Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi
13ª SEDUTA
VENERDI 11 APRILE 1997
Presidenza del Presidente PELLEGRINO
I N D I C E
PRESIDENTE |
ANDREOTTI |
CALVI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore |
FRAGALA' (AN), deputato |
GNAGA (Lega nord per la Padania Indipendente) |
GUALTIERI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore |
La seduta ha inizio alle ore 10, 45.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.
Invito l'onorevole Gnaga a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
GNAGA, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 20 marzo 1997.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE
PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.
Comunico altresì che il generale Maletti ed il dottor Salvini hanno provveduto a restituire, debitamente sottoscritto al sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, il resoconto stenografico delle loro audizioni svoltesi rispettivamente il 3 ed il 20 marzo scorso, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.
Informo che, in data 8 aprile 1997, il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione il deputato Giuseppe Detomas, in sostituzione del deputato Karl Zeller, dimissionario.
INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI: AUDIZIONE DEL SENATORE GIULIO ANDREOTTI
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, è qui presente il senatore a vita Giulio Andreotti, che ringrazio per la sua disponibilità. L'audizione ha inizio con un'ora di ritardo poiché abbiamo voluto dar tempo ai membri deputati di ascoltare le dichiarazioni del Presidente del Consiglio alla Camera; l'audizione terminerà alle ore 13, salvo proseguire in diversa data che concorderemo con il senatore Andreotti. Voglio dire che la richiesta di terminare entro la mattina è venuta non dal senatore Andreotti, bensì dal Presidente della Commissione affari esteri del Senato, senatore Migone, in quanto oggi quest'ultima deve incontrare a Torino il Segretario dell'Onu ed il presidente Migone riteneva importante la presenza del senatore Andreotti.
Il senatore Andreotti è stato già ascoltato dalla Commissione stragi nella X legislatura, e precisamente nella seduta del 3 agosto 1990. Egli aveva allora la responsabilità della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ho riletto ancora una volta nella giornata di ieri il verbale di quella audizione ed ho notato che più volte l'allora Presidente del Consiglio rifiutò l'invito della Commissione a formulare ipotesi, rifiutò altresì di misurarsi con ipotesi ricostruttive degli eventi su cui noi indaghiamo che venivano avanzate da membri della Commissione. Probabilmente, vista la responsabilità istituzionale di cui in quel momento il senatore Andreotti era investito, il suo atteggiamento è stato istituzionalmente corretto. Tuttavia vorrei dire al senatore Andreotti che oggi questa Commissione è nella fase conclusiva dei propri lavori e che in particolare - come ho scritto nella relazione semestrale che consegnerò oggi al Presidente del Senato e al Presidente della Camera - il suo Presidente è stato da essi investito di un mandato vincolato e cioè portare entro il 31 ottobre 1997 la Commissione ad una relazione conclusiva, muovendo come ipotesi di lavoro da una proposta di relazione che, come sapete, avevo redatto nella scorsa legislatura.
Quindi la Commissione è chiamata dalla legge a pagare un debito verso il paese, rispondendo a due fondamentali interrogativi: perché nel nostro paese le stragi sono avvenute; perché nella grande prevalenza i colpevoli, sia come autori materiali che come mandanti delle stragi, sono restati impuniti. 2 evidente che, nel provare a rispondere a questi interrogativi, la Commissione deve partire da fatti certi. Tuttavia, sulla base di fatti certi la Commissione stessa non può rifiutarsi di formulare ipotesi, anche se è giusto scartare tra esse tutte quelle che non siano dotate almeno di un alto grado di probabilità. Fatti certi e ipotesi fortemente probabili possono essere considerati dal nostro punto di vista, ma non solo, una prova storica che consente alla Commissione la formulazione di un giudizio politico e quindi di dare risposta a quegli interrogativi. Nella proposta di relazione da cui muoviamo ho cercato di attenermi a questo criterio: scartare le pure ipotesi e fondare invece le mie valutazioni, giuste o sbagliate che siano, su fatti certi e su ipotesi dotate di un alto grado di probabilità.
Il senatore Andreotti conosce da tempo la mia proposta di relazione. Ho ritenuto giusto fargli avere anche il testo degli atti di inchiesta più importanti recentemente compiuti, quindi sia delle audizioni del dottor Salvini, sia soprattutto della lunga audizione del generale Maletti svoltasi in Sud Africa. Pertanto il senatore Andreotti conosce qual è la ricostruzione degli eventi della storia nazionale che ho provato a dare nella proposta di relazione. La riassumerò comunque brevemente.
Nell'immediato dopoguerra, in una logica direi occidentale ed atlantica, si sviluppano nel nostro paese reti segrete che avevano vertici istituzionali sia nel Ministero dell'interno sia nelle istituzioni militari. Si tratta di reti clandestine che in qualche modo costituiscono gli antenati, l'albero genealogico di Gladio, ma che con la costituzione di Gladio non cessano di esistere. I colleghi presenti in Sud Africa, e comunque quanti hanno letto l'interrogatorio del generale Maletti, ricorderanno che quanto al rapporto tra Cladio e queste altre reti clandestine, nella proposta di relazione avevo formulato due ipotesi che muovevano da un fatto che mi sembrava incontestabile: 622 gladiatori diluiti nell'arco di vita della struttura Gladio rappresentano un numero risibile; non si poteva organizzare una rete di resistenza interna, uno "stare dietro", con duecento o trecento operatori attivi, visto che alla fine dei quarant'anni della vita di Gladio i primi gladiatori avevano circa 75 anni e quindi erano poco adatti a minare ponti o a tenere una stazione radio clandestina. Avevo quindi formulato due ipotesi: che vi fosse un livello di Gladio sotterraneo, che non ci è stato rivelato, o che questa fosse stata pensata nella prospettiva di attivazione di strutture parallele. La risposta venuta dal generale Maletti è stata che le due ipotesi convivono e cioè che vi fossero sia altre strutture clandestine sia un livello di Gladio che non è ancora conosciuto.
Negli anni '60 è documentato uno stringersi del rapporto tra questo mondo delle reti clandestine e settori di estremismo politico, prevalentemente ma non esclusivamente della destra radicale. Così come è provato anche documentalmente come questo mondo fosse attraversato prevalentemente da un'ideologia autoritaria ed in qualche caso anche golpista. Gli atti del convegno dell'Istituto Pollio che si tenne nel maggio 1965 sono la prova documentale di questa ideologia.
FRAGALA. Che era velleitaria!
PRESIDENTE. Realistica o velleitaria, ciò non toglie che fosse il pensiero quasi ufficiale dell'Istituto Pollio, che era emanazione del vertice delle Forze armate. In quel convegno parlano generali, parlano alti ufficiali e dicono le cose che hanno detto. Che poi fossero dei progetti velleitari è una valutazione che condivido, ma ciò non toglie che chi li ascoltava poteva pensare che quei progetti non fossero fino in fondo velleitari.
CALVI. E anche chi li finanziava.
PRESIDENTE. Comunque, colleghi, avremo tempo di discutere di questi aspetti: ne ho parlato perché il senatore Andreotti era allora ministro della difesa e quindi ci dovrà dire qual è la sua valutazione di quegli atti dell'Istituto Pollio.
Un ulteriore fatto certo è che molti di questi operatori estremi, uomini dell'estremismo politico di cui sono ormai provati i rapporti con queste reti clandestine, alla fine degli anni '60 e nel primi anni '70 commettono una serie di attentati esplosivistici.
Così come è certo che, iniziandosi le indagini sulle grandi stragi restate impunite, l'indagine giudiziaria si rivolga verso questi stessi soggetti. La sentenza che ha chiuso il giudicato formatosi sulla strage di Bologna dedica una trentina di pagine a questa storia. Così come anche è un fatto certo che in quelle indagini una costante, che fu già messa in luce dalla Commissione quando era presieduta dal senatore Gualtieri, è la presenza di una serie di depistaggi da parte dei Servizi - uso l'espressione "Servizi" in modo improprio, senatore Gualtieri, ricomprendendovi anche gli apparati del Ministero dell'interno, forse sarebbe meglio parlare di "apparati istituzionali di sicurezza" - i quali non collaborarono con la magistratura e quindi crearono ostacoli a un possibile utile proseguimento delle indagini.
Dobbiamo allora domandarci il perché di questi depistaggi. L'ipotesi più probabile mi sembra quella che con essi si volesse non tanto coprire - perché non mi sembra che siamo in grado di dirlo - la responsabilità di un ordine stragista, quanto piuttosto che si fosse preoccupati delle conseguenze politiche che potevano derivare dalla emersione di rapporti esistenti tra questi settori dell'estremismo politico e gli apparati di sicurezza.
Il generale Maletti al quale ho fatto questa ricostruzione mi ha risposto: "La sua teoria, senatore, è quanto mai accettabile. Mi scusi questa valutazione così apertamente positiva, perché penso che, al di là di una trama eversiva, all'interno di questa vi fosse una venatura di esaltazione attivistica che comportava reazioni individuali, spesso non desiderate dalla direzione dei gruppi eversivi anche se comprese nella strategia della tensione, ma forse intempestive". Io avevo fatto notare che probabilmente gli autori delle stragi le hanno commesse anche per deviazioni individuali dai piani concordati e che in realtà la ragione per la quale non si sono scoperte le responsabilità risiede nel fatto che ci si è preoccupati di coprire i rapporti istituzionali che questi avevano o avevano avuto in passato.
Quindi, il generale Maletti inserisce tali vicende in una strategia della tensione. Vorrei in proposito ricordare, perché lo ho riletto in questi giorni, che cosa Aldo Moro nella prima parte del memoriale, quella che fu immediatamente ritrovata in via Monte Nevoso, dice a questo proposito: "Per quanto riguarda la strategia della tensione, che per anni ha insanguinato l'Italla," - siamo nel 1978, non vi è stata ancora la strage di Bologna, nè quella del treno 904 - "pur senza conseguire i suoi obiettivi politici, non possono non rilevarsi, accanto a responsabilità che si collocano fuori dall'Italia, indulgenze e connivenze di organi dello Stato e della Democrazia cristiana in alcuni suoi settori".
Dico subito che il riferimento esclusivo a settori della Democrazia cristiana mi sembra il frutto di un risentimento che indubbiamente animava Moro nella fase tragica che stava vivendo, perché da tutte le acquisizioni della Commissione risulta con chiarezza che se connivenze e indulgenze vi sono state nel mondo politico queste non hanno riguardato soltanto uomini della Democrazia cristiana. Il ruolo avuto da personaggi di area pacciardiana o socialdemocratica, come Ivan Matteo Lombardo, mi sembra evidente. Sempre secondo l'ipotesi della relazione, questo stato di cose dura fino alla fine del 1974. A quel punto una serie di indicatori, che non mi sembrano equivoci, dimostrano che c'è un cambiamento e che improvvisamente, da un certo momento in poi, gli apparati di sicurezza ricevono anche una precisa direttiva politica e quindi si attivano nei confronti di quel mondo eversivo con il quale in precedenza vi erano stati rapporti.
