CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA
SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'
ILLECITE AD ESSO CONNESSE
40.
SEDUTA DI MARTEDI' 12 MAGGIO 1998
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA
INDICE
Sulla pubblicità dei lavori. *
Audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia, dottor Felice Casson. *
Comunicazioni del Presidente. *
La seduta comincia alle 14,50.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia, dottor Felice Casson, che, per incarico del magistrato delle acque di Venezia, si è interessato della vicenda del ritrovamento di rifiuti pericolosi a Campalto di Venezia derivanti da un'attività pluriennale svolta in particolare negli anni settanta e nella prima metà degli anni ottanta. Le società coinvolte sono la Montecatini Edison, la Fertimon e l'Ausidet e la Montefluos; i materiali sono le materie prime usate per la produzione dell'acido fosforico (le fosforiti naturali) e quelle utilizzate per la produzione dell'acido fluoridrico (le cosiddette fluoriti). La peculiarità di questi materiali è il fatto di contenere diversi tipi di isotopi radioattivi.
Schematicamente questo è il quadro dei ritrovamenti effettuati, che ovviamente richiedono l'attenzione di questa Commissione d'inchiesta perché si tratta di materiali di risulta di produzioni, quindi di veri e propri rifiuti, contenenti per di più materiali radioattivi. Personalmente ho anche dei dubbi sulla valutazione dell'AMPA circa le concentrazioni di radioattività all'interno di questi materiali, ma questa è una specificazione ulteriore. La vicenda ha determinato particolare allarme presso la popolazione, che ha lamentato una aggressione all'ambiente di cui non si conoscono finora tutte le conseguenze.
Preghiamo il dottor Casson di mettere a disposizione della Commissione tutte le informazioni acquisite nel corso della sua indagine, segnalando l' eventuale necessità che alcune informazioni debbano rimanere riservate, perché in tal caso procederemo in seduta segreta. Le chiederei però di mantenere il più possibile il regime di pubblicità poiché delle nostre audizioni viene redatto il resoconto stenografico e più informazioni sono accessibili pubblicamente meglio è.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Chiedo scusa per il ritardo, dovuto ad impegni connessi al mio ufficio.
Gli accertamenti che ho svolto a Venezia come pubblico ministero per questo settore specifico sono nati in modo quasi casuale perché il procedimento, iniziato verso la fine del 1994, concerneva segnalazioni di decine di decessi e di numerose patologie connesse alla lavorazione e trattazione del cloruro di vinile monomero, con il quale si produce il PVC, nella zona di Porto Marghera soprattutto negli anni sessanta, settanta e ottanta. La prima parte dell'indagine ha riguardato quindi questi decessi e queste patologie, nel corso di essa sono stati acquisiti documenti presso le aziende implicate adesso anche nel procedimento in corso davanti al tribunale di Venezia (Montedison, Montefibre, Enichem, Enimont e le varie società del gruppo Enichem facenti capo a ENI). Acquisendo questa documentazione ascoltando persone informate sui fatti e gli indagati, è emerso che praticamente da sempre, cioè fin da quando è iniziata questa attività produttiva nella zona dello stabilimento petrolchimico di Porto Marghera, si era posto il problema dei rifiuti perché non si sapeva dove farli arrivare e quindi venivano interrati dove capitava sia all'interno dello stabilimento sia nelle vicinanze.
Fino ad epoca recente non c'è stato alcun controllo e nel circondario della laguna di Venezia, nella conterminazione lagunare, nella fase delle indagini preliminari che si è conclusa nel dicembre 1996, sono stati individuati diciotto siti con presenza di rifiuti tossico-nocivi.
PRESIDENTE. A parte la gravità della situazione che lei sta denunciando, vorrei sapere se questi ritrovamenti attengano a comportamenti messi in essere prima o dopo la prima norma di riferimento generale in materia di rifiuti, cioè il DPR n. 915 del 1982. Purtroppo in questo paese per molto tempo c'è stato uno smaltimento selvaggio - che vorrei quasi definire criminale - in assenza di norme adeguate che potessero tutelare ambiente e salute; nel 1982 è stata introdotta una normativa che fissa un contesto generale nell'ambito del quale sarebbero dovuti avvenire questi smaltimenti.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Gran parte di questi scarichi selvaggi sono antecedenti a questa normativa, perché successivamente ad essa vi è stato quanto meno un tentativo di mettersi a posto, anche se più formale che sostanziale. Si sono infatti cercate vie alternative per far arrivare i rifiuti tossico-nocivi che non si potevano più scaricare nella zona di Porto Marghera o comunque nel circondario di Venezia magari di nascosto altrove, anche all'estero, per non avere problemi. Questo non tanto in ossequio alla legge quanto per evitare problemi con la magistratura penale.
In particolare mi ricordo che la conoscenza della presenza di siti inquinati in maniera molto grave era venuta alla luce nel corso delle trattative per la costituzione di Enimont, quindi a cavallo tra il 1987 e il 1988; risultava documentalmente anche ai responsabili di Enichem che facevano capo a ENI quali erano i siti gravemente inquinati. Segnalavano tra loro, all'interno delle due società, la possibilità di responsabilità di natura oltre che civile, espressamente penale; parlavano chiaramente di rifiuti pericolosissimi da far arrivare nell'ex DDR, in Nigeria o in altre discariche estere, perché non era più possibile sistemare quel tipo di rifiuti in Italia. Peraltro, queste situazioni, per quanto riguarda l'aspetto dello smaltimento dei rifiuti, erano state tenute ben coperte all'interno dei rapporti tra società Enichem e Montedison, ritenendo che si trattasse di un problema che riguardava esclusivamente loro, quindi da tenere segreto il più possibile. Queste vicende sono emerse soltanto perché, ad un certo punto, è stata fatta una serie di perquisizioni, di sequestri ed anche di acquisizioni, nel cui ambito documentalmente sono risultati questi dati. I siti sono stati individuati sia attraverso tali perquisizioni sia con gli accessi che sono stati fatti presso le sedi delle società, in particolare presso la direzione ambiente delle varie società, dove risultava che fin dagli anni settanta e nel corso degli anni avevano comunque, come società, compiuto dei controlli all'interno delle aree di loro proprietà ed anche nel sottosuolo fino alle falde acquifere, allo scopo di verificare fino a che livello ed in che maniera determinate falde o certi terreni fossero inquinati.
