'occasione di avere qui con noi a disposizione una personalità che ha ricoperto senza soluzione di continuità un periodo così vasto della nostra giovane Repubblica. Avverto però dai suoi racconti - perché in realtà sono più racconti che testimonianze, racconti anche piacevoli per certi aspetti - che in realtà c'è una reticenza di fondo. Questo può essere anche il motivo del suo successo personale, nel senso che in tanti anni è riuscito a mettere insieme una carriera che credo sia la più prestigiosa tra quelle di politici italiani. Noi però avremmo bisogno di questo scatto, di questa condizione diversa. Noi non riusciamo con i suoi racconti ad uscire e a sciogliere dei nodi politici.
Per farla breve vorrei dire solo alcune cose. Il Presidente si ricorderà che anche al generale Maletti a un certo punto dissi: ma, generale, lei sta qui a Johannesburg, è stato condannato, ormai vive qui, si è organizzato, ha un'età che le può consentire di fare un gesto per sé, due sono le cose: o lei ha ancora paura della minaccia di qualcuno, e quindi ha timore per la sua incolumità, oppure praticamente non vuole dare questo contributo, non si trova in questa condizione.
Voglio dire che noi non produciamo delle personalità che ad un certo punto diventano protagoniste di una svolta nel paese; non solo nella Commissione stragi ma anche in altre situazioni.
Rispetto a questa storia degli americani voglio dire subito che la solidarietà ed il Patto Atlantico non è messa in discussione, però quello che noi cerchiamo di scoprire è un'altra cosa, è proprio questo passaggio da una solidarietà su una certa alleanza all'organizzazione ed ai fondi, nonché a molte altre questioni. Quindi entrare nel merito, un'ingerenza, nelle dinamiche interne di un paese.
Senatore Andreotti, noi ci chiamiamo "Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi". Nel suo racconto, questa classe politica, di cui lei è stato un protagonista, non ha alcuna responsabilità di ciò che è accaduto? 0 la colpa, come qualcuno sostiene, è soltanto dei vertici dei Servizi segreti, che però, nei racconti di molti ed anche in quello dello stesso Maletti, abbiamo scoperto che vengono ridicolizzati? Venivano addirittura impiegati per spiare le abitudini sentimentali di qualche onorevole, anziché dedicarsi alla sicurezza dello Stato. Questo è il nodo politico. Tutte queste stragi, fino ad Ustica, non coinvolgono responsabilità dei politici che hanno governato? Lei è stato Presidente del Consiglio; credo che questa sia l'autorità che ha diritto ad accedere a tutte le carte dello Stato. Questo non è stato fatto. Lei spesso dice che non sa o non ricorda, capisco anche il tempo passato, ma noi non è che le chiediamo di dirci il giorno e la data ma di individuare alcune responsabilità. Capisco, ed è anche normale, che avendo lei coperto un vasto arco di tempo, probabilmente ammettere responsabilità politiche significherebbe ammettere sue responsabilità. Quindi, nessuno è reo confesso, però lei capisce che questo racconto che lei ci fa è sicuramente deludente. Questo non c'entra con la simpatia, con la stima che si può avere per l'uomo, ma riguarda il politico, colui che comunque passerà alla storia per aver cumulato dei primati, nel bene o nel male. Lei, senatore Andreotti, ha avuto dei primati di comunicazioni giudiziarie, di conduzione di Ministeri e di quanto altro.
La sfida che io da parlamentare alla prima esperienza mi permetto di lanciarle, quindi, è questa. Noi le vogliamo mettere a disposizione le condizioni per farci fare questo salto di qualità e gettare luce in questa indagine.
Non so neppure se le farò una domanda specifica. Si è detto che l'Italia ha "tenuto" grazie alla classe politica, comunque che ha tenuto grazie a qualcuno. lo mi permetto di fare una lettura diversa: potremmo dire che l'Italia ha tenuto anche e malgrado il comportamento di una certa classe politica. Ci sono nella storia della nostra Commissione molti interrogativi in ordine ai quali molti uomini politici che sembravano pronti per una svolta autoritaria ad un certo punto si sono fermati ed hanno fatto altre cose. La vicenda Moro, onorevole Andreotti; ma quante domande le dovrei fare sul caso Moro? Non posso fargliele. Vorrei che lei invece mi rispondesse, se è in grado di poterlo fare, a questa unica domanda.
