Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi
JOHANNESBURG
3 MARZO 1997
Presidenza del Presidente PELLEGRINO
L'audizione ha avuto luogo a Johannesburg, presso una sala conferenze dell'Hotel Park Hyatt, dinanzi ad una delegazione della commissione composta dal presidente Pellegrino, dal senatori Castelli, Cò, De Luca Athos, Manca, Palombo e dai deputati Carotti, Corsini, Fragalà, Grimaldi, Leone e Tassone.
Prima parte
Indice interventi
La seduta ha inizio alle ore 9,30.
INCHIESTA SU STRAGI E DEP1STAGGI: AUDIZIONE DEL GENERALE GIAN ADELIO MALETTI
PRESIDENTE. Voglio subito sottolineare che l'audizione si tiene grazie alla disponibilità del generale Maletti, che ringrazio, già manifestata nella scorsa legislatura e poi ribadita in questa.
Il generale Maletti conosce l'ipotesi di lavoro, all'esame della Commissione, perché in previsione dell'audizione gli ho inviato la proposta di relazione di cui stiamo discutendo. Quindi, penso si renderà conto di quali siano i motivi per cui la Commissione ritiene importante ascoltarlo.
In questo mosaico degli eventi della fine degli anni '60 e della prima parte degli anni '70, che stiamo cercando faticosamente di ricostruire, la posizione del generale si presenta quasi in un ruolo di cerniera perché, da un lato, indaga e sconfigge una serie di deviazioni istituzionali che si erano verificate nel periodo precedente; dall'altro però, nel riferire all'autorità giudiziaria, non espone l'intero risultato delle indagini effettuate. Sulle indagini su piazza Fontana finisce per coprire una serie di responsabilità che riguardano la posizione di Giannettini, Pozzan, la chiusura della fonte Casalini, le istruzioni date a Labruna sull'atteggiamento più opportuno da seguire nel processo. Credo che la Commissione vorrebbe sapere, per completare tale mosaico, il motivo per cui tutto questo avviene. Devo dire - è una mia valutazione, ma credo sia condivisa da molti presenti - che il curriculum del generale Maletti esclude che abbia fatto questo per un interesse personale.
Nel 1980, nel rilasciare una intervista al quotidiano "Paese Sera" -se non sbaglio - sia pure parlando dell'ammiraglio Casardi, sembra che in qualche modo parli di se stesso perché sottolinea che chi ha responsabilità nel settore dello spionaggio e del controspionaggio spesso può trovarsi nell'angoscioso dilemma tra l'osservanza formale della norma e il tenere invece un comportamento diverso che però ritiene funzionale ad un interesse superiore di sicurezza della nazione. Quindi, sarei portato a pensare che alcuni comportamenti sono stati da lei tenuti perché in quel momento sono stati ritenuti confacenti ad un interesse superiore, un interesse di sicurezza dello Stato e della nazione.
Vorremmo sapere quale è stata la sua valutazione in quella fase e soprattutto se vi furono input che vennero dal vertice di responsabilità politica o se non ci sono stati anche quadri più ampi.
In una intervista a proposito della vicenda di Giannettini, ad esempio, lei affermò che l'intervento del Servizio era stato dettato dalla volontà di seguire una segnalazione proveniente da un Servizio straniero. Ecco, vorremmo avere questo quadro, perché mi sembra - aggiungo una valutazione a titolo personale - che alla fine lei si sia addossato croci che non erano sue, cioè si sia assunto responsabilità che non aveva. Tutto ciò che in qualche modo lei evitava venisse accertato, atteneva ad una responsabilità di un periodo precedente. Lo stesso esito della vicenda giudiziaria che la riguardava colpisce per la sua severità: in fondo, per quanto riguarda quel fascicolo Mi.Fo.Biali, in disparte gli accertamenti sul suo ruolo fatti dai giudici, la mia valutazione è che non ci fossero questi importantissimi segreti per la sicurezza dello Stato e che la vicenda politica fosse abbastanza marginale (poi si è rivelata inconsistente quella di Foligni); si riscontrarono invece le malefatte da parte di alti ufficiali della Guardia di finanza.
Quindi il fatto che quella documentazione sia poi finita nella disponibilità di Pecorelli non mi sembra abbia arrecato un grande danno all'interesse della nazione. La pronuncia finale di condanna colpisce per la sua severità; è come se in qualche modo lei fosse stato giudicato nel complesso della sua attività e attraverso lei sia stato giudicato tutto un mondo che indubbiamente meritava sanzione.
La Commissione è nella fase finale del suo lavoro. Personalmente ritengo che un grande paese non debba mai avere paura della sua storia e, ad un certo momento, abbia il diritto di conoscerla per intero; nello stesso tempo, se lei vorrà chiarirci gli aspetti che ancora rimangono oscuri, adempirà ad un dovere anche verso se stesso, definendo in modo più approfondito quale è stato il suo ruolo in tutta questa vicenda.
Le farò successivamente altre domande, ma per il momento le do subito la parola.
MALETTI. Presidente, la ringrazio per le parole che lei mi ha rivolto; cercherò di entrare immediatamente nel vivo della questione.
Non avevo una agenda politica quando assunsi la direzione del Reparto D del Sid; ho trovato una situazione alla quale non mi sono adattato e alla quale ho cercato di dare un maggiore dinamismo sotto il profilo del successo del Servizio nella ricerca degli eversori o dei nemici del paese nel settore dello spionaggio.
Il Presidente mi ha chiesto se vi fossero direttive politiche in materia ed io posso dire di non averne mai ricevute, ma di aver ricevuto direttive dal mio caposervizio dell'epoca, il generale Miceli, il quale, quando tornai dall'incarico di addetto militare ad Atene nel 1967 (quindi quattro anni prima che assumessi l'incarico di capo del Reparto D e un anno prima che il famoso gruppo eversivo andasse in Grecia, non so esattamente a svolgere cosa), mi chiese di presentare una relazione dettagliata del modo con il quale il colpo di Stato, cosiddetto dei colonnelli, venne effettuato in Grecia; in realtà, non presentai né compilai mai tale relazione perché, inviato a comandare un reggimento, avevo ben altre preoccupazioni in quel momento.
Comunque, voglio chiarire che non ho mai collaborato con i colonnelli greci, che certamente avrebbero fatto a meno della mia collaborazione, anzi ho segnalato la possibilità di un golpe militare in Grecia fin dal 15 gennaio 1967 al Servizio informazioni della difesa, quindi con tre mesi di anticipo rispetto all'avvento del regime dei colonnelli.
Detto questo, vorrei precisare che da parte del generale Miceli non ho ricevuto direttive di carattere politico, ma di carattere operativo; non posso dire, pertanto, che vi fosse una matrice politica in tali direttive, anche se potevo immaginarlo.
Il Presidente mi ha poi chiesto ulteriori spiegazioni, di cui adesso non ricordo l'ordine logico pertanto pregherei il Presidente di rivolgermi delle domande così da rimettermi sul giusto binario.
PRESIDENTE. Nel momento in cui il grosso rapporto sul golpe Borghese viene depurato e sfrondato, e solo in parte viene inviato all'autorità giudiziaria, lei aveva avuto contatti con il vertice politico o aveva ricevuto direttive di altro tipo? Si tratta invece di una sua scelta personale? Vorrei sapere, quindi, perché esso viene sfrondato, perché - come scrisse all'epoca Pecorelli - si passa dal "malloppone" al "malloppino".
MALETTI. Faccio riferimento ad alcuni appunti che ho preso soltanto questa mattina, relativi proprio a quanto lei mi chiede, Presidente. Il rapporto completo, che possiamo definire il "malloppone", venne compilato da parte del colonnello Romagnoli su mio ordine e evidentemente dopo i contatti con le necessarie fonti; esaminai tale rapporto nella sua interezza e mi sembrò abbastanza esplosivo per il generale Miceli, che all'epoca - ripeto - era il mio caposervizio. Chiesi, quindi, un colloquio, scavalcando il generale Miceli, direttamente al ministro della difesa Andreotti al quale mostrai il fascicolo completo, affermando che esso doveva essere completato e confermato. In questo colloquio, durante il quale eravamo presenti solo in due, Andreotti e il sottoscritto, nell'ufficio del Ministro della difesa in un pomeriggio di luglio o di agosto del 1974 (se non ricordo male), il ministro Andreotti approvò che certi nomi non venissero comunicati all'autorità giudiziaria, in quanto i nostri accertamenti erano incompleti e le informazioni relative al convolgimento di alcuni generali ancora in gran parte incontrollate. Le indagini giudiziarie, a mio parere premature, su un certo numero di alti ufficiali in posizione di comando avrebbero determinato una reazione negativa nelle Forze armate e una crisi di fiducia nel paese; per reazione negativa intendevo - non voglio parlare di un possibile golpe - il verificarsi di dimissioni a catena, o qualcosa del genere, che avrebbe gravemente influito sulla vita e sul morale delle Forze armate. Uno degli alti ufficiali citati dalle fonti fino a poche settimane prima aveva ricoperto un delicato incarico all'estero. La rivelazione del suo nome avrebbe potuto provocare spiacevoli perplessità anche in campo internazionale; su ciò il ministro Andreotti concordò specificamente.
A proposito dei nastri smagnetizzati, se posso, vorrei aggiungere quattro punti. Innanzitutto, desidero ricordare un episodio: nella riunione tenuta dal ministro Andreotti nel suo ufficio privato, all'inizio dell'agosto del 1974, erano presenti l'ammiraglio Casardi, l'ammiraglio Henke, un altro alto ufficiale di cui in questo momento non ricordo il nome ed il sottoscritto; lo scopo era quello di esaminare il rapporto sugli eversori della destra extraparlamentare. Il capitano Labruna, il tenente colonnello Romagnoli e due sottufficiali dei carabinieri erano stati convocati per operare il registratore con i nastri dei colloqui di Labruna, di Romagnoli e di varie fonti. Ad un certo punto, con evidente sorpresa del capitano Labruna, l'audizione venne interrotta perché, come disse il capitano, un inatteso guasto aveva reso inutilizzabile il resto della registrazione. Dopo qualche tentativo di rimediare l'inconveniente, il Ministro fece allontanare Labruna, Romagnoli e i sottufficiali e rinunciò all'ascolto. Il motivo dell'interruzione, che mi contrariò fortemente, non fu mai chiarito dal capitano Labruna.
In secondo luogo, allorchè una fonte nell'autunno del 1974 segnalò che sarebbe stato possibile registrare la conversazione di alcuni estremisti di destra coinvolti in un nuovo progetto eversivo, conversazione che si doveva svolgere durante una colazione alla periferia di Roma, alla quale la fonte stessa avrebbe partecipato, Labruna predispose accuratamente, così mi venne assicurato, un piano di intercettazione ed ascolto. L'operazione fallì, o fu fatta fallire, per il mancato funzionamento delle apparecchiature indossate dalla fonte.
In terzo luogo, dichiaro la mia totale estraneità ad ogni distruzione o smagnetizzazione dei nastri registrati dal capitano Labruna o da altri alle mie dipendenze. Voglio aggiungere altresì che non ho mai ascoltato direttamente quei nastri e, quindi, non ne conoscevo il contenuto completo, se non nella trascrizione preparata dal colonnello Romagnoli.
In quarto luogo, non mi risulta che il nome di Licio Gelli fosse emerso, all'epoca, nelle dichiarazioni di fonti in relazione ai progetti eversivi.
PRESIDENTE. Questo attiene al passaggio dal "malloppone" al "malloppino", ma può fornirci chiarimenti per quanto riguarda tutta l'attività di copertura di Giannettini, Pozzan, la chiusura della fonte Casalini, le istruzioni manoscritte che sono state rintracciate, da lei date a Labruna, per tutto quello che riguardava l'inchiesta di piazza Fontana? Come lei sa, in sede pubblicistica, sono state attribuite ad alti ufficiali dell'esercito dichiarazioni nel senso che la strage di piazza Fontana era stata voluta dall'ufficio Affari riservati del Ministero dell'interno e che poi, dal 1972 in poi, il Sid svolse soprattutto un'opera di copertura. Quali furono le ragioni che spinsero il Sid a coprire Giannettini, Pozzan e a chiudere la fonte Casalini? Sostanzialmente si tratta di fatti ormai accertati, ma la commissione si domanda quali siano state le ragioni.
Perché non si voleva che quella pista venisse perseguita fino in fondo, indipendentemente poi dall'esito cui avrebbe potuto portare l'indagine in quella direzione?
MALETTI. Iniziamo con le annotazioni a margine dell'interrogatorio dibattimentale nel processo sulla strage di piazza Fontana; parlo del luglio 1977, allorchè nel tribunale di Catanzaro fui interrogato per circa una intera settimana. Due settimane dopo il mio interrogatorio avrebbe dovuto parlare il capitano Labruna che, in quel periodo, era particolarmente nervoso ed incerto su quello che doveva dire e mi chiese di venire a casa mia per discutere la deposizione che avrebbe dovuto fare e le risposte che avrebbe dovuto fornire in sede di corte. Sul documento, in riproduzione fotografica, scrissi alcune annotazioni che dovevano servire a chiarire i ricordi a Labruna (direi che a quel tempo egli non avesse una gran memoria, al contrario di oggi). A lui serviva soprattutto un appoggio in modo tale da non cadere in contraddizione rispetto alle mie dichiarazioni. Io non ho mai forzato, però, il capitano Labruna a rilasciare una dichiarazione piuttosto che un'altra; si trattava soltanto di una serie di annotazioni che potrebbero essere interpretate come un invito ad obbedirmi, ma di fatto non lo erano. Era una sua scelta, quindi, di servirsi delle mie annotazioni o di trascurarle.
Si parla poi del gravissimo episodio della chiusura della fonte Casalini. Innanzitutto, non esiste una indicazione - se la memoria non mi tradisce e se ho letto attentamente questo documento - dalla quale risulti che io abbia ordinato la sua chiusura. Il discorso è un po' diverso, almeno a giudicare da quanto è scritto su questo documento (perché io non lo ricordo). A pagina 214 della proposta di relazione del Presidente, si afferma che un mio appunto dell'epoca riguardava il caso Padova, che Casalini voleva scaricarsi la coscienza, che essi operavano convinti dell'appoggio del Sid (se fossero stati realmente convinti riguardava loro, ma certamente non li abbiamo mai appoggiati). "Colloquio con il Ministro della difesa, prospettando tutte le ripercussioni": anche questo mi sembra logico perché il capo del Servizio doveva riferire al Ministro della difesa, dal quale dipendeva, quali potevano essere gli inconvenienti o gli sviluppi di un discorso più o meno attendibile di una fonte, che comunque avrebbe coinvolto responsabilità del Servizio o di altri organi di sicurezza dello Stato. "Convocare D'Ambrosio": io non mi rendo conto di cosa ciò significhi. Se ci si riferisce al giudice D'Ambrosio, mi sembra molto strano che si possa fare tale convocazione presso un Servizio informazioni. Non so se, visto che sono trascorsi venticinque anni, D'Ambrosio fosse un ufficiale o un'altra persona. "Incarico al gruppo carabinieri di procedere": sì, lo feci, perché ormai il Casalini parlava alla giustizia. I carabinieri, quindi, svolgevano ormai la loro piena funzione di polizia giudiziaria e potevano seguire essi stessi il caso, indipendentemente dal fatto che questa fonte fosse del Servizio. Chiaramente qui non mi risulta che la fonte Casalini sia stata chiusa e, se ciò è avvenuto, non è stato su mio ordine, a meno che la mia memoria non mi tradisca.
PRESIDENTE. Anche in sede giudiziaria, in cui l'episodio è stato a lungo analizzato dal giudice istruttore di Milano Salvini, si è parlato di chiusura della fonte perché nel suo appunto manoscritto vi è: "Trattazione futura: chiudere entro giugno". Da qui è avvenuta la ricostruzione del documento, come se esso esprimesse preoccupazione per ciò che Casalini avrebbe potuto dire. "Colloquio con il Ministro della difesa, prospettando tutte le ripercussioni". D'Ambroslo è un ufficiale dell'esercito. "Chiudere entro giugno" è stato inteso come chiusura della fonte perché, in effetti, ad un certo punto la fonte Casalini realmente viene chiusa; gli operatori in contatto con tale fonte, infatti (uno era stato ascoltato dal giudice, mentre un altro era morto poco prima), dicono di non voler sapere altro. Di fatto, questa fonte informativa non produce più, mentre stava cogliendo un aspetto importante della fase operativa della cellula veneta.
MALETTI. Ciò mi chiarisce un ricordo, che era completamente scomparso dalla mia memoria. E possibile, anzi senz'altro sarà così, che abbiamo chiuso la fonte Casalini, ma ciò comunque non vuol dire la rinuncia da parte delle autorità di pubblica sicurezza, ossia i carabinieri, ai quali avevamo passato l'incarico, dopo il centro di Padova, a continuare le indagini e naturalmente a valersi - almeno spero - della documentazione raccolta fino a quel tempo dal gruppo di Padova, dal tenente colonnello Bottallo. Nella prassi del Servizio è normale che, quando una fonte inizia a "sapere di bruciato", essa si chiuda: ciò è avvenuto in tutti ì casi, in tutti i Servizi del mondo. Essa non può essere mantenuta per ovvie ragioni, perché la fonte può danneggiare il Servizio e le sue altre ramificazioni e fonti.
A pagina 155 della proposta di relazione del presidente Pellegrino, noto un'affermazione che mi ha stupito, vicino alla quale ho posto due punti Interrogativi: "La stessa cosa era avvenuta per gli accertamenti su Gelli, attivati nel 1974 e bloccati perentoriamente, sempre da Maletti che ne viene trasversalmente informato dal capitano Tuminell (che non avevo mai conosciuto) o dallo stesso Labruna tramite Viezzer, con la minaccia della restituzione all'arma territoriale di chiunque avesse continuato a svolgere accertamenti sul personaggio". Ora lo dico che ciò è falso, perché non ho mai ordinato di bloccare accertamenti su Gelli e mai ho minacciato di restituire un ufficiale o un sottufficiale all'arma territoriale per punizione, per fatti del genere. Posso avere indicato la mia intenzione di restituire all'Arma personale che non fosse efficiente, ma mai ho formulato minacce del genere le quali, tra l'altro, avrebbero costituito un tallone di Achille perché, nell'ambíto dell'Arma dei carabinieri, indubbiamente vi sarebbe stata una ritorsione nei miei confronti per un provvedimento di carattere amministrativo interno così ingiusto.