Ciò che invece affiora nel periodo successivo, nella seconda metà degli anni '70, è qualcosa di diverso. Anche qui mi è sembrato atto dovuto partire da fatti certi. Nel 1974-1975 le Brigate rosse erano ridotte ai minimi termini, però, nel 1975 viene sciolto il nucleo antiterrorismo diretto dal generale Dalla Chiesa; di ciò non è mai stata data una spiegazione accettabile. Nel gennaio del 1978 viene sciolto l'ispettorato antiterrorismo, diretto da Santillo, e anche di ciò non viene data una spiegazione accettabile. Lo Stato si presenta sostanzialmente disarmato, inane, nell'azione di contrasto del terrorismo di sinistra che porta al rapimento e all'uccisione di Moro; esso non riesce ad individuare il luogo della prigione, non riesce a far niente che sia utile alla liberazione dell'ostaggio. Il 9 agosto del 1978, l'allora presidente del Consiglio Andreotti e i ministri dell'interno, Rognoni, e della difesa, Ruffini, riuniti a Merano, conferiscono a Dalla Chiesa compiti operativi speciali nella lotta al terrorismo, sul quali questi doveva riferire direttamente al Ministro dell'interno, con decorrenza 10 settembre 1978. Da questa data al primo ottobre 1978 intercorrono venti giorni, tre settimane; in tre giorni Dalla Chiesa arriva in via Monte Nevoso, dove cattura due su cinque componenti dell'esecutivo delle Brigate rosse. Questi sono fatti certi. L'ipotesi probabile di come ci sia riuscito diviene evidente se si pensa a come era riuscito a catturare Curcio e Franceschini nel 1973, cioè attraverso l'infiltrazione di "frate Girotto" o "frate mitra". Quindi diventa altamente probabile che Dalla Chiesa avesse degli infiltrati nell'ambito delle Brigate rosse. Ciò d'altra parte è stato confermato alla Commissione stragi dal generale Romeo, il quale ci ha detto: "abbiamo seguito l'intera problematica del terrorismo in modo molto attento. Quando tutti parlavano di dover affrontare il terrorismo mediante infiltrazioni, il "reparto D" lo aveva già fatto ed è per questo che è pervenuto a quei risultati. Se questa informazione verrà fuori molti uomini potrebbero correre pericoli". La valutazione quindi non si riferiva agli infiltrati già noti, a Girotto e Pisetta, ma ad altri infiltrati nelle Brigate rosse.
Questa è la ricostruzione del periodo che mi è sembrata possibile sulla base di fatti certi e di ipotesi dotate di un alto grado di probabilità.
Alla fine della proposta di relazione, infine, ho sottolineato "che il giudizio sulle responsabilità politiche si stempera nella maggiore serenità propria di un giudizio storico". E ciò ha creato, come noto, qualche polemica anche all'interno della Commissione. E sembrato quasi che attraverso questo invito alla storicizzazione io volessi stendere una coltre di perdono su tutto quanto è avvenuto. Così non è; storicizzare significa capire, significa utilizzare una prospettiva distanziata per poter vedere meglio. Le cose, se si osservano da vicino, colpiscono per alcuni particolari, ma sfugge il quadro di insieme; la distanza storica consente di vedere e capire meglio. In questo modo, quindi, non ho voluto escludere responsabilità politiche. Le pagine successive della relazione lo dicono con grande chiarezza. La responsabilità politica - e penso che su questo il senatore Andreotti sarà d'accordo - ha caratteristiche sue proprie; si è responsabili politicamente di ciò che si vuole, ma anche di ciò che si aveva il dovere di impedire e non si è impedito. Vorrei dire che si può essere responsabili politicamente anche di ciò che non si è conosciuto, se si aveva il dovere di conoscerlo.
Naturalmente, quello che volevo sottolineare è che ormai viviamo una nuova fase della vita politica del paese e quindi da giudizi di responsabilità politica non mi sembra - sbaglierò - che possano conseguire sanzioni di tipo politico. Forse potremmo veramente avviare una fase nuova nella vita del paese se con questo passato avremo tutti la capacità di fare i conti fino in fondo.
Concludo dicendo che recentemente in Commissione sono emerse ipotesi che consentirebbero un giudizio più grave sulle responsabilità politiche. Le considero però ancora soltanto delle ipotesi: non mi sentirei di dire che hanno acquisito un alto grado di probabilità. Sono le ipotesi secondo le quali non ci sarebbero state soltanto indulgenze, magari utilitaristiche, ma che ci possano essere state da parte del ceto politico, come accennava Moro nella frase che ho riportato, addirittura connivenze. Il dottor Salvini, nel corso di un passaggio in seduta segreta della sua audizione in Commissione (passaggio che però è apparso sulla stampa, facendo così venire meno le ragioni del segreto), ha addirittura avanzato come ipotesi giudiziaria quella secondo la quale l'attentato del 1973 a Rumor non voleva colpire il simbolo istituzionale, il Ministro dell'interno, ma volesse invece punire un obbligo di solidarietà non adempiuto: l'ipotesi sarebbe che, in quel contesto eversivo di cui ho parlato prima, vi fosse un'attesa che a seguito della strage di piazza Fontana sarebbe stato dichiarato lo stato d'emergenza; il fatto che Rumor non l'abbia dichiarato avrebbe determinato questa volontà punitiva nei confronti dell'allora Presidente del Consiglio e poi Ministro dell'interno.
Su tutti questi argomenti vogliamo ascoltare il senatore Andreotti, del quale non ripeterà l'elenco delle cariche pubbliche ricoperte. Diciamo che è un uomo che ha attraversato questo lungo periodo della storia del paese, sempre o quasi sempre in posti di altissima responsabilità, dal lungo periodo di sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio nel primi anni della Repubblica, alle lunghe permanenze al Ministero della difesa (se non sbaglio per un periodo continuativo di quasi sette anni). Ho letto che è stato Ministro dell'interno soltanto per venti giorni.
ANDREOTTI. Sì, poichè quel Governo non ebbe la fiducia dal Parlamento.
PRESIDENTE. Comunque ha avuto responsabilità di vertice massimo, specie attraverso le ripetute esperienze come Presidente del Consiglio.
Vorrei senz'altro dare la parola al senatore Andreotti perché mi sembra giusto che come testimone di quest'epoca possa dialogare con noi sulle ipotesi ricostruttive che ho ricordato, affinchè ci dica con la serenità che il tempo e la distanza consentono fino a che limite le ritiene accettabili, dove le contesta e quanto esse gli appaiano frutto di una suggestione storiografica. Insomma vorremmo sapere quanto secondo il senatore Andreotti, queste ipotesi corrispondano alla storia reale del paese.
ANDREOTTI. Ringrazio il presidente Pellegrino di avermi invitato e do volentieri, per quel che posso, la mia collaborazione per una ricerca di chiarezza su alcuni episodi che certamente, fino a quando rimarranno attribuibili ad ignoti, rappresentano un elemento fortemente negativo per tutti, ma anche un elemento di particolare amarezza per chi ha vissuto con intensità e da posizioni di responsabilità la vita politica dal dopoguerra ad oggi.
Vorrei soltanto fare alcune brevi premesse, innanzitutto sul problema dei tempi che la Commissione si è data. Capisco che è stato fissato il termine di ottobre e che quindi, considerando le feste comandate ed il periodo estivo, si finisce con l'avere margini di tempo relativamente esigui. Ma ritengo che se si vuol far prevalere al rispetto, pur legittimo, del calendario la necessità di arrivare ad un ulteriore approfondimento rispetto alle certezze che fino ad ora si hanno, i tempi indicati non siano sufficienti.
Ed anche sul concetto di ipotesi ci sarebbe da discutere. Il Presidente ha parlato di ipotesi fortemente probabili: spetterà alla Commissione definire i confini di queste ipotesi, ma qui si tratta di redigere un atto del Parlamento italiano e non so se sia giusto lavorare su ipotesi non tanto al momento della ricerca, quanto, ripeto, al momento di trarre le conclusioni. Mi rendo conto, però, che questo argomento esula dalla partecipazione di oggi.
Tornando alla questione dei tempi, non so se sarà possibile, nelle relativamente poche settimane disponibili, arrivare a delle conclusioni che costituiscano un punto finale. Questo anche dopo la quantità di inchieste e addirittura di sentenze che abbiamo avuto, perché potrebbe avvenire come per la luce, che quando è molta illumina, ma quando è troppa acceca. Invece di fare chiarezza forse si finirebbe solo con lo scatenare una serie di polemiche.
Bisogna anche tener conto che oggi disponiamo di fonti che una volta non era possibile avere. Anche in virtù della scadenza liberatoria più recente degli archivi americani, disponiamo di fonti che possono essere consultate e che sono acquisibili non attraverso forme parziali o indirette. Disponiamo anche degli archivi dei paesi dell'Est. A tale proposito, c'è veramente un errore nella letteratura sull'argomento: non è vero il discorso che si deve chiudere un occhio da una parte e un occhio dall'altra; nemmeno per sogno! Per me non dobbiamo chiudere nessun occhio e dobbiamo ricostruire i fatti basandoci sulle effettive responsabilità. Nella relazione del Presidente che ho letto alcuni mesi fa, c'è scritto, se non ricordo male che "non si può escludere" che anche da parte sovietica vi fossero aiuti a movimenti italiani. Altro che non si può escludere! Oggi c'è una documentazione formale a provarlo ed è stata a mio avviso una dimostrazione di grande senso di responsabilità il fatto che il Governo da me presieduto e l'autorità del Capo dello Stato abbiano evitato una profonda ingiustizia, nella considerazione che questi fondi - come avviene in tutte le contabilità di Stato - sono catalogati come riservati e quindi c'era il rischio di una impostazione che li vedesse utilizzati per imputazioni di spionaggio. Giustamente il Tribunale di Roma ha disposto l'archiviazione sotto questo aspetto.
Nonostante passi per furbo, non lo sono affatto e penso anzi che in questo campo si debba essere estremamente obiettivi. Per questo il mio modestissimo consiglio è che se si può esaminare tutta la documentazione, bene: altrimenti è preferibile disporre di margini di tempo maggiori.
