CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA
SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'
ILLECITE AD ESSO CONNESSE
24.
SEDUTA DI GIOVEDI' 18 DICEMBRE 1997
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA
INDICE
Sulla pubblicità dei lavori. *
Audizione del sottosegretario di Stato per la sanità, senatrice Monica Bettoni. *
La seduta comincia alle 14,40.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del sottosegretario di Stato per la sanità, senatrice Monica Bettoni.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sottosegretario di Stato per la sanità, senatrice Monica Bettoni.
Prego il sottosegretario di svolgere le sue considerazioni sul tema oggetto della nostra audizione.
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità.. La ringrazio, signor presidente. Nel corso del mio intervento mi atterrò strettamente ai quesiti ed alle problematiche esposti nella richiesta di audizione pervenutami da parte sua anche se - come dirò a conclusione della mia esposizione - credo che l'intera tematica dei rifiuti richieda una maggiore attenzione da parte dei soggetti istituzionali interessati e, in particolare, da parte del Governo; forse è altresì necessario uno stretto collegamento per individuare quali iniziative debbano essere assunte in futuro.
L'oggetto di questa audizione riguarda soprattutto le radiazioni ionizzanti. Esso è regolato dal decreto legislativo n. 230 del 1995, la cui entrata in vigore è avvenuta il 1° gennaio del 1996: si tratta, pertanto, di una normativa relativamente recente che sviluppa un nuovo quadro concettuale in merito alla protezione dalle radiazioni ionizzanti. Infatti, in esso si recepiscono finalmente le indicazioni provenienti dall'ICPR, vale a dire l'autorità scientifica competente a livello europeo, nonché le direttive Euratom in questa stessa materia. Vi è inoltre la necessità di dare luogo ad un nuovo corpo legislativo che tenesse conto delle novità in campo radio-biologico, delle nuove conoscenze scientifiche e della necessità di introdurre grandezze dosimetriche più idonee ed un quadro di protezione più completo per il cittadino, sia inteso come paziente, cioè come utente di possibili metodiche che adottano radiazioni ionizzanti, per il lavoratore sia ancora per il cittadino inteso nella sua più completa accezione e che coinvolge l'iterazione con l'ambiente che lo circonda.
Il suddetto decreto legislativo prevedeva anche l'emanazione di una serie di norme attuative e di altri decreti ministeriali con scadenze legislative diverse, ma quasi tutte di carattere impellente, dal momento che le norme di attuazione contenute nel dispositivo facevano riferimento al termine del 31 dicembre 1995, quindi ad una data precedente all'entrata in vigore del decreto stesso. Di qui la conseguenza della necessità di una serie di norme di attuazione. E' evidente, quindi, che si è registrato un ritardo in questo settore con riferimento agli adempimenti legislativi, anche se il dispositivo del decreto legislativo era congeniato in maniera tale che, fino a quando non fossero stati varati i vari decreti ministeriali applicativi, avrebbero continuato ad avere validità le disposizioni delle normative precedenti, vale a dire del decreto del Presidente della Repubblica n. 185 del 1964, con le relative modalità e soglie di applicazione.
Questo decreto del Presidente della Repubblica copriva quasi completamente il campo che successivamente è stato oggetto del decreto legislativo n. 230. Dico questo poiché è necessario sapere che per tutta una serie di settori non siamo del tutto scoperti dal momento che vige la normativa del decreto presidenziale che ho poco fa ricordato.
PRESIDENTE. In sostanza, con questa normativa di riferimento, non si è registrato un vuoto legislativo, anche se vi è stato un ritardo nella emanazione degli strumenti attuativi.
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Vorrei dire, per inciso, che mentre la situazione italiana è quella che ho ora descritta, il Parlamento europeo si sta accingendo a recepire una ulteriore normativa di radioprotezione che modificherà la disciplina del decreto n. 230. Tutto questo riguarderà anche il Ministero della sanità per la parte di sua competenza. In proposito lascerò agli atti della Commissione un riepilogo più puntuale di quello che sto esponendo verbalmente.
Dobbiamo anche riconoscere che il decreto legislativo e tutta la materia sono di una certa complessità ed è assai difficile affrontarla in maniera compiuta. Per quanto ci riguarda, nella predisposizione dei decreti attuativi e nei quali la prima responsabilità appartiene al Ministero della sanità, abbiamo ritenuto di attenerci ad una rigorosa scelta di priorità. Si tratta di una scala di priorità secondo la quale l'elemento più urgente sul quale intervenire era rappresentato da tutto quello che non era previsto nel decreto n. 185. Si trattava, in altri termini, delle questioni più impellenti e di maggior allarme proprio perché nessuna normativa le disciplinava.
Tali priorità riguardano innanzitutto la radioprotezione del paziente. Non mi soffermerò più di tanto su questo argomento poiché avete a disposizione la sintesi dei decreti emanati, ma possiamo senz'altro dire che siamo ad un buon punto.