Nella proposta di relazione si afferma inoltre: "Tenente colonnello Del Gaudio, anch'egli piduista e di sicura affidabilità per Maletti". Mi chiedo come avrei potuto sapere, io che sono piduista solo di nome, che il tenente colonnello Del Gaudio - che comunque conoscevo, come comandante del gruppo carabinieri di Padova - fosse lui stesso piduista e di totale affidabilità. lo mi fidavo degli ufficiali dei carabinieri - e probabilmente me ne fido ancora adesso, nonostante qualche delusione subita nel frattempo - e mi fidavo quindi anche del tenente colonnello Del Gaudio, così come di qualsiasi altro comandante di gruppo, da Bolzano fino a Trapani. Affermare che io sapessi che il tenente colonnello Del Gaudio era piduista è un'illazione crudele nei miei confronti, un'accusa che mi si vuole addossare senza prova e contro la prassi secondo la quale, in una società segreta (come pare fosse la P2) i componenti non si conoscono a vicenda; certamente non esiste un bollettino dei membri, un elenco degli amici o dei meno amici. Volevo sottolineare questo punto perché ho ritenuto tale cosa molto scorretta nei miei confronti, come accusato.
Anche la questione del "malloppone" e del "malloppino" ritengo sia degna di essere sollevata in questa sede, se il Presidente me lo permette. Non mi ricordo - mi riferisco a pagina 170 della proposta di relazione - se il Labruna mi abbia mai consegnato una relazione del giornalista Guido Paglia sul ruolo svolto da Avanguardia nazionale nel golpe Borghese; se l'avessi avuta, l'avrei fatta utilizzare, almeno per quello che mi interessava, per la stesura di quelli che Mino Pecorelli coloritamente chiamò il "malloppone" e i "malloppini", come il Presidente ci ha ricordato. Vorrei precisare che tali termini non furono inventati da Pecorelli, perché essi venivano usati nell'ambito molto ristretto della direzione del reparto D ed erano noti a me stesso, a Viezzer, a Labruna, al colonnello Romagnoli (che ha il merito effettivo di averli inventati) e probabilmente ai sottufficiali che avevano effettuato le registrazioni. Il "malloppone" era il rapporto completo; i "malloppini" erano invece stralci che però non erano necessariamente più piccoli, più smilzi, se non nel numero delle pagine, e certamente non nella parte informativa, rispetto al "malloppone". Si trattava, quindi, di stralci dal lavoro più consistente, chiamato appunto "malloppone". E stato stralciato dall'elenco delle persone coinvolte soltanto un certo numero di nomi di ufficiali, come ho detto poc'anzi, sui quali non esisteva assolutamente la certezza che fossero coinvolti. Non mi sembra che all'epoca vi fossero nomi di politici, e non credo pertanto che tali nomi possano essere stati stralciati. Devo dire però che il "malloppone" è stato redatto non da me, ma dal tenente colonnello Romagnoli, della cui serietà ero sicuro; potrebbe anche darsi che, durante la redazione, certi stralci fossero stati fatti, forse con la stessa buona intenzione di non fare "di ogni erba un fascio", inserendo nominativi di persone che avevano avuto solo qualche vaga connessione con quelle vicende, insieme ai nomi di persone che invece erano coinvolte profondamente.
PRESIDENTE. Per quello che riguardava la valutazione dell'appunto in ordine alla fonte Casalini, non so se lei ha avuto modo di leggere la sentenza del giudice Salvini; le valutazioni che lei ha letto nella proposta di relazione provengono in gran parte da lì. Si tratta di una valutazione dell'episodio che è stata fatta in sede giudiziaria. Il discorso del tenente colonnello Del Gaudio si collegava anche al fatto che questo ufficiale dei carabinieri era molto amico del padre di Casalini, che era un direttore di banca. Pertanto, in sede giudiziaria, viene fatta la ricostruzione secondo cui Del Gaudio, tramite l'amicizia con il padre, doveva dissuadere Casalini dal continuare nella linea collaborativa. Questa è la valutazione della vicenda che venne fatta in quella sede.
Vorrei tornare ad esaminare, facendo un passo lateralmente, il problema delle coperture di Giannettini e di Pozzan. E evidente, infatti, che quell'appunto ritrovato (quello relativo a Casalini) assume tutto un rilievo ed è oggetto di una valutazione perché è all'interno di un mosaico composto anche da altre tessere.
Generale Maletti, preferisce che riguardo a Giannettini le rivolga delle domande precise, oppure che parli lei liberamente?
MALETTI. Preferirei delle domande precise.
PRESIDENTE. In quali anni e in quali occasioni lei apprese che Guido Giannettini era in contatto con estremisti di destra, accusati di strage, come Franco Freda e Giovanni Ventura? Chi le ordinò di proteggere Giannettini e di organizzarne la fuga a Parigi e di continuare a stipendiarlo nonostante fosse ricercato dalla magistratura di Milano che ipotizzava per lui reati gravissimi? L'onorevole Andreotti, nella ben nota intervista al "Mondo" del 20 giugno 1974, affermò che la protezione di Giannettini fu decisa in una apposita riunione tenutasi a Palazzo Chigi; successivamente negò di aver parlato di Palazzo Chigi, ma confermò di aver detto che tale decisione fu presa in sede politica superiore.
La spiegazione complessiva che le chiedo, quindi, è se la decisione di proteggere o no un informatore del Servizio fosse così scottante da indurre uomini di Governo a riunirsi per stabilire come agire nel merito. Sotto qualche profilo, tutto questo può valere anche per la fuga di Pozzan, su cui la versione originaria data da Labruna non sta reggendo alle verifiche giudiziarie. come ricordavo prima, in un articolo pubblicato da "L'Espresso" l11 aprile 1976, a firma di Fabiani, le viene attribuita la seguente frase: "Siamo stati convinti ad agire in quel modo dalle pressioni di un servizio segreto amico". Se non vi fosse stata tutta questa attività, probabilmente l'appunto sulla fonte Casalini avrebbe assunto un livello diverso, per il tipo di valutazioni che si fanno in sede giudiziaria. Un fatto illumina l'altro, a volte può accadere anche che lo illumini di una falsa luce. Su questo noi vorremmo delle spiegazioni.
MALETTI. Per quanto riguarda Giannettini, sono convinto che si trattasse di una pressione in sede politica, di cui tuttavia ignoro la firma. So comunque che il generale Miceli suggerì o piuttosto autorizzò che la fonte venisse protetta fino in fondo. In una riunione tenuta a palazzo Baracchini con i due precedenti capi del Reparto D, Gasca e Viola, nel giugno 1974, e conclusasi con una successiva riunione nell'ufficio accanto a quello del generale Miceli, fu deciso di coprire Giannettini e di aiutarlo a non svelare la sua qualità di fonte, in altre parole di aiutarlo ad andare all'estero. Questa è una direttiva ricevuta a suo tempo da me e naturalmente trasmessa ai miei dipendenti.
PRESIDENTE. Si tratta di una direttiva trasmessa dal capo del Servizio?
MALETTI. Sì, dal capo del Servizio; che quest'ultimo abbia affermato che la direttiva era di una personalità politica, non posso confermarlo, ma ritengo questa sia la versione più accettabile.
PRESIDENTE. Per quanto riguarda il riferimento al Servizio straniero, cosa può dirci?
MALETTI. Si trattava del Servizio spagnolo, che allora seguiva determinati orientamenti.
PRESIDENTE. Era normale che si attribuisse rilievo addirittura ad una pressione di un Servizio straniero, come quello spagnolo? Se fosse stato il Servizio americano, ci saremmo meravigliati di meno!
MALETTI. La collaborazione del Servizio era piuttosto attiva con i vari corrispondenti Servizi stranieri, tra i quali ovviamente quello americano, quello israeliano; con altri era minore. Quello spagnolo aveva qualche collegamento con noi, non di grande rilevanza, ma potevano esserlo nel senso che, favorendo il Servizio di un paese come la Spagna, in un regime come quello dell'epoca, potevamo avere facilitazioni probabilmente nella ricerca di elementi eversivi e di fiancheggiatori non soltanto in Spagna ma anche in altri paesi. Si trattava di quello che viene definito do ut des, una normale collaborazione al termine della quale avremmo avuto dei vantaggi, pur subendo certi rischi.
PRESIDENTE. Cosa stava dicendo in relazione a Pozzan?
MALETTI. Per quanto riguarda Pozzan, la questione è semplice e complessa nello stesso tempo. Pozzan era stato avvicinato a Padova dal capitano Labruna, il quale di ritorno da quella città mi disse che si sarebbe trattato di un elemento utile se l'avessimo aiutato ad andarsene: "D'altra parte - testuali parole - è un poveraccio che soffre di ulcera allo stomaco e che in prigione ha sofferto molto (si trattava di carcerazione preventiva e poi ovviamente, a quell'epoca, era stato liberato) e se noi lo aiutiamo potrà esserci utile. Lo mandiamo all'estero, cercando di falsificarne il passaporto". Dopodiché la cosa è stata fatta perché i passaporti potevano essere facilmente ottenuti, per motivi di servizio, dall'apposito organo del Ministero degli esteri e il nome è stato cambiato, non so da chi, in Zanella e così il giovanotto è stato accompagnato in Spagna dal maresciallo Esposito, il quale avrebbe dovuto restare più a lungo in questo paese per osservarlo, ma il Zanella si "squagliò" prontamente.
PRESIDENTE. Quindi, complessivamente lei stacca un episodio dall'altro e nega che il Servizio abbia fatto un'opera di copertura complessiva della pista padovana e che questo sia stato fatto per fare un piacere, ad esempio, all'ufficio Affari riservati dal Ministro dell'interno, ipotesi che nella pubblicistica e, per la verità, anche in sede giudiziaria, è stata più volte avanzata.
In un'intervista che ho letto qualche giorno fa, lei ha definito il dottor D'Amato ineffabile, in una audizione di alcuni giorni fa ci è stata portata la prova documentale di rapporti quasi organici del dottor D'Amato con il servizio segreto statunitense nell'immediato dopoguerra. Su tutto questo, che poi finisce per essere la cornice complessiva su cui noi stiamo cercando di ricostruire le vicende di questo passato, lei cosa ci può dire?
MALETTI. Non sapevo che D'Amato avesse un rapporto organico, o quasi organico, con i Servizi informativi degli Stati Uniti; potevo immaginarlo perché anche lo avevo un rapporto, come ho detto prima, piuttosto intenso con uno dei due servizi americani rappresentati a Roma. L'ho definito ineffabile, ma probabilmente all'epoca ho usato un aggettivo che non era particolarmente calzante, ineffabile forse perché il dottor D'Amato era un esperto di cucina e gran parte delle sue conversazioni vertevano su ricette, almeno quelle che teneva con me.
Per quanto riguarda la collaborazione tra il mio Reparto e l'ufficio Affari riservati, era minima, e dominata - credo - da una reciproca diffidenza. Non ho mai cooperato il dottor D'Amato o l'ufficio Affari riservati sulla questione relativa alla pista padovana; non abbiamo usato Giannettini e Pozzan, o meglio non li abbiamo "esportati", con la speranza di coprire o cancellare la pista padovana.
PRESIDENTE. Secondo ricostruzioni giudiziarie recenti sarebbe stata accertata l'esistenza di una rete Cia nell'Italia settentrionale, a stretto contatto con la rete eversiva costituita da alcuni elementi aderenti ad Ordine Nuovo. E sembrato che questa attività si esplicasse in una prima fase in un controllo senza repressione. Invece, ulteriori avanzamenti dell'indagine starebbero facendo ipotizzare addirittura un appoggio operativo da parte della rete statunitense a favore del gruppo Ordine Nuovo. Lei ebbe notizia di questa attività illegale, perché era un servizio segreto amico nel nostro territorio, oppure era un fatto noto all'interno del Sid? Se ne eravate a conoscenza, l'autorità politica a sua volta ne era a conoscenza?
MALETTI. No, non conoscevo l'esistenza di questa rete della Cia e dei contatti con Ordine Nuovo; quindi, non posso neanche dire se l'autorità politica ne fosse a conoscenza. Sapevo di certi contatti piuttosto strani che l'addetto militare degli Stati Uniti aveva con giovani ufficiali italiani in un certo periodo (mi pare intorno al 1969-1970) nel Nord Italia, ma non si è mai potuto accertare di che natura fossero le riunioni e le colazioni, che comunque durarono soltanto lo spazio di una estate, nell'Italia nordorientale.
PRESIDENTE. Sono noti i contrasti che vi furono tra lei e il generale Miceli. Nell'organizzazione giornalistica vennero visti come un riflesso del contrasto tra Moro e Andreotti: lei su questo ci può dire nulla?
MALETTI. Presidente, io sono sempre stupito dell'insistenza con la quale la stampa e anche qualche mio conoscente, parlano di una mia amicizia con l'onorevole Andreotti. Io ho incontrato l'onorevole Andreotti tre o quattro volte in tutta la mia vita e non ho mai avuto particolari motivi di amicizia o di collaborazione con lui, al di fuori di quella in qualità di interprete nel 1963 (se non sbaglio) durante una riunione Nato ad Atene, della presentazione della relazione "malloppo" (chiamiamola così) nel giugno-luglio (non so), e della riunione presso l'ufficio di Andreotti stesso a quel tempo, cioè nell'agosto del 1974, cosa di cui ho già parlato. Che ci fosse un contrasto Andreotti-Moro, questo non mi interessa, non riguarda il Servizio. Che il dissidio tra Miceli e me, che indubbiamente vi fu, fosse motivato da ragioni politiche, può darsi; io non apprezzavo certi suoi atteggiamenti, (ed erano atteggiamenti che erano certamente dettati dalla autorità politica, e quindi immagino dai ministri della difesa dell'epoca, Andreotti ed altri).
Ma soprattutto non apprezzavo la tolleranza che la direzione del servizio aveva nei confronti dei terroristi palestinesi catturati e trasportati tranquillamente in Libia con l'aereo militare che poi si infranse contro un muro a Marghera. Questo è il motivo del contrasto. Non c'era altro.
Sono stato chiamato filoisraeliano e questo semplicemente perché gli israeliani ci aiutavano a trovare i terroristi, non per altro. Non certo perché io abbia ascendenze ebraiche, nè antipatia o simpatie per l'uno o per l'altro. Era una questione professionale della quale io mi sono valso per ottenere dei successi nella caccia a questi terroristi. Il fatto poi che l'autorità politica abbia autorizzato il Sid a prendere i terroristi all'uscita dalla prigione nella quale erano stati detenuti (e poi messi in libertà, in seguito ad una sorta di processo), per farli trasportare in Libia, questo è un discorso che io non ho organizzato né approvato ma che è stato portato a termine da una branca del servizio - esattamente dalla branca direttiva - utilizzando un aereo che non dipendeva da me e sotto la scorta di un ufficiale che invece era alle mie dipendenze e mi era stato chiesto di fornire: parlo del capitano Labruna.
PRESIDENTE. Devo dire che, in effetti, quello che lei ci ha detto del suo rapporto con Andreotti corrisponde a quanto Andreotti dice del suo rapporto con lei. Il senatore Andreotti conferma di non avere avuto con lei più di tre o quattro incontri. Ciò che lei ha detto però dà sostanza all'altra interpretazione (che c'era stata) del contrasto tra lei e il generale Miceli, che riguardava proprio il problema del rapporto con il mondo arabo, da un lato e con Israele dall'altro.
Il generale Viviani ha scritto in un suo libro a proposito del Sid parallelo: "lo stesso capo del Sid dichiarò il 14 dicembre 1977 che la struttura era legale e che sia i superiori militari sia i più alti capi politici ne erano a conoscenza. Il capo del reparto D, cioè lei, sostenne invece che si trattava di una primitiva organizzazione finalizzata ad un colpo di Stato". E corretta questa interpretazione del generale Viviani?
MALETTI. Non so a quale organizzazione si riferisse il generale Viviani. Penso che, parlando di un'organizzazione legale riconosciuta dalle massime autorità dello Stato, si riferisse a Gladio. Quando io invece mi riferivo alla organizzazione approssimativa che ruotava attorno al generale Miceli pensavo a tutt'altra cosa, non a Gladio ma ad un piccolo gruppo costituito da un tenente colonnello, forse due sottufficiali e probabilmente da altri elementi, questi presso Il raggruppamento centri di contro-spionaggio di Roma (e in particolare uno dei capi del raggruppamento, il colonnello Marzollo) che erano manovrati direttamente dal generale Miceli al di fuori della mia conoscenza di questi contatti.
PRESIDENTE. Lei però, nella prima risposta che ci ha dato, ha iniziato rammentandoci un interesse del generale Miceli su come si era svolto il golpe militare in Grecia e lo ha collegato - e lei è una persona che indubbiamente pesa le parole - anche al viaggio che un noto gruppo eversivo, di cui faceva parte anche Mario Merlino, aveva fatto per un corso di istruzione, per lo meno dalle notizie che abbiamo si trattava addirittura di un corso di istruzione per infiltrarsi poi in gruppi anarchici, cosa che poi Mario Merlino fece con il gruppo 22 marzo. Da tutto questo mi sembrava di aver colto la conferma di una sua valutazione che tutto questo potesse essere non estraneo, per lo meno, a progetti sia pure larvati di soluzioni di pronunciamenti militari in Italia.
MALETTI. convengo che la richiesta del generale Miceli, che all'epoca era ancora capo del Sios, quando rientrai dalla Grecia, di dargli il maggior numero di particolari possibile sull'organizzazione ed esecuzione del colpo di stato, fece pensare ad una qualche potenziale analogia in Italia. Ma ripeto, poi presi il comando del reggimento, di questo non sì parlò più e quando quattro anni dopo fui assegnato al Sid il generale Miceli non mi parlò più di questa vicenda. 1 dubbi sull'orientamento del generale stesso furono però ravvivati, rispolverati, dalla deposizione o meglio dalle confessioni, se così si possono chiamare, di Orlandini che accennò al generale Miceli come ad una persona vicina ai cosiddetti golpisti della "notte dell'lmmacolata".
PRESIDENTE. Può dirci, generale, per quale motivo nel 1975 lei fu bruscamente allontanato dal Sid così, in questo modo, ci agganciamo temporalmente alla richiesta che le aveva fatto il generale Miceli. Ebbe spiegazioni dal Ministro, dall'ammiraglio Casardi o da altri?