Vengo ai temi affrontati dal Presidente. Qual è l'ostacolo maggiore che si ha nel confronti di indagini di questo genere? A che si urta in un settore, quello più in generale dei sistemi investigativi e di sicurezza, caratterizzato da grande discrezionalità. Questi organismi devono avere una notevole libertà d'azione non solo in sè stessa, ma anche nei confronti dei responsabili ministeriali. Lo dico non per scaricare responsabilità, ma perché ritengo giusto, per esempio, che un Ministro pro tempore dell'interno o della difesa non conosca l'elenco degli informatori.
Deve essere qualcosa che rimane interna corporis dei Servizi, altrimenti, quando poi cambiano i momenti politici, potrebbero essere utilizzati per finalità che non sono quelle istituzionali.
Sotto questo aspetto certamente esiste una parte che i Servizi devono vedersi riconosciuta come area nella quale possono muoversi. Per la verità, nei vostri atti - ringrazio il presidente Pellegrino di avermi messo in condizione di leggerne molti, alcuni enormi; c'è una sentenza di 1.500 pagine che ho impiegato una domenica intera a leggere - quando leggo una dichiarazione fatta qui dall'ammiraglio Martini in cui dice che per cinquant'anni i Servizi esteri potevano fare il comodo loro in Italia, questo non mi piace nemmeno un poco, perché ritengo che un responsabile della Sicurezza italiana avrebbe dovuto adottare delle misure. Per questo esiste, credo, proprio lo spionaggio ed il controspionaggio, altrimenti tanto sarebbe - come una volta dissi con una battuta, attraverso la quale si possono poi dire le cose meglio che con un ragionamento - chiudere tutto, servirsi di volta in volta di Tom Ponzi e comprarsi un abbonamento al bollettino dell'Istituto strategico di Londra, che oggi pubblica tutto in materia di armamenti; sarebbe molto più economico.
Anche Maletti in un certo senso dice: "noi eravamo sotto una soggezione". Questo mi piace poco, per la verità, a parte che forse avrebbero potuto anche dirlo a chi di dovere nel momento giusto per adottare delle misure.
Naturalmente, fermo restando che i Servizi hanno questa discrezionalità, il problema delicato che si è posto è stato quello dei rapporti tra i servizi e la giustizia, cioè entro che limiti il Servizio è al di fuori di una censurabilità e anche indagabilità da parte degli organi giudiziari. Questo, ripeto, ci ha creato una serie di problemi perché c'è stato specialmente un momento di grandissima tensione.
Prima ho parlato della letteratura, perché tutti i libri che escono, che sono usciti o che usciranno su questa materia sono portati sempre a dare delle interpretazioni strettamente politiche o strettamente personalizzate. Secondo questi modi di interpretare, ad esempio, quando ho mandato l'elenco di Gladio alla Commissione, l'avrei fatto per dispetto a Cossiga; oppure uno è a favore di Maletti perché è contro Miceli o è a favore di Miceli perché è contro Maletti. Questa riduzione a modi personali o politici devia da una interpretazione corretta dei fatti.
Esemplifico perché questo è uno dei fatti attorno a cui si è ruotato e che tra l'altro mi ha creato una serie di quelle che, tra virgolette, a Roma si chiamano "rogne", un fatto in cui non c'è stata nessuna volontà di carattere politico interno democristiano nè di lotta tra partiti. Quando nel 1974, in un momento decisivo per capire tutto questo, sono tornato alla difesa - c'ero già stato più di sei anni - l'ho fatto volentieri, perché tra l'altro nel frattempo si erano sviluppate tutte le polemiche su quello che era stato il 1964, la Commissione Alessi, e vi erano alcune cose che avevo seguito con un certo interesse perché riguardavano una parte del periodo nella quale io stesso ero Ministro e che, viste poi alla luce della Commissione Alessi e di tutto quello che si era sviluppato, mi davano delle possibilità di capire. Al mio ritorno al Ministero nel 1974 - è documentato - feci una riunione di tutti i principali esponenti degli Stati maggiori e anche del personale civile del Ministero dicendo: "Signori miei, noi usciamo piuttosto con le ossa rotte da quella che è stata una vicenda che la Commissione Alessi ha ricostruito. Quello che è passato ormai è fatto, però da adesso in poi sia chiaro bisogna che tutti smettano di avere rapporti così liberamente con l'una e con l'altra autorità. Chiunque, senza nessuna eccezione vi dà un ordine che voi non reputate rientri nell'autorità di quella persona, voi non lo dovete eseguire. Deve essere chiaro che c'è una gerarchia...".
PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, senatore. Questo è proprio quello che ci dice Maletti, cioè che nel 1974 improvvisamente c'è stata una direzione politica, ma fino allora lui ha parlato di un assoluto vuoto di direzione. Dice: "A noi non ci veniva nemmeno detto se dovevamo difendere la Costituzione o se non la dovevamo difendere. Quello che ci veniva detto è che dovevamo indagare sulle abitudini private di uno o le abitudini private di un altro". Quello che lei dice trova un riscontro.
ANDREOTTI. Vorrei spiegare. Nei sei anni in cui sono stato Ministro certamente non ho mai detto nè ai Servizi, nè a nessuno di ingerirsi di questioni che non rientrassero nelle questioni istituzionali. E vero che c'erano state: il giorno in cui diventai Ministro - del tutto inopinatamente anche secondo quello che pensavo, perché la mia carriera militare era piuttosto modesta, non ammesso per ragioni di salute al corso allievi ufficiali ho prestato servizio come soldato al collegio medico legale; è vero anche che molti non hanno fatto nemmeno quello quindi era un qualche precedente, ma comunque tutto pensavo fuorchè andare alla difesa - il giorno in cui mi sono insediato, dicevo, il generale De Lorenzo, che era a capo del Sifar, ritenendo che lo sapessi mentre non lo sapevo per niente, mi venne a dire, quasi a volersi scusare, che il Sifar aveva messo in piedi il memoriale sullo scandalo Giuffrè insieme alla agenzia "La Repubblica" e disse tra l'altro: "sa, perché poi questo fa parte ... "; lo, che ripeto non ne sapevo niente, gli risposi: "No, scusi, non fa parte di niente. Siccome, per principio, sono cose del passato non me ne occupo, ma chiunque le chieda di fare cose di questo genere lei rifiuterà". Mi domando: "Ma ci dobbiamo ancora interessare di chi riceve Sturzo?" Gli risposi: "Ma scusi, perché, Sturzo è sospetto di spionaggio o di fare dell'attività militare?". Quindi, le direttive in verità loro le avevano.
Naturalmente nel 1974 ero in condizione di. essere molto più con gli occhi aperti proprio perché c'era stato tutto quello che era emerso nella Commissione Alessi e cominciavo infatti a chiedermi come mai delle cose che la Commissione Alessi aveva detto non erano state poi adempiute.
Ad esempio, la commissione aveva con assoluta precisione detto che bisognava distruggere i fascicoli.
Sui fascicoli vorrei dire una parola, perché anche qui forse c'è da rendere un po' di giustizia alla memoria del generale De Lorenzo, nel confronti del quale non ho gratitudini particolari anche perché si occupava pure dei pamphlet nei miei confronti, come ho citato prima. Comunque, sul fascicoli la commissione dette un giudizio molto severo e vi fu la relazione Beolchini, un generale di Corpo d'armata, il quale, tre parentesi, ce l'aveva a morte con il generale De Lorenzo. A volte anche le lotte personali o i dissensi purtroppo influiscono. Ce l'aveva con De Lorenzo perché Beolchini aveva comandato il Corpo d'armata a Bolzano: egli era un uomo di grande integrità, però, per esempio, non riusciva proprio ad accettare che a Bolzano la toponomastica fosse in lingua italiana e in lingua tedesca; tutto quello che rappresentava quella realtà, che poi derivava dagli accordi Gruber-De Gasperi, per lui non andava. Tant'è che nel Corpo d'armata erano state prese alcune iniziative che, sotto l'etichetta della buona fede, per difendere l'italianità, creavano grossi problemi di carattere politico. Quindi Beolchini fu alternato al comando del Corpo d'armata di Bolzano e se l'è sempre presa con De Lorenzo, affermando che era stato lui, mentre De Lorenzo, per la verità, non c'era entrato affatto.
Tornando ai fascicoli, è vero che faceva impressione il numero e io non so se è giusto che un ufficio di quel genere abbia 500.000, 600.000 o un milione di fascicoli, non sono in condizione di poterlo dire. Quel numero fu censurato fortemente da Beolchini e vennero constatate delle inopportunità, o peggio. Qual era la spiegazione, la giustificazione che dava il generale De Lorenzo sulla questione sia del numero, sia del fatto che nella relazione Beolchini si diceva che c'era anche qualche fascicolo relativo ad ecclesiastici? De Lorenzo diceva: se arriva, per esempio, uno che è ritenuto una spia jugoslava, noi lo seguiamo; se questo va da un dentista, noi prendiamo nota e facciamo un fascicolo sul dentista, che poi rimane lì. La cosa finisce. Questo fu l'esempio che mi fece. Se poi seguiamo un'altra persona come sospetta spia - aggiungeva - e si reca dallo stesso dentista, noi cominciamo a dover dare un'occhiata. Per gli ecclesiastici mi fece l'esempio del Collegio Teutonico di Santa Maria dell'Anima, dove nell'immediato dopoguerra un vescovo aveva ospitato e nascosto dei nazisti. Disse che il Sifar aveva agito indagando non per anticlericalismo ma perché dovevano stare attenti a chi frequentava quel vescovo.
Detto questo, non voglio assolutamente nè minimizzare nè indugiare. Comunque venne detto nella relazione Alessi che bisognava distruggere quei fascicoli e io mi rivolsi alle Commissioni delle Camere per avere un'ulteriore approvazione in questa direzione. Ufficialmente nessuno avrebbe dovuto conoscerli perché c'era una doppia chiave strasigillata e quindi la segretezza era garantita anche dal punto di vista formale. Non mi sono occupato personalmente dell'operazione distruzione e, quando mi chiesero se volevo vedere il mio fascicolo, risposi che non mi interessava affatto. Venne istituita una commissione, con alcuni magistrati e si adoperò l'inceneritore di Fiumicino, perché era l'unico che aveva le dimensioni necessarie. I fascicoli vennero distrutti. Dopo sono circolate delle copie e si è chiesto se erano state preparate prima. Probabilmente, anche al riguardo mi do una spiegazione: alcuni di questi fascicoli erano il frutto di atti che venivano dagli organi periferici; probabilmente, distruggendo l'insieme dei fascicoli ma non all'origine la parte che poi era entrata nell'insieme, quella stessa parte era rimasta ugualmente. Però faccio solo un'ipotesi. Comunque, stabilimmo che i fascicoli dovevano essere distrutti e ciò fu fatto. C'era poi il problema serio della riorganizzazione dei Servizi, a cui si pose mano, e forse non è male ricordare che quando cominciammo il lavoro ci orientammo e ci convincemmo - almeno per quanto mi riguarda personalmente - che per creare il nuovo fosse meglio smantellare i vecchi Servizi e crearne Lino unico. La proposta di legge che fu presentata proponeva proprio di creare un unico Servizio. Vi fu la reazione sia dei militari sia dei civili e Santillo e l'ammiraglio Casardi presentarono alla Commissione parlamentare un unico appunto, in due copie, senza nemmeno la fantasia di cambiare qualche aggettivo.