I dati che abbiamo, sulla base dei quali sono state formulate le accuse che hanno portato al procedimento attualmente pendente davanti al tribunale di Venezia, ci provengono quindi dalle società stesse per la gran parte e questo da un certo punto di vista costituisce la non contestabilità di questi dati così come vengono adesso forniti dall'accusa: questo peraltro è il segnale di una totale e completa omissione di controllo da parte delle pubbliche autorità praticamente da sempre, quanto meno nella zona che conosco io, quella veneziana.
Quando con la richiesta di rinvio a giudizio del dicembre 1996 si é contestata una serie di comportamenti delittuosi o comunque costituenti reato in relazione alla questione ambientale, allo scopo di segnalare la gravità della situazione, la richiesta stessa, in cui venivano indicati i 18 siti della conterminazione lagunare gravemente inquinati, veniva inviata agli enti territoriali (comune, provincia e regione), al magistrato alle acque e poi anche al Ministero dell'ambiente. Soltanto da quel momento in poi comune e provincia in primo luogo ma anche magistrato alle acque hanno cominciato a muoversi, anche perché in particolare per il canale Lusore Brentella, uno dei luoghi tuttora più gravemente inquinati, dove ci sono ancora degli scarichi, pur conoscendo anche documentalmente la situazione di degrado fin dalla fine degli anni ottanta, né magistrato alle acque, né comune, né provincia, né regione hanno fatto assolutamente nulla, tant'è vero che uno stralcio di quest'indagine riguardava, appunto, il presidente del magistrato alle acque, un funzionario regionale, un responsabile della provincia ed uno del comune di Venezia perché su questa specifica vicenda, nonostante informazioni documentali, hanno omesso qualsiasi tipo di intervento; e c'è, ripeto, una richiesta di rinvio a giudizio che li riguarda per questo specifico canale.
PRESIDENTE. Ci può ricordare quali sono gli articoli del codice ai quali la magistratura si è potuta richiamare in casi di reati così gravi come l'attentato alla sanità?
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Vi sono innanzitutto le norme generali del codice penale che riguardano, per la parte in cui vi siano state delle morti, l'omicidio colposo e le lesioni colpose, e per altra parte il fronte delle adulterazioni di acque, di avvelenamento di sostanze destinate all'alimentazione; però, si tratta di norme penali che creano qualche problema sia nella fase dell'interpretazione sia in quella dell'applicazione.
Nell'ambito di questo procedimento siamo arrivati a trovare sostanze cancerogene in qualche falda acquifera, cosa che di certo sotto il profilo giuridico si configura, anche sulla base di pacifiche sentenze della Cassazione, come una violazione del codice penale. D'altra parte, bisogna tener presente che, mentre l'ipotesi d'accusa originaria di questo procedimento sia per la parte riguardante il CVM sia per quella concernente l'inquinamento consisteva in ipotesi di reato di natura dolosa, a titolo di dolo eventuale, nella prosecuzione dell'indagine preliminare ho ritenuto più opportuno impostare queste accuse come accuse di natura colposa, quindi sulla base del codice penale ma anche secondo tutte le contravvenzioni che fin dagli anni settanta per quanto riguarda Venezia sono state di natura colposa; ho ritenuto che per l'accusa questo fosse un discorso più sostenibile. Forse dovrei entrare in una disquisizione di carattere giuridico e tecnico che non ...
PRESIDENTE. Questa disquisizione ci ha riguardato grandemente.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Credo che l'esempio più semplice e che, mutatis mutandis riguarda anche il tema dell'inquinamento, sia quello dei decessi. In pratica, si è riusciti ad accertare che al più tardi nel 1972 Montedison sapeva che una sostanza come il CVM era cancerogena, e quindi non poteva più nascondersi, doveva o chiudere lo stabilimento (come chiedevano nelle piattaforme contrattuali i sindacati, compresa la FULC) o comunque apportare delle modifiche rilevantissime agli impianti ed a quel punto, stando al suo interesse economico, probabilmente a Montedison sarebbe convenuto chiudere.
Nel momento in cui, invece, non succede praticamente niente, le modifiche sono solo di facciata, credo che si arrivi al filo sottile che separa la fattispecie giuridica del dolo eventuale da quella della colpa con previsione dell'evento. Le due fattispecie sono vicinissime però contestando un reato di natura dolosa, questo innanzitutto è un reato di competenza della corte d'assise, ma vi sono problemi di prova per tutti i responsabili dell'azienda a livello locale, medio (come direzioni generali) e di vertice; problemi di prova rilevantissimi e piuttosto difficili da affrontare. Viceversa, contestando i reati a titolo di colpa, pur con previsione dell'evento, vi è un discorso di responsabilità, di chiamata in causa e di corresponsabilità, in un'ottica sia attuale sia futura, dei dirigenti. Infatti, non è più solo un problema di rispetto delle norme previste da una legge speciale o dal codice penale, ma di rispetto di quelle norme comportamentali che richiedono le previsioni di natura colposa. Ad esempio, nel caso di omicidio colposo si dice che la colpa consiste in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di norme; in quel caso, anche quando si accerti il rispetto delle norme di legge all'epoca vigenti; comunque nel caso del CVM sicuramente non erano state seguite le norme di diligenza, prudenza e perizia che avrebbero dovuto essere imposte dal comportamento di un bravo dirigente d'azienda. Per di più, in questo caso sia per le morti da CVM sia per l'inquinamento, vi era certamente la facile previsione dell'evento perché è ovvio che, se continuo la lavorazione in quella maniera, per certi versi accetto la possibilità che si arrivi anche alla morte o ad un inquinamento grave.
Continuo a ripetere che siamo sul filo sottile che separa le due fattispecie, quella dolosa da quella colposa. Lo stesso discorso vale per l'inquinamento, se si continua a scaricare in determinate zone dello stabilimento ed anche fuori di esso determinate sostanze. Si poteva rimanere nei limiti stabiliti all'epoca (negli anni settanta esisteva una normativa piuttosto generica, come d'altronde anche nei successivi anni ottanta) ma doveva valere comunque il discorso della diligenza, della prudenza e della perizia che impongono che in determinate situazioni certe sostanze non vengano versate per evitare il passaggio dal terreno alla prima o alla seconda falla; in certi casi addirittura si è superato il livello di quella parte di terreno che garantisce l'impermeabilità ed al di sotto della quale c'è la falda acquifera che viene utilizzata per uso umano. E' difficile per me, magistrato penale, dimostrare - perché questo è il mio compito - il dolo persona per persona, caso per caso, punto per punto, però a livello di colpa c'è un profilo di responsabilità colposa, prevista dal codice e dalle norme, che mi consente d'impostare un processo penale.