MALETTI. Il mio allontanamento dal Sid mi colse di sorpresa. come dice una relazione che ho letto qui poco fa, io ero in missione all'estero e venni richiamato il giorno 30 settembre 1975 per assumere il comando della Divisione Granatieri di Sardegna il l° ottobre dello stesso anno. Mi chiesi perché questa improvvisa decisione quando prima di partire per la missione all'estero l'ammiraglio Casardi e lo stesso ministro Forlani mi avevano detto che sarei potuto rimanere ancora per qualche tempo alla direzione del reparto D. lo avevo confermato che avrei preferito rimanere alla direzione del reparto D fin quando non si fosse liberato un posto di comandante di divisione in altra regione d'Italia, in quanto avrei preferito comandare una grande unità alla frontiera orientale. Circa una settimana dopo la mia assunzione del comando di divisione ricevetti una telefonata dal ministro Forlani che mi convocò dicendomi che si dispiaceva per l'improvvisa decisione e per avermi causato del disturbo in quanto avrei dovuto prepararmi meglio per assumere un comando importante come quello. Ad ogni modo disse che non avrebbe potuto fare altrimenti perché il capo di Stato maggiore dell'esercito aveva detto che per motivi di carriera, di anzianità, e per l'esame sul quadro di avanzamento io sarei dovuto andare a comandare la Divisione. Tutto questo mi sembrò falso e lo dissi al ministro Forlani che non mi diede altra spiegazione plausibile, e mi sembrò piuttosto incerto lui stesso sul cosa dirmi di fronte al miei dubbi espressi anche in modo piuttosto vivace.
PRESIDENTE. In sede pubblicistica - sia pure come mera ipotesi -è stata avanzata una ricostruzione di queste vicende che vanno dal 1969 al 1974 nel senso che la strage di piazza Fontana fu voluta da un partito americano che aveva anche riferimenti negli alti vertici dello Stato e che premeva perché ci fosse uno scioglimento anticipato della legislatura, si andasse ad elezioni anticipate e si tornasse a governi centristi. La transazione che si ebbe poi ad un certo punto, intorno al 1974-1975 (in cui rientrava anche il suo allontanamento dal servizio) era poi nel senso che questo tentativo fu contrastato mediante l'indagine che cercava di portare alla luce le responsabilità istituzionali che vi erano dietro la strage di piazza Fontana; che poi, ad un certo punto, si decise invece di bloccare il tutto, e che il suo allontanamento dal servizio faceva parte di questa transazione complessiva. Lei, di questa ipotesi puramente giornalistica, può dirci niente? Ci ha mai riflettuto? Il che però significherebbe ammettere che quella indagine era stata ostacolata anche dal servizio.
MALETTI. L'indagine era stata ostacolata forse da una parte del servizio. Io non ne ho idea, ho pensato a qualcosa del genere. Posso solo dire che ho un'idea, un'idea che ci siano state pressioni americane, immagino solo americane in questo caso e non di altri servizi. Ricordo che nel 1970-1971, prima ancora che io prendessi la direzione del reparto D, l'Ambasciatore americano a Roma, di cui non ricordo il nome, mi pare si chiamasse Graham ma non ci giurerei, si diceva fosse favorevole ad un cambio istituzionale in Italia. L'ambasciatore Graham se non mi sbaglio veniva dalla Thailandia, o altro paese dell'Asia sud-orientale e si valeva - così dicevano allora, quando non ero ancora a capo del reparto - dell'azione non tanto della Cia ma di uno dei suoi addetti militari. Questo è quanto posso dire, di più non potrei aggiungere.
PRESIDENTE. Nell'interrogatorio del 24 aprile 1991 lei tra l'altro ha affermato: "Non ho mai prestato servizio all'interno del quinto corpo di armata di Vittorio Veneto". So però, che da sempre tra i suoi compiti rientrava quello di organizzare una resistenza nel caso di invasione ad opera delle Forze armate dell'Est europeo. Si trattava di una attività di resistenza che doveva essere posta in essere da personale non militare. Lei in pratica ha rilevato l'esistenza di una seconda struttura molto simile alla Gladio e ha aggiunto: "Ritengo che dipendesse dal Sios esercito". A noi sembra un'informazione molto importante, ci può aggiungere qualche particolare? Perché come lei ha visto nella proposta di relazione l'idea è che Gladio stesse all'interno di una serie di strutture parallele che, in qualche modo, presupponevano Gladio, e Gladio, in qualche modo, presupponeva l'esistenza di strutture parallele.
MALETTI. Non sono in grado di dire di più su questo argomento.
PRESIDENTE. E sui Nuclei per la difesa dello Stato?
MALETTI. Idem.
PRESIDENTE. A proposito della struttura Gladio, nella mia proposta di relazione, muovendomi nella scia di precedenti relazioni della commissione, parlo di un segreto assoluto che è stato mantenuto nel paese. In questi giorni poi ho riletto invece un articolo di Iannuzzi apparso anni fa sul "Tempo illustrato" e vedo che questo segreto così assoluto non fu perché in realtà Iannuzzi descrive Gladio in quell'articolo, anche con notevole precisione. A proposito della struttura Gladio ci può dire quando ne è venuto a conoscenza e in che modo? Nel caso in cui abbia avuto un qualche ruolo o si sia comunque interessato della questione, può riferire in dettaglio le attività svolte, se esse trovavano una collocazione normativa nei compiti del reparto D, o se sono state da lei attuate al di fuori di un collegamento organico? Sia nel primo che nel secondo caso, può precisare le persone che come lei ne erano al corrente e quali erano le funzioni e le azioni da esse svolte?
MALETTI. Venni a conoscenza della struttura, che poi solo molto più tardi ho appreso essere Gladio, nel 1971, quando divenni capo del reparto D. Sapevo che questa struttura aveva determinati compiti, funzioni e un'organizzazione che è inutile che ripeta adesso in quanto ormai nota; aveva una base addestrativa in Sardegna e dipendeva non dal mio reparto ma dal reparto parallelo; non mi ricordo esattamente ora se fosse il reparto R.S. (cioè Ricerca e Situazione), oppure un altro reparto, o piuttosto ufficio, del quale adesso mi sfugge la sigla iniziale. Il reparto D non ha mai avuto a che fare con l'organizzazione Gladio. Non ho mai visitato quel centro, ho però inviato due o tre miei sottufficiali ad addestrarsi per il caso di attività per le quali avessero necessità di particolari tecniche di difesa personale. Esistevano certamente persone a conoscenza dell'organizzazione: il capo servizio, il vice caposervizio e, ritengo, il capo del reparto R.S. o di quell'ufficio di cui non ricordo la sigla e anche, ovviamente, gli operatori e il personale dipendente di quell'ufficio. Non era un "segretissimo", era molto segreto, ma non certo una di quelle cose che "non si dovevano sapere". Nell'ambito del servizio si conosceva l'esistenza di quest'organo.
PRESIDENTE. Lei ha risposto alla domanda successiva che riguardava in particolare l'addestramento di personale del reparto D presso Capo Marrargiu. Ha conosciuto il generale, forse all'epoca colonnello, Fortunato, e il tenente colonnello Serravalle ora in pensione? Nei suoi contatti con i rappresentanti del servizio statunitense si è mai parlato anche in modo indiretto della Gladio?
MALETTI. Ho conosciuto l'allora colonnello Fortunato e il tenente colonnello Serravalle. Fortunato era capo del reparto R.S., Serravalle non so che incarico avesse, non ricordo, e non ho mai avuto conversazioni con il rappresentante della Cia in Italia su Gladio.
PRESIDENTE. Nella proposta di relazione parliamo di una sostanziale potenzialità operativa di Gladio, qualche cosa che c'era, che si sarebbe potuto attivare ma che in realtà non si sarebbe mai attivata. Le indagini successive della autorità giudiziaria ordinaria, successive alla stesura della mia relazione, dimostrerebbero che almeno in un caso però questa nostra valutazione sia stata una valutazione troppo prudente e che invece ci siano stati casi di attivazione della struttura. Ritiene ipotizzabile in linea teorica che la struttura Gladio abbia svolto compiti diversi da quelli ufficiali senza che ne sia venuto a conoscenza?
MALETTI. Vorrei chiedere al senatore Pellegrino, senza che ne sia venuto a conoscenza chi?
PRESIDENTE. Lei.
MALETTI. Certo, lo ritengo ipotizzabile. Io non conoscevo l'organizzazione, sapevo della sua esistenza ma non sapevo esattamente cosa facesse. So tuttavia che Cladio è stata attivata, per settori o per aree soprattutto nella zona confinaria con la Jugoslavia per motivi di addestramento, di prova dell'efficienza.
PRESIDENTE. Le domande che ho segnato cambiano settore, ma vorrei iniziare dalla terza che mi sembra la più interessante. Nel settimanale "Tempo" del 20 giugno 1976, accanto ad un articolo nel quale si parla dell'intenzione del generale Miceli di far trovare i cadaveri di Sossi e Lazagna per poi montare una campagna anti-comunista accusando Lazagna di essere un dirigente della B.R., vi è un'intervista nella quale lei afferma: "nell'estate del 1975 avemmo sentore di un tentativo di riorganizzazione e di rilancio delle B.R. sotto forma di un gruppo ancora più segreto e clandestino e costituito da persone insospettabili anche per censo e per cultura e con programmi più cruenti. Questa nuova organizzazione partiva col proposito esplicito di sparare, anche se non ancora di uccidere. Arruolavano terroristi da tutte le parti e i mandanti restavano nell'ombra ma non direi si potessero definire di sinistra". Non ci risulta che lei abbia mai smentito l'intervista, quindi, dovremmo considerarla veritiera. In quegli stessi giorni il giornalista di "Tempo" Lino Iannnuzzi affermò, in una conferenza stampa, che i nuovi brigatisti erano stati addestrati nella base di Capo Marrargiu e che lei aveva informato, dapprima a voce e poi per iscritto, il ministro dell'interno Gui ma subito dopo questa segnalazione lei era stato allontanato dal Sid. Diciamo che dall'insieme delle dichiarazioni che le vengono attribuite lei fa, effettivamente, un figurone perché lei preannuncia quella che poi, oggettivamente, è stata la svolta sanguinaria delle brigate rosse, cioè, lei preannuncia quella specie di mutamento genetico che sembra esserci stato tra le prime e le seconde brigate rosse intorno al 1974-1975 che, nella vicenda generale del mondo occidentale, sembra effettivamente un anno di discrimine, un anno che separa due momenti diversi della storia.
Vorremmo sapere, senza conoscere i nomi, lei aveva infiltrati nelle B.R. o ebbe queste notizie per altra via e quale? E vero che i brigatisti rossi della seconda generazione siano stati addestrati a Capo Marrargiu e in che epoca? Quali altri dirigenti del Sid, nel 1975 erano al corrente di queste notizie? Se attualmente negli archivi del Sismi possa esistere documentazione relativa ai suoi specifici contatti con il ministro Gui? conferma che il magistrato Dell'Orco la ascoltò come testimone e, in questo caso, risponde a verità quanto affermato dal settimanale "Tempo" in un articolo del 15 agosto 1976, secondo il quale il dottor Dell'Orco minimizzò le sue affermazioni e non la riascoltò mai più?
MALETTI. Cominciamo dal fondo. Io non ricordo neppure di essere stato interrogato dal magistrato Dell'Orco. Probabilmente lo sarò stato. Per quanto riguarda invece la questione della relazione al Ministro dell'interno, la relazione scritta ci fu. Fu un rapporto di circa due pagine nel quale si parlava di questo probabile passaggio, di questo salto di qualità delle brigate rosse o di quelli che sarebbero stati i successori delle brigate rosse (non se ne sapeva ancora precisamente l'eventuale nuovo nome). Di questo si parlò anche in una riunione, nella sala riunioni del Ministero dell'interno, alla quale erano presenti il capo del servizio - mi pare che fosse ancora il generale Miceli - io stesso, i capi di stato maggiore dei Carabinieri e della Guardia di finanza, credo un incaricato dal Capo della Polizia o lui stesso, il Ministro dell'interno e altri funzionari del Ministero e naturalmente anche D'Amato. Se ne parlò e si fece cenno a questa probabilità di un rincrudimento dell'azione del terrorismo di sinistra. Per quanto riguarda invece la questione della mia affermazione che non si sapeva se fosse di sinistra, la ribadisco perché questo terrorismo sembrava più anarchico che con una targa precisa di estrema sinistra, per quanto anche gli anarchici si possono mettere in un certo senso in quella categoria. Inoltre non si conoscevano né i nomi degli uomini che agivano nell'ombra né quali fedi politiche avessero. Non sapevo, lo apprendo ora per la prima volta, che il campo di addestramento della Gladio fosse stato usato per questi terroristi e, naturalmente, tanto meno so il nome di coloro che erano addetti a questi movimenti e addestramenti nel campo di Capo Marrargiu.
PRESIDENTE. Sì, noi non lo sappiamo, avanziamo l'ipotesi che questo sia potuto avvenire. A me sembrava che in quello che lei sta dicendo ci fosse il sospetto di una possibile eterodirezìone delle brigate rosse, almeno da un certo momento in poi, e teniamo presente che sono le brigate rosse ad uccidere Moro. Quello che lei invece sta ora dicendo mi farebbe pensare piuttosto a quello che riteniamo ormai storicamente accertato e cioè che la risposta dello Stato fu di una tale debolezza da creare sospetti sul perché non si sia andati fino in fondo nella lotta contro le brigate rosse. Riferendomi alla vicenda Moro, l'altro referente militare di Moro, oltre al generale Miceli, era il generale Mino dei carabinieri, il quale morì in una situazione che ha destato qualche sospetto. Lei ritiene che il fatto che i due referenti militari di Moro, Miceli e Mino, nel 1978 non ci fossero più, sia qualche cosa che abbia potuto influire sulla tragica vicenda dello statista pugliese?
MALETTI. Lei, senatore Pellegrino, si riferisce alla vicenda tragica del caso Mino. Io conoscevo personalmente il generale Mino, ero suo amico. Se ci sono stati dei dubbi - credo che sussistano - sulla strana morte del generale Mino, avvenuta in una giornata serena in un terreno non particolarmente difficile, di collina o di media montagna, la cosa non è mai stata chiarita. E sembrato strano che l'elicottero sia esploso, sia caduto in quelle condizioni tragiche. Per quanto riguarda l'allontanamento di Miceli e la fine del generale Mino non potrei esprimermi in merito perché, tra l'altro, nel 1978 non ero più nel servizio e non ho seguito questa vicenda con interesse professionale.
PRESIDENTE. D'accordo, però ho notato che lei non ha ritenuto al di fuori di ogni ipotesi di verosimiglianza che i brigatisti rossi siano stati addestratì a Capo Marrargiu. Si tratta di una sua freddezza professionale o dipende dal fatto che, tutto sommato, questo rientra tra le cose possibili?
MALETTI. Si tratta di freddezza professionale.
PRESIDENTE. Veniamo alla P2. In quale periodo e in quale circostanza ha conosciuto Licio Gelli? Ha mai trattato con lui, anche a semplice livello di conversazione, argomenti relativi ad episodi di stragi, vicende o persone ad essi connessi? Quale valutazione dava, all'epoca, della P2? La riteneva una semplice loggia massonica sia pure atipica, o uno strumento per coordinare l'intervento anticomunista in Italia o qualcosa di ancora diverso? A distanza di vent'anni ha cambiato in tutto o in parte le sue valutazioni sulla P2? Perché noi in questi anni nel paese abbiamo oscillato da una valutazione iniziale espressa in sede parlamentare dalla commissione Anselmi a una valutazione finale, in sede giudiziaria, che invece è stata - come lei sa - sostanzialmente assolutoria.
MALETTI. Tranne che per me.
PRESIDENTE. Sì, su quello però mi sembra di aver già fatto una valutazione precisa all'inizio. Mi ha colpito il fatto che lei non sia mai stato interrogato sulla sua appartenenza (almeno così ci è stato riferito dai magistrati) alla P2. L'ipotesi che, personalmente, ritengo più fondata, è che la P2 fosse un circolo di oltranzismo atlantico. Non si trattava cioè, né di un vero e proprio gruppo sovversivo, né di un club di affaristi o "carrieristi" che si riunivano soltanto per fare carriera più rapidamente e concludere affari migliori. Era invece, probabilmente, un punto in cui la fedeltà atlantica italiana trovava un momento di coagulo. Soltanto così riuscirei a giustificare perché i vertici militari, quasi al completo, risultino negli elenchi della P2. Sarebbe comunque interessante per la commissione - visto che per la prima volta lei viene ascoltato su questo argomento - conoscere il suo punto di vista.
MALETTI. Conobbi Licio Gelli nel 1973, credo. Mi fu presentato dal colonnello Viezzer che lo aveva a sua volta conosciuto quando era a capo del centro di controspionaggio a Firenze. Gelli mi propose di entrare nella loggia P2, dicendomi che si trattava di una organizzazione a fini patriottici e non di interessi personali; mi disse anche, cosa non vera, che anche mio padre aveva appartenuto alla Massoneria, non certo alla loggia P2, ma ad una altro ramo della Massoneria, ripeto cosa non vera. Mi disse che avrebbe potuto, se volevo, iscrivermi alla P2. Io mi rifiutai di farlo e poi mi trovai coinvolto in questa vicenda, col mio nome scritto sull'elenco senza un solo elemento che lo provasse e senza un solo versamento di quello che, pare, fosse allora l'indispensabile biglietto da visita per entrare nella P2, cioè il pagamento di una certa quota. Quindi, dichiaro di non avere appartenuto alla P2, di essere stato invitato ad entrarvi e di non averlo l'atto, di non aver cioè mai firmato né accettato o prestato alcun giuramento, promessa od altro, secondo riti che non conoscevo e tuttora non conosco. Quanto al discorso sulle ragioni della P2, io non le conosco. Era indubbiamente un centro, per quanto mi risulta, di irradiazione americana. Gelli, è a tutti noto, aveva dei contatti con il Presidente degli Stati Uniti, che credo fosse già Reagan a quel tempo; aveva contatti con il generale presidente della Repubblica argentina, che era ovviamente un conservatore e, per quanto mi risulta, dai colloqui che ho avuto con lui (essenzialmente colloqui di carattere privato, che non hanno mai avuto attinenza a questioni politiche tranne in un caso che dirò poi) non è mai emersa alcuna intenzione né di golpismo né di mutamento costituzionale anche attraverso strumenti democratici. Devo poi aggiungere questo: lei ha chiesto, senatore, se nelle discussioni fatte dal gruppi della P2 è mai emerso questo o quest'altro argomento; ma io alle discussioni della P2 non ho mai partecipato e quindi non so cosa potessero dire questi signori quando si riunivano e scambiavano delle idee. In un solo caso Gelli, dal quale ero andato a comprare, come moltissimi ufficiali d'altra parte, abiti a Castiglion Fibocchi, mi invitò a colazione - ero con mia moglie - e mi chiese bruscamente se credevo realmente nel pericolo di un colpo di Stato militare, perché da parte comunista c'era questa apparentemente sincera convinzione. Gli dissi: "Assolutamente no, non mi risulta. A parte il fatto - ricordo che gli dissi - chi lo seguirebbe un colpo di Stato in Italia?" Venivo dalla Grecia dove avevo vissuto il colpo di Stato greco, perché ero rimasto lì fino al settembre 1967, quindi quasi sei mesi dopo l'effettuazione di quel colpo di Stato, ed ero passato attraverso i posti di blocco dell'esercito, dei carri armati, avevo sentito sparare (a salve, tra l'altro, per intimidire alcuni abitanti) e sapevo che l'esercito greco aveva seguito i suoi ufficiali. L'Esercito italiano, l'Aeronautica italiana, la Marina italiana difficilmente si sarebbero prestati, proprio per struttura mentale democratica del paese, a seguire dei colonnelli golpisti. L'idea di un colpo di Stato militare in Italia è da scartare secondo me per questo motivo, perché, a parte la realtà storica, l'attualità, l'intera popolazione vi si opporrebbe.