PRESIDENTE. Questo lei lo aveva già detto, quasi con le stesse parole, nell'audizione di fronte alla Commissione nel 1980. Rileggendo il verbale non ho capito: i due appunti dicevano la stessa cosa? E quale soluzione davano?
ANDREOTTI. Di avere due Servizi, di mantenere lo status quo. Gli appunti erano uguali, si erano messi d'accordo e dicevano di fare attenzione che si poteva altrimenti creare un centro di potere. Poteva anche essere unobiezione, non ci sono dogmi in questo campo. Alla fine vennero istituiti dal Parlamento due Servizi con un Servizio di coordinamento, il Cesis. Anche a tale riguardo, è contestato quali siano le competenze del Cesis perché "coordinamento" è una parola molto riassuntiva. Ad esempio, in una fase successiva l'ambasciatore Fulci, che era un po' fuori da tutte le questioni, sia militari sia dei Servizi svolse un lavoro molto utile di indirizzo.
PRESIDENTE. Mi scusi, Presidente, ma Fulci dice delle cose raccapriccianti soprattutto sul Servizio civile: dice che serviva soprattutto a sistemare cugini e parenti di parlamentari. In altre parole, a conti fatti, la maggior parte degli informatori del Sisde, il Servizio civile dell'epoca, veniva pagata ma non produceva nemmeno una informativa all'anno. Era un modo per distribuire prebende.
ANDREOTTI. Può darsi che questo sia un giudizio derivante dalla ostilità che i due Servizi, con una concordia che forse non avevano in altri momenti, avvertivano verso il Cesis asserendo che doveva occuparsi solo dei verbali del Comitato interministeriale e non doveva avere rapporti neanche con i Servizi esteri. Quindi può darsi - anzi, lo spero che ci sia un po' di esagerazione in questo. Tuttavia, devo dire che fu proprio Fulci a dirmi di non firmare alcune cose relativamente al Sisde. lo non firmai e constatai di aver agito bene.
Comunque, tornando al 1974, appena nominato, ebbi subito una grana. Mi fu comunicato ufficiosamente che il giudice D'Ambrosio che conduceva a Milano l'inchiesta su piazza Fontana, aveva chiesto nei mesi precedenti se Giannettini fosse un informatore dei Servizi e gli era stato eccepito che l'identità degli informatori era coperta da segreto.
PRESIDENTE. Ma perché lei scelse l'intervista per fare quella dichiarazione?
ANDREOTTI. E vero, fu certamente un mezzo anomalo. Tuttavia, poichè ritenevo fosse vera la comunicazione che mi avevano dato, cioè che il dottor D'Ambrosio si apprestava a sospendere o addirittura a chiudere le indagini, dicendo che lo Stato non partecipava, proprio quel giorno c'era l'occasione di un'intervista a Massimo Caprara, feci quella comunicazione e dissi anche altre cose che andavano fatte per onorare gli impegni della commissione Alessi.
Dissi senz'altro che Giannettini era in effetti un informatore. Poi, ci fu una polemica perché era stato scritto che c'era stata una riunione a palazzo Chigi.
PRESIDENTE. E invece che cosa avvenne?
ANDREOTTI. Non è vero che c'era stata una riunione a palazzo Chigi. Mi ero informato, ovviamente e c'era stata una riunione nei Servizi che avevano esaminato questa questione: e per una ragione a loro avviso di principio (perché le fonti di informazione, cioè gli informatori, vanno sempre coperti) avevano ritenuto di non derogare, sia pure dicendo che chiunque avesse letto tra le righe avrebbe potuto capire che ciò significava che era vero, altrimenti avrebbero detto formalmente che non era vero.
PRESIDENTE. La responsabilità politica chi la assunse? Forse il Presidente del Consiglio?
ANDREOTTI. No, che io sappia, la responsabilità politica non è stata assunta dal Presidente del Consiglio. Gli uffici sostenevano che avevano parlato di questo allo Stato maggiore e che prima di spedire la lettera da parte del capo dei Servizi avevano sentito il Ministro della difesa che all'epoca era Tanassi. Questa era la loro versione.
Certamente non è che si trattasse di un modo brillante di operare, ma a me pareva necessario porre fine ad un rischio grave; perché se l'inchiesta su piazza Fontana fosse stata sospesa accusando lo Stato di non collaborare, credo che veramente sarebbe stato un fatto molto più importante. Poi, le conseguenze furono ancora più complicate.
Io domandai con chiarezza - dovendo poi rispondere di questo - se questo informatore Giannettini che risultava espatriato avesse avuto più rapporti con i Servizi. Il generale Miceli mi portò un appunto scritto -chiesi infatti che me lo portasse per iscritto - nel quale escludeva che i Servizi avessero avuto rapporti dopo l'espatrio. Risultò dopo non molto che il capitano Labruna gli porta del denaro all'aeroporto di Orly, cosa che allora mi obbligò ad adottare delle misure interne. Qualcuno di voi ricorderà che quando il generale Miceli divenne deputato mi rivolse un attacco pubblico in Parlamento perché diceva che l'appunto non era suo. Ma quell'appunto me l'aveva dato lui. Chiese anche un giuri d'onore che finì male per lui perché quando un capo di un Servizio presenta al Ministro un appunto se ne assume la responsabilità.
Questo certamente mi aveva messo un pò in difficoltà, anche perché con il generale Miceli vi era stato un altro motivo di contrasto. Nel 1972 lo ero Presidente di un Consiglio sui generis, perché non avemmo la fiducia, ma in modo diverso dal 1976. Il Governo cadde e facemmo le elezioni concordemente, perché non c'era contrarietà da parte delle opposizioni. Si trattava di una situazione particolarmente delicata.
Qualche giorno prima delle elezioni vennero da me il ministro degli esteri Moro e il ministro della difesa Restivo a dirmi che bisognava mandare via cinquanta persone dell'ambasciata sovietica. Gli dissi che quell'atto avrebbe potuto considerarsi una specie di dichiarazione di guerra. Ne chiesi la ragione, ma mi dissero che loro non lo sapevano e che gli era stato chiesto da Miceli.
PRESIDENTE. Maletti ce ne ha parlato a lungo durante l'interrogatorio.
ANDREOTTI. Io osservai: "Vediamo di che cosa si tratta" e loro dissero che non gli aveva dato elementi. Poi, la sera è tornato solo Restivo da me dicendomi che la motivazione era che i diplomatici avevano rapporti con alcuni deputati comunisti. Era una cosa veramente ridicola.
FRAGALA. Non è così, presidente Andreotti, vi sono elementi di prova. Nel 1972 fu scoperta una rete spionistica del Kgb in tutta Europa.
ANDREOTTI. Abbia pazienza, onorevole Fragalà, ci arrivo, ma la cosa sta esattamente come io la dico. Stavo dicendo ciò che mi aveva riferito Restivo e che gli aveva detto Miceli e cioè che in Inghilterra era accaduto, nei giorni precedenti, un movimento di espulsione, ma da noi non c'erano prove. Ritengo che probabilmente Miceli pensasse di fare una specie di cosa utile, anche secondo le idee politiche; pensava che fosse utile a noi elettoralmente dimostrare di essere delle persone dure; ma, mi dispiace, era un modo assolutamente improprio, certamente non per voler chiudere gli occhi, ma perché non si può fare un gesto di questo genere senza una documentazione che lo possa permettere. Miceli era stato molto critico e aveva mandato una lettera al Presidente della Repubblica (dopo le elezioni) dicendo che io non dovevo essere nominato Presidente del Consiglio. Non ce l'ho personalmente con il generale Miceli, ma secondo me ha compiuto un errore chi lo aveva nominato. Però non ho niente contro di lui.
Poi, purtroppo, in quello stesso periodo, nel 1974 ci fu la questione di cui Maletti vi avrà parlato a lungo e anche qui bisogna essere estremamente precisi. Maletti, sotto questo aspetto, lo è stato. Comunque, non è che uno ha dato a Maletti l'incarico di preparare carte per andare contro Miceli, nemmeno per sogno. Maletti ha chiesto di venire, e per la verità era la prima volta che lo vedevo da solo, perché qualche volta lo avevo visto durante riunioni. Mi disse che avevano fatto una ricerca che faceva seguito all'indagine sul cosiddetto golpo del 1970, che era cominciata già sul piano giudiziario nel 1971 e aveva avuto un certo sviluppo, anche se con un contrasto tra quella che era la Procura e quelli che erano stati i giudici di merito che dovevano adottare o confermare. C'erano stati anche degli arresti compiuti nel 1971; tra l'altro il procuratore era Vitalone, che in quella occasione conobbi per la prima volta.
Maletti segnalava questa posizione delicata perché risultava un contatto tra il generale Miceli ed il principe Borghese. Allora gli dissi di dare il rapporto al generale Miceli; ove il generale Miceli non me ne avesse parlato, lo avrei rimandato a chiamare. Invece Miceli mi portò questo e stabilimmo - siccome si parlava anche di registrazioni - di fare una riunione con i Capi di Stato maggiore e lo stesso generale Miceli per ascoltarli. Ho visto che qui si parla poi di nastri che si sarebbero inceppati, ma per la verità non me ne sono accorto, non mi risulta che questo sia avvenuto. Mi colpì solo il fatto che questo Orlandini si dava del tu con il capitano Labruna. lo chiesi come mai, ma mi disse che era per avere confidenza e forse aveva ragione. Il capitano Labruna diceva che per entrare in confidenza bisogna pure instaurare un certo rapporto.
Poi, lo accenno solo, anche qui c'è una specie di leggenda che si siano voluti togliere alcuni nomi prima di mandarli. In questi rapporti c'era, per esempio, un accenno di questo tipo: "noi speriamo di avere la collaborazione di ... ".
Allora, giustamente i Capi di Stato Maggiore dissero che per mandare un atto alla procura della Repubblica lo si sarebbe dovuto inviare con tutto quello che poteva rappresentare, indizi o prove, ma non si doveva esporre nessuno, senza elementi. Su questo credo che avessero ragione. E non si trattava di Gelli o di altri civili. Tutte le storie che sono circolate non sono assolutamente vere.