Il problema è che le pubbliche amministrazioni, come ho detto, si sono mosse con molto ritardo, per la precisione solo quando sono state impaurite - purtroppo, anche in questo caso bisogna dirlo - dall'evoluzione degli eventi: sia indagini penali nuove sia polemiche sulla stampa e tra le forze politiche hanno indotto le amministrazioni a muoversi ed a decidere di fare qualcosa. Devo dire che per questi 18 siti - ma ve ne sono certamente altri - sta emergendo una situazione davvero grave, che per certi versi non si immaginava neppure di questa gravità, perché ribadisco che in alcuni punti siamo arrivati fino alla soglia della falda acquifera, in altri si continua a versare sostanze cancerogene e addirittura in alcune zone vi è una situazione di generazione di radioattività.
Su quest'ultima parte, dopo aver chiesto il rinvio a giudizio nel dicembre 1996, vi è stata l'udienza preliminare; questa fase è durata circa un anno e nel novembre 1997 il GIP di Venezia ha disposto il rinvio a giudizio davanti al tribunale per tutto il complesso di queste vicende. Nel frattempo, si erano mossi il comune ed il magistrato alle acque anche attraverso il consorzio Venezia nuova e sono emersi questi problemi di radioattività. Contemporaneamente, pur avendo già inserito questi siti inquinati nel capo di imputazione per il quale pende il processo, sono stati aperti altri fascicoli autonomi per verificare se attorno a questi siti ve ne siano degli altri e la reale situazione di questi siti, in particolare quelli di Campalto e Pigli; si tratta di indagini tuttora pendenti e riguardo alle quali non ho ancora avuto una risposta definitiva da parte dei consulenti tecnici. Peraltro, presidente, conosco gli studi da lei citati poco fa, però credo che non siano da ritenere ancora definitivi perché da varie parti vi è attualmente un correre dietro queste situazioni per verificare se siano veramente gravi o se invece non siano ancora preoccupanti.
PRESIDENTE. Lei ha parlato di almeno 18 siti nei quali sono stati smaltiti impropriamente rifiuti pericolosi e ha detto che in alcuni casi si teme, in altri si è addirittura certi, che si sia arrivati alla falda acquifera di approvvigionamento idropotabile. Ho prima richiamato l'esistenza del DPR n. 915 del 1982 perché sicuramente dall'entrata in vigore di quelle norme la disciplina dei rifiuti pericolosi configura l'obbligo per chi li smaltisce di utilizzare discariche apposite.
A proposito del dolo o della colpa, mi rendo conto della difficoltà di individuare, come viene richiesto alla magistratura, le colpe individuali, ma esisteranno pure degli atteggiamenti, che non esito a definire dolosi, nel momento in cui le norme prevedono che certi rifiuti, che allora si chiamavano tossico-nocivi, siano smaltiti in un determinato modo e secondo certi requisiti di sicurezza in impianti appositi!
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Quanto lei dice è sicuramente fondamentale ed importante, però credo che il problema sia un altro. Dal legislatore è stata operata la scelta, della quale noi magistrati per primi dobbiamo prendere atto, di punire, quando vengono punite, le violazioni di determinate norme con pene estremamente leggere. Questo significa che tutti i reati, che per la gran parte sono contravvenzioni, arrivano alla prescrizione nell'arco di cinque anni.
PRESIDENTE. Ciò vuol dire che la gran parte di questi reati sono ormai prescritti?
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Nel momento in cui vengono contestate situazioni sulla base del codice penale, si arriva ad una perpetuazione degli effetti che dovrà essere valutata dal tribunale ed ovviamente anche dagli altri gradi, nel senso di dire che il reato è stato consumato quando è stato effettuato lo scarico, ha continuato a produrre effetti fino ad adesso e nessuno è intervenuto, per cui è un reato di natura permanente. Tra l'altro la Cassazione su questo non ci aiuta. E' questo, credo, uno dei casi più lampanti in cui le sezioni della Cassazione sono l'una contro l'altra, nel senso che la giurisprudenza di una sezione, ad esempio, sosteneva che queste fattispecie devono considerarsi reati permanenti, per cui la prescrizione non inizia a decorrere se non dal momento in cui si interviene...
PRESIDENTE. Mi scusi l'interruzione, dottor Casson, io sono profano della materia, ma questa mi sembra l'unica interpretazione possibile...
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Sono d'accordo, ma vi è anche la sottigliezza giuridica della giurisprudenza di un'altra sezione, secondo la quale si tratta di reati istantanei con effetti permanenti; quindi in questo senso la sua obiezione è superata . Si è andati avanti così per anni, tra una sezione e l'altra. La giurisprudenza di merito diceva tutta, o quasi, che erano reati permanenti; questi continuano fino a che non si interviene e quindi solo in quel momento comincia a decorrere la prescrizione.
PRESIDENTE. Sarò veramente rozzo nella materia, ma questa sottile distinzione di reati... anche uccidere una persona è in fin dei conti un reato istantaneo, che ha però effetti permanenti.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Sono perfettamente d'accordo. Il problema è che non lo sono in Cassazione. Le sezioni unite hanno cercato di intervenire per dirimere la questione e sono riuscite a scontrarsi al loro interno e a fare una sentenza che non risolve né in un senso né nell'altro la questione, per cui si continua a dire le stesse cose e nella stessa sentenza, neanche in sentenze diverse. Si continua a rimanere in ballo fra reato istantaneo con effetti permanenti e reato permanente, con tutto quello che ciò significa in materia di prescrizione. Noi cominciamo a fare le indagini, poi il tribunale giudicherà e così la Corte d'appello, ma si rimarrà sempre in bilico. A indagini preliminari concluse, ad esempio, il tribunale lavorerà un paio d'anni, della Corte d'appello non ne parliamo, per cui andremo avanti per dieci anni sempre in bilico sulla questione della prescrizione. E' un problema grave; per questo, la dove è stato possibile e dove gli accertamenti concreti me lo hanno consentito, ho cercato di inserire la violazione di norme del codice penale, laddove vi erano condizioni anche di contestazione del reato di natura diversa; ad esempio per certe situazioni può cominciare a parlarsi di disastro colposo. E' un discorso di tipo diverso, riferito all'articolo 449, che poi per alcune situazioni fa riferimento anche a quelli successivi.
PRESIDENTE. E' stato già utilizzato, per configurare una infrazione di carattere penale, da parte di altri magistrati auditi in questa sede .
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Sì, vi è questa possibilità di allungare i tempi, ma occorre considerare anche che la maggior parte degli inquinamenti si è verificata - così é stato a Porto Marghera ma credo che ciò sia avvenuto un po' dappertutto - soprattutto fino agli anni ottanta; ora siamo nel 1998 e la prescrizione è di dieci anni, elevabili a quindici anni; con le attenuanti generiche, comunque, i reati sono ormai prescritti.