PRESIDENTE. Sulla irrealizzabilità concreta di un pronunciamento militare nel paese anche all'epoca dei fatti di cui stiamo parlando, io concordo. Però che ci fossero velleità in tal senso lei stesso non l'ha escluso. Lei, se ho ben capito il senso dell'indagine, ancorchè sfrondata dagli elementi su cui non avevate certezza per quello che ci ha detto oggi, dimostra che il golpe dell'Immacolata fu una specie di prova generale, di un golpe abortito, ma non era un golpe da operetta come poi è stato valutato in sede giudiziaria. Lei recentemente ha dato anche un interrogatorio al pubblico ministero Cardella in cui, abbastanza chiaramente, sottolinea il modo in cui l'indagine fu condotta dal dottor Vitalone che portò poi a quella minimizzazione finale in sede giudiziaria dei fatti della notte dell'Immacolata del 1970.
MALETTI. La notte dell'Immacolata non vide la partecipazione militare. Il movimento dell'allora maggiore Spiazzi, di cui ho letto per la prima volta in questo fascicolo, con reparti di un reggimento di artiglieria, ritengo di Milano, dalla caserma alla periferia della città, non direi che possa indicare il coinvolgimento dell'Esercito intero, delle Forze armate. Il fatto che siano stati stralciati alcuni nomi da quel famoso documento è anche da mettere in relazione al fatto che si parlava di simpatizzanti, non di attivi partecipanti o complottatori nell'eventuale tentativo di eversione. Quindi, non ritengo si potesse parlare di un pericolo che coinvolgesse l'intero esercito ma piuttosto di alcune alzate di testa, che potevano essere pericolose, di ufficiali di medio grado alcuni dei quali potevano godere della simpatia di qualche loro superiore.
PRESIDENTE. Se ritiene di dirlo, visto che lei ha fatto quella valutazione di non certezza, ma tra questi nomi stralciati vi era quello dell'ammiraglio Torrisi che poi fu nominato Capo di Stato Maggiore?
MALETTI. Non ricordo se ci fosse anche il nome dell'ammiraglio Torrisi ma, mi sembra che nessun marinaio fosse coinvolto in questa faccenda. C'erano ufficiali dell'esercito ed anche dell'areonautica ma, ripeto, erano più che altro simpatizzanti.
FRAGALA. Lei esclude la velleità, l'atto velleitario?
PRESIDENTE. Chiedo all'onorevole Fragalà di non anticipare il suo intervento per evitare il sovrapporsi di voci.
Sempre in un'intervista del novembre 1980, lei, che si trova già in Sud Africa, giustifica la circostanza che l'ammiraglio Casardi, da lei informato di quanto stava emergendo a carico del generale Giudice, non ne abbia informato la magistratura perché avrebbe preferito attendere per riferire finchè non fosse stata portata più avanti un'operazione a salvaguardia dell'interesse nazionale. Ella aggiunge di ricordare con molta precisione che c'era qualcosa di molto delicato che riguardava la sicurezza del nostro paese nel Mediterraneo. Una cosa piuttosto seria, disse, di cui preferiva non parlare, dichiarando, di fronte all'insistenza del giornalista, di voler evitare l'argomento. Adesso, a distanza di diciassette anni, può dirci quale era nel 1975 questa situazione allarmante per la sicurezza italiana nel Mediterraneo? Se vuole posso darle il testo dell'intervista.
MALETTI. Lei, giustamente, ha detto a distanza di diciassette anni; in effetti non ricordo con precisione, ma ritengo che si riferisse sempre a possibili rappresaglie libiche contro gli italiani e contro le attività industriali o petrolifere dell'Italia in Libia.
Vorrei fare una richiesta a lei e ai membri della commissione per sapere se si potesse finire oggi.
PRESIDENTE. Speriamo di sì.
MALETTI. Grazie.
CO. Generale, volevo fare una premessa. Probabilmente alcune domande che le farò sono già state formulate, sia pure in forme diverse, e quindi lei mi vorrà scusare se le ripropongo ma esse hanno anche una loro logica e una loro funzione, nel senso che in alcune domande io le chiederò anche di esprimere una sua opinione su determinati avvenimenti. Ci interessa anche capire, infatti, quale era la sua opinione qualificata dall'osservatorio in cui lei si trovava. Quando lei giunse alla direzione del reparto D, che cosa apprese sul tentativo di colpo di Stato del generale Borghese e, in particolare, ha mai potuto verificare quale sia stato il ruolo di Gelli nel fare rientrare l'operazione del golpe Borghese?
MALETTI. No, all'epoca della mia assunzione della direzione del reparto D non ebbi particolari informazioni sul golpe Borghese che era avvenuto l'anno prima e sul quale stavano già indagando sia l'autorità giudiziaria sia, più compiutamente di quanto non potessimo fare noi - immagino - i carabinieri e la polizia. Per quanto riguarda il coinvolgimento di Gelli nel "rientro" del golpe, non ho saputo mai niente, diciamo, neanche in termini generici.
CO. Negli anni in cui lei ha avuto la responsabilità nel Servizio non ha mai sentito parlare del piano "chaos", varato dalla Cia nel 1966 e conclusosi nel 1973? Ritiene che i Servizi italiani abbiano avuto una parte nella realizzazione del piano "caos"? E, qualora rispondesse positivamente, quale in particolare?
MALETTI. Potrei avere chiarimenti su che cosa era il piano "chaos"? Io non lo so.
PRESIDENTE. Si tratta di un piano della Cia sul quale il Parlamento degli Stati Uniti ha già indagato con una specifica commissione, la commissione Rockfeller. Il piano prevedeva l'infiltrazione di agenti in gruppi anarchici, maoisti e trotzkisti nella logica di innalzarne il livello di pericolosità e fare loro commettere atti aggressivi determinando quindi una richiesta di ordine e comunque uno sfavore per l'ideologia comunista.
Mi inserisco nella domanda che le è stata rivolta ricordando che vi è anche un suo appunto in riferimento all'attentato compiuto nel 1974 ad una scuola slovena (che oggi è accertato essere stato compiuto dalla destra) nel quale lei cerca di attribuire la responsabilità dell'atto a forze di sinistra.
MALETTI. Confermo che ignoravo l'esistenza del piano "chaos"; per quanto riguarda la responsabilità per l'attacco alla scuola slovena non cercavo di attribuirla alla sinistra, ma riferivo semplicemente quanto mi veniva detto dal centro competente.
PRESIDENTE. Un esempio operativo del piano "chaos" potrebbe essere il viaggio di quel gruppo eversivo - di cui lei ha parlato - nella Grecia dei colonnelli e poi l'infiltrazione di Mario Merlino nel gruppo "22 marzo".
CO. Il generale Spiazzi sostiene che i Nuclei di difesa dello Stato erano una struttura in qualche modo parallela a Gladio e compresa nell'organizzazione stay behínd. Secondo Vincenzo Vinciguerra invece i Nuclei di difesa dello Stato costituivano una operazione tendente ad inglobare i gruppi dell'estrema destra nella rete stay behjnd. Lei è a conoscenza della struttura, delle funzioni e delle finalità dei Nuclei di difesa dello Stato? Condivide queste interpretazioni, una delle due in particolare, oppure ha un'altra opinione in proposito?
MALETTI. Senatore mi dispiace, come capo del Reparto D non conoscevo questi aspetti poichè la ripartizione settoriale degli interessi era piuttosto precisa. Pur conoscendo l'esistenza dei Nuclei di difesa dello Stato e dell'organizzazione che successivamente ho saputo essere chiamata Gladio, non sapevo nulla di più e tuttora ignoro quali relazioni intercorressero tra le due organizzazioni e quali connessioni vi fossero con l'estrema destra.
CO. Le chiedo allora di esprimere un'opinione sulle due versioni avanzate; lei può anche formulare una sua valutazione, non è vietato. Si è fatto un'opinione sulle finalità e gli scopi dei Nuclei? Non mi risponda sempre di no!
MALETTI. Senatore, rispondo di no non per partito preso, ma semplicemente perché non conosco certe cose. Lei comunque vuole una mia opinione che è, potremmo dire, piuttosto scarna perché, ripeto, non sono a conoscenza delle organizzazioni al punto tale da poter formulare una valutazione. Se proprio la vuole, posso affermare che è possibile che le due organizzazioni abbiano convissuto, che una fosse parte dell'altra (non so quale, ma ritengo che la più importante fosse Gladio) e - tenuto conto degli scopi che questa duplice organizzazione si prefiggeva - non escluderei che al momento del bisogno, della necessità operativa, facessero capo anche ad elementi dell'estrema destra, possibilmente extraparlamentare.
CO. L'ex direttore della Cia William Colby ha scritto un libro intitolato "La mia vita nella Cia" che contiene le sue memorie come capo di tale organizzazione; in esso egli fa riferimento sempre alle stay behind nets, usando quindi il plurale. Colby ribadisce questo concetto in molte parti dello scritto ricorrendo, appunto, sempre al plurale. Secondo lei questo cosa significa? Si intende che esistevano più reti parallele diverse tra di loro?
MALETTI. Può significare questo e può significare che Colby si riferiva a diverse reti che agivano ciascuna in un paese diverso: la rete belga, quella italiana, quella greca e così via.
CO. Sempre a questo proposito, per quello che è a sua conoscenza, quali erano i rapporti tra organizzazioni stay behínd, Nato e Cia? E possibile che vi fosse una sovrapposizione tra la rete Nato e quella dei rapporti bilaterali della Cia? Come spiega la partecipazione alle esercitazioni di stay behínd di gruppi appartenenti a paesi estranei all'Alleanza atlantica, come ad esempio iraniani e spagnoli?
MALETTI. Non sapevo che elementi estranei all'Alleanza atlantica partecipassero ad esercitazioni di stay behínd, ritengo possibile che nella Nato, a livello della sua direzione operativa, dello Shape, il comando supremo della Nato, si provvedesse alla organizzazione, che ritengo più che altro coordinatrice e non strettamente operativa, dei vari stay behind dei paesi Nato.
CO. Nel 1987, in una audizione davanti alla Commissione presieduta dall'onorevole Bianco, Delle Chiaie disse di aver appreso nel 1965 dell'esistenza di un corpo speciale in funzione anticomunista le cui caratteristiche coinciderebbero esattamente con quelle di Gladio (dobbiamo notare che Delle Chiaie parlava quando non vi era stata la scoperta ufficiale di Gladio) salvo per due elementi di differenziazione: il primo è che la struttura sarebbe dipesa gerarchicamente dal Ministero dell'interno e non dal Servizio militare, e il secondo è che in essa avrebbe avuto un ruolo l'onorevole Ivan Matteo Lombardo. Secondo lei Delle Chiaie si riferiva a Gladio, o ai Nuclei di difesa dello Stato, oppure a un'altra struttura ancora? Nel primo caso può chiarirci il riferimento al Ministero dell'interno e all'onorevole Lombardo? Lei ha mai avuto la percezione dell'esistenza di una struttura parallela che dipendesse dal Ministero dell'interno diversa da Gladio?
MALETTI. Non ho mai avuto la percezione dell'esistenza di una tale organizzazione, ma non escludo che esistesse. Il Ministero dell'interno aveva una sua rete di informatori e di operatori i quali all'occorrenza avrebbero potuto svolgere un'azione simile a quella prevista per Gladio; direi, se mi è consentito fare un'illazione, che quella del Ministero dell'Interno avrebbe potuto essere un'azione di carattere più locale e cittadino che non campale, come era in genere, o avrebbe dovuto essere, quella militare, ossia Gladio. Ripeto però che non ho una percezione precisa in merito (Fuori microfono vengono chiesti chiarimenti). Intendo che un'organizzazione dipendente dal Ministero dell'Interno avrebbe potuto agire nell'interno dei centri abitati e delle zone industriali.
PRESIDENTE. Chiedo scusa al collega Cò se mi intrometto nella serie delle domande da lui poste. Generale Maletti, noi l'ascoltiamo sapendo di non udire un personaggio qualsiasi, ma un ufficiale che ha avuto alte responsabilità di intelligence. Le idee portanti sulle quali stiamo lavorando sono che le cause dello stragismo debbono andarsi a trovare all'interno di questa pluralità di reti clandestine, dove probabilmente è anche possibile che a un certo punto gli operatori, quelli esterni che come lei ha detto venivano arruolati fra i ruoli marginali dell'attività politica (destra eversiva ed altro, non però solo destra eversiva, indubbiamente) si siano potuti rendere autori delle stragi, anche per deviazioni individuali dai piani concordati, e che in realtà la ragione per la quale non si sono scoperte le responsabilità risiede nel fatto che ci si è preoccupati di coprire i rapporti istituzionali che questi avevano o avevano avuto nel passato. Riteniamo che in fondo sia questa la vera ragione della coltre di mistero che è calata su tutto lo stragismo. Le chiedo pertanto se a suo parere, riflettendo oggi su questo periodo della storia italiana, che ha avuto questa sua tragica singolarità, questa sia una spiegazione logica.
MALETTI. Io credo che sia una spiegazione logica, però non riguarda l'azione svolta dal Reparto D nella copertura delle fonti, perché queste fonti, per lo meno quelle che noi conoscevamo, non risultavano direttamente coinvolte in stragi, ma erano degli operatori laterali. La sua teoria, senatore, è quanto mai accettabile - mi scusi questa valutazione così apertamente positiva - perché penso che al di là di una trama eversiva, all'interno di questa vi fosse una venatura di esaltazione attivistica che comportava reazioni individuali spesso non desiderate dalla direzione dei gruppi eversivi, anche se comprese nella strategia della tensione, ma forse intempestive.
CO. Lei ci ha parlato dell'esistenza, pur in termini ipotetici, di una struttura dipendente dal Ministero dell'interno. Ora le pongo una domanda per capire se quanto le dirà avvalora o meno l'esistenza di tale struttura. A proposito del Ministero dell'interno, come mai il rappresentante italiano all'interno dell'Ufficio di sicurezza del Patto Atlantico (quindi di un'organizzazione essenzialmente militare) era il dottor D'Amato e non un militare o, per esempio, un diplomatico? Lei in particolare ha mai avuto rapporti con D'Amato? Se sì, in quali occasioni? Sapeva, per esempio, che anche lui apparteneva alla loggia P2?
MALETTI. Senatore, non so e non sapevo se D'Amato appartenesse alla loggia P2, come tanti altri, me escluso. Non ho avuto mai dei rapporti molto cordiali con lui, al contrario vi era - come ho detto all'inizio - una certa diffidenza che penso fosse anche alimentata dal mio caposervizio per motivi, probabilmente, di divide et impara. Chiedo scusa senatore, ho perso la traccia delle sue domande.
CO. Le ho chiesto come mai il rappresentante italiano all'interno dell'Ufficio di sicurezza del Patto Atlantico era il dottor D'Amato e non un militare.
MALETTI. Questo, senatore, non glielo posso dire; D'Amato era una persona di notevoli influenze, come lei certamente sa, nell'ambito complessivo degli stessi Servizi di sicurezza. Aveva quindi contatti molto stretti con il Servizio francese e parlava lui stesso molto bene il francese essendo, se non mi sbaglio, figlio di una marsigliese e aveva anche buoni contatti con altri Servizi, quello americano in modo particolare. Può essere stato quindi o richiesto dalla direzione della Nato o addirittura suggerito dalla Cia in Italia.
CO. Lo considera un fatto anomalo?
MALETTI. Direi di sì, lo considero un fatto anomalo perché altri rappresentanti, se non erro, erano militari, intendo: i rappresentanti di altri Servizi di sicurezza presso la Nato erano militari.
PRESIDENTE. Mi scuso ancora se mi intrometto, ma questo è uno dei punti essenziali per il lavoro della Commissione che deve infatti interrogarsi anche sulle responsabilità politiche. Le vorrei chiedere una valutazione di questo tipo: dall'impressione complessiva che abbiamo, in Italia il limite di sovranità si può constatare in misura più accentuata di quanto non avvenisse in altri paesi dell'Alleanza occidentale e questo sembra corrispondere ad un atteggiamento che non esclude, ma anzi identifica, una responsabilità politica, quasi come se vi fosse una sorta di strategia della subalternità da parte del potere politico italiano che tutto sommato, anche per fini personali di lotta interna, gareggiava nell'essere appunto subalterno. La stessa valutazione le chiedo di svolgere per quanto riguarda i Servizi. Che i Servizi di sicurezza in tutto l'occidente durante il periodo della guerra fredda abbiano avuto un grosso momento di autonomia e abbiano svolto anche politiche proprie è un dato; però, ancora una volta, anche da quello che lei ci ha detto questa mattina, si ricava l'impressione che è come se il potere politico si sforzasse di non sapere e lasciasse questa autonomia ai Servizi, salvo poi utilizzarli anche a fini di lotta politica interna.