L'altra priorità che abbiamo individuato riguarda problematiche di natura più strettamente ambientale. Alcune di esse erano completamente scoperte dal punto di vista legislativo: mi riferisco, per esempio, al famoso articolo 157 che riguarda i rottami metallici. Di questo argomento non si parlava nel decreto n. 185, ma su di esso il Ministero della sanità era già intervenuto con una circolare. Non era quindi una previsione normativa come quella che è contenuta nel suddetto articolo 157. L'Italia, nell'ambito della Comunità europea, è il paese che lavora il maggior quantitativo di rottami metallici per la siderurgia. Molti di essi, inoltre, provengono da mercati esteri: mi risulta, infatti, che su 7 milioni di tonnellate di rottami metallici importati, i due terzi provengono dall'est, con un notevole rischio di contaminazione radioattiva per carenza di controlli. Questo stesso problema è stato drammaticamente posto alla nostra attenzione da quanto accaduto in una fonderia del bresciano, nella quale si registrò un fenomeno di inquinamento delle acque da cesio. Ciò avvenne non solo nella fabbrica nella quale quei rottami metallici venivano lavorati, ma anche nell'ambiente circostante. Tanto è vero che il Ministero della sanità, prima ancora del decreto n. 230, nel 1993 aveva disposto dei controlli radiometrici sui carichi di materiale di quel tipo in ingresso nel territorio nazionale. Tuttavia, non consideriamo sufficiente il controllo esercitato alle frontiere e ciò anche per problemi di natura tecnica. In particolare, nel momento in cui effettuiamo una rilevazione esterna per accertare la presenza di radioattività, potremmo trovarci di fronte ad un accertamento con esiti negativi, anche in presenza di materiali radioattivi, dal momento che tra la sorgente ed il rilevatore si frappongono una serie di schermature.
In definitiva, i controlli alle frontiere, pur dovendosi continuare ad effettuare, non consentono tuttavia di ottenere risultati sufficienti a garantire un sostanziale grado di tranquillità.
PRESIDENTE. Purtroppo, il controllo all'esterno dei carichi è condizionato dalle norme esistenti, che non consentono una verifica più diretta, proprio al fine di evitare che tra sorgenti di radiazioni ionizzanti ed apparato rivelatore si frappongano materiali che possano schermare la radiazione. Si tratta di un problema che va tenuto presente nella riflessione sia della Commissione sia del Ministero della sanità. In particolare, chiedo a me stesso se questi inconvenienti non possano essere superati, in attesa di una norma specifica, da istruzioni che potrebbero essere contenute in circolari ministeriali. In tale prospettiva, chiedo anche al sottosegretario se non ritenga che l'adozione di misure più dirette, piuttosto che essere demandata all'intervento di uno specifico provvedimento di carattere legislativo, possa essere assicurata dall'adozione di un decreto ministeriale od interministeriale, il cui iter sarebbe sicuramente più rapido, o addirittura di una circolare concertata tra più ministeri.
ELISABETTA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Esiste una circolare del 30 luglio 1993 che, proprio partendo dalla considerazione dell'insufficienza del controllo esterno, sollecita gli utilizzatori - si tratta di un sollecito, visto che all'epoca non potevamo imporre alcunché - ad attrezzarsi per eseguire controlli più puntuali ed approfonditi prima di procedere alla lavorazione dei metalli; ne discende, anche rispetto alla normativa vigente all'epoca, non soltanto la possibilità di un più adeguato controllo alla frontiera ma anche la responsabilizzazione degli utilizzatori nel momento in cui gli stessi si accingono alla lavorazione in fabbrica.
Inoltre, proprio con riferimento a questa problematica, è stato predisposto l'articolo 157 del decreto legislativo n. 230 del 1995, in base al quale la responsabilità radiometrica viene attribuita a coloro i quali utilizzano, raccolgono o depositano, a scopo industriale o commerciale, rottami provenienti da importazioni. Su questa specifica materia, il decreto ministeriale previsto dal richiamato articolo 157 è già predisposto ma deve ancora essere sottoposto al concerto tra i ministeri competenti. Il ritardo finora accumulato in riferimento all'iter del decreto (ed anche quello che presumibilmente andrà accumulandosi, anche se mi auguro che ciò non accada) è dovuto ad alcuni problemi che credo vadano prospettati in modo molto chiaro.
Anzitutto, va riaffermata l'esigenza di considerare insufficienti i controlli alle frontiere; in secondo luogo, va acquisita la consapevolezza che, per esercitare i controlli, è necessaria una attrezzatura adeguata. Il decreto legislativo n. 230 prevede un onere per l'utilizzatore; ciò significa che quest'ultimo deve attrezzarsi in modo adeguato e deve sostenere una serie di costi. Noi riteniamo che tali costi debbano essere sostenuti dai diretti utilizzatori, così come del resto si evince dalla filosofia sottesa ad alcuni importanti provvedimenti, quale è il decreto legislativo n. 626, in materia di sicurezza sul lavoro. Naturalmente, questa impostazione dovrebbe prevedere alcune eccezioni, soprattutto con riferimento alle piccole realtà dedite alla lavorazione dei rottami. Chi, ad esempio, distrugge una piccola automobile, non può disporre di un apparato di controllo adeguato, né potrebbe sostenere i relativi oneri economici. Si tratta quindi di stabilire le modalità attraverso le quali garantire un supporto a queste realtà particolari.
PRESIDENTE. A suo tempo, nel momento in cui si diffuse la notizia di un ulteriore carico di rottami metallici contaminati radioattivamente che aveva attraversato la frontiera, scrissi ai ministri dell'interno e delle finanze chiedendo che i controlli alla frontiera fossero effettuati sia in modo più esteso (credo che l'unico valico di frontiera nel quale si riescano a garantire controlli adeguati sia quello di Gorizia) sia utilizzando apparecchiature più idonee, anche perché nel campo delle radiazioni ionizzanti prevale sempre e giustamente l'esigenza della prevenzione piuttosto che quella di prevedere un obbligo per gli esercenti ad eseguire i controlli. Comunque, compito dello Stato è, intanto, quello di garantire che ai valichi di frontiera, a fronte dei carichi di rottami metallici provenienti dall'estero, ai quali ella faceva riferimento indicandone la quantità media, si operi tenendo presente il più che legittimo sospetto dell'esistenza di situazioni di contaminazione radioattiva. So bene che l'articolo 157 del decreto legislativo n. 230, al punto 3, prevede, a carico degli utilizzatori, presidi adversus le radiazioni ionizzanti, ma credo sia sempre meglio prevedere una sorta di compito pubblico destinato a garantire la prevenzione in generale.