Oltre a problemi di questo tipo, si porrebbe anche quello di una modifica della normativa, da studiare, per affermare che questi reati sono permanenti, cioè continuano fino a quando non si interviene per porvi rimedio.
PRESIDENTE. La Commissione ha costituito un gruppo di lavoro ad hoc sull'introduzione del delitto ambientale nel codice penale; i lavori sono terminati con l'approvazione di una relazione tecnica e di un articolato, che propone appunto l'introduzione nel codice penale di un nuovo titolo relativo ai delitti contro l'ambiente. La nostra, però, è una Commissione d'inchiesta e non una Commissione permanente con poteri deliberanti. E' quindi demandato ai commissari presentare, se credono, proposte di legge alla Camera o al Senato che rispondano a tale impostazione. Lei, però, dottor Casson, mi sta facendo sorgere un dubbio mortale perché, come Commissione, non siamo entrati nella sottilissima distinzione tra reato istantaneo e permanente.
In questo senso non so se le disposizioni da noi individuate come indirizzo al Parlamento nel documento di cui dicevo, per il quale è stato relatore il collega Lubrano, siano adatte a rispondere alla questione della distinzione tra reato istantaneo e permanente, questione che si potrebbe riproporre in molte altre situazioni. In questi casi infatti la disciplina della prescrizione é diversa.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Credo sia giusto che venga posto questo problema. Nel processo penale la responsabilità è personale. Quella che va dimostrata è la responsabilità della persona. Se, ad esempio, un direttore dello stabilimento di Porto Marghera ha finito di operare nel 1990, è difficile contestargli un reato nel 2000, se non vi è una norma specifica che lo consente. Se il suo lavoro è terminato dieci anni fa, come è possibile contestargli ora qualcosa accertato successivamente, al di là dei limiti della prescrizione? Il problema che si pone è questo: il reato si consuma nel momento in cui si finisce di operare, oppure, proprio perché gli effetti continuano, la contestazione può avvenire anche successivamente, perché ad esempio, sia venuto fuori otto o dieci anni dopo?
La normativa è per certi versi farraginosa ed estremamente diversificata. Vi sono fonti del diritto un po' dappertutto: leggi speciali, codice penale, eccetera. E' un grosso problema, soprattutto in una materia come questa. Me ne sto rendendo conto personalmente. Sto facendo all'università di Venezia un corso di diritto dell'ambiente e gli studenti e i giovani che vengono, anche da fuori, per sapere qualcosa di più, trovano estrema difficoltà a comprendere quali sono le fonti del diritto a questo riguardo. Me ne rendo conto io stesso, dicevo, che pure ci sto lavorando da alcuni anni, ma ancora di più se ne accorgono questi studenti, questi giovani interessati all'argomento. Le fonti sono diversificate; l'ideale sarebbe fare un testo unico della materia, come per altri versi per quanto riguarda le armi. E' fondamentale, infatti, dare chiarezza. Ad esempio, nella zona di Venezia, per altri versi più protetta di altre del nostro paese fin dagli anni settanta e sessanta, con le varie leggi speciali, si è registrata una certa debolezza nella tutela dell'ambiente. Vi erano norme speciali che la Cassazione neppure conosceva; non si rendeva neppure conto che per Venezia esistono leggi speciali e quindi anche sentenze in materia di reati permanenti e istantanei con effetti permanenti, sballando quindi anche i dati di base.
GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Il dottor Casson ha posto il problema della prescrizione per le contravvenzioni; nel nostro disegno di legge, invece, prevediamo solo delitti e quindi i termini di prescrizione sono ben diversi e dipendono dalla pena che abbiamo ipotizzato.
PRESIDENTE. Purtroppo la proposta dovrà ancora seguire tutto un lungo iter parlamentare prima di divenire legge.
GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Speriamo comunque che lo diventi.
Le ipotesi del dottor Casson, dicevo, mi lasciano perplesso perché per le contravvenzioni, con le interruzioni, il termine massimo é di quattro anni e mezzo e questi dovrebbero bastare per celebrare il processo. Ci scontriamo qui con la tradizionale lentezza della giustizia italiana; non penso infatti che quattro anni e mezzo siano pochi per accertare un reato di questo tipo. Si dovrebbe arrivare subito, o per lo meno in tempi abbastanza rapidi, ad individuare il colpevole e a condannarlo, soprattutto quando si tratta - questo termine mi piace di più - di rifiuti tossici e nocivi.
Per alcuni delitti, che hanno una pena bassa, il massimo per la prescrizione è di sette anni e mezzo: cinque anni più l'interruzione; in altri casi il termine è molto più lungo. Anche in questo caso però sette anni e mezzo, per un delitto, dovrebbero essere sufficienti, per lo meno per arrivare alla sentenza di primo grado. Se non riusciamo ad arrivarci, secondo me, anche la tutela dell'ambiente ne risente. Se per la tutela dell'ambiente dobbiamo aspettare sette anni per avere la sentenza di primo grado, é chiaro che la repressione non può essere efficace.
Per quanto riguarda il testo unico, mi sono reso conto che questo non basta. Nella proposta avanzata dalla Commissione si formula una definizione unitaria dell'ambiente. Come ho avuto modo di dire pochi giorni fa in aula a proposito dell'alluvione che ha colpito la Campania, infatti, il problema è che la materia dell'ambiente in Italia è spezzettata e divisa in diversi settori, dall'urbanistica all'inquinamento. In questo modo non vi è una visione unitaria dell'ambiente. In questo senso, non occorre un testo unico ma rivedere i reati ambientali secondo una concezione unitaria dell'ambiente, da trasfondere poi in tutte le leggi in materia, riducendo drasticamente la frammentazione delle competenze. Le autorità centrali, regionali, provinciali o locali che nel nostro paese si devono occupare dell'ambiente sono molteplici. Tutte sono competenti, ma - ritengo - nessuna responsabile. Non ho ancora visto in Italia una di queste autorità competenti in materia ambientale che risponda del proprio operato. Vedrete che anche in occasione del disastro che ha colpito la Campania alla fine nessuno risponderà. Hanno voglia di disporre inchieste giudiziarie, il problema della individuazione delle responsabilità è vasto e difficilissimo perché, ripeto, le responsabilità sono divise tra troppi settori e talmente diluite che alla fine non si riesce ad individuare il vero responsabile.
