CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA
SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'
ILLECITE AD ESSO CONNESSE
21.
SEDUTA DI MARTEDI' 2 DICEMBRE 1997
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA
INDICE
Sulla pubblicità dei lavori. *
Audizione del sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. *
Audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia e del coordinatore del nucleo del Corpo forestale dello Stato di La Spezia. *
Audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti e dell'ispettore del nucleo operativo di Brescia del Corpo forestale dello Stato. *
La seduta comincia alle 12,30.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del sostituto procuratore della Repubblica di Velletri.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica di Velletri, dottor Giuseppe Patrone, che ringrazio per aver aderito al nostro invito.
Abbiamo chiesto di ascoltarla con riferimento ad un caso pendente presso l'ufficio del quale ella è titolare. In particolare, al centro della vicenda c'è l'azienda Colucci Spa, che a suo tempo ha ricevuto dall'amministrazione comunale di Anzio l'incarico per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Tale rapporto, al di là della qualità del servizio erogato, ha posto e continua a porre una serie di problemi sotto il profilo di quella che potremmo eufemisticamente definire la trasparenza di questa azienda, anche con riferimento a responsabilità di natura penale che credo siano state ricondotte ad alcuni componenti o titolari dell'azienda stessa. Si tratta, più in generale, di una vicenda che ha portato la procura di Velletri ad avviare un'inchiesta specifica.
Da lei, dottor Patrone, vorremmo acquisire un quadro generale sullo stato delle indagini e sulle prospettive ad esse collegate, tenendo conto che uno dei timori della Commissione, che emerge segnatamente in ordine a questo caso, è che la scarsa trasparenza possa costituire il luogo di coltura per traffici illeciti nei quali potrebbe inserirsi la criminalità organizzata.
Del resto, un monito in questa direzione è risuonato in quest'aula pochi giorni fa, in occasione dell'audizione del dottor De Ficchy. La stessa Commissione, tra l'altro, ha potuto appurare come la criminalità organizzata operante in certe realtà, nella fattispecie nel casertano(si tratta sicuramente del clan dei Casalesi, ma probabilmente non solo di esso), avverta in qualche modo l'efficacia dell'azione di contrasto e, quindi, tenda a spingersi nelle regioni e nelle provincie più vicine, in particolare verso Latina, Frosinone ed il Matese.
Lo stesso prefetto Musio, nel corso dell'audizione svolta davanti a questa Commissione, ci ha segnalato la vicenda di Anzio e della Colucci, e ci ha parlato di ventuno soggetti, che non abbiamo ben capito se trattarsi di dipendenti dell'amministrazione comunale, destinatari di avvisi di garanzia. Anche su questo punto gradiremmo ricevere un'informazione più esauriente rispetto a quella fornita dal prefetto Musio, il quale tuttavia ha avuto il merito di attivare l'attenzione e l'interesse della Commissione su questa vicenda.
Le do senz'altro la parola, informandola che, ove lo ritenesse opportuno, potrà chiedere in qualsiasi momento che le sue dichiarazioni siano sottoposte a regime di riservatezza.
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. I carabinieri di Anzio hanno denunciato ventuno persone le quali, a vario titolo, facevano parte del comune o della commissione giudicatrice dell'appalto per il servizio di rifiuti della città di Anzio. In particolare, sono state poste in essere irregolarità nel conferimento di tale appalto. Gli accertamenti effettuati per il tramite della polizia giudiziaria hanno portato ad enucleare una serie di comportamenti a nostro avviso illeciti in capo ad alcune delle ventuno persone denunciate dai carabinieri. Si tratta di irregolarità riferite a componenti della giunta ed a membri della commissione giudicatrice dell'appalto per il conferimento del servizio rifiuti.
I fatti risalgono al periodo compreso tra i mesi di giugno 1995 e gennaio 1996. Sulla base delle indagini svolte, abbiamo formulato ipotesi di reato che ora dovranno essere vagliate, nel momento in cui saranno concluse le indagini delegate ai carabinieri di Anzio...
PRESIDENTE. Lei ha detto che i fatti risalgono al 1995. Quando si è attivata la procura?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Nel 1996.
PRESIDENTE. Se non ricordo male, il prefetto Musio ha parlato del febbraio 1996.
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. In realtà, si tratta dell'aprile 1996.
PRESIDENTE. Vi sono problemi per quanto riguarda la richiesta di proroghe...?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. No, perché al momento si tratta semplicemente di procedere all'interrogatorio degli indagati, ai sensi della recente legge che ha modificato la disciplina del reato di abuso d'ufficio.