ELISABETTA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Credo che l'un aspetto non debba escludere l'altro, nel senso che debbono essere avviati tutti gli opportuni controlli ed adottate le dovute precauzioni. Il controllo alla frontiera deve essere effettuato in base ad apparecchiature e modalità che possano consentire di rilevare la radioattività nel modo più ampio possibile. Accanto a questo, va comunque sviluppato anche l'altro filone di intervento, non aderendo al ragionamento di coloro i quali sostengono l'opportunità dei controlli alla frontiera ma non di altre forme di verifica e rilevazione, che, in base alla valutazione di costoro, comporterebbero costi molto onerosi.
Mi auguro che il decreto in fase di predisposizione possa avere un iter rapidissimo...
PRESIDENTE. Vi sono forse difficoltà - diciamo - di firma da parte di qualche ministero?
ELISABETTA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. No. E' in atto una discussione tra vari ministeri, ciascuno dei quali deve tenere conto di talune problematiche. Le posizioni che sono andate sviluppandosi sono, quindi, legate ad alcune problematiche. Per quanto ci riguarda, comunque, abbiamo una precisa posizione che intendiamo sostenere nei confronti anche degli altri ministeri.
Quanto alle problematiche connesse ai rifiuti radioattivi ed al loro smaltimento, il decreto legislativo prevede un regime di tipo autorizzatorio per i depositi ed i controlli. La filosofia seguita è pressappoco analoga a quella del decreto n. 185, sulla cui base sono nati i vari depositi temporanei per rifiuti radioattivi, che pongono un problema di enormi dimensioni. In assenza di un deposito di smaltimento permanente (a tale proposito mi riservo di indicare le ragioni per le quali, a mio avviso, la normativa prevista a tale riguardo è carente), si è sviluppato una serie di depositi temporanei. Le scorie radioattive possono avere origine da prodotti industriali, centrali nucleari, prodotti utilizzati in medicina o nella ricerca scientifica. Sia in virtù di antiche consuetudini e di vecchie norme sia in virtù del decreto n. 185, in questa materia si è proceduto ad identificare depositi temporanei che nella fase attuale stanno facendo emergere problematiche di un certo rilievo, in considerazione del fatto che gli stessi depositi sono in via di esaurimento.
Per quanto riguarda la parte più propriamente sanitaria, ossia quella riferita ai rifiuti radioattivi prodotti in campo sanitario nell'espletamento di attività terapeutiche o diagnostiche, ci troviamo di fronte a diversi tipi di problemi. Il primo di essi è costituito dagli aghi di radio. In virtù di assetti istituzionali ormai antichi, le sorgenti di aghi di radio venivano acquistate e successivamente distribuite dall'autorità sanitaria centrale la quale, nel corso dei decenni, è stata dapprima una costola del Ministero dell'interno, poi ha coinciso con l'Alto commissariato per l'igiene e la sanità pubblica e, infine, con il Ministero della sanità, così come è venuto a configurarsi in epoca relativamente recente.
In particolare, il materiale era custodito dall'Istituto superiore di sanità e consegnato direttamente agli ospedali pubblici, su richiesta ed indicazione dell'amministrazione sanitaria. Presso il laboratorio di fisica di tale istituto viene aggiornato uno schedario, recentemente informatizzato e che a giorni potrà essere disponibile per tutti coloro i quali ne vorranno prendere visione, che permette di conoscere la quantità distribuita a partire dalla fine del 1800 ai singoli ospedali nonché la serie di atti di ritiro di questi materiali. Un tempo il ritiro avveniva attraverso l'Istituto superiore di sanità che poi conferiva i materiali all'ENEA; in epoca più recente - mi riferisco agli inizi degli anni ottanta - il ritiro è stato attribuito alla società Nucleco.
PRESIDENTE. Lei ha parlato degli aghi di radio...
ELISABETTA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Poi parlerò anche del resto.
PRESIDENTE. Poiché lei ci ha informato che l'Istituto superiore di sanità sta mettendo a punto un'anagrafe informativa relativamente all'andamento storico della consegna e del ritiro di questo particolare tipo di sorgenti, vorremmo sapere se esista un analogo registro informatico anche per le grandi sorgenti radioterapiche, quali il cobalto 60 ed il cesio 137.
ELISABETTA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Ritengo di no. Dico "ritengo" perché da tutte le ricerche che ho effettuato ho appreso che il cobalto e gli altri materiali per i quali si utilizzano apparecchi ormai obsoleti, ma comunque ancora funzionanti nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, erano sottoposti non alla stessa procedura storica centralizzata, bensì al regime autorizzatorio da parte delle unità sanitarie locali. Ne deriva, di conseguenza, che non esiste alcuno schedario, fatta salva una ricerca che potrebbe essere effettuata direttamente attraverso le regioni e le aziende sanitarie, per verificare la dotazione delle apparecchiature destinate alla cobaltoterapia o ad altre terapie simili (Commenti del senatore Polidoro). Ha ragione. Mi rendo conto che chi non è del settore... Ho parlato prima degli aghi di radio, una particolare tecnica di radioterapia, per la quale si seguiva questo iter: è quindi storicamente conservato tutto ciò che è stato consegnato nel corso degli anni, a partire dal 1900, agli ospedali. Vi è pertanto uno schedario che può essere utile, in quanto da esso si può ricavare che probabilmente non tutto è stato ritirato.
PRESIDENTE. Questa è una certezza, perché ci segnalano in continuazione casi di materiale obsoleto.
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Potremmo comunque avere la relativa documentazione.