Quanto infine alla distinzione tra reati istantanei e permanenti, sono convinto che in questo caso si tratti di reati istantanei ad effetti permanenti. Non possono essere reati permanenti. Se si accerta un fatto a carico di un funzionario, che magari ha cessato il servizio, non lo si può lasciare per tutto il resto dei suoi giorni con il pericolo che gli piombi addosso un processo, magari dopo 10, 15 o 20 anni. E' norma di civiltà che la la giustizia individui i responsabili in un termine ragionevole. A questo risponde l'istituto della prescrizione, per evitare che un cittadino debba restare tutta la vita con la spada di Damocle di un processo. Se la giustizia non riesce a raggiungere il responsabile, pazienza. Non voglio dire di chi è la colpa, ma certamente altri sono responsabili se le responsabilità non vengono accertate e perseguite nei tempi previsti dal nostro codice, che a secondo dei casi sono più o meno rapidi, ma pur sempre anni. Potremmo allungare un po' i termini della prescrizione, ma questo è un istituto necessario.
PIERLUIGI COPERCINI. Ho piacere di scambiare due chiacchiere di natura giuridica con il collega Lubrano Di Ricco di cui conosco la competenza in una materia che sto approfondendo come membro della Commissione giustizia. Se la giustizia non riesce ad individuare i colpevoli, restano i danni e, mettendoci dal lato del cittadino, anche la necessità di interventi provvisionali immediati perché gli inquinamenti permanenti - derivati o meno da un fatto occasionale o continuativi; non facciamo una distinzione giuridica a questo riguardo - hanno comunque un colpevole e, anche se i responsabili cambiano, vi è una continuità di colpevolezza; vi è cioè una continuità nel delinquere. L'impianto industriale può essere stato concepito con la finalità di continuare a perpetuare un delitto, indipendentemente dagli uomini che lo gestiscono o che lo hanno programmato. Esaminiamo pure il fenomeno negli stretti termini giuridici delle leggi, ma intanto che la giustizia avanza - e noi speriamo che corra - pensiamo anche a quello che si deve fare per ripristinare determinate condizioni, perché mentre decidiamo chi è il colpevole l'inquinamento continua e così i danni ad un territorio ormai ridotto ad un colabrodo.
Vorrei dunque chiedere al dottor Casson se, in relazione alle indagini giudiziarie e a quanto in esse è emerso, siano state adottate misure precise per porre termine o comunque un freno all'inquinamento ed un rimedio al verificarsi di effetti nocivi sull'ambiente, soprattutto a livello di inquinamento della falda di approvvigionamento degli acquedotti, ma non solo sotto questo profilo perché vi è anche un riciclo naturale che interessa il nostro organismo per quello che è l'assorbimento di determinate sostanze con l'assunzione di altri alimenti. Lancio una proposta. Quando l'autorità giudiziaria si muove e manifesta una volontà di perseguire o individuare eventuali colpevoli, bisogna che le istituzioni pensino immediatamente a porre rimedio agli effetti prodotti.
Vorrei chiedere inoltre al dottor Casson se ci siano rapporti tra la sua procura e quelle di altre zone del paese nelle quali esistono stabilimenti industriali similari che hanno produzioni analoghe e nel cui territorio presumibilmente ci sono siti che presentano le stesse caratteristiche. Si potrebbe parlare, per esempio, di Mantova, dove c'è una situazione lagunare simile a quella di Venezia; c'è poi lo stabilimento petrolchimico dove si produce il piombo tetraetile. Provengo da un territorio nel quale, quando ero ragazzo, una certa azienda veniva chiamata la "fabbrica della morte" perché i suoi operai non sopravvivevano oltre i quaranta anni.
Vorrei ancora sapere se nell'ambito di questa giustizia farraginosa, impegnata a dipanare cavilli giuridici, siano state intraprese azioni di responsabilità non solo per i direttori degli stabilimenti o per coloro che hanno programmato i cicli di produzione con scarico inquinante, ma anche per coloro che, dovendo controllare, non lo hanno fatto ed hanno procrastinato nel tempo queste situazioni. Mi riferisco alle autorità statuali che sapevano e che sarebbero dovute intervenire, le quali hanno una responsabilità oggettiva che offende tutta la popolazione del territorio coinvolto nel ciclo di questi rifiuti particolarmente pericolosi.
PRESIDENTE. Alcune delle considerazioni dei colleghi forse appartengono più al dibattito interno alla Commissione, sul quale ovviamente il giudice Casson non è tenuto a fornire risposte.
Ricordo che, proprio per quanto riguarda il problema che è colossale delle bonifiche di queste aree inquinate, specificatamente nel caso di Venezia, il Ministero dell'ambiente ha previsto un'azione aggiuntiva rispetto a quelle previste dalle leggi speciali per questa città per il disinquinamento della laguna e dei territori contermini, e ciò proprio in relazione alla vicenda di Porto Marghera ed al ritrovamento di fanghi radioattivi.
Per le bonifiche è opportuno ricordare che il primo soggetto attivo in virtù delle nuove norme contenute nel decreto legislativo n. 22 del 1997 è il comune, che deve proporre la bonifica. Il problema di chi farà un piano tecnicamente congruente e soddisfacente e di come trovare le risorse economiche si pone a livello regionale o ministeriale, ma il soggetto che si deve muovere per ottenere la bonifica in prima istanza è proprio il comune.
Alle domande dei colleghi ne aggiungo un'altra. Atteso che si è trattato di smaltimenti sicuramente illegali - al di là della difficoltà di individuare i responsabili - e considerato che si trattava di rifiuti pericolosi, vorrei sapere se siano state rilevate connessioni con la criminalità organizzata. Il flusso di rifiuti nord-sud in Italia è durato a dir poco per un quindicennio e noi con i nostri occhi abbiamo potuto vedere situazioni degradate; anche recentemente abbiamo visto rifiuti pericolosi trattati da ditte che si proclamavano in grado di smaltirli e che invece si limitavano a depositarli in vasconi. L'unica differenza quindi è tra illeciti realizzati da operatori del settore e illeciti, non so se ancora più gravi, operati attraverso l'intervento della criminalità organizzata.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Riguardo alla questione dei tempi di prescrizione e della lunghezza dei processi, mi sono reso conto quando ho cominciato ad affrontare indagini in questo settore della particolare complessità della materia e della necessità di accertamenti tecnici che sono in sé lunghi ed estremamente complessi. Non mi ero mai interessato di materie di questo tipo perché ho fatto prima il giudice istruttore e poi il pubblico ministero presso il tribunale; quando alla fine del 1994 ho cominciato a svolgere indagini di questo tipo ho dovuto affidare delle consulenze a tecnici delle varie materie italiani e stranieri che hanno inevitabilmente portato via molto tempo. Credo sia impossibile nei tempi consentiti per processi ordinari svolgere indagini in tempi brevi; i magistrati non hanno alcuna conoscenza di chimica; adesso sono in grado di affrontare un discorso con un ingegnere chimico su impianti CVM, ma in passato non avrei mai pensato di poterlo fare. Adesso so cos'è una diossina o un IPA, ma non avrei mai pensato di dovermi interessare di queste cose e ci ho messo alcuni anni per riuscirci. Basta pensare ai tempi che sono stati necessari in procedimenti così complessi per rendersi conto che quattro anni e mezzo o sette anni e mezzo per i reati più gravi che si possono contestare come colposi sono un tempo molto limitato per arrivare ad un processo e ad una sentenza definitiva. E questo per ragioni strettamente tecniche.