La domanda è questa: per quanto riguarda le responsabilità di queste stragi che noi dobbiamo individuare e che ancora oggi sono ascritte ad ignoti, come ex Presidente del Consiglio, ex Ministro dell'industria, ex Ministro della difesa, ex Ministro degli esteri, eccetera, lei ritiene che non ci siano state responsabilità politiche? Se non ci sono state responsabilità politiche, vuol dire allora che contavano veramente i Servizi, nel paese; voi non contavate ma contavano altri. E se noi abbiamo tenuto, non lo dobbiamo a chi governava in quel momento ma forse al popolo italiano che, anche di fronte alle stragi, di fronte alla gente morta ammazzata, di fronte al sangue e alle spesso ridicole pantomime cui abbiamo assistito, aveva una profonda saggezza, storica, proveniente forse dall'aver assistito a tante vicende. Il popolo italiano non è stato disponibile né ai piccoli golpe preparati male, né a quelli più seri ipotizzati da qualcuno. Quindi, forse dovremmo ringraziare il nostro popolo più che altri.
Io la ringrazio, senatore Andreotti, e mi scuso se nelle mie parole ci può essere stata qualche nota personale. Però lei deve farsi carico dell'amarezza della delusione di un parlamentare che non ha il mezzo secolo di esperienza politica che lei ha e che da questi banchi pensava di poter avere oggi, alle soglie del terzo millennio, con questo desiderio e cadute le preclusioni di cui parlavo, le condizioni per dare al nostro popolo - malgrado tutto un grande popolo - la possibilità di chiarire e di fare luce. Oggi, fino a questo momento, lei non da né a me né ai cittadini italiani questa speranza.
ANDREOTTI. Vorrei dire al senatore De Luca che il senso di avvilimento e di frustrazione per la mancata risposta al legittimo quesito relativo alla responsabilità dietro questi fatti di strage, se mi è consentito, lo sento più di lei. Avendo vissuto questo periodo politico, sento il peso di una struttura che non è stata in condizione di dare una risposta al filone - o ai filoni, possono essere più di uno - che sottende la responsabilità di questi fatti.
La volontà di collaborazione è totale. In un certo senso, proprio per aver vissuto con responsabilità politiche di vertice a lungo, sono non più di lei, ma quanto lei interessato a vedere se si può ottenere quello che finora non si è riusciti a raggiungere, nonostante gli sforzi che sono stati fatti anche nelle precedenti edizioni di questa Commissione e in tante altre sedi.
Non si può tuttavia affermare che fuori dall'Italia tutto sia più facilmente chiarificabile. Per esempio, tuttora sulla morte di Kennedy non si è fatta una luce effettiva, su un fatto così sconvolgente anche sul piano internazionale. Io ritengo che ci sia una serie di quesiti aperti, che non so se si potranno mai soddisfare.
Per quanto riguarda la responsabilità della classe politica, se noi guardiamo a quella che è stata una linearità di conduzione, che fino a prova contraria deve essere a mio avviso riconosciuta, noi abbiamo avuto - forse non tutti avvertivano questa diversità - una condizione migliore rispetto ad altri paesi sotto un aspetto. Faccio riferimento ad esempio all'atteggiamento del Partito comunista francese che in momenti decisivi dichiarava, come in caso di guerra, che il suo posto sarebbe stato accanto all'Unione Sovietica. Questo in Italia non solo non è stato mai detto, ma a mio avviso non è stato mai maturato. In sostanza, non abbiamo mai perduto un certo filone unitario ed è un dato di fatto: non lo dico perché può giovare o non può giovare ma è un fatto che è esistito.
Superato il momento duro del 1948, a mio avviso, è cominciato un rispetto sostanziale del metodo democratico, con momenti più intensi e momenti meno intensi. Chi c'è dietro queste cose?...
PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, ma questo fu l'effetto di uno scontro politico fortissimo nel Partito comunista italiano. Dopo l'attentato Pallante ci fu all'interno del Pci uno scontro. Quindi, quella linea democratica ha trionfato perché c'è stata una storia interna e una parte del Pci ha prevalso sull'altra.
ANDREOTTI. Vede, nella vita ci sono anche delle curiose coincidenze. Io sono stato, il giorno dopo l'attentato a Togliatti, il latore di un'assicurazione che, appena risvegliato, Togliatti dette al suo medico, il dottor Spallone, e che fu portato immediatamente a me, tramite un mio zio medico per segnalare a De Gasperi. Per cui anche in quel momento in cui ci furono dei fatti isolati, Monte Amiata ed altri, non ci fu un sostegno eversivo. Anzi, probabilmente, ma questo è anche un modo di interpretare la storia seriamente, una parte dei successivi eventi legati alle Brigate rosse è venuta proprio in ragione della convinzione che la via rivoluzionaria fosse stata abbandonata (che ci fosse stata oppure no prima). Perché dico questo? Certamente si può fare un ulteriore sforzo per riuscire a fare chiarezza, ma io posso dire che mai nelle forze politiche responsabili, non solo del mio partito ma anche di altri partiti che io ho conosciuto, c'è stato un momento di flessione o di dubbio su quella che doveva essere una strada di vita democratica. Questo veramente non è accaduto, dal punto di vista proprio della storia.
Quando adesso leggo, in una delle pubblicazioni che gentilmente il presidente Pellegrino mi ha inviato, tutta una storia che collega intanto l'esistenza di un partito americano e poi la tormentata vicenda intersocialista con possibili momenti addirittura del terrorismo, a me sembra che questa sia una costruzione che io faccio una enorme fatica a considerare, perché mi pare proprio lontana dalla realtà.
Ci sono stati dei fenomeni; ma i fenomeni che portarono a Ordine nuovo e a fatti di questo genere (come del resto ci furono, a parte le Brigate rosse, frange di una sinistra di tipo autonomo) vanno a mio avviso valutati proprio come tali e in quella direzione occorre cercare di indagare. Forse noi abbiamo una struttura che globalmente non è stata sufficiente; ma da molti anni, ad esempio, vi è la disponibilità a non coprire con segreti o con atti di classificazione non superabili l'attività di indagine della magistratura.
Siamo in condizioni di poter ulteriormente fare luce? Alcune cose questa sera sono venute fuori, forse marginali, come la Lega della libertà o la Terza armata che io stesso approfondirò. Ma sono pezzi di un mosaico: quello che conta è proprio il mosaico.
Certamente non avrei aspettato la Commissione della XIII legislatura se avessi avuto elementi per poter dare un contributo più forte a chiarire queste pagine tristi della nostra storia, pagine circa le quali bisogna anche, se non ridimensionarle, dire che sono momenti gravi di una storia che tuttavia globalmente è una storia molto positiva, dal punto di vista di tutti. Dire che tutto ciò è avvenuto nonostante i politici, senatore De Luca, mi sembra ingiusto. Forse tra vent'anni, quando potrà vedere il suo corso, quello del suo partito, constaterà che anche i partiti hanno delle limitazioni nel poter fare determinate cose. Non mi si può mettere sulle spalle tutto quello che accade. Si può fare un ulteriore approfondimento sul Servizi, su questi collegamenti? Credo di sì, credo che vada fatto. Tra l'altro non è che io mi arrenda sul fatto di dire che gli altri in Italia potevano fare il comodo loro, noi non ne sapevamo niente. Questo non lo accetto, sarebbe oltretutto un atto troppo semplicistico per risolvere un problema.