PRESIDENTE. Quindi, non vi sono problemi - diciamo così - con il giudice istruttore?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Assolutamente no. Si tratta, come dicevo, di verificare, anche alla luce della nuova disciplina prevista dall'articolo 323 del codice penale, se alcuni dei fatti per i quali abbiamo ravvisato la sussistenza dell'ipotesi di reato di cui alla vecchia formulazione dello stesso articolo continuino tuttora ad essere considerati illeciti penali. Il lavoro da fare, quindi, consiste nel verificare la compatibilità delle ipotesi di reato configurate con la nuova formulazione dell'articolo 323 e, di conseguenza, procedere all'interrogatorio degli indagati. Dopo di che, si stabilirà se rinviare a giudizio oppure procedere altrimenti.
Quanto agli indagati, non so se sia il caso di indicarne i nomi. Si tratta, ripeto, di ventuno persone ma i comportamenti illeciti non sono stati ravvisati nei confronti di tutti. Tra l'altro, queste persone non sono ancora a conoscenza...
PRESIDENTE. Questi famosi ventuno indagati hanno ricevuto avvisi di garanzia?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. No, perché non sono stati posti in essere atti che comportino l'emissione di un avviso di garanzia.
PRESIDENTE. Intende dire che le ipotesi di reato non sono tali da comportare l'avviso di garanzia?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Sì, perché gli atti processuali non sono riconducibili a quelli per i quali è prevista l'emissione dell'avviso di garanzia. Ovviamente, saranno informati, con invito a comparire, coloro che dovranno essere interrogati.
PRESIDENTE. In quale veste saranno interrogati?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. In veste di indagati. Quindi, chi vorrà, sarà interrogato, appunto, in veste di indagato.
PRESIDENTE. Per non interrompere il carattere pubblico di questa audizione, le chiediamo di fornire in un secondo momento alla Commissione l'elenco riservato dei nominativi delle persone indagate.
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Sarà sufficiente che ne facciate richiesta; il procuratore la esaminerà. Del resto, si tratta di una questione di correttezza nei confronti degli indagati i quali, formalmente, non sono ancora a conoscenza dell'inchiesta.
Le irregolarità riscontrate si riferiscono alla delibera di aggiudicazione dell'appalto del servizio di nettezza urbana, delibera adottata dalla giunta municipale di Anzio; in particolare, da parte nostra si assume che tale appalto sia stato affidato in violazione di uno dei requisiti previsti dal capitolato, riguardante la portata minima complessiva degli automezzi. Nella fattispecie, il capitolato di appalto richiedeva una portata minima complessiva di 800 quintali, riferita al parco automezzi. Tale requisito non è stato riscontrato per quanto concerne la ditta Colucci, per cui è questa una delle ipotesi sulle quali abbiamo lavorato.
Un ulteriore aspetto fa riferimento alle modalità di pagamento di quanto dovuto alla ditta Colucci per l'espletamento del servizio. Per il periodo luglio-agosto-settembre 1995, il comune di Anzio si è regolato nel senso di pagare le fatture in ragione del 70 per cento, cioè decurtando il quantum originariamente previsto, alla luce della presunzione che fossero individuabili mancanze della ditta nell'espletamento degli incarichi ad essa affidati. Successivamente, per liquidare il saldo di queste fatture (con riferimento, cioè, al restante 30 per cento) fu conferito un mandato, nonostante i servizi per i quali era avvenuta la decurtazione non fossero stati realizzati. In particolare, abbiamo rilevato come non sia stato quantificato il cambio di chilometraggio tra il momento della raccolta e quello della discarica. Originariamente, era stato previsto che i rifiuti fossero portati presso l'Inviolata di Guidonia; successivamente, fu stabilito che i rifiuti dovessero essere portati in località Sacira di Anzio. In sostanza, la differenza di chilometraggio non è stata conteggiata dal comune ai fini di una eventuale decurtazione.
Questo, per quanto riguarda le delibere degli amministratori della giunta. Sono state inoltre riscontrate irregolarità da parte della commissione giudicatrice per la valutazione tecnico-economica delle offerte per l'appalto del servizio di nettezza urbana. Anche in questo caso il riferimento è al requisito del tonnellaggio degli automezzi.
La SLIA, ditta concorrente della Colucci, che ha presentato ricorso al TAR per la sua esclusione, aveva proposto una portata di 890 quintali tra ottobre e maggio e di 1.130 quintali tra giugno e settembre, ma è stata esclusa con la motivazione di aver proposto una portata di 600 quintali. Tale motivazione non trova riscontro nella documentazione acquisita. Inoltre, l'appalto è stato attribuito alla Colucci quando questa ditta aveva proposto una portata complessiva di automezzi di 560 quintali; in sostanza, la Colucci aveva proposto una portata inferiore rispetto a quello della SLIA ma, ciò nonostante, le è stato conferito l'appalto.