Io ho rispettato il termine dei due anni, alla fine del 1996 ho chiesto il rinvio a giudizio (all'epoca c'erano 31 imputati); l'udienza preliminare è durata un anno per via di eccezioni dei difensori, repliche, deposito dei documenti; il rinvio a giudizio è del novembre 1997 e il procedimento è cominciato nel marzo del 1998. Ci vorranno almeno 60 udienze e purtroppo non possiamo fare solo questi processi.
PRESIDENTE. La tempistica che lei sta descrivendo mi pare che rientri nei quattro anni...
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia.Per arrivare al dibattimento.
PRESIDENTE. La richiesta del collega Lubrano era che almeno si cominciasse con il dibattimento entro i termini previsti.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Io posso rispondere di quello che faccio; in questo caso ce l'ho fatta senza chiedere proroghe dell'indagine: man mano che trovavo persone da indagare, contestavo, interrogavo e chiudevo la fase delle indagini, ma dalla denuncia dell'agosto 1994 il primo grado é iniziato nel marzo del 1998. E' materialmente impossibile che si arrivi al terzo grado in sette anni e mezzo, è fuori dalla realtà; per cui o ci sono ipotesi di reato diverse e più gravi, reati per i quali i tempi di prescrizione cominciano a maturare dopo, oppure il destino di questi processi è la prescrizione. Tra l'altro sono convinto che in questo procedimento ci sia la fortuna processuale - se così si può chiamare - per la quale i tempi di prescrizione per le morti comincino a decorrere dal momento del decesso e non dal momento in cui c'è stato il comportamento delittuoso. Ma questo non avviene per tutti i tipi di reato. Nel caso in cui una persona muoia adesso e abbia lavorato fino al 1990, pacificamente, anche per giurisprudenza della Cassazione, la prescrizione comincia a decorrere da adesso e non dal 1990; questo implica che una persona che ha finito di lavorare nel 1990 dovrà aspettare per tutta la vita di avere un processo se morirà qualcuno di quelli che hanno lavorato per lui.
PRESIDENTE. Purtroppo il tumore non è un'opinione ed i tempi di latenza di questa malattia sono lunghissimi.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Certo, d'altronde anche per l'inquinamento i tempi di latenza sono lunghissimi perché, prima che abbia luogo un passaggio tra lo scarico ed il primo livello del terreno, la prima falda, la seconda e la terza, vi sono tempi che debbono trascorrere e poi si arriva ad una forma di inquinamento che all'inizio non è della falda acquifera, e quindi non ha tutte le connotazioni della gravità del caso.
Processi di questo tipo sono lunghi, complessi e probabilmente non tutti i magistrati hanno voglia di farli: è un discorso che va fatto, perché sulle questioni ambientali vi è stato un cambiamento di mentalità in tutti i settori della società, in magistratura, nella classe politica, nell'opinione pubblica, nei consigli comunali. Basti pensare che nel piano regolatore di Venezia degli anni sessanta è scritto che le industrie insalubri, pericolose, inquinanti avrebbero dovuto essere collocate a Porto Marghera, una cosa veramente assurda, ma scritta e sancita in un piano regolatore, cosa che oggi non potrebbe più accadere. Negli anni settanta e fino al 1985 esposti analoghi a quelli che ho ricevuto nel 1994 sono stati presentati ma archiviati, perché si è detto che reati gravi non erano stati commessi, oppure si è data semplicemente una contravvenzione per le emissioni pericolose di fumi, 100 mila lire di ammenda, fascicolo chiuso. Potete immaginare cosa facesse alla Montedison una contravvenzione da 100 mila lire, ma i processi si facevano in questo modo. Successivamente anche nella magistratura si è cominciato a pensare a questi processi in maniera diversa, così come nella classe politica e nell'opinione pubblica.
I tempi sono quelli che sono: ritengo che i tempi di prescrizione per processi così complessi siano estremamente limitati; non si tratta del singolo caso del piccolo imprenditore o della piccola ditta che inquina, il problema è soprattutto quello delle grosse industrie che ovviamente creano problemi molto più vasti, pericolosi e più difficili per un magistrato, per un consiglio comunale e credo anche per una Commissione parlamentare da accertare, perché bisogna ricorrere agli esperti del settore, ma gli esperti, quando si chiede una perizia tecnica, si prendono almeno quattro mesi di tempo.
Quanto al problema di cosa faccia la pubblica amministrazione quando nascono questi procedimenti, avevo accennato prima a cosa è accaduto: nel momento in cui si sono concluse queste indagini, abbiamo mandato tutta la documentazione e le pubbliche amministrazioni nella nostra zona hanno cominciato a muoversi, a rendersi conto della pericolosità della situazione, per cui si sono date da fare sollecitando interventi anche a livello centrale. D'altra parte, mi rendo conto che a livello comunale ed anche regionale vi possa essere un conflitto tra la volontà di non creare il panico e la necessità di intervenire, anche se ritengo che certi interventi facciano parte di una vecchia mentalità; mi riferisco a quelli posti in essere a Venezia, quando è il sindaco ha consigliato alle donne incinte di non mangiare i fanghi del Canal Grande; può trattarsi di battute, ma che non sono davvero molto simpatiche anche dal punto di vista degli organi comunali che fanno questi interventi.
In merito ai collegamenti con altre procure, ho accennato poc'anzi alle difficoltà della magistratura di rendersi conto di questi problemi. Personalmente ho mandato gli atti alle procure di Mantova, di Brindisi e Milano, zone nelle quali vi sono stabilimenti analoghi al Petrolchimico di Marghera; in Puglia mi pare che qualche collega abbia cominciato a muoversi, sia pure con tempi lunghissimi, incaricando i consulenti di esaminare gli ammalati e tutto il resto, mentre da Mantova non ho avuto alcun sentore di qualcosa che cambiasse.