In realtà, vi è una denuncia presentata alla procura della Repubblica con una richiesta di supplemento della stessa; si celebrò il processo e non è vero che vi fu una mano leggera in quest'ultimo perché le richieste di pene furono molto severe.
PRESIDENTE. A tal riguardo, la valutazione negativa è sul modo come fu condotta l'indagine dal dottor Vitalone. La sentenza che ho letto, anche se redatta da un magistrato di cui personalmente ho stima, la trovo tuttora allucinante, soprattutto perché viene scritta nel momento in cui in questo paese la gente era morta a causa di attentati.
Allora, ritenere a quella data che si trattava di ragazzotti o di gente adirata, e che quindi non c'era niente di serio, mi lascia tuttora sbalordito. Sarebbe stata certamente una sentenza comprensibile in un paese in cui non fosse accaduto nulla. Ma dopo le stragi di piazza Fontana, di Peteano, di Brescia e dell'Italicus quel tipo di assoluzione - se è consentito ad un vecchio avvocato di esprimere un giudizio su una sentenza - è una sentenza che tuttora mi lascia fortemente interdetto. Ovviamente, se lei mi consente una valutazione.
ANDREOTTI. Certo che gliela consento, ma la contesto nel fatto, perché la requisitoria del procuratore chiedeva l'irrogazione di pene per Orlandini a venticinque anni, per Delle Chiale a ventiquattro anni, per De Rosa a ventitrè anni, per Berti e Saccucci a ventidue anni, per Lo Vecchio e Campo a ventuno anni; quindi non si trattava di una sottovalutazione, anzi.
PRESIDENTE. Io dico che la sottovalutazione è nella sentenza e non nella requisitoria. Dicevo che circa il ruolo del dottor Vitalone è il modo come furono condotte le indagini, e lo stesso Maletti ci ha ripetuto che ebbe l'impressione che si trattasse eli un'indagine non molto approfondita.
ANDREOTTI. Questo non è assolutamente corretto sul piano storico. Poichè mi sono fatto dare e mi sono riletto in questi giorni, tra l'altro, la requisitoria del dottor Vitalone, debbo dire che si tratta di una requisitoria durissima con una documentazione proprio di contestazione di chi riteneva che fosse una cosa da doversi prendere sottogamba.
PRESIDENTE. Questo è vero, perché le richieste di pena avanzate dal pubblico ministero le avevo lette anche io; per questo - lo ripeto - non è l'entità delle richieste ma il modo come le indagini furono condotte che può portare a quell'esito processuale, cioè: richieste forti non supportate da un'indagine fatta bene. Questo è il punto e su di esso volevo rivolgerle una domanda. Fra gli imputati del "golpe Borghese" c'era anche l'avvocato Filippo De Iorio: è vero che era un suo collaboratore?
ANDREOTTI. Non era un collaboratore, bensì un consigliere regionale di Roma, che per l'appunto lavorava nel comitato romano, e quindi come tanti altri "bazzicavano" anche nel miei uffici.
PRESIDENTE. Quindi, quale è la sua odierna valutazione del "golpe dell'lmmacolata", a parte il velleitarismo?
ANDREOTTI. Di grande pericolosità, e se non dispiace credo che sarebbe utile che questa Commissione acquisisse la requisitoria del dottor Vitalone, anche perché accadde che contro chi aveva avuto pene più leggere, egli presentò appello, anche se poi, eletto senatore, non potè più occuparsene e l'appello non fu "coltivato".
Per la verità, lui non c'entra nulla, anzi. Aggiungo che nella requisitoria si dà giustamente tutta la dimostrazione che la sottovalutazione era sbagliata.
PRESIDENTE. Senatore Andreotti, vorrei chiederle se può consegnarci questa requisitoria, perché gli uffici mi dicono che non è agli atti di questa Commissione.
ANDREOTTI. Certo, o ve la consegno e me la farò ridare da Vitalone, oppure dirò direttamente a quest'ultimo di inviarla a questa Commissione.
PRESIDENTE. Va bene.
ANDREOTTI. E importante tale requisitoria. E' vero che era velleitario, però quando sopraggiungono alcuni appartenenti alla Forestale di Cittaducale - uno può riderci sopra ma farebbe male! -, armatissimi, che arrivano in città, e durante l'istruttoria alla domanda: "Che ci facevate?", rispondono che vi era una esercitazione; e alla successiva domanda: "Quando avevate fatto l'ultima esercitazione?", rispondono: nel '43...
FRAGALA. Però, al semaforo si sono fermati!
ANDREOTTI. Si fermano perché probabilmente vi è stato questo famoso blocco che alcuni attribuiscono - ma su questo non ho elementi per poterlo confermare - al segretario di un partito di destra, cioè all'onorevole Almirante, che avrebbe fatto fallire questa storia, in quanto la sua parte politica era estranea. Queste comunque furono voci.
Ritornando a Miceli, devo dire che la sua posizione era diventata difficile da questo punto di vista, non perché pensi veramente che Miceli volesse fare un golpe, però di fatto si trovava coinvolto. Senza un animus punitivo, si pensò, togliendolo dal Servizio, di inviarlo ad un altro Comando. Sopravvenne l'inchiesta di Tamburino. A tal riguardo, posso fare una considerazione di carattere più generale, e in particolare sul rapporto tra i Servizi e la magistratura.
Feci studiare (ma ho visto che non era possibile e forse tuttora è impossibile perché sarebbe l'ideale, qualcuno potrebbe pensare che è una sciocchezza e forse lo è dal punto di vista oggettivo, dal momento che si trattava di magistrati che chiedevano di leggere alcuni documenti dei Servizi) se era possibile far consultare determinati atti ad un magistrato senza però poi incamerarli nelle indagini in modo da mantenere la loro riservatezza. Mi è stato detto che questo di fatto non era possibile perché veniva meno un elemento di difesa da parte di eventuali imputati.
Naturalmente ebbi una serie di fastidi e andai a finire anche davanti alla Commissione inquirente. Infatti, il giudice Tamburino venne da me - che ricoprivo la carica di Ministro - dicendomi che aveva bisogno di un documento del Sifar. Egli aveva ragione, e gli risposi che poichè conoscevo la diffidenza dei magistrati - forse allora conoscevo meno tale categoria - gli risposi che avrei telefonato davanti a lui al Servizio affinchè quel documento gli fosse consegnato; altrimenti avrebbe pensato che nel frattempo potevo dare ordine di far sparire quel documento. Telefonai davanti a lui (ripeto che si trattava di una richiesta estremamente giusta) ed egli lo acquisì con grandissima discrezione. Pochi giorni dopo arrivò una lettera anonima al Presidente della Camera dei deputati nella quale si diceva che avevo fatto entrare un giudice nei locali del Servizio. A mio avviso, il Presidente della Camera avrebbe dovuto cestinare quella lettera in quanto anonima, ma la trasmise alla Commissione inquirente, ma fui scagionato rapidamente con diciotto voti favorevoli e due contrari.
Per altro verso, abbiamo avuto una difficile situazione con il giudice Casson, che il Presidente conosce, con il quale si era instaurato un rapporto molto polemico con il Presidente della Repubblica. Anche in questo caso mi parve ingiusto che lui avesse la sensazione che noi volessimo nascondere qualcosa: non avevamo nulla da nascondere. Lui è venuto al Ministero e ha chiesto di vedere dei documenti; gli fu risposto che glieli avremmo fatti leggere, ma doveva dirci quali erano i documenti che lui voleva esaminare. L'ho fatto accompagnare dal Capo di Gabinetto in questi grandissimi archivi dei Servizi: lui ha notato le dimensioni di tali archivi e, accertato che non volevamo assolutamente nascondergli nulla, non insistette. Comunque, rimane un problema di come si concilia la necessità del segreto e anche della riservatezza - si tratta di due comparti diversi - con la collaborazione nelle Forze armate.
Per quanto riguarda l'Istituto Pollio, devo dire che esso sul momento era considerato quasi una cosa ridicola, una delle tante manifestazioni di piccoli gruppi di studio. Del resto sappiamo che vi erano anche alcuni gruppi, che si chiamavano neogollisti o gollisti, che parlavano della necessità della Repubblica presidenziale, argomento che non mi sembra sia più considerato eversivo, ma allora lo era. Inoltre, se mi è consentito fare questa notazione in modo lieve, per quanto riguarda i tre principali esponenti di una delle iniziative Pacciardi finì politicamente rovinato, Sogno finì in prigione e Beria d'Argentine, che credo fosse stato l'estensore del progetto finì procuratore generale della Corte d'appello di Milano; questi sono gli aspetti, un po' strani.
PRESIDENTE. Senatore Andreotti, la sua lievità è nota, tuttavia rilevo una contraddizione. Lei ci ha detto che a suo giudizio il golpe Borghese fu un fatto grave; ci ha detto che in questo golpe il generale Miceli risultava coinvolto tant'è vero che, sia pure marginalmente, la sua situazione diventava difficile. Mi chiedo allora perché l'Istituto Pollio debba essere una cosa ridicola. In realtà si tratta di aspetti che vanno insieme e che dimostrano come questo velleitarismo, anche se non aveva concrete possibilità di successo, poteva determinare ratti gravi. La democrazia in questo paese ha tenuto, però si è dovuto pagare da parte di molte città, della società, un prezzo di sangue.
ANDREOTTI. Questo è vero.
PRESIDENTE. Vedere che vi era stato un fatto grave in cui addirittura il capo dei Servizi era in qualche modo coinvolto, non mi sembra consentisse una valutazione lieve perché la filosofia era la medesima.
(Commenti dell'onorevole Fragalà. Richiami del Presidente).
ANDREOTTI. Mi paiono due cose notevolmente diverse. Una cosa è il tentativo, addirittura con un testo (che non conoscevo prima e che ho letto proprio in questi giorni nella requisitoria di Vitalone) di proclama al paese per suscitare una sorta di mobilitazione generale, accompagnato da alcuni fatti concreti; che si tratti o meno del corpo forestale, tuttavia alcune centinaia di persone marciano armate, un'arma viene rubata all'armeria del Viminale e poi riportata in modo anche piuttosto improprio. Questi sono fatti.
PRESIDENTE. Ma i fatti sono generati dalle idee.
FRAGALA. Signor Presidente, lei interrompe sempre il senatore Andreotti e noi siamo qui per sentirlo.