Lei parla di testimonianze, di racconti, anche se il margine tra le une e gli altri è difficile da stabilire. Qualche volta può sembrare che, sminuzzando i vari episodi, si tolga la visione di carattere generale, ma ripeto che lo sono quanto lei e forse più di lei storicamente interessato a cercare di vedere se si può andare più a fondo per trovare una soluzione autentica, una soluzione vera che dia una spiegazione a questi fatti. Mi sembra che lo stesso Presidente abbia detto che uno di questi fatti, quello dellItalicus, abbia una matrice diversa. Non ho ora di fronte tutte le istruttorie, però quello che voglio ripetere con grande fermezza è che lo stesso non mi acquieto sul fatto di dire che avevamo una sovranità limitata, che i Servizi americani contavano oltre misura. Del resto forse per lo stesso sequestro Moro, un fatto veramente tragico che abbiamo vissuto, c'è modo di vedere se è esatto che vi siano state una serie di manovre attorno e dopo. Alcune di queste persone sono vive, Moretti è vivo.
PRESIDENTE. Il problema è che Franceschini ha recentemente pubblicato un romanzo in cui fa capire in maniera trasparente che Moretti uccide Moro perché era collegato con l'Hyperion, quindi con una nota centrale internazionale. Sono divisi tra di loro.
ANDREOTTI. Moretti è vivo ed io anzi avrei voluto che fosse testimone anche in altra sede, però egli si rifiuta di riconoscere i tribunali borghesi; ma siccome voi non siete un tribunale forse, è un modestissimo suggerimento, potrebbe aiutarvi a capire un pezzo di questa realtà.
PRESIDENTE. Lei veramente può assicurarci che in tutto l'arco dei partiti di centro non vi fossero uomini, rappresentanti, pezzi di corrente che sentissero il richiamo possibile di una soluzione autoritaria nel Paese? Farò soltanto un esempio. L'11 dicembre del 1969, un settimanale come "Epoca", un settimanale moderato, borghese, originariamente vicinissimo alle posizioni di Pella, di cui spessissimo pubblicava in prima pagina la foto, fece uscire un articolo a firma di un certo Pietro Zullino in cui si diceva: "Se la confusione diventasse drammatica" - in realtà la confusione del Paese era drammatica - "le Forze armate potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana. Questo non sarebbe un colpo di Stato ma un atto di volontà politica a tutela della libertà e della democrazia. Tuttavia il ristabilimento manu militari della legalità repubblicana, possibile nel giro di mezza giornata potrebbe non essere sufficiente. Perché non ci poniamo seriamente il problema della repubblica presidenziale, l'unica capace di dare forza e stabilità al potere esecutivo?" Questo avviene - l'onorevole Fragalà dice che io sopravvaluto il fatto - dopo il convegno dell'Istituto Pollio...
FRAGALA. Dico che è un fatto ridicolo.
PRESIDENTE.... cui partecipa un Ministro della repubblica come Ivan Matteo Lombardo; un convegno ove si dicono una serie di cose. Questo accade l'11 dicembre del 1969; ebbene il giorno dopo scoppia la bomba di piazza Fontana.
Allora nel momento in cui un giudice della repubblica viene a dirci che c'era l'attesa che l'onorevole Rumor dichiarasse lo stato di emergenza a seguito della bomba, capisco che non possiamo dire che è certo ma almeno possiamo dire che lo riteniamo verosimile. 0 forse no, o forse dobbiamo dire che erano tutti profondamente democratici, che queste tentazioni di involuzione autoritaria non ci sono mai state, nemmeno in un momento in cui la tensione nel Paese era tale che la richiesta di ordine saliva effettivamente da grosse parti della società?
FRAGALA. Radio Città Futura annuncia il ritrovamento di via Caetani prima che Moro venisse ritrovato.
PRESIDENTE. Se è per questo Renzo Rossellini annuncia il rapimento di Moro prima che questo avvenisse.
ANDREOTTI. Signor Presidente, lei si riferisce al 1969. Certamente ciascuno era libero di fare le analisi, le valutazioni che riteneva. Tuttavia io ho vissuto dall'interno anche quel periodo, in maniera precisa, nel 1969 ero Presidente del Gruppo parlamentare, vivevo all'interno della vita politica e non all'esterno. Ebbene, che vi possano essere state in questo o in quel partito delle persone che o per essere teste calde o per convinzioni di tipo gollista o di repubblica presidenziale (argomento che è poi divenuto addirittura oggetto di disputa politico- costituzionale corrente), o dei singoli gruppi, non lo escludo...