MALETTI. Senatore, concordo con la sua valutazione di questa subalternità spinta che è quasi direi una eredità del trattato di pace del 1947 e del fatto che noi appartenevamo al campo avverso. E una subalternità che può avere avuto anche delle ragioni, e quasi certamente ne ha avuto, di carattere politico.
Indubbiamente i rapporti tra il Servizio americano e quello italiano erano rapporti di superiore rispetto ad inferiore: questo derivava dal fatto che da parte americana vi era una consistente iniezione di mezzi tecnici e non, al contrario, di informazioni. La collaborazione era più spesso unilaterale e il rapporto era, per lo meno nel periodo in cui sono stato a capo di quella branca, di scarsa fiducia nei nostri confronti e più che un rapporto era una decisa azione autonoma del Servizio americano in Italia, in appoggio alla loro politica e senza molto riguardo per quello che noi conoscevamo e sapevamo. In poche parole, le posso fare un confronto tra l'utilità del Servizio americano nei miei confronti, come Reparto D, e l'utilità di quello israeliano. Quest'ultimo ci ha aiutato e ci ha consentito di concludere alcune operazioni interessanti; il Servizio americano non ci ha mai aiutato in niente, almeno per quanto riguarda me, anche se può darsi che abbia aiutato altri settori del Servizio.
PRESIDENTE. Lei esclude che potessero esserci uomini del Servizio, ed anche del Reparto che da lei dipendeva, che avessero un vincolo gerarchico improprio e cioè che, anche a sua insaputa, potessero avere input diretti provenienti dal Servizio statunitense? Da quello che ho capito, lei all'epoca si fidava molto del capitano Labruna ed oggi sembra ritenere - affiorava chiaramente dalle risposte che ci ha dato - che tale fiducia non fosse pienamente ben riposta; esclude ad esempio che il capitano Labruna abbia potuto ricevere input che la scavalcassero by-passandola?
MALETTI. La mia sfiducia nel capitano Labruna dipende dai suoi successivi comportamenti nei miei confronti in sede giudiziaria, atteggiamenti e comportamenti che ritengo quasi vendicativi, ma questo non mi permette di suggerire che Labruna fosse manovrato dai Servizi americani. Che qualcun'altro lo fosse, non tanto nel mio Reparto, ma in altri reparti del Servizio, certamente sì. (Commenti). I nomi non ve li posso dire, ma quasi certamente vi era una precisa influenza americana della Cia, anche sul capo Servizio, ma non Casardi.
CO. Quali erano i suoi rapporti con il generale Maggi Braschi?
MALETTI. Mi scusi senatore, quale generale?
CO. Generale Adriano Maggi Braschi.
MALETTI. Non credo di averlo mai conosciuto.
(Interventi fuori microfono, breve discussione).
CO. Nel 1971, dopo la sua nomina all'Ufficio D, il Sid aveva deciso di ripubblicare i tre brevi volumi del manuale sulla guerra non ortodossa, opera di Guido Giannettini e del tenente colonnello Argiolas; come mai venne presa questa decisione e quale valore veniva attribuito a quel documento? Era forse la dottrina ufficiale del Servizio?
MALETTI. Non so se quei volumi siano stati poi pubblicati, comunque ritengo che non fossero la dottrina ufficiale del Servizio, ma ritengo (mi dispiace portare la cosa su un piano personale quasi pettegolo) che siccome il generale Miceli era un buon amico del da poco defunto generale Argiolas, allora colonnello, lo abbia fatto per fare un piacere al colonnello stesso. Non ho mai utilizzato questi libretti né ho saputo di una loro utilizzazione da parte dello Stato Maggiore dell'Esercito, del quale sono stato capo dell'Ufficio addestramento per due anni, o da parte del Servizio D.
CO. Le faccio una domanda estemporanea alla quale vorrei rispondesse con un sì o con un no, poi svolgeremo delle considerazioni. Ha mai conosciuto la scrittrice francese Susanne Labenne? In caso positivo, può darci qualche ragguaglio sulla sua figura?
MALETTI. No.
CO. Lei ha già risposto alla domanda relativa a quando è venuto a conoscenza dell'esistenza della loggia massonica P2 e a quella in relazione ai termini in cui ha appreso questa notizia; ha già risposto inoltre sul quando e perché ha deciso di aderire alla loggia dicendo che non vi ha aderito, era però al corrente che il generale Miceli ne faceva parte?
MALETTI. Non ho aderito alla loggia P2, sono stato invitato ad aderirvi e non l'ho mai fatto. Il generale Miceli, secondo il colonnello Viezzer, ne era parte e di questo venni informato.
CO. Ritorno sulla questione dell'informativa Casalini. Perché questa informativa non venne mai inoltrata alla Magistratura?
MALETTI. L'informativa avrebbe dovuto essere inoltrata alla Magistratura dal centro di controspionaggio competente cioè Padova; desidero ricordare al senatore che a quei tempi, a quell'epoca, la collaborazione fra Servizi e Magistratura era molto frammentaria; inoltre non sempre noi del Servizio eravamo soddisfatti del comportamento di quest'ultima nei confronti delle informative che passavamo, non tanto per sfiducia nella Magistratura in sé, ma per sfiducia nella riservatezza dei suoi uffici nei quali le informazioni confluivano. Quindi spesso, al fine di salvaguardare la prosecuzione di un'attività informativa, mantenevamo il segreto o comunque la riservatezza sulla informazione riservandoci, se del caso, di trasmetterla. Anche questo era un fatto, direi, non obbligatorio all'epoca, oggi, per carità, si aprirebbe il cielo se il Servizio non passasse un'informativa alla Magistratura; allora vi era la possibilità di valutare l'opportunità di trasmetterla o di tenerla invece per nostro conto in modo da poterla sviluppare più compiutamente.
CO. Sempre su questo punto, come mai questa riservatezza persisteva anche al termine delle indagini, quando queste erano concluse?
MALETTI. A questa domanda non so esattamente cosa rispondere perché mi sfuggono i particolari temporali della trasmissione o non trasmissione della documentazione alla Magistratura. Se non mi sbaglio il fatto che viene contestato si verifica nel 1975, oltre la prima metà di tale anno. Ho lasciato il reparto il 30 settembre del 1975 e non so quali sviluppi la cosa abbia avuto; tenga anche presente, senatore, che il caso Casalini, per quanto risulta anche dal volume a nostra disposizione, era stato poi trasferito alla Polizia giudiziaria.
CO. L'attentato alla questura di Milano sembra ormai appurato che fosse diretto contro l'allora ministro dell'interno Rumor e Vinciguerra sostiene di essere stato contattato nel 1971 per un attentato contro lo stesso onorevole Rumor; secondo lei a che cosa si deve questa particolare attenzione nel confronti di tale onorevole? Per quello che lei sa, è ipotizzabile che l'ex Presidente del Consiglio abbia avuto, e in che modo, un ruolo nella strategia della tensione?
PRESIDENTE. Mi intrometto per sottolineare che lei poco fa, rispondendo ad un'altra domanda, ha dato consistenza all'ipotesi della strategia della tensione.
MALETTI. Senatore, mi dispiace, non ho dato consistenza all'ipotesi della strategia della tensione, ho usato solo l'espressione "strategia della tensione" e l'ho fatto per semplicità, poichè è molto usata, ma non ho dato consistenza a questa strategia che comunque ammetto ci potesse essere.
Per rispondere al senatore Cò, forse l'attentato era diretto contro il ministro dell'interno Rumor per il fatto stesso che rivestiva tale ruolo. Non so se fosse collegato o collegabile a quella che è definita strategia della tensione.
CO. Come definirebbe Giannettini: un infiltrato della Destra nei Servizi o un infiltrato dei Servizi nella Destra?
MALETTI. Dopo parecchi anni direi che Giannettini era tutti e due; quando l'ho "ereditato" era un infiltrato dei Servizi nella Destra, dopo non so.
CO. Mi sa dire perché e da chi venne bloccata la velina Serpieri e quale è stato il ruolo del capitano Armesano?
MALETTI. La velina Serpieri mi sorprende un po', potrebbe illuminarmi di più in merito? Anche sul capitano Armesano...
(Commenti del senatore Cò).
......non posso fornirle maggiori informazioni senatore, le darei volentieri se le avessi, ma questi nomi mi suonano nuovi. Il nome Serpieri è noto, ma se vi fosse una velina in particolare non ricordo. Armesano non l'ho mai sentito, visto o conosciuto.
CO. Nella sua attività informativa ha mai avuto occasione di appurare la natura dei rapporti tra l'Ufficio Affari Riservati e Stefano Delle Chiaie, o anche Delfo Zorzi?
MALETTI. Direi di no, senatore, però uno dei motivi per cui il capitano Labruna era stato inviato in Spagna a prendere contatti con Delle Chiaie era proprio quello di appurare le sue connessioni con gruppi eversivi stranieri. Almeno questa era la versione ufficiale data a me dal capitano Labruna. Questi ha ricevuto in quell'epoca ordini diretti dal generale Miceli che lo ha inviato in Spagna a prendere contatti con Borghese e con Delle Chiaie, direi però che i contatti di Labruna con quest'ultimo sono stati senza successo.
CO. Ci può dire qualche cosa sulla famosa riunione ai Configliachi il 18 aprile 1969? Chi era secondo lei l'importante esponente romano presente a questo incontro: Rauti, Delle Chiaie, Giannettini o un altro?
MALETTI. Senatore, io nel 1969 non ero al Servizio, di questa riunione della Configliachi (di cui ho letto qualche cosa, adesso non rammento esattamente quando, ma durante la mia presenza al Servizio) non ricordo certamente un granchè; direi che se qualche importante esponente romano era presente, questo avrebbe potuto essere Delle Chiaie.
CO. Ci può dire se il Servizio militare abbia svolto un lavoro di indagine non solo sull'attentato alla Banca dell'Agricoltura, ma anche sugli altri attentati, in particolare quello alla Comit? Se è così che cosa era emerso da queste indagini?
MALETTI. I vari centri di controspionaggio avevano certamente svolto indagini e ciò dovrebbe risultare dalla documentazione agli atti. Vorrei però ricordare che questi grossi fatti eversivi erano più che altro zona e settore di azione delle forze di polizia, e quindi dei carabinieri e della pubblica sicurezza, e non tanto del Servizio data anche la limitatezza del personale dei vari centri di controspionaggio.
Bisogna tenere presente che nei principali centri di controspionaggio, escludendo quindi ad esempio Cagliari, il personale era costituito da due, massimo tre, ufficiali e da dieci, massimo quindici, sottufficiali (inclusi gli autisti, i dattilografi e così via) buoni, seri, ma spesso anziani. Le indagini da noi svolte, quindi, erano veramente di carattere secondario e miravano soprattutto a sfruttare quelle fonti di cui disponevamo e che spesso non erano in grado di fornire molte notizie. L'azione del Servizio quindi e del Reparto D, in quasi tutti questi attentati è stata modesta, non per cattiva volontà, ma per mancanza di elementi validi ai quali appoggiarsi e anche di mezzi.
CO. Tuttavia, nonostante la limitatezza dei mezzi e degli strumenti cui faceva cenno, qualche elemento di indagine è stato ricavato e qualcosa è emerso dall'attività svolta?
MALETTI. Ritengo che siano stati ricavati elementi di indagine e che qualche cosa sia emerso, però a distanza di molti anni non ricordo cosa sia stato ottenuto nei vari casi (Piazza della Loggia, Comit, ed altri); comunque deve risultare dagli atti del Servizio che certamente non sono stati distrutti.
PRESIDENTE. Durante la sua direzione del Reparto D, quindi, avvengono due grandi stragi che dal 1974 sono rimaste impunite, quella di Piazza della Loggia e quella dell'Italicus. In sede pubblicistica è stata avanzata l'ipotesi che lei abbia ritenuto i due attentati tutto sommato coerenti alla logica dell'attentato del 1969 e quindi come voluti per determinare una richiesta di ordine da parte della società favorevole ad un pronunciamento militare e di questo lei avrebbe informato l'onorevole Andreotti. Può confermare o smentire questa circostanza?
MALETTI. Confermo questa circostanza.
PRESIDENTE. Non può dirci qualcosa di più?
MALETTI. Se io ricordassi qualcosa di più la direi senatore, non è certamente per cattiva volontà che non lo faccio, ma perché è passato molto tempo e sono trascorse molte vicende, anche familiari, su di me che mi hanno occupato diversamente. Quello che non dico non so.
CO. Generale, il Servizio militare si era occupato, o aveva saputo qualcosa, della vicenda del greco Enrico Karanastasis, che è la persona che aveva acquistato e rivenduto cassette Juwel identiche a quelle usate per gli attentati?
MALETTI. Ritengo di sì, ma non posso confermarlo adesso. Mi sembra che questo Karanastasis sia stato ucciso nel corso di qualche manifestazione, non ricordo e non posso darle maggiori lumi. Ritengo comunque che il Servizio se ne sia occupato.
CO. Lei quindi ha mai giudicato attendibili per le stragi la pista greca e quella portoghese?
MALETTI. Non ho mai ritenuto attendibile la pista portoghese, mentre lo era maggiormente la pista greca, non tanto nella strage di Piazza Fontana, quanto nell'addestramento e nell'ispirazione ideologica e politica. Devo però aggiungere che indagini in Grecia, o attraverso il Servizio greco, erano estremamente difficili. Ebbi nel 1973 contatti con due ufficiali del Servizio greco che vennero ad incontrare il capo del Servizio, generale Miceli, per chiederci di fornire notizie circa gli eversori greci contro il regime dei colonnelli che si trovavano soprattutto presso l'Università di Perugia e, se non mi sbaglio, anche a Roma. Gli ufficiali greci erano estremamente sospettosi del Servizio italiano, come i greci in genere lo sono dell'organizzazione militare italiana, come ex nemici (se la sono legata al dito certamente), ed anche un po' di tutti.
Il discorso quindi sulla possibilità di infiltrazioni greche fu raccolto e sviluppato molto brevemente poichè non vi era possibilità di informazioni nè presso i greci, nè, per quanto mi risulta, presso i nostri elementi infiltrati.
PRESIDENTE. Mi ha colpito che nella sua prima risposta lei ha sottolineato l'importanza di quel viaggio di studio compiuto in Grecia nel 1968 da un certo gruppo fra cui Mario Merlino e Delle Chiaie, lo stesso cioè presente al convegno dell'Istituto Alberto Pollio di tre anni prima. E un fatto al quale ho appena accennato nella relazione e personalmente lo ritenevo uno spunto indagativo importante; mi ha colpito pertanto il fatto che lei ne abbia parlato subito. Quello che ha detto adesso si riallaccia a questo suo iniziale segnale che ci ha dato nella prima risposta?
MALETTI. Il segnale che ho dato era ambivalente. Prima di tutto vorrei dire che c'era effettivamente un contatto, per quanto ci risultasse, tra movimenti greci, naturalmente organizzati da quello Stato, e movimenti italiani di destra. Su questo non ci sono dubbi. Il secondo segnale era questo: la pubblicistica spesso si riferisce a me come ad un amico dei colonnelli e come presente in Grecia quando i gruppi eversivi, gli eversori italiani, svolgevano corsi di addestramento, non so dove, se a Corfù o altrove in Grecia. Questi erano i due motivi: uno personale, un altro invece di carattere professionale.
PRESIDENTE. Voglio darle atto che, anche in preparazione di questa audizione, un aspetto che io ho guardato è che non c'è niente che possa dare significato negativo al fatto che lei fosse stato addetto all'ambasciata italiana in Grecia nel periodo di preparazione del golpe.
CO. Può dire qualcosa sulla strage di Brescia? Un'informativa del Sid che è stata ritrovata recentemente sostiene che Ordine Nero altro non fosse che una copertura dell'ufficio Affari riservati: lei ricorda qualcosa in proposito?
MALETTI. No senatore, mi dispiace, ma non ricordo proprio più niente di questa questione di piazza della Loggia. E stata purtroppo una delle questioni molto serie e molto gravi, ma non è stato uno degli elementi della sovversione sul quale noi abbiamo ottenuto successo, se non mi sbaglio: quindi non mi è rimasto impresso granchè di quella vicenda.
PRESIDENTE. Ma dalle indagini che voi avete fatto, sul ruolo avuto dall'Arma dei carabinieri, in tutta quella sequenza di eventi che parte dal Mar di Fumagalli, prosegue con la cattura di Fumagalli, con la strage di piazza della Loggia e poi si conclude a Pian del Rascino, il Servizio ha accertato niente? Lei ha personali valutazioni a distanza di tanti anni da dare come contributo alla Commissione?
MALETTI. A distanza di tanti anni io direi che l'Arma dei carabinieri si è sempre comportata bene e non so quanti e quali elementi avesse per poter intervenire in modo più efficace e se ci fossero state delle limitazioni politiche al suo intervento. Queste sono ipotesi che si possono formulare ma che hanno a mio parere, dette in questo modo da me come soltanto le posso dire, poco valore.
CO. Generale, lei ha mai pensato che la strategia della tensione - abbiamo usato questo termine prima - potesse avere il suo centro operativo principale a Monaco di Baviera, dove operavano per esempio l'Antibolshevic Block of Nations, il Consiglio europeo della libertà, Radio Free Europe e altre organizzazioni analoghe?
MALETTI. No, ritengo che tra i collegamenti esteri ci fossero anche dei neonazisti, ma non ho fatto mente locale su questo possibile collegamento con Radio Free Europe o con l'Antibolshevic Block of Nations. Non ho altro da dire. Monaco? A possibile, ritengo che data la vicinanza all'Italia e la facilità di comunicazione con il Veneto, uno scambio tra i due gruppi potesse esistere.
CO. Una domanda molto diretta: lei non ha mai sentito parlare di una società segreta denominata "I Tarocchi"?
MALETTI. No, mai.
CO. Veramente l'ultima domanda: lei era al corrente che elementi del Counter Intelligence Service Corps, cioè del servizio di informazione militare americano, avevano rapporti con Ordine Nuovo in Veneto ed in particolare che cosa ci può dire dei rapporti fra questo servizio di informazione militare americano e due agenti del Sid, cioè Pignatelli e Burlando?