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, la prego di non interrompermi giacchè non le ho dato la parola. Come dicevo, i fatti nascono dalle idee; ci sono i fatti perché prima c'è un modo di pensare. Ecco perché ritengo che non sia un fatto ridicolo quello che le Forze armate organizzino un convegno in cui si fanno determinate affermazioni, riportate peraltro in un libro che è agli atti della Commissione. Non mi sembra che questo fatto possa essere minimizzato: soprattutto perché se a un convegno di quel genere partecipano dei giovani mi chiedo quali effetti può avere a distanza di tempo ciò che sentono o gli affidamenti che nascono. Si tratta di un punto delicato, tant'è vero che molti dei giovani presenti al convegno dell'Istituto Pollio li ritroviamo poi nel golpe Borghese e se questo è un fatto grave si ricollega all'altro che non può essere minimizzato.
ANDREOTTI. Presidente, do la valutazione che veniva fatta in quel momento. E stato organizzato da elementi delle Forze armate e, come ho visto dagli atti che mi avete inviato, avranno anche avuto aiuti, ma non si trattava di un'organizzazione delle Forze armate. Allora comunque non fu valutato come un fatto che poteva rappresentare la base su cui poi costruire operativamente un movimento, anche con riguardo allo scarso rilievo che ne fu dato sulla stampa. Che poi di tale fatto visto successivamente, con la partecipazione di Delle Chiaie e cosi via, possa essere guardata la filosofia... mi sembrano comunque cose diverse.
Vorrei in ogni caso sottolineare con molta chiarezza che non ho mai ritenuto che in Italia vi sia stato vero pericolo di un golpe. Questo non per sentimentalismo ma per conoscenza. Ho sempre ritenuto che le Forze armate sono assolutamente estranee a queste cose, magari possono esistere i singoli con velleità politiche. Certo il fatto di vedere due capi dei Servizi che diventano parlamentari può sembrare cosa abbastanza anomala.
Così pure per l'equivoco del 1964, derivante dalle condizioni di salute di Segni che cominciava già ad essere molto debilitato ed era spaventatissimo della situazione che esisteva; una situazione economica difficile, con la pubblicazione di una lettera del Ministro del tesoro. Il generale De Lorenzo gli diceva di stare tranquillo, che ci avrebbe pensato lui. Personalmente comunque non ho mai ritenuto che vi fosse un pericolo di quel tipo. Così come in altro caso, anche se non voglio andare nella banalità. Ricordo che Gronchi, durante il governo Tambroni, per alcuni giorni prese sul serio la notizia che vi fosse un tentativo di rapirlo ad opera di un gruppo di destra, ritengo che in certi momenti abbia ritenuto che forse anche io non fossi abbastanza attento. Quando mi parlò della cosa mi disse che stavano noleggiando in Francia un sottomarino ed io gli risposi che avrei capito il fatto di noleggiare uno yacht ma non comprendevo come si potesse noleggiare un sottomarino. Infatti si vide poi che era tutto una buffonata e che un giovane collaboratore di Pacciardi ...
PRESIDENTE. Fu la volta che chiese venti uomini rotti a tutti gli sports.
ANDREOTTI. In ogni caso per alcuni giorni il Quirinale è stato in allarme, dietro i cespugli vi erano corazzieri curvi a vigilare. Si è trattato di una cosa ridicola, probabilmente di natura politica, a sostegno, ritengo, di un Governo giacchè non ne so dare altra spiegazione. Un ragazzo era andato a sciupare denaro in Costa Azzurra con una signora e giocando; poi hanno inventato questa storia di dover rapire Gronchi con il sottomarino.
Non vorrei apparisse che io sottovaluti le cose, non sottovaluto niente: tuttavia siccome ritengo di avere una lunga esperienza, ritengo non vi sia mai stato il pericolo che le Forze armate come tali nutrissero di queste tentazioni. Certamente c'è stata la Rosa dei venti ed altri gruppi, ma si trattava di gruppuscoli marginali., di gente che riteneva di dover salvare...
PRESIDENTE. Per venire allo specifico che riguarda la nostra Commissione, il problema è rappresentato dalle stragi. Questo paese ha pagato un prezzo di sangue notevole. Concordo con lei sul fatto che la democrazia ha tenuto; la gente ha tenuto; la società aveva ormai introiettato i valori della democrazia e quindi rendeva irrealistico un golpe, però si è passati all'operatività con fatti di gravità tale che a tanti anni di distanza il Parlamento ha ancora una Commissione bicamerale impegnata a condurre un'inchiesta su di essi. Questo è il punto.
ANDREOTTI. Senz'altro. Se mi permette vorrei ancora dire due cose per arrivare poi al punto. Lei ha detto che non si è fatto abbastanza nel periodo della detenzione di Moro e che si poteva fare di più. Non è vero. Forse avevamo delle strutture non attrezzate per fronteggiare un'evenienza di quel genere, questo probabilmente è vero. Si ironizza però sulla questione del riferimento a Gradoli. Io non ho mai creduto alla questione dello spiritismo.
PRESIDENTE. Neanche io.
ANDREOTTI. Probabilmente è qualcuno di Autonomia operaia di Bologna che ha dato questa notizia; comunque, non potevano dire che lo aveva detto qualcuno di Autonomia operaia altrimenti lo avrebbero messo nei guai. Però, non si può adesso dare "la croce addosso"; essendo uno di Bologna a parlare di Gradoli, la prima cosa che si va a cercare è se esiste un Comune che si chiama Gradoli e lì si va a fare un'operazione. Si dice che si doveva capire che si trattava di via Gradoli, ma ciò è del tutto gratuito secondo me.
PRESIDENTE. Il problema di Gradoli è riemerso anche ieri a Perugia. L'onorevole Cazora, gliene parlavo con riferimento alla mia relazione, ha detto che addirittura uomini della 'ndrangheta calabrese lo avevano indirizzato verso via Gradoli e che lui lo riferì alla polizia ma la traccia fu abbandonata; ci arrivarono tardi quando il covo era stato abbandonato. Il dottor Priore affermò in questa sede, e sono le sue testuali parole, che se si fosse arrivati tempestivamente a via Gradoli forse la storia del paese sarebbe stata diversa, non solo il destino di Moro. Però io le ho fatto un esempio concreto. In tre settimane il generale Dalla Chiesa arriva a via Monte Nevoso. Un uomo come lui in cinquantacinque giorni sarebbe arrivato a via Montalcini?
ANDREOTTI. Abbia pazienza ma questo non ha fondamento. La struttura era stata creata per combattere il terrorismo e la criminalità dell'Italia meridionale. Quindi, Dalla Chiesa fa questa operazione, ma non è che ci arriva in tre settimane, perché probabilmente lui aveva una serie di precedenti.
PRESIDENTE. Questo voglio dire. Probabilmente c'erano fonti informative e capacità operative e istituzionali, come quella di Dalla Chiesa, che sono state utilizzate tardi. Se fossero state utilizzate prima gli esiti potevano essere diversi. Questa non è una mia valutazione ma è una valutazione che ha fatto lei quando poi lo ha reinvestito di quella responsabilità.
ANDREOTTI. No. A mio parere, quando nella relazione si dice, ad esempio, che il generale Dozier è stato poi trovato, si fa riferimento a due episodi del tutto diversi. Adesso non so cosa abbia detto Cazora e questa è poi una delle cose più strane, lui tra l'altro è una bravissima persona, ma non capisco perché se veramente la mafia voleva attivarsi per salvare Moro tramite questo Carboni, occorreva proprio prendere come referente Cazora, che mi sembra fosse già ex deputato. 2 strano però che lui abbia detto alla polizia di via Gradoli, a me ciò non risulta, poichè dovete anche ascoltare il senatore Cossiga, potrete domandarlo a lui. E la prima volta che sento dire che la polizia aveva saputo per altra fonte. Ho sempre saputo questa storia, che ritenevo fosse di copertura, di chi parlava di Gradoli, che cioè veniva da Bologna e che avesse inventato il fatto della seduta spiritica. Noi abbiamo sofferto in quel momento; abbiamo fatto tutto ciò che si poteva fare, salvo naturalmente cedere sulla questione di principio, cioè quella di liberare dei brigatisti in prigione, e si sa poi perché erano in prigione, o di dare riconoscimenti di carattere politico. Su ciò vi è stata una linea di grande fermezza, purtroppo dolorosa, ma a mio avviso non potevano fare diversamente.
Volevo dire un'ultima cosa prima di affrontare la questione centrale. Per quanto riguarda Gladio deve essere chiaro un fatto: non ha importanza che nella sua struttura vi fossero anche soggetti anziani. Rimane poi un unico punto non chiaro, che apparirebbe dai vostri atti - d'altronde io non posso fare indagini dirette - cioè che in quel periodo avrebbero bruciato o distrutto del materiale di archivio. Quando è emersa la questione Gladio, sia pur incidentalmente, lo ritenni che fosse non solo un dovere ma un atto maturo il chiarire questo aspetto. La presenza cioè di una struttura che serviva nell'ipotesi di un'occupazione dell'Italia a porre in essere manifestazioni in parte informative, in parte di piccolo sabotaggio. Non si trattava di operazioni grandiose e naturalmente analoga struttura era presente negli altri paesi. Si è parlato molto se essa fosse della Nato o nella Nato. E comunque una struttura più che riconosciuta. L'ammiraglio Martini, poi, si è lamentato molto sostenendo che io non avrei dovuto dirlo.
PRESIDENTE. In effetti lei ha fatto un gesto coraggioso, perché è il primo uomo politico investito di responsabilità istituzionali che ne parla in tutta Europa.
ANDREOTTI. La situazione era tale che non c'era più bisogno di questa organizzazione. Non c'era più il timore di un'occupazione dell'Italia, era quindi più che giusto chiarire. Per me queste persone sbagliano e adesso hanno anche creato una specie di associazione polemica.
Le persone erano poche o molte? Naturalmente quando ho dovuto riferire in Parlamento ho indetto una riunione, presenti il Capo della polizia e i direttori dei Servizi, nonché il Comandante dei carabinieri, nella quale ho affermato che doveva essere chiaro che si doveva dire tutto e che se vi erano delle cose che si riteneva dovessero essere coperte dal segreto queste ci andavano precisate in modo che potessimo assumerci tale responsabilità. Ci vennero quindi dati questi elenchi e, a seguito di un controllo, risultò che non vi era alcuna contro indicazione, non vi era nessuno di quei nomi che fanno parte delle trame nere che sono un po dietro tutta questa vicenda. Dopodichè abbiamo dato tale comunicazione alle Camere. La cosa stranissima è che alla mia domanda se queste persone, a parte la preparazione, avessero mai avuto un ruolo, mi si rispondeva "assolutamente no". Poi l'ammiraglio Martini, udito dal Comitato parlamentare di controllo sui Servizi di informazione e sicurezza, affermò che lui aveva fatto una circolare, non essendo necessario dirlo al Ministro, affinchè questi si occupassero di droga e di antimafia, tutte cose che hanno creato la sensazione che non si fosse detto il vero al Parlamento. Invece non vi era assolutamente niente da dire, né è vero che vi siano state lamentele da parte straniera, almeno a mia conoscenza. Quando poi è venuto a Roma in visita il primo Ministro ungherese Antall, ci ha detto che l'esercitazione dell'anno in cui fece il servizio di leva in Ungheria aveva come tema "occupazione della Val padana".