Vi è poi un episodio relativo ad un funzionario del comune di Anzio il quale avrebbe inizialmente stabilito la decurtazione di una fattura, da pagare alla Colucci, in 47 milioni. Successivamente, il funzionario rideterminava la decurtazione nell'importo di 10 milioni, eliminando in toto dalla decurtazione originariamente proposta la parte relativa al mancato rinnovo del parco automezzi, quantificabile in circa 43 milioni.
Inoltre, per alcuni amministratori del comune di Anzio è stato ipotizzato il reato di concussione per presunti favoritismi nei confronti di quattro persone. In particolare, avrebbero richiesto alla Colucci, in cambio dell'aggiudicazione dell'appalto, l'assunzione di quattro operatori presso la stessa ditta.
In definitiva, sono questi i reati che l'ufficio presso il quale svolgo le mie funzioni ha ritenuto di ravvisare sulla base dell'informativa dei carabinieri di Anzio. Ora, si tratta di rivalutare alcuni di questi reati alla luce della nuova formulazione dell'articolo 323.
PRESIDENTE. La ringraziamo.
FRANCO GERARDINI. Il 1° febbraio 1996 un deputato del collegio di Anzio-Nettuno, Michele Caccavale, nel corso di un programma trasmesso da una emittente locale parlò di una storia non meglio precisata di tangenti collegata all'appalto vinto ad Anzio dalla ditta Colucci. In quell'occasione Caccavale fece anche riferimento ai viaggi a Napoli di un cittadino di Anzio il quale sarebbe tornato dal capoluogo campano con le valigie piene di denaro (furono proprio questi i termini in cui si espresse). La procura di Velletri ha mai ascoltato Michele Caccavale?
In un certificato antimafia inviato il 13 dicembre 1995 al comune di Anzio dalla prefettura di Napoli, protocollato in data 22 gennaio 1996, erano contenute alcune informazioni sulla ditta Colucci. In particolare, si rappresentava che, dagli accertamenti istruttori esperiti, era risultato che il presidente del consiglio di amministrazione, un certo Cesare Dironi, risultava indagato per violazione delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti, mentre a carico del consigliere Nicola Colucci pendeva, presso la procura di Napoli, un procedimento penale per peculato. A carico di Francesco e Pietro Colucci, fratelli di Nicola, risultavano inoltre pendenti, sempre presso la procura di Napoli, precedenti penali per abuso d'ufficio e, se non sbaglio, anche per corruzione e per corruzione aggravata per atto contrario ai doveri d'ufficio. Vorrei sapere se la procura di Velletri abbia avuto contatti con la procura di Napoli.
Inoltre, la procura di Velletri ha comunicato alla procura nazionale antimafia di aver avviato indagini sull'appalto dei rifiuti di Anzio?
Infine, vorrei sapere se la procura di Velletri abbia richiesto perizie sul ribasso offerto dalla ditta Colucci per l'aggiudicazione dell'appalto relativo alla raccolta dei rifiuti nel comune di Anzio e se abbia mai chiesto l'intervento della Guardia di finanza ai fini dello svolgimento dell'indagine.
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. L'onorevole Caccavale non è stato sentito perché i carabinieri, con riferimento all'informativa, avevano escusso persone presenti alla trasmissione televisiva, in particolare il figlio dell'editore dell'emittente locale presso la quale si era svolta l'intervista nonché la giornalista-intervistatrice, D'Amore Laura. Il fascicolo relativo alla trasmissione nella quale è intervenuto l'onorevole Caccavale è separato dall'indagine della quale stiamo parlando. Comunque, l'onorevole Caccavale non è stato ascoltato dalla procura.
Quanto al certificato antimafia, non ne so assolutamente nulla. Del resto, nell'informativa non era contenuto alcun riferimento a tale certificato, per cui la cosa mi giunge assolutamente nuova.
FRANCO GERARDINI. Il certificato è stato inviato al comune.
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Sì, ma non ce ne siamo occupati.
Non abbiamo fatto alcuna comunicazione alla direzione distrettuale antimafia ed alla procura nazionale antimafia in quanto non sono stati ravvisati reati che potessero interessare tali uffici.
FRANCO GERARDINI. E per quanto riguarda le perizie sul ribasso d'asta?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Non sono state espletate perizie sulla vicenda del ribasso d'asta.
FRANCO GERARDINI. Quindi, non è stato richiesto nemmeno l'intervento della Guardia di finanza?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Sto parlando del procedimento penale del quale sono a conoscenza. Non so se presso il mio ufficio vi siano altri fascicoli.
PRESIDENTE. Alla luce della modifica dell'articolo 323 del codice penale, disponete di elementi in base ai quali il suo ufficio possa ritenere che sussista un elemento soggettivo del reato sul quale state indagando?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Ritengo di sì, anche se - ripeto - si tratta di una valutazione che dobbiamo ancora fare. Non posso quindi essere categorico in un senso o nell'altro. A prima vista, direi di sì o, almeno, direi che vi sono elementi sufficienti per procedere ad una richiesta di rinvio a giudizio.