MALETTI. Sì, il Counter lntelligence Service aveva collegamenti istituzionali con i centri di controspionaggio di Verona, e quindi con Pignatelli, e di Milano, con Burlando, e probabilmente anche con Bottallo di Padova, soprattutto per questioni di polizia militare. Non so di collegamenti tra il Counter Intelligence Service ed elementi dell'estrema destra, ma bisogna tener presente che il Counter Intelligence Corps è in un certo senso, se non un'emanazione della Cia, che è tutt'altra organizzazione, un "organo di sicurezza" militare e quindi riflette l'orientamento politico dell'organizzazione militare alla quale appartiene, quindi non escludo che ci possano essere stati dei contatti. L'orientamento politico era conservatore e anticomunista.
PRESIDENTE. Riprendendo la domanda che le avevo fatto prima: lei ha dato una valutazione positiva del comportamento dell'Arma dei carabinieri, però dagli atti che abbiamo, dal complesso delle indagini, anche per ciò che riguarda i carabinieri affiora un'ipotesi (penso a tutte le vicende del 1973-74 e anche alla strage di Peteano): è come se in qualche modo i gruppi eversivi - per la strage di Peteano c'è stata poi la confessione di Vinciguerra - che hanno commesso questi attentati fossero noti agli apparati di sicurezza, ne fosse se in qualche modo anche prevedibile l'operatività: però c'è sempre stata la preoccupazione di non fare emergere, individuandone le responsabilità, i rapporti istituzionali che in qualche modo potevano avere. Quindi tutta la lentezza con cui si è identificata poi la vera matrice della strage di Peteano, la stessa vicenda del Pian del Rascino, l'uccisione di Esposti, fanno pensare che in qualche modo ci si preoccupasse non tanto di coprire responsabilità dirette, e cioè dei veri e propri input istituzionali che questi gruppi avevano avuto nel commettere questi attentati, quanto di nascondere il legame che questi gruppi avevano avuto con pezzi delle istituzioni in quegli anni e negli anni precedenti.
MALETTI. Senatore Pellegrino, lei si riferisce all'Arma dei carabinieri in particolare?
PRESIDENTE. Anche all'Arma dei carabinieri.
MALETTI. Io mi riferisco solo all'Arma dei carabinieri. Per quanto riguarda il servizio ne abbiamo parlato abbondantemente; per quanto riguarda l'Arma dei carabinieri: sì certo, tutte le grosse famiglie hanno degli elementi che non rispondono alle tradizioni e alle aspettative e quindi immagino che anche tra i carabinieri, nonostante la loro solidità come Arma, come corpo, ci siano stati elementi che hanno favoreggiato certi gruppi eversivi. Il caso del capitano D'Ovidio - e del capitano Servolini se non mi sbaglio - è un'indicazione del fatto che anche lì c'erano delle simpatie, delle amicizie o delle tendenze; ma non potrei dire che nel complesso l'Arma dei carabinieri sia venuta meno ai suoi compiti in questo caso.
PRESIDENTE. Con riferimento alla fonte Casalini però le indagini giudiziarie più recenti hanno accertato che il rapporto che fu fatto ai carabinieri come organi di polizia giudiziaria arriva nella divisione Pastrengo e lì sparisce: infatti non è stato mai mandato all'autorità giudiziaria e non è stato nemmeno rinvenuto negli archivi della divisione Pastrengo.
Tutto ciò ha finito per consolidare in sede giudiziaria quella ricostruzione di tutta la vicenda che pone in gioco sue responsabilità. Io mi sono sorpreso del fatto che lei non conosca l'ordinanza-sentenza del giudice Salvini: lì la vicenda viene ricostruita avendo come punto finale la distruzione, nella divisione Pastrengo, del rapporto che era stato fatto su tutto ciò che la fonte Casalini aveva detto. Ecco perché viene poi data quella lettura del suo appunto di allertare il capitano Del Gaudio, come se fosse stato tutto un fatto programmato: facciamone un rapporto, diamolo ai carabinieri, arriva alla divisione Pastrengo, la divisione Pastrengo distrugge il rapporto.
MALETTI. Io non conosco il giudice Salvini e mi astengo dal giudicare quello che il giudice dice di me, ma mi sembra fantainformazione: è mai possibile che io mi metta in contatto con il colonnello Del Gaudio e attraverso una catena di cospiratori - chiamiamoli così - arrivi alla divisione Pastrengo, della quale non conosco il comandante generale Palumbo se non di nome - mai visto nè conosciuto - per far distruggere un documento che è partito da me. Mi sembrano delle cose che stanno fuori da questo mondo. Io non sono "un fesso", senatore, queste cose non le avrei fatte anche se avessi avuto l'intenzione di farle!
PRESIDENTE. Io volevo però chiarire che la Commissione non può, non deve accettare acriticamente ciò che emerge in sede giudiziaria; anzi il mio punto di vista è che debba esaminarlo criticamente. Allo stato delle acquisizioni, però quello è un dato da cui noi non possiamo prescindere: possiamo valutarlo criticamente, per questo abbiamo voluto ascoltarla e terremo conto delle cose che lei ci ha detto; però la ricostruzione che ne è stata data in quella sede è questa, sempre però nella logica della preoccupazione di coprire questi legami istituzionali che questi gruppi eversivi avevano avuto e nel periodo precedente avevano ancora.
Colleghi, per evitare il balletto di questo microfono, do la parola al collega Fragalà che si siederà al mio posto; io mi sposterò per evitare il giro. Penso che il collega Fragalà interverrà fino all'ora di colazione; riprenderemo poi nel pomeriggio cercando di chiudere.
FRAGALA. Signor generale, io naturalmente unisco il mio personale apprezzamento a quello del presidente Pellegrino per la sua disponibilità concreta a riferire alla Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle stragi alcune notizie che possono o potranno eventualmente illuminare alcuni motivi per cui in Italia non si è potuto accertare granchè sulle cause e sulle responsabilità delle stragi.
Prima di passare alle domande specifiche - e lei mi scuserà del fatto che alcune trattano i medesimi argomenti che sono stati oggetto delle domande del Presidente e del collega Cò - mi permetterà di tracciare un quadro d'insieme. Lei vive da tanti anni in Sud Africa ma immagino che segua gli avvenimenti italiani e quelli internazionali; lei sa che in Italia vi è stato, dopo il crollo del muro di Berlino e dopo la cosiddetta "Tangentopoli", un cambiamento politico di grande rilevanza ed alcuni dei personaggi politici che erano stati sulla scena e sul proscenio per quaranta o cinquant'anni di seguito sono caduti in disgrazia, o addirittura in vicende processuali anche gravi. Allora io credo che dobbiamo partire da un punto sul quale la pregherei di essere assolutamente chiaro, perché le acquisizioni che ci sono in questo momento sul problema che le esporrò sono acquisizioni che a mio avviso non tornano a disdoro della sua qualificazione professionale, della sua lealtà istituzionale e dei suoi comportamenti ortodossi rispetto ai servizi che lei ha sostenuto. La mia prima domanda è la seguente: lei sa benissimo che il senatore Andreotti è uno di quei personaggi politici che, oltre ad essere uscito dalla scena politica di primo piano, è caduto in una disgrazia giudiziaria di grandissimo spessore criminale perché accusato di uno dei reati più gravi del nostro codice sostanziale. Lei sa benissimo immagino - questa è una mia indicazione - che il senatore Andreotti, quando è stato accusato e coinvolto nel processo per associazione di stampo mafioso, ha subito replicato al suoi accusatori, sia quelli di fonte testimoniale, i cosiddetti collaboratori di giustizia, sia i suoi interlocutori istituzionali, che sono i procuratori di Palermo, dicendo che questa era una cosa che gli stavano facendo pagare gli americani. Ha detto in poche parole che vi era un input americano che lo poneva come bersaglio di false accuse per vendicarsi di una serie di suoi comportamenti. Io le pongo adesso questo problema: non c'è dubbio che l'analisi politica e storica ha ormai abbastanza adeguatamente accertato che negli anni a cavallo fra il '69 e il '74 -'75, l'onorevole Andreotti fece un cambiamento di rotta di 180 gradi della sua direzione politica, cioè da esponente ed alleato dei gruppi politici italiani di destra si cominciò ad accreditare fortemente come l'esponente di una Democrazia Cristiana addirittura di sinistra che, attraverso di lui, esponente della vecchia destra, avrebbe potuto accreditare la sinistra e specialmente il partito comunista italiano come partito di governo e come partito d'ordine. Ci sono alcuni passaggi che segnalo alla sua memoria di questo cambiamento di rotta dell'onorevole Andreotti, perché poi alla fine le chiederò se questo cambiamento di rotta dell'onorevole Andreotti è stato il motivo della sua persecuzione prima istituzionale, poi politica e poi giudiziaria e praticamente di quello che a lei è accaduto e di cui il senatore Pellegrino ha già dato una prima valutazione. Nel 1972 - e le chiedo già se lo ricorda - i servizi segreti occidentali rivelarono la rete Kgb operante nei rispettivi territori; Londra rimpatriò 124 funzionari dell'ambasciata sovietica. Andreotti si rifiutò e la Nato gli tolse in quell'occasione il nullaosta di segretezza. Lei ricorda questo specifico episodio?
MALETTI. Io ricordo l'episodio dell'espulsione dal Regno Unito di 120 diplomatici o e ufficiali sovietici. Ricordo anche che, sulla spinta di questo esempio, il Servizio italiano propose di espellere una ventina di diplomatici e ufficiali sovietici. L'operazione che aveva buoni fondamenti documentali, intercettazioni, eccetera, venne dapprima sospesa e poi soppressa su ordine non di Andreotti, ma dell'onorevole Moro. Quindi i funzionari sovietici rimasero in Italia e continuarono a fare quello che facevano prima. Per quanto riguarda la sottrazione del nullaosta all'onorevole Andreotti, non mi risulta che questo sia avvenuto; comunque posso dire che in conversazioni con il capo della rappresentanza della Cia a Roma, Mr. Stone, verso la metà del 1974, le azioni dell'onorevole Andreotti erano, diciamo così, fortemente cadute.
FRAGALA. Generale Maletti, nel 72 l'onorevole Andreotti promulga quella famosa legge, chiamata proprio Valpreda, per consentire a quello che era allora il maggior imputato della strage di piazza Fontana di lasciare il carcere per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva o per concedere la libertà provvisoria, insomma la sostanza è questa: ancora l'onorevole Andreotti le dà incarico, come più volte ha detto lei, di indagare sul golpe Borghese e poi di indagare anche - e questa è una domanda che le faccio - di indagare su un esponente militare che era il suo caposervizio, che era molto vicino all'onorevole Moro, e cioè il generale Miceli. La mia seconda domanda è la seguente: è possibile che Andreotti mirasse, nello sfruttamento dell'indagine sul golpe Borghese, ad aggredire indirettamente Moro attraverso il generale Miceli?
MALETTI. Non so cosa dirle, non so veramente se ci fosse questa intenzione o no. Questo è inutile che lo dica io: non c'erano rapporti estremamente lisci tra i due uomini dì Stato, ma non posso dirle se l'azione di Andreotti mirasse a colpire di rimbalzo Moro.
Per quanto riguarda le indagini sul generale Miceli, devo dire che Andreotti proprio non me le ordinò.
FRAGALA. Le ordinò quelle sul golpe Borghese.
MALETTI. Sul golpe Borghese, sì: più che ordinare quelle indagini, ordinò di consegnarle alla magistratura: ma il rapporto stesso venne fatto di mia iniziativa, anzi di iniziativa del tenente colonnello Romagnoli, che era venuto a conoscenza degli eventi che non si potevano insabbiare e che quindi vennero poi, prodotti in forma di "malloppo" e dati all'onorevole Andreotti.
(Voce fuori mícrofono). All'insaputa di Miceli?
MALETTI. Sì, all'insaputa di Miceli, inizialmente; il generale Miceli aveva il "malloppo" stesso e ne aveva ordinato il temporaneo accantonamento; temporaneo perché, devo dire, non aveva detto "facciamone a meno, non guardiamolo più" e così via, no; però la cosa non mi aveva convinto e allora mi ero rivolto ad un ufficiale prossimo al generale Miceli, pardon all'onorevole Andreotti, chiedendo un colloquio direttamente con l'onorevole Andreotti.
FRAGALA. Generale Maletti, lei poco fa, rispondendo al senatore Pellegrino, ha detto che non era assolutamente d'accordo con una certa politica del doppio binario, addirittura una certa politica di laíssez faire, nei confronti del terrorismo palestinese e del terrorismo libico, tanto che ha citato il famoso episodio di Argo 16. Ora, questa Commissione ha acquisito ulteriori elementi sulla politica del doppio binario, sia per quanto riguarda acquisizioni giudiziarie che magistrati ci hanno riferito, sia per quanto riguarda le indicazioni di un capo di servizio che abbiamo ascoltato qualche tempo fa, il quale addirittura ci ha detto che il senatore Andreotti si incontrava segretamente di notte con il numero due libico Jallhoud e i nostri Servizi non sapevano nulla di questo incontro, se non perché il servizio segreto libico avvisava il nostro Servizio per organizzare la protezione di questi incontri notturni e quindi evitare guai al loro numero due. Ebbene, rispetto a quello che lei ha detto e a queste ulteriori notizie che lo le fornisco, lei crede che la sua estromissione dal Servizio, la sua persecuzione giudiziaria, la sua criminalizzazione dal punto di vista della sua lealtà professionale e istituzionale sia da attribuire a questo salto della quaglia del senatore Andreotti, a questo suo cambiamento di campo nella politica italiana, per perseguire il fine dell'accreditamento della sinistra e del Pci nell'area del governo e quindi eliminare un certo suo passato di cui adesso le parlerò a proposito del golpe Borghese?
MALETTI. Io non vorrei che si attribuisse alla mia posizione all'epoca troppa importanza. Non so se l'onorevole Andreotti volesse usarmi come capro espiatorio o come vittima sacrificale per Gheddafi, per confermare la sua lealtà nei confronti della Libia e la sua ostilità al Servizio israeliano. Io credo che la mia importanza sia stata molto aumentata, esageratamente ingrandita dalla stampa e penso che Andreotti potesse fare tranquillamente a meno di me come pedina per giustificare un suo - come lei lo ha chiamato - salto della quaglia. comunque non c'è dubbio che esistevano contatti piuttosto coperti, anzi senza dubbio molto riservati, ai quali io non ho mai partecipato perché erano di gestione diretta di più alto livello, tra il Servizio libico e il Servizio italiano. Esistevano contatti di tale importanza e direi di tale intimità da giustificare la sottrazione di quattro terroristi palestinesi alla giustizia italiana con un aereo del Servizio che poi fece scalo perfino a Malta, molto ingenuamente, per portare i terroristi in salvo in Libia. Ma, la causa della mia caduta, lei ha parlato se non sbaglio di demonizzazione...
FRAGALA. Di criminalizzazione.
MALETTI. ...la si può individuare anche in questa cosiddetta mia simpatia nei confronti del Servizio israeliano e antipatia nei confronti della Libia. Non posso dire di più però.
PRESIDENTE. Ma in questa logica, o per lo meno parzialmente nella logica in cui poneva le domande l'onorevole Fragalà, il modo in cui Andreotti "brucia" Giannettini con la famosa intervista giornalistica a Caprara non le sembrò singolare?
MALETTI. Mi sembrò molto singolare, per usare un termine molto blando.
FRAGALA. Continuando sempre in questa logica, in questi temi, io le chiedo: lei ci può dire chi è che si recava spesso in Spagna per proteggere il comandante Borghese nei suoi spostamenti e chi lo accompagnò in Inghilterra per una missione?
MALETTI. No, mi dispiace, non ho elementi di risposta a questa domanda.
FRAGALA. Lei si preoccupò, comunque, di avere delle informazioni del periodo in cui il comandante Borghese risiedette in Spagna.
MALETTI. Sì, il comandante Borghese venne avvicinato dal capitano Labruna durante una delle sue missioni - mi pare due - in Spagna, ma non furono ottenute informazioni di rilievo tramite il capitano Labruna dal principe Borghese, così come non ce ne furono da Delle Chiaie che anzi rifiutò sdegnosamente ulteriori contatti.
FRAGALA. Le chiedo se lei ha mai saputo se durante questo periodo di soggiorno in Spagna del comandante Borghese lo stesso comandante fosse accompagnato da una donna che risultasse essere parente dell'onorevole Andreotti..
MALETTI. La cosa mi risulta nuova.
FRAGALA. Generale, ancora una notizia: lei può dire alla Commissione se ha conosciuto la fonte Giannettini prima del 1969, a prescindere anche dal rapporto di servizio perché lei ha iniziato a guidare l'ufficio del Sid nel 1971?
MALETTI. No; ho conosciuto Giannettini - mi è stato presentato personalmente dal generale Gasca Queirazza - nel giugno del 1971 come fonte confidenziale diretta del capo del reparto.
FRAGALA. Signor generale, chi è che le ordinò di tenere all'oscuro i suoi superiori delle informative Gìannettini?
MALETTI. Potrebbe spiegarmi meglio questa domanda?
FRAGALA. Desidero sapere se lei, come risulterebbe a me, naturalmente dalla pubblicistica e da atti processuali, avrebbe tenuto all'oscuro i suoi superiori, quindi il generale Miceli, ed eventualmente anche i suoi superiori politici, delle informative Giannettini. Se questo è vero, chi glielo ordinò?
MALETTI. No, io non ho tenuto all'oscuro il mio capo servizio delle informative Giannettini, non ho avuto direttive politiche e, d'altra parte, non avevo contatto con uomini politici se non con quelli ai quali ho già fatto riferimento prima: con Andreotti e con Forlani.
FRAGALA. Ancora un altro problema: nell'interrogatorio reso ai giudici di Catanzaro, Migliaccio e Lombardi, quelli che indagavano come giudici istruttori sulla strage di piazza Fontana, lei, signor generale, disse di non essere a conoscenza della vera identità di Marco Pozzan e di Mario Zanella. Lei poco fa ha risposto in un certo modo; mi vuole chiarire questo aspetto di quella sua deposizione di allora?
MALETTI. L'aspetto della deposizione di allora era un aspetto puramente difensivo; la verità è quella che ho detto adesso, poco fa.
FRAGALA. Giannettini ha ammesso di essere stato strumentalizzato, prima in un senso e poi nell'altro, come falso scopo per coprire responsabilità precise del potere politico, non in relazione ai fatti del 1969 ma in relazione a quelli del 1971-1973. Dagli interrogatori del generale Miceli e dell'ammiraglio Henke del gennaio 1976 è risultato che fino al 1974 il Sid si rifiutò di collaborare con gli inquirenti per ordine del Governo. Io le chiedo: lei ebbe anche ordine del Governo, e quindi del referente politico che lei adesso dirà, nel senso del rifiuto nei confronti del Servizio di collaborare con gli inquirenti?