Quindi non era un timore del tutto cervellotico e questa ne era la dimostrazione.
Per quel che riguarda le connessioni con le stragi, ho letto naturalmente le ultime acquisizioni della Commissione. Viene toccato un argomento di grande delicatezza, ma poichè non so chi abbia messo le bombe non posso scagionare questo o quello. Certo mi lascia stupito l'ipotesi che una struttura istituzionale responsabile, italiana o estera, abbia potuto come tale assumere iniziative criminose ed organizzare attentati, addirittura in una evoluzione che l'avrebbe vista partire da funzioni di controllo per arrivare alla corresponsabilità in tali fatti. Per coerenza logica, però, non posso dire che non è vero: posso solo dire che allo stato non ci credo.
Pare chiarito che non sarebbe stata la Cia. Anche su tale argomento vorrei dire una parola. Per una ragione di principio non ho mai voluto avere niente a che fare con i Servizi stranieri. Ritengo infatti che un Ministro non debba assolutamente avere simili rapporti. L'unico che ho conosciuto è stato un capo servizio della Cia a Roma al momento del suo commiato: il generale Mino mi invitò a casa sua e mi presentò questo signor Stone, che stava per lasciare il Servizio e che poi, se non ricordo male, è andato ad organizzare i servizi di sicurezza dell'Eni o della Montedison (non posso precisarlo perché non ricordo bene se in quel momento Cefis era all'Eni o alla Montedison).
E un argomento però sul quale vanno dette parole chiare, specie in relazione al passo che si ritrova nelle carte di Moro, laddove dice: "Speriamo che l'Amministrazione Carter smetta di finanziare i partiti". Qui dobbiamo essere molto chiari. Ho portato con me dei documenti che, se il Presidente vuole, posso lasciare agli atti della Commissione. Quando nel 1976 un ex ambasciatore a Roma, Martin, affermò in una dichiarazione che loro avevano dovuto fare grandi operazioni per salvare la democrazia in Italia, riferendosi in particolare al periodo elettorale del 1972, feci due cose: mandai un telegramma a questo signore ed all'ambasciatore americano in quel momento in carica, nel quale scrivevo che, siccome io nel 1972 ero stato Presidente del Consiglio, avrei voluto sapere esattamente chi avevano dovuto aiutare per salvare la democrazia, perché, se non gli dispiaceva, qualcuno di noi aveva fatto il suo dovere senza bisogno di aiuto da nessuno; in secondo luogo feci approvare dalla Direzione del nostro partito un ordine del giorno con il quale si invitava il Governo a chiedere al Presidente degli Stati Uniti di togliere qualunque segreto su questo argomento, proprio perché occorreva fare un chiarimento.
Quest'ultima possibilità forse è tuttora aperta vista la disponibilità degli archivi e credo che un chiarimento sia un atto dovuto dal punto di vista storico. E un argomento che può essere considerato marginale rispetto al tema delle stragi, ma l'ho richiamato perché ho visto che non si attribuiscono più responsabilità dirette alla Cia ma ad una organizzazione del servizio segreto militare americano. Su questo non sono in condizione di fornire alcun elemento, perché non ho mai seguito simili attività, né ho sentito parlare della struttura presso Shape cui si fa riferimento. Posso parlare solo di quello che so e non di quello che non so, ma credo che non manchino le sedi opportune per fare ogni chiarimento in materia.
Avrei concluso, perché o si fa una specie di storia dell'Italia, ma allora ci vuole molto più tempo; o si fa una ricerca piuttosto sommaria. La prima conclusione che posso trarre, però, è che tutti noi, come cittadini, siamo interessati al raggiungimento della verità. Ma, a parte le famiglie delle vittime, noi che facciamo politica siamo interessati più degli altri a fare luce su questi avvenimenti. Credo sia ingiusto voler mettere sempre il cerino nelle mani dei politici. Forse la verità è che in generale la struttura del nostro Stato non è adatta ad un'Italia evoluta e moderna. Faccio un esempio: continuo a ritenere che non essendoci più la necessità - almeno mi auguro - di difendersi dai moti di piazza, non abbia più senso mantenere l'organizzazione che portò a concentrare le unità dei carabinieri e della polizia nei grandi centri, a scapito della presenza nel territorio. Tuttora in circa la metà dei comuni italiani non ci sono né polizia né carabinieri, con scapito sul controllo del territorio. Ho sempre ritenuto che questo deficit fosse un'anomalia, ma il momento non sembrava mai quello adatto per un cambiamento.
Come dicevo, è la struttura generale, a tutti i livelli, che sembra insufficiente. Se mi è consentito dirlo, anche la magistratura non si può tirare fuori: se c'è un deficit complessivo del sistema bisogna riconoscerlo a tutti i livelli. Invece si continua a ripetere che ci sono state delle volute coperture: è un problema che va affrontato seriamente.
Nell'audizione del giudice Salvini ho sentito citare ancora questo libro dal titolo: "II segreto della Repubblica", di cui sono grato al Presidente di avermene fatto avere una copia perché l'ho cercato senza esito. Infatti sembra che questa pubblicazione sia altrettanto segreta, visto che non si riesce a trovare, che l'editore non esiste più e che il nome non èneanche quello vero. Anche in questo caso occorre essere cauti, perché in quel libro si leggono giudizi, per esempio su Saragat, che destano stupore. Come ho detto prima, quando non si sa con certezza una cosa non si può escluderla, ma occorre stare attenti a dare eccessiva rilevanza ad affermazioni tutte da approfondire.
Capisco che il tempo che è passato da un lato rende più difficile, ma dall'altro forse può anche consentire una maggiore capacità di penetrazione. Comunque sono a disposizione per qualunque altra cosa - e ce ne sono molte - di cui possa eventualmente aiutare a rendere meno difficile l'interpretazione.
PRESIDENTE. Senatore, non le farò domande per ora perché mi sembra giusto passare la parola ai colleghi della Commissione.
Una sola osservazione vorrei fare, che è in parte una domanda: ancora una volta nell'ascoltarla e nel leggerla è come se la storia segreta del potere per lei non esistesse; lei riduce tutto in termini di storia apparente. Questa è la domanda che le faccio: la strategia della tensione nel paese c'è stata o non c'è stata? Gli accadimenti sanguinosi di cui ci occupiamo sono fatti episodici dovuti all'esaltazione di gruppi individuali o hanno comunque la possibilità di essere inseriti, seppur non in un'unica centrale, in un unico contesto eversivo. Ho visto pure sulla stampa che mi viene addebitato di cambiare idea, ma in realtà anche le ipotesi giudiziarie più avanzate collegano piazza della Loggia a piazza Fontana, ipotizzano dei legami fino a Bologna, anche se, ad esempio, l'Italicus resta fuori, pertanto resta fuori, quindi è chiaro che non c'era un'unica centrale vorrei però conoscere la sue valutazioni sulle ragioni sociali e politiche di quello che è avvenuto nel paese, in considerazione del ruolo di responsabilità che lei ha avuto e dalla capacità di giudizio diverso che la prospettiva temporale le dà.
In fondo uno come Delle Chiaie dice in tre parole una cosa che colpisce: "Le stragi ci sono state ed è un fatto. I Servizi hanno depistato ed è un fatto". Tutto questo non ci impone comunque, sia pure con la provvisorietà che ha ogni giudizio storico - perché poi fra trent'anni probabilmente usciranno nuove carte, si avranno nuovi arricchimenti - già oggi la necessità di un giudizio, di una valutazione?
ANDREOTTI. Nessuno nega che le stragi ci siano state, è fuori di dubbio. Hanno un'unica matrice? L'opinione di Taviani, per esempio, è molto netta sotto questo aspetto, probabilmente lo sentirete ma è già stato ascoltato dalla Commissione. Sono frutto di una organizzazione con un programma, cioè erano tappe di un percorso, o erano velleità malefiche di persone che sono sostanzialmente antisociali e che non si inquadrano in un sistema ordinato? Ad una grande organizzazione che avesse veramente un programma di eversione fatto attraverso la drammaticità, come del resto era stato nel periodo iniziale del fascismo, il Teatro Diana...
PRESIDENTE. Drammatizzazione.
ANDREOTTI ... sinceramente penso che sarebbe dovuto emergere poi in qualche maniera. Che ci fossero o che ci siano stati questo o quello che non si adagiavano al sistema... anche su questo, Presidente, quando per esempio lei dice: "Se si era più forti anche nei confronti delle Brigate rosse, si poteva raggiungere un risultato maggiore"; questo non lo so, perché noi avevamo anche un sistema piuttosto di rispetto di una certa legalità e anche politicamente qui ci sarebbe da dire un fatto, anche se non entra direttamente nell'ambito della Commissione. Che, per esempio, Rifondazione abbia alcune posizioni può essere noiosissimo da tanti punti di vista, però lo reputo positivo in questo senso, perché ritengo che l'esasperazione delle Brigate rosse sia venuta negli anni della solidarietà nazionale anche proprio come derivante dalla constatazione che la via rivoluzionaria ormai non era più ipotizzabile nell'ambito del Partito comunista e quindi si mirava ad una cosa diversa. Detto questo, non è che faccio la propaganda, però il giorno in cui il quadro di carattere politico-parlamentare è chiuso...
PRESIDENTE. Le tensioni sociali trovano altra via.
ANDREOTTI ... le tensioni vanno a finire fuori.
PRESIDENTE. Sì, ma sulle responsabilità dei depistaggi, su uomini come Federico Umberto D'Amato, sul ruolo dell'ufficio Affari riservati (a distanza di tempo quando ormai di certe cose possiamo parlare con una certa libertà) c'è l'ipotesi - che direi è molto più di un'ipotesi - che in realtà ci fossero dei legami fra gruppi eversivi e settori istituzionali. Nel momento in cui questi gruppi eversivi entrano in azione semmai per iniziativa propria, per forzare la mano, per determinare l'adempimento a proclami che venivano fatti forse irresponsabilmente e senza mai una consistenza effettiva, allora questo punto è il legame che si vuole coprire e quindi si interviene.
Maletti ci ha detto che lui sospetta ancora che i Carabinieri - di cui pure parla benissimo - nel 1975 fanno sfuggire Stefano Delle Chiaie. A tutto questo dobbiamo dare una spiegazione o ci dobbiamo arrendere di fronte all'inspiegabilità?