L'altro problema che si presenta è collegato al fatto che la radioterapia può essere sviluppata non soltanto attraverso gli aghi di radio (tecnologia ormai obsoleta) ma anche attraverso apparecchi di cobaltoterapia, che ora sono già in via di superamento, perché abbiamo l'acceleratore lineare. Per gli apparecchi di cobaltoterapia, per i quali si usano cobalto-60 e cesio, non era previsto dalla legge lo stesso tipo di iter: essi venivano quindi direttamente acquistati ed installati, previa autorizzazione dell'ospedale locale (oggi dell'azienda sanitaria locale). A livello centrale, però, nessuno ha mai fatto una schedatura, o tenuto un registro di questi apparecchi.
GIOVANNI POLIDORO. Non vi era nemmeno l'obbligo per le aziende sanitarie locali di registrare questi apparecchi?
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Sì, per le aziende vi era questo obbligo, ma non vi era un rilevamento centralizzato dei dati di tutte le aziende.
PRESIDENTE. Nei fatti, almeno fino a poco tempo fa, le aziende affidavano alla Nucleco il ritiro: al riguardo, il sottosegretario dovrà dire anche altro, perché la Nucleco sta chiudendo ed il deposito della Casaccia è in via di esaurimento, se non è già esaurito.
GIOVANNI POLIDORO. Vi è probabilmente un vuoto colossale!
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Sta di fatto che, mentre per gli aghi di radio, vi è la possibilità di un controllo centrale, dal quale ricavare i dati...
PRESIDENTE. Ne approfittiamo per chiedere, non appena giungerà al ministero, la trasmissione anche alla Commissione del materiale informatico relativo alla questione degli aghi di radio dell'Istituto superiore di sanità.
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Sta bene, presidente.
Vi è poi un'altra questione: come Ministero della sanità, non abbiamo dati aggiornati che ci diano il panorama delle attrezzature contenenti materialeradioattivo non ritirate ed attualmente presenti nelle strutture ospedaliere. Sappiamo infatti che esistono apparecchiature di questo tipo, anche se opportunamente trattate: se sono schermate, non creano problemi, ma prima o poi ci dobbiamo porre il problema dello smaltimento (per esempio, se dobbiamo trasferire un ospedale).
Ritengo che anche il decreto legislativo n. 230 sia carente, perché, se abbiamo il problema dello smaltimento di questo materiale, sanitario ma non solo (vi sono anche i materiali delle centrali nucleari e quelli prodotti dall'industria e dalla ricerca), ma i depositi sono in via di esaurimento, come autorità pubblica dovremmo individuare siti e depositi.
PRESIDENTE. La nostra Commissione ha costituito un gruppo di lavoro ad hoc per la questione dei rifiuti radioattivi, che si occupa in particolare del sito, o dei siti nazionali, per il deposito dei rifiuti di bassa e media attività, fra cui quelli di laboratorio, medicali e industriali.
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Ho riletto, anche in preparazione di questa audizione, il decreto legislativo n. 230 ma di fatto la filosofia sul punto è identica a quella del decreto n. 185: si prevede ugualmente l'autorizzazione, ma il problema è che ci vuole prima il deposito e poi l'autorizzazione!
PRESIDENTE. L'obiettivo del nostro gruppo di lavoro è proprio suggerire norme che servano alla gestione, che deve essere pubblica, del confinamento finale nel caso della media e bassa attività e provvisorio (nel senso di secoli) per l'alta attività: queste norme dovrebbero essere sottoposte all'esame del Parlamento. Il vuoto normativo, infatti, ci è chiaro, anche perché il problema è stato sollevato molte volte dall'ANPA: pensiamo quindi di fornire un contributo al Parlamento in questa direzione.
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Tutto sommato, anche senza la legge, si sarebbe potuto provvedere, ma è anche vero che, non essendovi un'attribuzione di responsabilità, nessuno se n'è occupato: questa è la verità.
Ritengo al riguardo che tutti dovremmo valutare come intervenire, perché il problema sta diventando, a mio avviso, importante, non tanto nell'immediato, poiché queste sorgenti non creano ora grossi problemi, ma in prospettiva; è una problematica analoga a quella che ci troviamo ad affrontare per l'amianto.
Un'altra questione è quella dei rifiuti che presentano pericolosità diversa, oltre alle radiazioni (mi riferisco all'articolo 154): si tratta del rischio chimico e biologico connesso a rifiuti con radiazioni. In materia, vi è forse un ritardo maggiore (devo dire anche da parte nostra), perché l'articolo 154 prevedeva l'emanazione di un DPCM su proposta del Ministero dell'ambiente d'intesa con il Ministero della sanità, con il concerto di altri ministeri, che doveva definire i criteri e le modalità per la gestione di rifiuti che presentano caratteristiche di rischi aggiuntivi. Al riguardo, il Ministero della sanità aveva già adottato una circolare (la n. 400 del 2 novembre 1989), che dettava, in assenza di atti legislativi, norme e comportamenti per i rifiuti di questo tipo. La circolare (tuttora valida, finché non viene superata da un decreto) prevede che questi rifiuti vengano sottoposti a disinfezione e sterilizzazione prima di seguire la via dei rifiuti radioattivi.
Il decreto legislativo n. 230, tra l'altro, elimina da questi rifiuti quelli che contengono dei radionucleotidi ad emivita breve, considerando che la breve emivita determina la scomparsa della radioattività in un arco temporale che va poco al di là dell'uso, anche se è comunque prevista la registrazione delle operazioni di smaltimento, o di conferimento a terzi di rifiuti che abbiano le caratteristiche richiamate, da tenere a disposizione degli organi di vigilanza e di controllo (quindi, sia il servizio sanitario nazionale, sia l'ANPA). Da quanto ci risulta (ma mi potrei sbagliare), anche se vi sono state varie riunioni, non vi è uno schema di decreto proposto dal Ministero dell'ambiente d'intesa col Ministero della sanità sulla specifica questione: è quindi un obiettivo che ritarda, anche se dobbiamo essere abbastanza tranquilli perché vi sono le norme del decreto n. 185 e della circolare; è però un adempimento che deve essere portato a termine.