MALETTI. No, non ho avuto richieste o ordini da parte di personaggi politici nella materia. Il generale Mino, per conto dell'onorevole Andreotti, mi chiese se il Giannettini fosse un elemento del Servizio, un informatore, cosa che confermai al generale Mino; dopodichè non seppi se il generale Mino avesse detto o dato questa notizia all'onorevole Andreotti. Ritengo comunque di sì.
PRESIDENTE. Mi scuso con il collega Fragalà dell'intrommissione ma tornando al problema di Pozzan lo prendo atto di quello che lei, generale Maletti, ci ha detto oggi che, diciamo così, va al di là della tesi difensiva, per la verità non molto verosimile, che fu data a Catanzaro. La domanda che le pongo è questa: nel rapporto costi-benefici per la sicurezza dello Stato, aver fatto andare Pozzan in Spagna per avere maggiori informazioni su Borghese e nello stesso tempo aver rese, per così dire, più difficili le indagini sulla cellula padovana, non le sembra almeno oggi sia stata una decisione sbagliata, cioè che sarebbe stato più importante consentire che Pozzan potesse dire quello che sapeva sulla cellula ordinovista, anzichè mandarlo in questa missione in Spagna che poi si è rivelata fallimentare, visto che sfuggì al maresciallo che lo doveva accompagnare?
MALETTI. Secondo il capo centro Padova ed il capitano Labruna, Pozzan non aveva dei rapporti, delle notizie di particolare importanza, da fornire sui suoi rapporti con la cellula veneta ed in particolare con la preparazione della strage di piazza Fontana. L'averlo inviato in Spagna avrebbe potuto invece aprirci qualche nuovo canale di informazione sulla eversione di destra. A posteriori, come lei dice senatore, certamente è stato un errore, me ne pento amaramente.
FRAGALA. Lei ha saputo che il senatore Andreotti, quando fece questo salto della quaglia o scelta di campo diversa di 180 gradi da destra verso sinistra, diede delle indicazioni ai Servizi per ricreare nel paese una certa tensione sulla cosiddetta unità antifascista?
MALETTI. No, non mi risulta che questa indicazione sia stata data ma, ripeto, i contatti dell'autorità governativa avvenivano direttamente con il caposervizio e non con il capo del reparto D.
FRAGALA. Il 13 luglio del 1974 lei, signor generale, allerta i membri del controspionaggio chiedendo: "azioni di vigilanza nei confronti del Fronte nazionale e Ordine Nuovo, aderenti al Nar e a Nuova Repubblica, vista possibilità atti eversivi su scala nazionale nel periodo 10-15 agosto 1974". Lei scrive che quanto sopra non deve essere segnalato ad Arma militare e Pubblica Sicurezza. Innanzitutto, le chiedo che tipo di consistenza avessero questi risultati di attività di intelligence, e poi naturalmente le chiedo perché lei, nella sua qualità, riteneva di non allertare né l'Arma militare né la Pubblica Sicurezza, cioè né i carabinieri, né la polizia, che si chiamava allora Pubblica Sicurezza.
MALETTI. Le informazioni ricevute, che mi avevano messo in guardia circa la possibilità di tentativi di golpe, di sovversione violenta, nel periodo 10-15 o 18 agosto erano di fonte di infiltrati nell'estrema destra extraparlamentare. Queste notizie comunque dovevano essere prese con cautela perché, stranamente, nei due anni precedenti, proprio in occasione del ferragosto, c'erano state simili segnalazioni che poi si erano rivelate false, non avevano avuto seguito. Era un po' come la questione dell'allarme, della segnalazione della bomba sull'aereo, eccetera, che poi si rivela insussistente. Non aver allertato l'Arma dei carabinieri e la polizia significava che non era ancora il momento, cioè che la notizia non era ancora così matura da distogliere o far distogliere l'attenzione dell'Arma e della polizia da altri compiti istituzionali, e che ci si sarebbe riservati in seguito, caso mai, di informarle.
FRAGALA. Quindi, mi corregga se sbaglio, queste informazioni che venivano dagli stessi ambienti di infiltrati nell'estrema destra erano considerate dal servizio talmente inconsistenti che non valeva la pena non solo di farne verifica ma addirittura di allertare i Servizi di Sicurezza territoriali. Se ne è parlato anche prima, nel luglio del 1976 l'allora onorevole Andreotti accusò il generale Miceli di avergli fornito false informative su Giannettini e, come lei sa, il generale Miceli rispose di aver fatto da tramite tra palazzo Chigi e il Sid. Vuole chiarirci in dettaglio questo aspetto?
MALETTI. Prima di tutto rispondo alla sua valutazione sull'inconsistenza delle notizie avute da una fonte, o più fonti, di estrema destra. Queste notizie erano ancora incerte, non erano del tutto insussistenti, avevano un certo interesse e avrebbero dovuto essere confermate; cosa che poi avvenne. Ma non ci fu il golpe di ferragosto, come non c'era stato l'anno prima e due anni prima.
Per quanto riguarda invece la seconda parte della sua domanda, o meglio la sua domanda vera e propria, lei ha detto che il senatore Andreotti...
FRAGALA. Ho detto che il senatore Andreotti accusò nel luglio 1976 il generale Miceli di avergli fornito false informative su Giannettini e Miceli rispose di aver fatto da tramite tra palazzo Chigi e il Sid.
MALETTI. A me sembra strano che il generale Miceli abbia risposto di aver fatto da tramite tra palazzo Chigi e il Sid perché lui stesso "era" il Sid e quindi era l'uomo che prendeva le notizie, a meno che non intendesse dire che faceva tramite tra il reparto D e il Palazzo Chigi, ma questa mi sembra oltretutto un'illazione a mio sfavore, quindi non la considererei. Può darsi che il generale Miceli abbia fornito false informative, questo è possibile, ma non so sulla base di quali altre notizie se non quelle fornite da me, e le informative che io avevo fornito sul Giannettini non erano false.
FRAGALA. Signor generale, mi permetta di non essere d'accordo sulla valutazione che lei ha fatto della mia valutazione, perché non è credibile che un ufficiale della sua fama e della sua preparazione professionale, a capo di un servizio di quel tipo, aspettasse di veder verificata la fonte o la notizia nel momento in cui si realizzava il golpe di agosto; perché lei ha detto così.
MALETTI. No, no, no.
FRAGALA. Allora vorrei che lei correggesse questa valutazione, cioè io ho chiesto come mai - a meno che voi non aveste avuto conferma della infondatezza o della assoluta irrilevanza della notizia e della fonte - non avete allertato le autorità di sicurezza territoriali. Se lei mi risponde: perché poi non si è realizzato il golpe di agosto, questa non è una risposta. Io credo di aver capito bene o ho capito male?
MALETTI. Lei ha capito bene, mi sono forse espresso male io. Bisogna tener presenti le date: la data dell'arrivo di questa segnalazione è il 13 luglio, se non mi sbaglio; la data alla quale sarebbe dovuta partire l'azione era il 10 agosto. Nel frattempo contavo di poter raccogliere delle notizie che avrei confermato ovviamente prima dell'inizio della "marcia" o che non avrei trasmesso in quanto la cosa non avrebbe più interessato i carabinieri.
FRAGALA. Torniamo al problema di Marco Pozzan di cui lei adesso ci ha dato delle notizie confermative di una certa situazione. Lei ricorda che Marco Pozzan, accusato di strage a Catanzaro, venne rimpatriato dalla Spagna senza ricorrere, a differenza di tutti gli altri fuoriusciti, contro il provvedimento di estradizione richiesto dal Viminale. Marco Pozzan stranamente aderì all'estradizione e non si oppose, cosa che avevano fatto tutti gli altri fuoriusciti nessuno escluso.
Inoltre, la magistratura spagnola considerò quel reato di associazione sovversiva come un reato politico per cui, tornando in Italia, Pozzan non avrebbe potuto essere processato per piazza Fontana.
Ora lei ha disvelato alcuni aspetti del problema Pozzan. Le chiedo una risposta concreta nel senso di sapere se egli era un dipendente di Labruna infiltrato tra i cosiddetti camerati all'estero e quindi era stato mandato all'estero come dipendente del suddetto Labruna per infiltrarsi tra i fuoriusciti della sovversione di destra all'estero.
MALETTI. Pozzan era stato inviato all'estero allo scopo da lei citato poco fa ma non era un dipendente di Labruna. Pozzan avrebbe dovuto riferire tramite un sistema di comunicazione con il capitano Labruna del Centro di Padova man mano che avesse avuto notizie ma, ripeto, non era un dipendente di Labruna.
FRAGALA. Ancora sull'argomento di piazza Fontana vorrei sapere in quali rapporti era con l'allora giudice istruttore Gerardo D'Ambrosio e che tipo di collaborazione - se esisteva - gli prestava e comunque quali erano i vostri rapporti.
MALETTI. Incontrai D'Ambrosio il 24 agosto 1974 al palazzo di giustizia di Milano dove ero stato convocato da Roma, per deporre sulle vicende della strage di piazza Fontana.
Con il dottor D'Ambrosio c'era il dottor Alessandrini e l'interrogatorio durò all'incirca l'intero pomeriggio, fu molto cordiale e quella fu l'ultima volta in cui vidi D'Ambrosio. Mi sembra la prima e l'ultima. 0, meglio, c'è stato un altro interrogatorio notturno a Milano qualche mese dopo, credo ad ottobre dello stesso anno.
FRAGALA. Le chiedo: in una deposizione Mario Zagari disse di aver parlato del caso Giannettini a Rumor dopo averlo appreso da Gerardo D'Ambrosio. Il 12 luglio 1973 il generale Miceli rispose a D'Ambrosio opponendo il segreto politico-militare sull'appartenenza del Giannettini al Sid. L'8 giugno 1974 Andreotti in un'intervista a "II Mondo" disse che era stato un grave sbaglio non rivelare l'appartenenza del Giannettini al Sid aggiungendo che per decidere questo vi fu un'apposita riunione politica.
Il 14 giugno 1974 D'Ambrosio arrivò a Roma per ascoltare Andreotti il quale ammise che la riunione c'era stata. lnnanzitutto le vorrei chiedere se, come sostiene Zagari di avere appreso da Gerardo D'Ambrosio del caso Giannettini e di averne parlato a Rumor, il dottor D'Ambrosio apprese di Giannettini da lei.
MALETTI. Non so se il dottor D'Ambrosio abbia appreso del Giannettini da me, ma ritengo che D'Ambrosio ne fosse a conoscenza già da prima. Stiamo parlando dell'agosto del 1974, al momento del mio interrogatorio, mentre le vicende di cui lei parlava risalgono al giugno o al massimo al luglio di quell'anno. Immagino che D'Ambrosio abbia avuto notizia della qualità di fonte dei servizi del Giannettini dal ministro Andreotti.
FRAGALA. Non da lei ma dal ministro Andreotti, quindi. Lei sa dire alla Commissione di quest'apposita riunione politica di cui parla Andreotti nell'intervista a "II Mondo", circostanza confermata sul piano giudiziario da Andreotti al dottor D'Ambrosio il 14 giugno 1974? Vorrei sapere se, secondo lei, questa riunione ci fu e se si svolse prima o dopo il 7 luglio del 1974. Le date sono importanti.
MALETTI. Purtroppo anche se le date sono importanti non ricordo questo fatto. Non posso affermare che sia stato prima o dopo il 13 luglio di quell'anno. In ogni caso la riunione ci fu e me ne parlò lo stesso generale Miceli.
FRAGALA. Ho parlato erroneamente del 7 luglio del 1974. In realtà stavo riferendomi al 7 luglio del 1973. L'8 giugno del 1974 l'onorevole Andreotti in un'intervista a "II Mondo" disse che fu un grave sbaglio non rivelare l'appartenenza del Giannettini al SID aggiungendo che per decidere ciò vi fu un'apposita riunione politica. Il 14 giugno 1974 il dottor Gerardo D'Ambrosio giunse a Roma per sentire Andreotti che ammise che tale riunione ci fu. La mia domanda era se quella riunione fu prima o dopo il 7 luglio 1973.
MALETTI. Non so se quella riunione sia avvenuta prima o dopo il 7 luglio 1973, ma ritengo che se fu data una risposta a D'Ambrosio in questa data e questa risposta era negativa, vale a dire, se si disse a D'Ambrosio che il Giannettini non era un informatore del Servizio, o per lo meno che si opponeva il segreto politico-militare su questa vicenda, ritengo che tale riunione sia avvenuta in precedenza. Alla riunione ricordo che parteciparono il Capo servizio, il Ministro della difesa e il Presidente del Consiglio dell'epoca.
FRAGALA. Generale Maletti, lei ha svolto delle attività di intellígence sui finanziamenti dell'onorevole Mancini e di una parte del partito socialista a Lotta continua?
MALETTI. La risposta è negativa.
FRAGALA. Lei ha fatto degli accertamenti sui rapporti tra l'allora onorevole Mancini e l'allora giudice Squillante?
MALETTI. No, non ho raccolto informazioni del genere e vorrei sottolineare che mi sono il più possibile astenuto dallo svolgere attività informative su personalità politiche.
FRAGALA'. Squillante non era una personalità politica, era un giudice.
MALETTI. Mi riferivo anche ai giudici.
FRAGALA. Poco fa, rispondendo al senatore Pellegrino, sulla vicenda che vide cadere due dei personaggi dell'ambiente militare più vicini all'onorevole Moro, ha detto di aver nutrito dei dubbi sulla caduta concreta e non immaginifica del generale Mino. Siccome l'onorevole Marco Pannella il giorno dei funerali per le vittime di Monte Covello, vale a dire, del generale Mino e degli alti ufficiali dell'Arma dei carabinieri, fece una denuncia pubblica (Voce non distinguibile) può fornire alla Commissione dei giudizi, delle valutazioni o addirittura delle informazioni su un episodio che politicamente proprio il giorno dei funerali Pannella disvelò come un fatto sicuramente doloso?
MALETTI. Ricordo queste rivelazioni di Pannella in quanto io stesso ero presente ai funerali del generale Mino e che tra i presenti si parlò di attentato mafioso. E stata una delle tante illazioni che sono state avanzate, come del resto si disse che poteva trattarsi di un incidente. comunque, non ho mai avuto informazioni concrete al riguardo.
PRESIDENTE. Riagganciandomi a questa sua risposta le chiedo se durante il periodo in cui dirigeva il reparto D dalle informative del servizio emersero mai elementi che potevano in qualche modo ricollegare ai nuclei eversivi elementi della criminalità organizzata? E una cosa che successivamente emerge con chiarezza mentre in quegli anni sembra un filone quiescente.
MALETTI. Non raccogliemmo notizie, infatti, all'epoca, circa i contatti tra criminalità organizzata e gruppi eversivi.
FRAGALA. Mi riaggancio a questa domanda del presidente Pellegrino per dirle che in una fortunata perquisizione fatta dal giudice Priore presso l'abitazione privata del colonnello Cogliandro, che è anche stato un suo dipendente, per informative fornite quando già il suddetto colonnello era ufficialmente fuori dal servizio anche se continuava come collaboratore esterno a fornire notizie al capo del Servizio dell'epoca, in una di queste informative vi è l'indicazione di rapporti tra la mafia siciliana e terroristi libici che venivano usati dalla mafia per omicidi in cui c'era la necessità di non fare assolutamente individuare i responsabili a volto scoperto. Addirittura, in una di queste informative si dice che per l'omicidio del generale Dalla Chiesa può essere stato utilizzato questo metodo. Sto parlando di un fatto avvenuto cinque anni dopo ma che si riallaccia alla domanda precedente.
MALETTI. E una cosa di cui sento parlare adesso per la prima volta.
FRAGALA. Signor generale, il capitano Labruna ha più volte affermato che fu lei ad indicargli la linea da seguire nel corso del processo di Catanzaro per la strage di piazza Fontana. Lei ha già risposto in parte a questa domanda dicendo che il capitano Labruna ha assunto un atteggiamento vendicativo nei suoi confronti. Ora le chiedo: questa circostanza nel concordare una linea difensiva comune, perché lei l'ha considerato un fatto talmente lesivo della sua reputazione da interpretare il movente nell'affermare queste cose da parte di Labruna nella vendetta, oltre che evidentemente in un giudizio negativo della personalità del Labruna?
MALETTI. lo ritengo che il capitano Labruna mi addebitasse, mi facesse carico di non essermi preso tutta la responsabilità dell'intera vicenda Pozzan e Giannettini e che non credo avrei potuto assumermi perché una buona parte della responsabilità era sua, come suggerimento di inviare Pozzan in Spagna: non era stata una mia idea quella. Inoltre il capitano Labruna diceva di avere degli speciali contatti con Andreotti, che io non avevo, e quindi affermava di poter sconvolgere l'intera linea difensiva con un intervento che non so quale sarebbe stato favorito dall'onorevole Andreotti. A quel punto, a processo in corso, un cambiamento della linea difensiva sarebbe stato certamente disastroso per tutti e due. Non è che le cose siano andate molto meglio, intendiamoci, ma chiaramente il Labruna, che era anche in uno stato di notevole nervosismo e di "perdita della memoria", come avevo detto, perlomeno temporanea, aveva bisogno di essere messo sul binario.
FRAGALA. La ringrazio signor generale, ma in questo promesso intervento al Labruna da parte del senatore Andreotti faceva naturalmente la sua parte determinante la testimonianza del generale Malizia?
MALETTI. Questo non glielo so dire. Il generale Malizia l'ho frequentato pochissimo, l'ho visto ben poche volte e non ho idea di quali rapporti esistessero tra Andreotti e Malizia o tra Malizia ed altri imputati nella strage di Piazza Fontana, o perlomeno coinvolti.
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, quante domande ha ancora?
FRAGALA. Nove signor Presidente.
PRESIDENTE. Allora direi di proseguire fino alle ore 13,30 e poi di interrompere. Per lasciare spazio anche agli altri membri della Commissione le chiederei di essere il più possibile succinto.
FRAGALA. Va bene, signor Presidente. Signor generale, quando Pozzan fu ospitato in via Sicilia si incontrò con Guido Giannettini; ci sa dire perché?
MALETTI. Non sapevo che si fosse incontrato con Guido Giannettini.