PRESIDENTE. Ma vi fu un conflitto politico interno che noi non abbiamo percepito e che fu risolto in un certo modo?
ANDREOTTI. No, no. Conosco bene la storia del mio partito che poi era determinante perché aveva il massimo delle responsabilità e posso dire che nel nostro partito, e per quello che conosco anche negli altri, non c'era questo. Probabilmente anche per l'aspetto che è sembrato più vicino a cose di questo genere, quello relativo a Pacciardi, dubito che egli avesse la possibilità di ritenere che vi fossero delle forze controrivoluzionarie in Italia e che le Forze armate fossero tali da corrispondere.
PRESIDENTE. Quindi quando Moro parla di connivenza e indulgenza dice una cosa non vera?
ANDREOTTI. Una parte di queste funzioni le ho svolte e una part di queste strutture le ho vissute dall'interno e responsabilmente e devo dire che non vi era alcuna indulgenza, tanto è vero che quando si è trattato di dover adottare misure anche dolorose nei confronti dei militari esse sono state prese egualmente. Non era in un certo senso irrilevante mettere in discussione un generale di corpo di armata, mettere in un certo senso in discussione una struttura. Ma a me non è venuto mai in mente che si potesse agire diversamente. Sinceramente non credo che le nostra democrazia abbia corso dei rischi effettivi. Che vi fossero sia quelli che mettevano bombe, sia quelli che innescavano un disegno d riforma costituzionale avanzato, che vi fossero delle idee, che vi fossero delle velleità, delle azioni perfide, senza dubbio vi sono state, ma si tratta di fenomeni estremamente circoscritti. Per me questa è una constatazione nella storia del nostro Paese.
Certamente, tra l'altro, è interessante proprio il fatto ricordato di Ustica. Potrei dire che è stato uno dei pochi momenti in cui non sono stato al Governo, ma ciò non ha alcuna importanza perché successivamente è stato un argomento di notevole dibattito di ricerca per una collaborazione.
Per quello che leggo, vi sarebbe stata recentemente una nuova possibilità di una collaborazione anche da parte della struttura della Alleanza atlantica. Se emergeranno degli elementi negativi, ciò in me provocherà un motivo, non di riconsiderazione generale, ma di grande perplessità.
Vorrei assicurare il senatore De Luca che il desiderio di andare a fondo esiste veramente. Ho sempre considerato l'alleanza con grande fedeltà, impegno, sforzandomi di lavorare proprio per dilatare il consenso interno nei suoi confronti, ma non mi sono mai sentito un suddito. Ho sempre ritenuto che lo stesso rapporto con gli americani debba essere fatto non sull'attenti ma sul riposo. Questo può far comodo o no, però è un dato acquisito. Non ha importanza per una persona o per l'altra, ma per una linea anche di dignità personale, che, secondo me, è esistita. Non ci sono state delle flessioni responsabili, ma degli individui.
Certamente, ritengo che voi abbiate molto lavoro per poter approfondire a parte le cose dette questa sera; del resto, è chiaro che dopo 50 anni non si può ricordare tutto...
PRESIDENTE. Peraltro, senatore Andreotti lei ha una memoria fortissima.
ANDREOTTI. Se veramente sapessi seriamente come dipanare questo filo della matassa per arrivare al responsabile o ai responsabili delle stragi, non dormirei la notte.
PRESIDENTE. Considerato l'orario, riterrei opportuno interrompere l'audizione.
CIRAMI. Vorrei chiedere se il senatore Andreotti tornerà nuovamente in questa sede.
PRESIDENTE. In tal caso, se il senatore Andreotti è d'accordo, dovremmo riconcordare la data.
ANDREOTTI. Non ho nessuna difficoltà signor Presidente a tornare, tra l'altro, potrei cercare anche di documentarmi.
PRESIDENTE. Rinvio, pertanto, il seguito della audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle ore 23,15.