L'altra questione che desidero porre non riguarda soltanto i rifiuti radioattivi: mi riferisco al regime dei controlli. La cronistoria è lunga e probabilmente la conoscete: per quanto riguarda il regime dei controlli, abbiamo avuto un cambiamento sostanziale, anche normativo, nel corso degli ultimi venti anni. Da una normativa per la quale il controllo della radioattività ambientale era quasi esclusivamente del Ministero della sanità, siamo passati ad un regime in cui questo controllo spetta all'ANPA. Il decreto n. 230, fra l'altro, prevede una serie di funzioni di controllo in capo al Ministero dell'industria (non so se propriamente o meno). Dal nostro punto di vista, possiamo rilevare che il regime per la specifica questione (ma forse anche per altre) ha avuto un cambiamento complessivo a cui però non ha corrisposto un miglioramento dei controlli. Questo è il problema che ci dobbiamo porre, non per ripercorrere vecchie strade ma eventualmente per imboccarne di nuove ed avere finalmente un regime dei controlli a garanzia del cittadino molto più efficace e meno frammentato di quanto sia attualmente.
Quando il regime dei controlli si frammenta tra vari organismi istituzionali (servizio sanitario nazionale, ANPA, presidi multizonali di prevenzione che ancora non sono diventati ARPA, quelli che sono già ARPA, ISPESL, vigili del fuoco per certe competenze, regioni), obiettivamente il quadro diviene molto dispersivo ed il controllo, soprattutto a carattere preventivo, non migliora. E' una riflessione che stiamo facendo e che vogliamo approfondire: essa riguarda in particolare la radioattività (per la quale vi è stato u radicale cambiamento) ma anche tutto il sistema della prevenzione.
Un'altra osservazione concerne il problema dei rifiuti nell'ottica del Ministero della sanità (che investe me in maniera specifica): sto affrontando, per esempio, il problema del trattamento dei rifiuti ospedalieri, anche alla luce del decreto Ronchi. Dovremmo avere la consapevolezza, e giungere quindi anche alla predisposizione di atti normativi conseguenti, della possibilità di garantire la massima sicurezza a cittadini e lavoratori, effettuando nel contempo azioni che producano un risparmio, per esempio per il servizio sanitario nazionale, attraverso lo smantellamento di alcuni interessi giganteschi. Mi riferisco, in particolare, alla problematica dei rifiuti ospedalieri ed alla necessità di prendere in considerazione e valutare opportunamente anche la possibilità che essi non debbano per forza finire tutti tra i rifiuti speciali; infatti, se opportunamente trattati, per esempio con la sterilizzazione, potrebbero prendere la via dei rifiuti assimilabili agli urbani, con abbattimento dei costi delle aziende sanitarie e forse anche rendendo qualche altro servizio alla collettività per quanto attiene alla trasparenza dei comportamenti. Ci sto lavorando e studiando, per cui è utile per me un confronto a tale riguardo.
PRESIDENTE. Ringraziamo il sottosegretario Bettoni per aver risposto, in modo non reticente, riconoscendo anche alcuni ritardi dell'amministrazione, ad alcune domande che avevo rivolto per iscritto al ministro Bindi e per averci dato anche altre informazioni. Ribadisco in modo formale la richiesta di mettere a disposizione della Commissione, appena possibile, i dati informatici sugli aghi di radio dell'Istituto superiore di sanità. Invito i colleghi che lo desiderino a porre domande.
GIOVANNI POLIDORO. Vorrei dal sottosegretario alcuni chiarimenti. Innanzitutto, le chiedo se tra i rottami metallici provenienti dall'est siano compresi anche derivati militari. Io penso di sì; penso che a questo riguardo siamo i primi in Europa e che, probabilmente, ci sia un canale legato allo smaltimento che sia conseguente agli accordi di disarmo siglati anche di recente, negli ultimi dieci anni, cioè negli anni del disgelo. La domanda, ed anche la riflessione, mi sono suggerite da questo flusso continuo dall'est dell'Europa; le chiedo se il ministero sappia qualcosa e se riteniate che sia il caso di approfondire la questione, poiché tale materiale può avere un carico di radioattività proprio per motivi legati all'uso che se ne è fatto.
In secondo luogo, se non ho capito male, si può avanzare l'ipotesi che lo smaltimento di oggetti di dimensioni piccole e, magari, numericamente non riconducibili ad un trattamento industriale sia assoggettato a centri di controllo pubblico.
PRESIDENTE. No, si faceva riferimento soprattutto alla questione degli utilizzatori nel caso di aziende utilizzatrici di piccole dimensioni.
GIOVANNI POLIDORO. Quindi, in quel caso, sono prevedibili dei centri di controllo pubblici?
PRESIDENTE. In astratto ci sono, nel senso che, come ricordava il sottosegretario, esistono le ARPA, che dovrebbero esercitare funzioni di prevenzione e controllo, là dove esistono.
GIOVANNI POLIDORO. Su questo vorrei soffermarmi, poiché credo si tratti di un problema su cui bisognerà riflettere molto e che anche i referendum non siano stati proprio una manna nell'individuare soluzioni adeguate. Infatti, prima vi erano anche centri di controllo di istituti nazionali, nei quali col tempo deviazioni e corruzione hanno abbattuto il livello di controllo; oggi, probabilmente, abbiamo eliminato la corruzione perché non ci sono più i controlli, quindi non esiste più il problema. Probabilmente sono parecchi i settori che hanno risentito di questa polverizzazione che, secondo le ipotesi di ulteriore decentramento di funzioni alle regioni e ad altri enti, potrebbe ancora peggiorare. Ritengo che questa sia un'altra questione che dovrà essere affrontata perché, come già ho avuto occasione di dire in altre sedi, non mi esalto per il federalismo di moda e credo che qualora entrassimo in dettagli di questo tipo la situazione mi impressionerebbe ancora di più.