FRAGALA. Quindi il capitano Labruna, suo dipendente, non le ha mai rivelato questa circostanza determinante?
MALETTI. No, il capitano Labruna non solo non mi ha rivelato questa circostanza, ma neanche il fatto di essere andato ad accogliere Pozzan alla stazione e di aver avuto come compagno in quell'incontro il Giannettini, anzi il Fachini.
PRESIDENTE. Signor generale, è documentalmente provato e agli atti della Commissione che almeno nell'immediato dopoguerra nella sede di via Sicilia lavorassero insieme agenti. del servizio italiano e agenti del servizio americano, cosi come abbiamo saputo che è documentalmente provato che agenti del servizio americano lavoravano nel commissariato di Castro Pretorio. Questo avveniva anche all'epoca della sua direzione del reparto D?
MALETTI. Non mi risulta.
FRAGALA. Quindi il capitano Labruna aveva una tale capacità operativa autonoma da poter addirittura ospitare nella sede del servizio in via Sicilia, quindi naturalmente in una condizione di visibilità e di pericolosità estrema per tutti sia un personaggio come Pozzan appena rientrato che un personaggio come Guido Giannettini. E possibile?
MALETTI. E possibile perché il capitano Labruna, come comandante del nucleo operativo diretto, aveva una notevole latitudine di iniziativa operativa. Per quanto riguarda la scelta del ricovero del Pozzan, non c'era un gran che da scegliere, si trattava di via Sicilia o di un altro appartamento vicino alla Fontana di Trevi di cui disponeva il servizio.
PRESIDENTE. Non vorrei ricordare male, ma la sede di via Sicilia era una sede coperta intestata ad un gladiatore, a tal Colantuoni. Questo le risultava?
MALETTI. Non ricordo a chi fosse intestata, ma sapevo che era una sede coperta, come era una sede coperta quell'appartamento al quale ho fatto cenno adesso, dove tra l'altro io stesso ho ricevuto vari visitatori importanti, tra cui il senatore Boldrini.
FRAGALA. Signor generale, in un suo appunto del 21 marzo 1974 si fa accenno a un certo Sorrentino. Può dirci la vera identità di costui?
MALETTI. Mi dispiace ma non mi ricordo neanche il nome di questo signore.
FRAGALA. Cosa sa sulla compilazione della famosa velina del 16 dicembre 1969 sulla strage di piazza Fontana?
PRESIDENTE. Per memoria della Commissione, la velina di cui abbiamo parlato a lungo in Commissione che vedeva una pista anarchica e faceva i nomi di Delle Chiaie, della Aginterpress, ci si è domandati a lungo se fosse un parziale depistaggio o la prova in realtà che la pista di destra fosse già nota all'epoca al servizio.
MALETTI. Mi dispiace, ma non ricordo questa velina del 1969.
FRAGALA. Signor generale, le dico anche un'altra cosa, vediamo se lei si ricorda, perché probabilmente l'intervento del Presidente, che ha riportato alla memoria della Commissione una serie di circostanze dei nostri lavori, magari ha obnubilato la sua su un altro aspetto. Noi adesso continuiamo ad acquisire, dopo il crollo del muro di Berlino, dopo la fine del Partito comunista in Italia che si è trasformato in Pds, dopo la polverizzazione di tutti gli esponenti dei gruppuscoli extraparlamentari di sinistra, dalle Br a Potere operaio, a Lotta continua, eccetera, che sono andati in tanti posti; cominciamo ad acquisire l'arresto di Sofri per Calabresi, eccetera; cominciamo ad acquisire delle notizie interne a quei fatti. Per esempio, non so se lei l'ha saputo dalla stampa italiana, qualche anno fa in una trasmissione radiofonica che si chiama Videomusic il capo storico delle Br, Renato Curcio, ha rivelato che le Br fecero un'indagine interna ai gruppuscoli extraparlamentari sia per la strage di piazza Fontana, sugli autori e le responsabilità, sia per il suicidio di Pinelli, arrivando alle conclusioni che nella strage di piazza Fontana la pista di sinistra non era peregrina, per usare un eufemismo, la pista degli anarchici non era peregrina e che Calabresi non c'entrava nulla nel volo del Pinelli dalla questura di Milano, bensì Pinelli, nei pochi minuti che lo lasciarono solo, era stato travolto dal rimorso e si sarebbe buttato giù da quella finestra. Adesso Sofri dal carcere lancia segnali su frodi processuali e depistaggi ai danni di Fioravanti e Mambro per la strage di Bologna, scrivendo articoli sul settimanale "Panorama" - non so se lei lo ha letto - e sul quotidiano "II Foglio". Quindi cominciano a venire a galla un certo mondo e certe informazioni che prima, per una certa fratellanza a sinistra, erano proibite e non sarebbero mai potute uscire. Ora, su questa velina di cui le parlo, questa del 16 dicembre 1969 sulla strage di Piazza Fontana, evidentemente avere la verità sulla sua compilazione da parte del servizio sarebbe un'acquisizione enorme per i lavori di questa commissione, perché naturalmente ci darebbe una chiave di lettura per tanti fatti che poi sono stati anche, per motivi di propaganda politica o di competizione ideologica, adulterati, obliterati, cancellati, rimossi, e via dicendo. Lei su questa velina non ha mai assunto nessuna informazione in diretta; lei non era a capo del servizio. Quando è diventato capo del servizio, nel 1971, rispetto a questa velina del 1969 lei l'ha letta? Questa è la mia domanda.
MALETTI. E passato un quarto di secolo, quasi, e di veline ne ho avute veramente tante, importanti come quelle di piazza Fontana, di cui non mi ricordo assolutamente il contenuto, e meno importanti. Quindi con la miglior buona volontà non le posso dare una risposta.
FRAGALA. La ringrazio. Lei in un suo appunto del 1973, proprio quando il giudice D'Ambrosio insisteva per conoscere la fonte di quell'appunto, lei scrisse: "Questione Santoni-Tanzilli si mette in modo pericoloso". cosa voleva significare?
MALETTI. Santoni era uno dei capicentro del gruppo centri di controspionaggio di Roma e l'altro, Tanzilli, chi era?
FRAGALA. Sì. Gerardo D'Ambrosio, allora giudice istruttore di quella inchiesta, insisteva per conoscere la fonte di quell'appunto e lei scrisse "Questione Santoni-Tanzilli si mette in modo pericoloso". cosa voleva significare?
MALETTI. Non so che cosa volesse significare perché un appunto, un'annotazione a fianco ad una segnalazione non me la ricordo neppure. Non so esattamente quale fosse il rapporto tra Santoni e Tanzilli. Queste cose, purtroppo, non rimangono attaccate alla memoria molto a lungo.
PRESIDENTE. Tornando al problema della velina, preso atto che lei non ne serba memoria dopo tanti anni, ma dell'Aginter Press può dirci niente? Dei rapporti tra la Aginter Press e Delle Chiaie, fra la Aginter Press e Merlini, almeno in termini di verosimiglianza, che cosa era agli atti del servizio, a conoscenza del servizio, allora, di questa cellula estera e che ruolo può aver avuto sulle vicende italiane?
MALETTI. Senatore, io parlo in termini di verità, non in termini di verosimiglianza e quando dico che non mi ricordo qualche cosa non me la ricordo, quindi anche sulla Aginter Press e sul ruolo di questa organizzazione nella eversione nazionale o meglio nella sovversione italiana, non posso aggiungere proprio niente a quello che immagino loro sappiano, più di me perché io non ho letto i documenti da 23-24 anni. La Aginter Press, poi, è stata oggetto di diversi rapporti dei centri di controspionaggio che dovrebbero essere agli atti. Più di questo io non posso fornire.
FRAGALA. Signor generale, lei ci ha già detto che si incontrava con l'onorevole Boldrini. Questo è un interrogatorio di Labruna del 5 agosto 1984 alla commissione P2, nel quale Labruna riferisce, così come lei ha ora detto, che lei si incontrava riservatamente in una sede coperta con l'onorevole Boldrini, esponente del Pci di allora e questi incontri sono stati almeno per tre-quattro volte. Vuole rivelare adesso alla Commissione quali sono stati gli argomenti trattati tanto riservatamente con un esponente politico come Boldrini?
MALETTI. Nel 1974 - o 1975, non mi ricordo esattamente - in seguito alle voci e alle informazioni ricevute della possibilità di un golpe di ferragosto, il Partito comunista doveva aver avuto qualche sentore di qualcosa che bolliva in pentola, per cui l'ammiraglio Casardi su richiesta, ritengo, del senatore Pecchioli mi incaricò di prendere contatti, o meglio di essere io l'uomo di contatto con un esponente del Partito comunista che lo ritenevo essere Pecchioli. Siccome avevo conosciuto il senatore Boldrini precedentemente, per un fatto di relazioni sociali, immagino che sia stata una scelta del Partito comunista di inviare il senatore Boldrini a parlare con un elemento del servizio, che ero io. L'incontro fu uno, non tre o quattro, si svolse a via degli Avignonesi a Roma e l'argomento fu questo: Boldrini mi chiese notizie sulla verità, la realtà, la probabilità di un colpo di Stato militare nel breve termine. Io diedi le più ampie assicurazioni a Boldrini che non ci risultava più nulla del genere, che il cosiddetto "golpe di ferragosto" non era mai stata una cosa seria o che era rientrato, ma non avevamo altre notizie, e questo fu il mio colloquio con Boldrini, con il quale bevemmo un paio di whisky, dopodichè ciascuno andò per la sua strada.
FRAGALA. Signor generale, rispetto a quanto lei adesso ci dice di un incontro tra conoscenti o tra amici che bevono un bicchiere di whisky, il capitano Labruna rispondendo alla Commissione P2 sostiene che lei diede incarico al Labruna di organizzare un servizio di sicurezza all'esterno dell'edificio nel quale si svolgevano i colloqui fra il generale Maletti e l'onorevole Boldrini, tutto ciò per tre o quattro volte e poi, dice naturalmente il capitano Labruna, ovviamente dato il livello degli incontri ignoravo ed ignoro il contenuto dei colloqui. Ciò significa che addirittura questi incontri furono sottolineati da un servizio di sicurezza, questo lei lo conferma, all'esterno dell'edificio?
MALETTI. Credo che ci sia una notevole dose di esagerazione in questo rapporto del capitano Labruna. Il servizio di sicurezza consisteva nel fatto che un sottufficiale stava fuori della porta dell'appartamento e un altro sottufficiale stava all'ingresso della casa. Gli incontri in realtà sono un incontro e questo particolare incontro durò circa un'ora. Un'ora, forse, non di più. Sono poi convinto che a questo incontro sia stato presente, nella stessa stanza nella quale ebbe luogo, anche lo stesso Labruna.
FRAGALA. La ringrazio. In uno dei suoi appunti sequestrati - è questo che le mostro in fotocopia - si legge: "Avanguardia nazionale organismo eversivo così come Lotta continua da Lotta continua per arrivare ad Avanguardia nazionale". Che cosa significa?
MALETTI. Qui c'è scritto "partire da Lotta continua per arrivare ad Avanguardia nazionale". Non ho idea di che cosa si parlasse il 2 febbraio del 1973 e che cosa significasse questo passaggio da Lotta continua ad Avanguardia nazionale.
PRESIDENTE. Può esserci il riflesso di una cultura dell'epoca: per lungo tempo le forze di sinistra non riuscirono a misurarsi in termini di autocoscienza con la sinistra estrema. Si diceva "le sedicenti brigate rosse", si aveva l'idea che si trattasse di gruppi in realtà di destra e che agissero in funzione provocatoria. Può essere questa la traccia?
MALETTI. Potrebbe essere questa l'interpretazione.
FRAGALA. Signor generale, il capitano Labruna ha dichiarato di averle trasmesso un rapporto ricevuto dal giornalista Guido Paglia. Paglia ha smentito, documentando la falsa attribuzione di quel documento; cosa può dirci al riguardo? Le risulta che le notizie attribuite a Paglia erano state riferite in un appunto precedentemente trasmesso dal servizio dall'agente Giannettini (questa è la dichiarazione giudiziale di Guido Paglia)?
MALETTI. Io qui a pagina 170 del fascicolo avevo scritto "non ricordo che Labruna mi abbia consegnato una relazione di Guido Paglia sul ruolo svolto da Avanguardia nazionale nel golpe Borghese". L'avevo già detto anche prima, credo, se l'avessi avuto, avrei fatto utilizzare questo documento per il famoso malloppone.
FRAGALA. Ma a lei risulta che le notizie attribuite a Paglia fossero già state riferite in un appunto precedentemente trasmesso al servizio dall'agente Giannettini? Questo le risulta?
MALETTI. Oggi no; allora forse sì.
FRAGALA. La ringrazio. L'8 luglio 1974, a seguito di un rapporto del tenente colonnello Condò, si ebbe notizia di un complotto ordito da Sogno, Pacciardi, Spiazzi, Fumagalli e ambienti massonici; nessun elemento del Fronte nazionale a eccezione di Orlandini, che però da tempo era stato allontanato da quel movimento, apparve coinvolto in quella cospirazione. Le indagini portarono alla individuazione della Rosa dei venti e alle presunte responsabilità dei soprannominati più il generale Ricci. come si giunse a unificare queste indagini in un solo rapporto che comprendeva anche il cosiddetto golpe Borghese? Perché il 16 settembre 1974 fu trasmesso alla magistratura un unico dossier che diede poi origine a un solo giudizio, quello conosciuto come processo Borghese? Quale concreta relazione avevano i due ultimi episodi con quello dell'8 dicembre 1970?
MALETTI. Questa è una domanda piuttosto lunga. Non conosco il tenente colonnello Condò, che non era alle mie dipendenze. Il rapporto che riuniva queste informazioni venne compilato sulla base non tanto di rapporti singoli precedentemente ricevuti; in poche parole, non era un mosaico di vari rapporti ricevuti da diverse fonti. Era il risultato di accertamenti, di attività informativa svolta come detto precedentemente dal tenente colonnello Romagnoli e dal capitano Labruna, quindi venne tutto riunito in un solo documento di una ventina di pagine, se non mi sbaglio, che poi la magistratura avrebbe esaminato nei suoi vari filoni.
FRAGALA. Quindi lei non si è posto il problema del come mai due fatti assolutamente diversi, distanti, senza nessuna connessione né probatoria né soggettiva, direbbero gli operatori di diritto - erano persone diverse e non c'era connessione di prova fra i due fatti - furono riuniti in un solo rapporto e quindi determinarono un solo processo? Lei non si è mai posto questo problema?
PRESIDENTE. Ma un servizio non fa polizia giudiziaria, quindi loro fanno l'unico rapporto da cui sarebbero potute nascere poi diverse indagini giudiziarie.
MALETTI. I fatti non c'entravano niente l'uno con l'altro, sì, però erano sempre fatti di eversione di destra che erano presi globalmente e che la magistratura avrebbe poi indagato.
FRAGALA. Prendo atto della risposta e la ringrazio. L'ultima domanda: tra i suoi appunti - le do la fotocopia dell'appunto - ne risulta uno datato settembre 1974: in esso si legge di un nucleo eversivo riunitosi a Roma e della fallita cattura di Delle Chiaie. Ricorda se in quello stesso mese Nicoli, collaboratore del servizio, fosse stato da voi incaricato di promuovere una riunione di esponenti del fronte nazionale per facilitare la loro cattura? E ricorda quale fosse la missione in Toscana affidata dal servizio a Degli Innocenti? Sono due domande.
MALETTI. Ricordo benissimo la parte romana dell'argomento, che cioè Delle Chiale, segnalato come in arrivo nel Lazio settentrionale, nella zona di Viterbo, avrebbe potuto essere catturato con un'azione di polizia giudiziaria che stranamente fallì. Ricordo anche che l'informatore Tino Nicoli da La Spezia venne chiamato a Roma dal servizio per poter partecipare a quella riunione e in quella particolare riunione un nostro informatore, oltre a Nicoli, avrebbe dovuto avere una funzione essenziale, cioè quella di registrare tutto quello che si andava dicendo in questa riunione-colazione. come avevo detto prima, all'inizio di questa riunione, il sistema di intercettazione non funzionò quindi non ottenemmo alcun risultato; questo avveniva ai primi di settembre del 1974, quindi le due cose furono purtroppo fallimentari. Delle Chiaie fuggì, probabilmente informato da qualcuno che non sono riuscito ad individuare e non posso neanche riuscire ad ipotizzare.
FRAGALA. E quale fosse la missione in Toscana affidata dal servizio a Degli Innocenti?
MALETTI. No, questo non me lo ricordo, ma era quasi certamente una missione di contatto con elementi eversivi anche in quella zona.
PRESIDENTE. Signor generale, lo capisco il suo riserbo, la Commissione però non tende tanto ad individuare responsabilità personali, quanto un complesso di responsabilità anche istituzionali. Mi sembra che dalle cose che lei dice traspaia il sospetto che queste frange eversive continuassero a godere di protezione di tipo istituzionale, per cui qualche fallimento potrebbe essere stato voluto; questo emergeva dal complesso della sua dichiarazione.
MALETTI. Esattamente, signor Presidente. Il fallito funzionamento delle intercettazioni, secondo me, è da addebitare ad una voluta manomissione del sistema di intercettazione perché quando lo si voleva far funzionare funzionava. La cancellazione di una parte del nastro o meglio la mancata audizione della parte del nastro che l'onorevole Andreotti doveva ascoltare, anche quella mi è sembrata molto sospetta, perché non è possibile che proprio nel momento più bello, diciamo, quando l'attenzione era desta incominciassero quei vuoti che si sono poi prolungati fino all'ultimo.
Per quanto riguarda Delle Chiaie ho l'impressione che ci sia stato qualcosa da parte dell'Arma territoriale. Non sono del tutto sicuro che elementi dei carabinieri non abbiano informato qualcuno che a sua volta abbia informato Delle Chiaie.
PRESIDENTE. Va bene, possiamo interrompere e fare una breve colazione; riprenderemo presto perché il generale vuole essere libero entro stasera, quindi dopo la colazione riprendiamo, verso le ore 15,30 o anche le 15,00 se siete d'accordo. Siamo d'accordo per le ore 15,00? Per lei va bene? Il generale ha espresso il desiderio di finire oggi pomeriggio quindi andiamo incontro ad un suo desiderio.
(L'audizione è sospesa dalle ore 14,00 alle ore 15,15)
Fine prima parte