PRESIDENTE. Le posso segnalare gli enormi insediamenti che si trovano nell'area siracusana di Priolo in collegamento con quelli di Gela.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia. Ripeto che non ho avuto risposte, anche perché, come si dice, la magistratura è un potere diffuso e quindi ognuno opera nel suo settore e nel suo circondario; per di più, il magistrato deve anche prestare attenzione a non urtare la sensibilità dei colleghi, perché ognuno si sente autonomo e indipendente, per cui più che segnalare non si può fare. Se il collega non si muove, non chiede carte né notizie, più di tanto non si può intervenire.
Quanto alla domanda sui direttori degli stabilimenti, ritengo che anche in questo caso si tratti di un problema di mentalità: fino a qualche tempo fa (ho visto tutti i fascicoli dei vecchi processi celebrati dagli anni settanta in poi nella zona di Porto Marghera) chi veniva implicato era il capo reparto, al massimo si arrivava al responsabile di produzione, in qualche rarissimo caso al direttore dello stabilimento. Invece, il problema è quello di alzare il livello perché in uno stabilimento petrolchimico rilevante come quello di Porto Marghera si perseguiva una politica industriale che si determinava in una certa maniera. Il direttore dello stabilimento era una figura che formalmente aveva dei poteri in loco (ad esempio, poteri di firma e di spesa estremamente limitati), mentre le decisioni rilevanti in materia di ristrutturazione, di cambiamenti di gestione della politica industriale venivano prese a livello centrale, dal direttore generale in su. Quindi, in questi procedimenti sono rimasti implicati tutti i direttori di stabilimento; è questo il livello più basso che ho voluto toccare, al di sotto non sono andato. Dal direttore di stabilimento si va al direttore di divisione, al presidente ed al consiglio d'amministrazione, in pratica all'amministratore delegato della società, perché questi soggetti avevano poteri di intervento diretti. In particolare, ricordo quando la carica di amministratore delegato era ricoperta da Eugenio Cefis, che successivamente è stato anche presidente, il quale interveniva direttamente. Quando negli anni settanta lo scontro a livello politico e sindacale diventava più acuto, egli si muoveva da Milano, veniva a Venezia ed interveniva direttamente. Quindi, è anche un falso paravento quello per il quale il direttore ha determinate responsabilità. Ovviamente queste situazioni di Marghera dovranno essere valutate dal tribunale e poi dalla corte d'appello per stabilire dove si collochi il livello di responsabilità e di decisione. E' stata una mia scelta quella di portare al processo tutti quanti (ed il GIP è stato d'accordo), affinché il tribunale decida innanzitutto se vi sia responsabilità e poi su chi questa ricada.
Quello dei controllori è un altro grave problema, perché purtroppo è difficile contestare ai controllori il concorso per omissione in certi reati; per certi versi, diventa più semplice quando si dimostra documentalmente che sapevano - perché poi dobbiamo fare i processi e portare le prove - contestare ai sensi dell'articolo 328 del codice penale un'omissione di atti d'ufficio. Tuttavia, dopo la riforma del 1990, l'omissione di atti d'ufficio non serve più a niente. Vi è un problema di mancanza di previsione di responsabilità da parte di chi dovrebbe controllare e, in particolare nella situazione di Porto Marghera, ma credo anche a livello nazionale, laddove vi sono società della holding di ENI, si pongono problemi che dal punto di vista sociale e politico debbono essere affrontati perché ENI non è una società privata e quindi, quando decide di intervenire in una certa maniera e di non interessarsi dei problemi ambientali, di cancellarli o di nasconderli, credo si ponga un problema, quanto meno a livello sociale, d'intervento da parte degli organi di controllo su ENI per decidere, invece, una politica diversa, ma questo con Enichem non è stato fatto.
E' assurdo che qualche avvocato di "mamma" Enichem venga da me a chiedere cosa la magistratura vuole fare, perché io faccio il magistrato e, se riscontro dei reati, procedo. Intervenite con i vostri mezzi. Non si può continuare a promettere, come avviene ormai da diversi anni, interventi di modifica e ristrutturazione e poi non far nulla. Fin ad adesso, infatti, vi sono state solo promesse. Qui, però, vi è una parte pubblica. Se è un privato, posso dire che fa il suo interesse, la parte pubblica dovrebbe invece avere interessi diversi.
GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Ringrazio il dottor Casson per l'elencazione delle difficoltà anche istruttorie che si riscontrano nel procedere contro questo tipo di reato, perché mi offre un argomento che utilizzerò prossimamente in aula quando esamineremo il nefasto provvedimento, già approvato una volta dalla Camera, che depenalizza tutta la materia penale ambientale.
Quando avremo depenalizzato tutta questa materia e ridotto tutto a semplici illeciti amministrativi, anche allora per arrivare alla sanzione amministrativa occorreranno le indagini di cui si è detto e chi farà queste indagini, queste perizie? L'autorità amministrativa? Quale? Il dottor Casson, dicevo, mi ha offerto un elemento di riflessione che mi servirà per avvalorare le ragioni che esporrò in aula contro la delega che stiamo per dare al Governo in materia.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica, presso il tribunale di Venezia. Le posso dare anche un altro elemento, con riferimento ad un problema che già si è verificato nella zona di Venezia. Quando ho mandato la documentazione anche al comune di Venezia, il sindaco ha emanato una diffida nei confronti di Montedison Enichem di questo genere: voi avete creato questi problemi di inquinamento di determinati siti, voi dovete risanarli, secondo la normativa vigente. Tutte e due le società, però, hanno fatto ricorso al TAR. I processi ordinari durano quel che durano, quelli amministrativi ancora di più; il problema è anche chi farà gli accertamenti nell'ambito di quei procedimenti. Con la magistratura ordinaria abbiamo una possibilità di operare autonomamente e di selezionare anche meglio i consulenti tecnici ed i periti; in quel caso sarà un disastro.
PRESIDENTE. Vorrei mitigare questa visione così negativa, perché, a parte la valutazione di merito che si potrà fare circa il valore dei tecnici, sicuramente il Veneto è tra le regioni che hanno individuato l'agenzia regionale per la protezione ambientale come interlocutore specifico per questo tipo di accertamenti. Laddove le agenzie regionali funzionano, esse sono in grado di fare questi accertamenti ed anzi in molte situazioni operano positivamente per prevenire determinati fenomeni.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica, presso il tribunale di Venezia. Posso obiettare?