Un altro problema, secondo me, legato a tale questione è quello della decisione dei famosi siti di smaltimento. Se la teoria di dibattiti, di confronti, di competenze e di rimozione di competenze dovesse ricalcare il metodo che abbiamo utilizzato per le discariche normali, cioè quelle dei residui urbani, che nessuno vuole, immaginiamoci cosa accadrà non per i rifiuti speciali, per i quali abbiamo ormai quasi rinunciato, ma addirittura per quelli radioattivi. E teniamo presente che stiamo parlando di una radioattività dichiaratamente minore perché, fortunatamente o sfortunatamente, noi non abbiamo centrali nucleari, quindi di una radioattività che con il tempo tende a diminuire. Vogliamo forse aspettare che decada per conto proprio?
Non vorrei che, sulla base della filosofia che porta a decentrare, decentrassimo quanto c'è di buono nello Stato, ciò su cui, magari, si può decidere insieme ai cittadini, per lasciare invece allo Stato un compito che, probabilmente, continuerà ad esercitare nei limiti in cui lo ha fatto finora, non utilizzando quasi mai i poteri sostitutivi. E, tuttavia, va riconosciuto che a volte li ha esercitati, mentre le regioni per parte loro non lo hanno fatto mai: non ho mai visto un presidente di regione indicare il sito di una discarica in sostituzione del sindaco o di altre autorità; sto aspettando di vederlo. E' un problema che si porrà ancora di più quando dovremmo decidere i siti di smaltimento di materiali che, nell'immaginario ed anche nella coscienza collettiva, sono i più pericolosi.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al senatore Lasagna mi permetto di fare alcune osservazioni. E' vero che in Italia si è fatto poco nucleare, comunque se ne è fatto, per cui quello dei rifiuti di bassa e media attività è un problema corposo, la cui esistenza la Commissione ha potuto constatare direttamente, ad esempio, nella missione compiuta a Soluggia, in Piemonte.
GIOVANNI POLIDORO. Non ne faccio una questione di nuclearismo o meno.
PRESIDENTE. Ciò che intendo precisare è che il nostro paese, benché non abbia avuto una grande attività di esercizio di energia elettronucleare, ha prodotto scorie di bassa, media ed altissima attività ed è anche aperto il problema di quello che ho definito il deposito provvisorio delle scorie di alta attività, con ciò riferendomi, evidentemente, proprio al combustibile che ancora è stoccato in alcuni siti del nostro paese.
Riguardo all'altra questione che lei pone, ricordo di aver già parlato del gruppo di lavoro che si è costituito e dei convegni che negli ultimi anni sono stati svolti proprio sul tema della normativa necessaria per avere una gestione di sicurezza pubblica non tanto e non solo della raccolta dei rifiuti radioattivi, quanto, ancora di più, della individuazione dei siti di deposito definitivi per la bassa e media attività, provvisori nel senso tipico delle radiazioni dei radionucleidi a lunga vita (per cui "provvisorio" significa centinaia di anni). Nel primo orientamento del gruppo di lavoro, contenuto nella proposta di articolato che sottoporremo alla Commissione prima di fornirla come contributo al Parlamento, i problemi da lei indicati sono ben presenti, nel seno che l'orientamento generale degli Stati che già hanno affrontato questo problema è quello di mantenere un controllo centrale di tutta la vicenda. Non a caso parlavo di un sito unico o, al più, di pochissimi siti nazionali: in primo luogo, perché non abbiamo bisogno di tanti siti; in secondo luogo, per il motivo da lei indicato. E' ovvio che non solo la qualificazione tecnica del sito, cioè gli aspetti geologici, morfologici del miglior confinamento geochimico delle scorie radioattive e le questioni di stabilità geodinamica devono servire a valutare il sito, ma anche le questioni di consenso, alle quali lei faceva riferimento. Da questo punto di vista, il federalismo non implica l'abdicazione di poteri che lo Stato deve mantenere: possono esistere, a mio modo di vedere, pochissime materie che lo Stato stabilisce di avocare a sé.
GIOVANNI POLIDORO. Queste rimarranno sicuramente!
PRESIDENTE. E' già stata discussa nella Commissione bicamerale la proposta che alcune materie molto delicate, appunto di tipo ambientale in senso lato ed anche relative ai beni culturali, restino dominio dello Stato.
ROBERTO LASAGNA. Quella che voglio formulare è una domanda molto semplice: come membri dell'Unione europea abbiamo dei termini di entrata, di limite o di controllo che la stessa Unione suggerisce? Immagino che paesi come la Francia o l'Inghilterra, che hanno un nucleare molto avanzato, dispongano di meccanismi di barriera di controllo dai quali noi potremmo, in qualche modo, imparare. La mia impressione è, infatti, che in questo momento l'Italia tenda ad essere un paese di facile conquista per materiale che altri riescono a rimandare al mittente con maggiore facilità, per il semplice motivo che hanno sviluppato tecniche che noi non abbiamo. Non so se valga la pena di chiedere a questi Stati di darci una mano; peraltro, credo che basterebbe che sette od otto tecnici visitassero le migliori scuole o le migliori aree di tecnologia. Ad esempio, gli stessi nuclei speciali dei carabinieri potrebbero apprendere tale tecnologia visto che noi - purtroppo o per fortuna, non voglio entrare nel dettaglio - non l'abbiamo. Questo non significa che non dovremmo avere la tecnologia delle barriere. L'Inghilterra e la Francia sono paesi molto più difficili da invadere per quanto riguarda il materiale radioattivo e la stessa Germania ha delle esperienze particolari. La mia è, dunque, una domanda-suggerimento.