ANDREOTTI. L'inspiegabilità no, però bisogna camminare con i piedi per terra. Quando ci fu la fuga da Catanzaro noi in fondo prendemmo la misura di mandare a spasso il Capo della polizia; non è che rimanemmo inerti da questo punto di vista.
Vorrei dire un'ultima cosa su Maletti, che poi è un fatto fondamentale. Ho letto la sentenza del processo Battisti ed altri: ho letto anche quella di appello e poi anche la sentenza della Cassazione, perché il fatto è passato in giudicato e quindi è definito. Può fare una certa impressione che Maletti abbia preso per questo quattordici anni, però certo è un fatto grave. Non ho niente contro Maletti però, sant'Iddio!, quando aveva in mano quel famosissimo Mi.Fo.Biali tra l'altro non ha chiarito da che cosa è nato questo Mi.Fo.Biali. Nasce da una di quelle informative che il Servizio mandava ogni giorno su fatti peculiari (ad esempio, sui Curdi, eccetera). Un giorno una informativa diceva: "Si sta creando ad opera di un certo signor Foligni" - che non sapevo chi fosse - "un movimento politico con connessioni con ambasciate straniere", in modo particolare c'era questo riferimento.
PRESIDENTE. Alla Libia.
ANDREOTTI. Nell'appunto iniziale non diceva quali ambasciate straniere ma solo che esistevano connessioni. Detti questa informativa all'ammiraglio Casardi, che veniva tutti i giorni, dicendogli di approfondire. Qualche mese dopo (nel frattempo ero andato via perché ero diventato scomodissimo alla Difesa; avendo fatto una serie di cose, certamente finivo col non essere molto amato da una parte, non dalla generalità) e mi disse più o meno: "Si ricorda che c'era quella storia di un partito nuovo guardi che sono ancora quattro sfessati". Ho visto in una delle sentenze ci si chiede come faceva a saperlo prima del 1976, prima delle elezioni. Basta leggere quel memoriale.
Ma dov'era il fatto grave? Non era la questione del Partito popolare di Foligni che veniva fuori, bensì la documentazione grave nei confronti della Guardia di finanza e anche del generale comandante. Tra l'altro, si dice anche una cosa falsa: che quando fu nominato il generale Giudice lo feci mettere io nella terna. Questo è stato dimostrato che non è vero. La terna è stata fatta dallo Stato Maggiore e, come è accaduto altre volte prima e dopo, non fu scelto il primo perché gli rimaneva un anno solo. Ma allora il generale Giudice aveva tutte le carte in regola. Maletti e lo stesso Casardi ebbero in mano la documentazione di cose gravi (non parlo di questioni familiari perché quelle ognuno se le guarda per conto suo) sull'espatrio di valuta da familiari del comandante in carica della Guardia di finanza. Avevano il dovere di dirlo a chi governava o almeno dovevano invitarlo a dimettersi subito.
Ha ripetuto l'errore che, secondo me, ha l'atto a Catanzaro (forse in questo caso non lui solo). A Catanzaro, quando gli hanno domandato perché avevano fatto espatriare Pozzan, ha risposto che non sapevano chi fosse. Se diceva: "Noi dovevamo cercare Delle Chiaie, avevamo bisogno di uno del suo ambiente e quindi lo abbiamo fatto espatriare; questo poi ci ha dato una bufala", nessuno gli avrebbe detto niente. Disse che non sapevano chi fosse e i giudici dimostrarono che la carta d'identità gliel'avevano fatta loro. Anche in questo caso la giustificazione data per Mi.Fo.Biali "noi non lo abbiamo detto a nessuno perché avevamo fatto le intercettazioni e non era legittimo" non è plausibile. Tra parentesi, poichè si parlava di cose militari e anche di spionaggio, le intercettazioni potevano essere fatte tranquillamente. Comunque non era una giustificazione. Ancora più grave è poi averlo l'atto finire il documento a Pecorelli invece di darlo ai superiori.
Detto questo, l'unico episodio su cui si ha veramente una certa preoccupazione è quello di Peteano perché poi c'è stata una certa copertura, senza dubbio.
PRESIDENTE. E perché?
ANDREOTTI. Non lo so. Forse per un certo spirito di difesa dell'Arma come tale, per non farla coinvolgere. E un'ipotesi.
PRESIDENTE. Infatti non nego che ci fossero responsabilità di Maletti. Personalmente, però, quattordici anni, che sono la pena prevista per un omicidio, mi sono sembrati una pena un po' esagerata. Comunque, alla fine di questa vicenda giudiziaria quale è la sua valutazione sulla P2? Noi abbiamo oscillato tra la valutazione parlamentare estremamente severa della relazione Anselmi e una valutazione giudiziaria, invece, estremamente benevola quanto al fenomeno della P2. Poi, sembra strano che nel momento in cui qualcuno parla della separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice si sente accusare dai giudici di essere dei piduisti, dopo che in fondo la magistratura italiana ha assolto la P2. Il Parlamento l'aveva condannata ma dalla magistratura italiana è arrivata una sostanziale assoluzione della P2.
Il punto è il seguente: la tesi contenuta nella proposta di relazione, cioè che fosse un centro di irradiazione americana, trova il suo consenso? Che valutazione ne dà?
ANDREOTTI. Posso rispondere in due tempi: affronterà prima la questione in generale e poi parlerò della P2.
La prima questione, appunto, riguarda in generale l'argomento "massoneria". Noi - e io non mi offendo se qualcuno mi dice clericale - siamo venuti su con una specie di contrapposizione istintiva perché massoneria voleva dire anticlericalismo, anti Chiesa. Tuttavia, anche se il problema va al di là della P2, fino a che non è esplosa la questione della P2, se un Ministro prima di fare una nomina avesse chiesto delle informazioni per sapere se una persona era niassone o no, a mio parere, sarebbe stato accusato di anticlericalismo. E questo per un lungo periodo. La P2 ha dimostrato una notevole capacità di affiliazione e, anche per il fatto di essere presente nelle Forze armate e in settori delicati dell'industria e del giornalismo, con alcune spiegazioni che risultano un poco strane, ha finito di creare una grossarete. Senza dubbio questa è una realtà. Aveva una finalità politica diretta? Questo non lo so. La tesi della sentenza sostiene che gli appartenenti alla P2 in fondo erano talmente immedesimati nella situazione dell'epoca che non avevano alcun bisogno di cambiarla. Questa però, secondo me, è un'affermazione un po' gratuita. Avevano altre finalità? Americane?
PRESIDENTE. Lei parla di capacità di affiliazione, che è una capacità di attrazione. Poteva avere Gelli questa capacità di attrazione? Su questo già la relazione Anselmi è chiarissima: Gelli non aveva tale capacità. Chi rappresentava? L'affidavit da chi veniva? La relazione Anselmi non nomina mai gli Stati Uniti, a me sembra però...
ANDRE07T1. Anche perché in genere, quando si parla di massoneria - almeno chi è esperto; io non sono esperto, nonostante qualche pentito ritenga il contrario - si fa capo più a Londra come epicentro.
PRESIDENTE. Questo dà soddisfazione al senatore Gualtieri.
ANDREOTTI. E così, però. Questo si sa. La regina è a capo della chiesa ed un duca lo è nella massoneria.
PRESIDENTE. In questo il senatore Gualtieri è anglofilo.
ANDREOTTI. Tornando agli americani, certamente Gelli ha avuto un certo ruolo attraverso la massoneria internazionale. In casa di Peron, ridivenuto Presidente della Repubblica, vidi questa persona e pensai: "Ma come assomiglia questo al direttore della Permaflex di Frosinone!". Ed era lui ed era in una condizione di un certo spicco. Però parlo dell'America del Sud in questo caso, parlo di Peron. Dalle carte sembra che sia stato anche alla cerimonia di inaugurazione della Presidenza di Reagan, ma bisogna stare attenti perché in America si possono anche comprare i biglietti per partecipare alle cerimonie di insediamento. Se uno poi si vuol dare arie può anche dare l'impressione di essere stato invitato. Quello è un modo per raccogliere i soldi per il partito. Si sa anche quanto costano e anzi ci sono biglietti di vario tipo, i ricevimenti più selettivi e quelli meno. Non ho elementi per dire che avesse o che non avesse relazioni in Usa.
Figura nella P2 questo Phil Guarino, ad esempio, che era il capo della propaganda del Partito repubblicano: era un ex prete e pare che parlasse meglio degli altri, sapeva fare bene i discorsi. Però, detto questo, dire gli americani... Non so se Gelli abbia veramente avuto rapporti con gli americani.
PRESIDENTE. Non intendo gli Stati Uniti come un monolite, penso piuttosto a un centro di irradiazione americano.
ANDREOTTI. Può esserci.
PRESIDENTE. Mi sembra che la definizione che ne ha dato Maletti sia calzante forse più di quella che avevo usato io nella proposta di relazione. Io avevo parlato di oltranzismo atlantico.
ANDREOTTI. Però in questo caso Gelli era bivalente perché, per esempio, con la Romania aveva rapporti sicuri.
PRESIDENTE. Sì, ce lo ha detto. Lo ha detto già nel 1980 e la Commissione ha sottolineato questo dato.
ANDREOTTI. Non ne ho una conoscenza sufficiente per poterne fare io la fisionomia, ma certo, detto così, non sembra che sia una persona che abbia delle doti particolarissime.Certo, doti di relazione ne ha. Se dovessi dire però che ha relazioni con gli americani non lo so. Anche su questo può darsi che abbia forse degli aiuti.
SULL'ORDINE DEI LAVORI
PRESIDENTE. La mia preghiera, prima di dare la parola ai colleghi, sarebbe quella di fare delle domande brevi. Ho visto che nell'altra audizione del senatore Andreotti l'allora presidente Gualtieri assegnò un termine di cinque minuti per formulare le domande.
GUALTIERI. Volevo domandare soltanto se è prevista la chiusura dell'audizione oppure se ci sarà un seguito.
PRESIDENTE. Ritengo che l'audizione avrà un seguito.
GUALTIERI. In questo caso rinuncerei ad intervenire oggi.
PRESIDENTE. Se la Commissione conviene, potremmo concludere i lavori odierni per aggiornarli ad altra seduta in data da stabilire, in tal modo potremmo riflettere su quanto ci ha testè detto il senatore Andreotti, tenendo anche presente che venerdì prossimo ci sarà l'audizione di Forlani. Potremmo quindi stabilire di continuare l'audizione del senatore Andreotti giovedì 17 aprile alle ore 19.
Poichè non si fanno osservazioni, così resta stabilito.
Ringrazio quindi il senatore Andreotti per la sua presenza in Commissione e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termína alle ore 12,50.