PRESIDENTE. Obietti pure.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica, presso il tribunale di Venezia. Nel dicembre 1997 ho chiuso una indagine preliminare riguardante l'applicazione in Veneto della direttiva Seveso, per la quale erano stati denunciati, per omissione, perché non avevano fatto assolutamente nulla o quasi, i presidenti delle giunte regionali succedutesi dall'inizio degli anni novanta in poi. A parte alcune oggettive difficoltà tecniche e quelle politiche, derivanti dal succedersi delle giunte, tutto è stato scaricato sull'agenzia regionale, che però non avendo né uomini né mezzi non ha potuto lavorare in alcun modo. Alla fine, nel chiedere l'archiviazione, ho fatto presente tali difficoltà ed ho rilevato che, così come è strutturato l'articolo 328 del codice penale relativo all'omissione di atti d'ufficio, l'intervento del giudice penale non ha più spazio. In Veneto, ripeto, l'agenzia finora non ha operato; solo ora ha cominciato ad avere alcuni elementi di personale. E credo che il Veneto, a parte alcune regioni come l'Emilia e Romagna, la Lombardia in parte, e la Toscana - nell'ambito dell'indagine che ho condotto ho fatto una verifica della situazione, fino all'ottobre 1997 - sia una delle regioni che stanno meglio sotto questo profilo. Altre regioni non sanno neppure cosa sia la questione.
PRESIDENTE. Alcune regioni hanno avviato queste strutture, ma il processo, che richiede una legge regionale, è abbastanza lungo.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica, presso il tribunale di Venezia. Oltre a creare le strutture, bisogna assicurare i mezzi. Questo vale anche per la magistratura.
PRESIDENTE. Alcune agenzie regionali hanno già personale nell'ordine dei 200-300 elementi e sono in grado di intervenire in varie situazioni. Io credo che occorrerà andare parecchio sopra questo livello e la mia osservazione è quindi riferita al quadro a regime, che spero si possa realizzare nell'arco dei prossimi anni, contando su quel forte mutamento di sensibilità, che lei stesso ha sottolineato, che si registra nella magistratura, nelle amministrazioni locali e nel Parlamento per adottare provvedimenti che vadano nella direzione delineata.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica, presso il tribunale di Venezia. Quanto alle connessioni con la criminalità organizzata, debbo dire che nelle indagini su Porto Marghera non ho rilevato collegamenti di questo tipo. Gli unici collegamenti a livello più ampio, a livello estero, riguardavano contatti con società straniere cui far arrivare i rifiuti tossico-nocivi, o comunque pericolosi, che non potevano più essere gestiti, in senso lato, in Italia.
Vi è stato un altro contatto esterno, con colleghi di Matera e della Puglia, riguardante l'affondamento di navi, ma credo che la Commissione sia già a conoscenza della vicenda. Me ne sono interessato marginalmente perché il fenomeno ha riguardato l'Adriatico ma non la zona di Venezia ed ho quindi passato la palla ai colleghi ...
PRESIDENTE. La domanda può essere ulteriormente puntualizzata. In molte di queste vicende l'Enichem è stato uno dei protagonisti. La Commissione ha in progetto una missione in Basilicata ed abbiamo notizia delle ipotesi avanzate dalla magistratura locale, credo dal sostituto procuratore presso la pretura circondariale di Matera. Recentemente vi è stato il sequestro di prospezioni operate dall'Enichem in territorio lucano. Vi è in particolare il sospetto che in alcuni di questi pozzi, che sono molto profondi, possano essere stati collocati illegalmente rifiuti pericolosi.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica, presso il tribunale di Venezia. Ripeto però che in Veneto non ho rilevato collegamenti con la criminalità organizzata. Credo che la collocazione materiale dei rifiuti sia stato un grosso problema di Montedison ed Enichem; hanno provato in tutte le maniere; l'ultimo episodio che mi viene in mente è quello dell'eliporto dell'allora presidente Gardini, realizzato a Marghera utilizzando rifiuti tossico-nocivi per livellare il terreno.
PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente, a nome della Commissione, il dottor Casson per il contributo recato. La Commissione potrà eventualmente richiedere ulteriori informazioni ed integrazioni in ordine a quanto illustrato in precedenza, anche con riferimento agli illeciti connessi al trasporto e smaltimento all'estero di rifiuti pericolosi.
FELICE CASSON, Sostituto procuratore della Repubblica, presso il tribunale di Venezia. Assicuro sin d'ora la massima disponibilità al riguardo.
PRESIDENTE. Grazie.
PRESIDENTE. Informo la Commissione che l'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 30 aprile scorso ha deliberato di includere nell'elenco dei collaboratori della Commissione, peraltro a titolo gratuito, la dottoressa Valeria Sorci ed il capitano Carlo Michele Di Giambattista.
Avverto inoltre che nella seduta di domani non potrà essere presente il professor Barberi, a causa dei suoi impegni connessi alla tragedia campana. Si svolgerà comunque la prevista audizione, cui parteciperanno i presidenti dell'ENEL, dell'ENEA e dell'ANPA.
Desidero sottolineare che stiamo ad un passaggio nevralgico dei lavori della Commissione. E' stato già portato alla discussione il documento di cui è relatore il collega Gerardini; nelle prossime settimane verranno portati alla discussione i documenti relativi a quelle che abbiamo definito come relazioni territoriali sulla Liguria ed il Piemonte, relatore il collega Lasagna, e sulla Campania, di cui io stesso sono relatore; l'esame del documento sulla Campania è previsto per giovedì prossimo alle 14. Sottolineo a tale riguardo l'esigenza di accelerare un po' i nostri lavori. Avviata la fase di discussione su questi documenti, che sono tutti complessi e ponderosi, dovremo poi giungere in tempi ragionevoli alla loro approvazione. Sarà quindi un periodo di lavoro particolarmente intenso. I Commissari avranno il tempo necessario per metabolizzare, diciamo così, il materiale in discussione per procedere poi rapidamente all'esame dei documenti ed alla loro approvazione, previa presentazione ed esame di eventuali emendamenti.
Ricordo ancora la missione che una delegazione della Commissione effettuerà in Sicilia i giorni 26 e 27 maggio prossimi; la bozza del programma è a disposizione dei colleghi in segreteria per eventuali ulteriori ritocchi.
Avverto infine che rimane fissato al 15 maggio prossimo il termine per far conoscere i nominativi dei commissari che intendono partecipare alla missione che la Commissione svolgerà in Spagna e Francia nella seconda settimana di giugno con riferimento allo smaltimento delle scorie radioattive nei due paesi.
La seduta termina alle 16,30.