PRESIDENTE. Quello delle barriere è un problema che, come ricordavo, ho già sollevato nei confronti del ministro dell'interno e del ministro delle finanze; non so quanto possa esserne coinvolta la sanità.
Sul piano della tecnologia sarei appena un poco meno pessimista di lei, perché proprio nel corso della visita a Saluggia abbiamo constatato che la tecnologia di condizionamento delle scorie radioattive ha ancora, in Italia, presìdi molto validi dal punto di vista tecnico-scientifico, anche se - ed è questa la denuncia che ci facevano - a seguito dell'uscita dal nucleare del nostro paese, in futuro sarà difficile trovare tecnici che abbiano il necessario know how.
Detto questo, rivolgo anch'io una domanda al sottosegretario a proposito della questione della sterilizzazione. Domando, cioè, se il Ministero della sanità sappia se esistano e siano funzionanti impianti di sterilizzazione e se non siano a conoscenza del ministero circostanze nelle quali sono state rilevate sterilizzazioni certificate in modo, per così dire, leggero o, se mi si permette il termine romanesco, fasulle. Abbiamo constatato, purtroppo, che l'illegalità pervade il settore dei rifiuti, per cui è legittimo il sospetto che anche nel settore della sterilizzazione, che il sottosegretario segnalava come uno dei più pericolosi, si possano verificare episodi di illecita classificazione o altro. Vorremmo sapere se il ministero sia a conoscenza di episodi del genere e se disponga di organi e di strumenti attraverso i quali esercitare il controllo.
ELISABETTA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. In merito alla prima domanda del senatore Polidoro non so rispondere. Personalmente penso che quello di "rottame metallico" sia un termine così generico da poter includere anche ciò cui il senatore faceva riferimento; però si tratta di una problematica che non abbiamo approfondito né possiamo approfondire come Ministero della sanità.
Riguardo alla questione dei controlli, sulla quale mi sono soffermata brevemente, raccogliendo le sollecitazioni che venivamo proprio dal senatore Polidoro, vorrei ricordare che è stato modificato il regime dei controlli sulla radioattività ambientale. Infatti, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 185, del 1964, che attribuiva al Ministero della sanità il controllo sulla radioattività ambientale e sugli alimenti, si è passati a successive disposizioni in cui tale controllo veniva comunque delegato alle regioni. E' venuta quindi a crearsi una situazione per cui, nel 1986, in conseguenza dell'evento Chernobyl, ci si rese conto di una carenza obiettiva del sistema di monitoraggio e di controlli in Italia. Conseguentemente, il ministero, anche sulla base delle circolari che aveva emanato, avvertì la necessità di un quadro di riferimento nazionale proprio rispetto ai punti più critici e più difficoltosi, quale quello della radioattività ambientale. Il 3 febbraio 1987, nacque quindi, in funzione delle esigenze locali, la Commissione nazionale delle radioattività ambientali, con il compito di monitorare l'attività delle regioni, di esaminare ed elaborare i dati provenienti dalle regioni stesse e anche, se necessario, di modificare i protocolli operativi e di fornire consulenza tecnica. Sulla base di tale Commissione furono costituiti 21 centri di riferimento, uno per regioni e province autonome, facenti capo alle USL di allora e aventi il compito del controllo della radioattività.
Dunque, un sistema programmato centralmente con dei bracci operativi a livello regionale, tant'è vero che il Ministero della sanità acquistò direttamente gli strumenti per questi centri, proprio per metterli in condizione di poter operare. Ed è anche grazie a questo che, in alcuni punti di frontiera, si è potuto affrontare in maniera più idonea il problema dell'importazione dei rottami metallici.
Nel 1994, il controllo sulla radioattività ambientale è passato all'ANPA, cui sono state affidate le funzioni di protezione dell'ambiente e i relativi controlli connessi all'uso pacifico dell'energia nucleare. La situazione si è poi ulteriormente ingarbugliata dal punto di vista legislativo, perché alcuni tipi di controllo sono stati demandati, dal decreto legislativo n. 230, al Ministero dell'industria.
Sarebbero forse necessari interlocutori più ampi al riguardo, però ritengo che il federalismo non possa significare una diminuzione del potere di controllo. Credo, anzi, che esso vada rafforzato nella parte preventiva, perché sarebbe tardivo se dovesse intervenire quando si è già scoperta la radioattività. Il problema è di riflettere per vedere in che modo, anche a proposito di altri settori, il controllo possa funzionare. Infatti, i presidi multizonali di prevenzione, che fino al 1994 erano organi delle unità sanitarie locali, avrebbero dovuto fungere, secondo la legge n. 61 del 1994, da bracci operativi delle agenzie regionali, ma queste ultime sono state costituite in numero assai limitato, per cui non sono operative.
GIOVANNI POLIDORO. Mi può spiegare meglio il riferimento al Ministero dell'industria?
MONICA BETTONI BRANDANI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Perché il decreto legislativo n. 230 del 1995 ha una serie di articoli, che prevedono anche funzioni di controllo, per esempio sui permessi autorizzativi per i siti, per la raccolta, eccetera...
GIOVANNI POLIDORO. Di concerto con altri organi?
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Diciamo che tutto il decreto n. 230 è pieno di "concerti", alcuni dei quali fanno capo al Ministero dell'industria. Credo, quindi, che si tratti, di fatto, di un'ulteriore frammentazione. Guardando la questione ai fini sanitari e ambientali, cioè a quelli a cui noi siamo più sensibili, possiamo dire che l'ulteriore frammentazione, che non ha assunto un corpo definitivo, sta diminuendo il potere, la capacità dei controlli.
PRESIDENTE. Diciamo che dal punto di vista della sanità dell'ambiente l'idea di una preminenza da parte del Ministero dell'industria crea, forse, qualche preoccupazione, perché, per certi aspetti, giustamente, questo ministero ha una cultura industriale. Si pone quindi il problema cui accennava prima il collega Polidoro, cioè del controllore controllato.
GIOVANNI POLIDORI. Mi è sembrato anche di capire che il rischio chimico biologico per la presenza di materiale radioattivo sia controllato - ex articolo 154 del decreto legislativo n. 230 - dal Ministero dell'ambiente. E' così?
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Sì.
GIOVANNI POLIDORO. Credo che anche questo sia improprio. Infatti, se vi è un aspetto sanitario su tutta questa materia, a me sembra che esso attenga all'accertamento del rischio chimico e biologico, che ritengo sia genetico. Che centra, dunque, il Ministero dell'ambiente? Non vorrei che si fosse usata una sorta di dosaggio, nel senso di fare un po' per ciascuno. Credo, invece, che questa sia una materia pertinente soprattutto al settore sanitario.
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Il fatto è che il decreto legislativo n. 230 risente ...
GIOVANNI POLIDORO. Di troppi concerti!
MONICA BETTONI, Sottosegretario di Stato per la sanità. Sì, ma su questo specifico settore va detto che anche la sanità ha storicamente considerato il problema di secondaria importanza (forse è anche da questo che è nato il referendum). A mio avviso, sono preminenti gli aspetti sanitari che vi sono nell'ambiente, ma l'esito referendario ha indicato al Parlamento la via da seguire, cioè di scorporare alcune competenze dal Servizio sanitario nazionale per passarle all'ambiente. Indipendentemente dal fatto se ciò fosse giusto o meno, si è creata una frammentazione delle competenze. Di questa situazione ha risentito la legislazione successiva, per cui tutto ciò che viene scaricato nell'ambiente è di competenza del Ministero della sanità e del Ministero dell'ambiente. Bisognerebbe quindi individuare, senza nessun problema di primato, un nuovo assetto rispetto a questa questione, cioè nuovi organismi, in cui siano presenti tutti coloro che devono esserci, che risultino più efficaci per la soluzione di un problema che noi avvertiamo molto e che credo avverta anche l'ambiente. Al riguardo, ci stiamo sforzando di trovare interrelazioni, anche forti, con il Ministero dell'ambiente. Però, cozziamo con competenze, adempimenti, frammentazioni, eccetera.
Credo, dunque, che siano questi i termini corretti in cui porre il problema. Ciò vale anche per la medicina del lavoro, nel senso che abbiamo la stessa problematica, dal momento che, mentre per una parte interviene il Servizio sanitario nazionale, per l'altra devono intervenire l'ANPA e le ARPA. Anche in questo caso, il sistema anziché rafforzarsi si è indebolito.
Per quanto attiene al problema della sterilizzazione, va detto, anzitutto, che per essere efficace deve essere idonea. Abbiamo motivo di ritenere che le tecnologie attuali siano, se utilizzate correttamente, idonee al raggiungimento del punto finale, cioè la sterilizzazione o l'internizzazione della carica batterica (è essenzialmente questo, infatti, il problema della sterilizzazione). Per come sono congeniate le competenze del Servizio sanitario nazionale, noi non abbiamo il monitoraggio delle certificazioni al riguardo, perché da tempo - dal provvedimento n. 833 - il sistema delle competenze è regionalizzato ed è divenuto poi, con la legge n. 502, aziendalizzato. Dunque, sono direttamente le aziende sanitarie che certificano e controllano. E anche in questo caso vi è il problema del controllore controllato. Quindi, noi non abbiamo la possibilità di rispondere direttamente alla domanda formulata prima dal presidente.
Invece, per quanto attiene alla domanda del senatore Lasagna, cioè se possiamo avvalerci di esperienze di altri paesi, credo che in Italia non vi sia il problema delle tecnologie e dell'uso che se ne deve fare. Anzi, oserei dire che in alcuni settori siamo anche avanzati dal punto di vista legislativo e delle competenze che abbiamo. Cito il tema dell'amianto, a proposito del quale nessun altro paese ha una legge come la nostra; ricordo anche la legge sull'inquinamento acustico, nonché gli studi sul settore che stanno andando avanti. La mia opinione è che in Italia, anche rispetto al quadro legislativo, è che si stenti a far camminare il sistema istituzionale in generale. Premesso che parlo per il settore che mi riguarda, cioè per quello della sanità, abbiamo infatti una buona legge sull'amianto, abbiamo emanato una serie di decreti attuativi che rappresentano un quadro di riferimento importante - ovviamente aggiornabile nel tempo -, ma dobbiamo registrare il fatto che mentre alcune regioni sono state abbastanza puntuali per i piani di bonifica, i censimenti, eccetera, altre non si sono invece poste questa problematica. Ed è proprio lì che abbiamo i problemi enormi delle risorse finanziarie, perché quando si ha a che fare con le questioni delle bonifiche ambientali rispetto a scelte fatte nel passato, vi sono enormi risorse da mettere a disposizione. Ripeto, è questo il problema che abbiamo, per esempio per l'amianto, e che probabilmente avremo per le onde elettromagnetiche, quindi radiazioni non ionizzanti, quando - mi auguro prossimamente - affronteremo la questione. Credo che questo problema, che forse avremo anche nel campo dei rifiuti, sia maggiore rispetto a quello delle competenze, anche se resta la necessità di ricomporre, in un quadro organico più efficiente e indirizzato al futuro, ciò che si è frammentato negli anni.
PRESIDENTE. Ringraziando nuovamente il sottosegretario per la sanità, senatrice Bettoni, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,55.