PRESIDENTE. Potrebbe indicarci una stima sui tempi?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Penso prima di Natale. Ovviamente, sulla decisione influiranno i dati che saranno acquisiti dagli interrogatori che ci accingiamo a svolgere.
PRESIDENTE. Quando si svolgeranno gli interrogatori?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Non sono stati ancora fissati. Speriamo di poterli svolgere prima di Natale. Tra l'altro, a Velletri abbiamo una situazione abbastanza particolare: siamo in due da parecchi mesi e non vi sono prospettive di integrazione imminenti. Ci occupiamo, peraltro, di reati sia di pretura sia di tribunale.
PRESIDENTE. Vi chiediamo di dedicare particolare attenzione alla vicenda.
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Senz'altro, presidente.
FRANCO GERARDINI. Il commissario prefettizio dottor Raffaele Bonanno, in un'intervista rilasciata al settimanale di Anzio "Il Granchio" il 28 marzo 1997, sosteneva che i numerosi addebiti mossi dal comune di Anzio alla ditta Colucci, addebiti da valutare soprattutto alla luce di inadempienze rispetto al capitolato di appalto, non erano stati notificati in modo regolare. Alla procura di Velletri risultano queste dichiarazioni?
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Assolutamente no.
GIANFRANCO SARACA. Vorrei sapere se la procura ritenga di dover ascoltare Caccavale sul grave episodio da lui denunciato, al fine di appurare opportuni elementi di conoscenza in ordine alla vicenda delle valigie di denaro che qualcuno avrebbe portato ad Anzio.
GIUSEPPE PATRONE, Sostituto procuratore della Repubblica di Velletri. Probabilmente il Caccavale sarà ascoltato, ma ripeto che si tratta di un fascicolo distinto da quello di cui mi occupo, che fa riferimento a questa informativa dei carabinieri di Anzio. Quindi, non posso essere più preciso.
PRESIDENTE. La ringraziamo.
PRESIDENTE. Nel salutare il dottor Franz e il dottor Castiglia, ricordo che la prima missione compiuta da questa Commissione d'inchiesta ha riguardato proprio la Liguria, e in particolare la grave situazione della discarica di Pitelli, nei pressi di La Spezia, a proposito della quale vi sono state numerose conseguenze di carattere giudiziario. Attesa la complessità di questo caso, vorremmo sapere come si sia evoluto il procedimento giudiziario e come sia avvenuto il passaggio degli atti dalla procura di Asti a quella di La Spezia. La Commissione ha istituito un gruppo di lavoro ad hoc sull'ipotesi di delitto ambientale, e quindi vorremmo cercare di capire le difficoltà che incontrano le indagini aventi ad oggetto un traffico illecito di rifiuti e una discarica sviluppatasi nell'illegalità e, purtroppo, anche nella corruzione, anche per comprendere quali suggerimenti normativi dare al Parlamento.
Vorremmo quindi una visione del percorso storico di questo caso e degli aspetti più rilevanti dal punto di vista giudiziario.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Presidente, mi scuso per non aver potuto partecipare all'audizione che si è svolta in luglio a La Spezia perché ero malato e sono stato sostituito dal collega Cardino.
Penso che sulla nascita dell'indagine possa essere più preciso il collega Tarditi, che l'ha iniziata ad Asti sulla base di notizie di reato collegate con il problema dello smaltimento di rifiuti prodotti in provincia di La Spezia. Da quella indagine, una volta verificate le ipotesi sia di truffa sia di triangolazione di rifiuti, è emersa successivamente tutta una serie di ipotesi di reato che ha fatto ipotizzare alla procura di Asti l'associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale e, successivamente, l'emissione di misure cautelari e, contemporaneamente a queste, il rilievo da parte del giudice per le indagini preliminari di Asti dell'incompetenza territoriale, almeno per una parte dell'indagine; così la procura di Asti ha provveduto a stralciare una parte dell'indagine e continua a procedere solo per uno dei tronconi dell'inchiesta, mentre ha trasmesso il resto a La Spezia. Circa un anno fa, proprio in questi giorni, mi fu perciò assegnato dal procuratore capo Conte questo fascicolo piuttosto complesso, la cui gestione ha richiesto e richiede un impegno notevole da parte sia mia sia degli organi di polizia giudiziaria che collaborano con me, cioè il Corpo forestale, il GICO di Genova e i carabinieri per quanto riguarda alcuni specifici accertamenti.
Durante l'ultimo incontro che ho avuto con il dottor Cottone, consulente della Commissione, spero di aver fornito una visione di insieme dello stato dell'arte dell'indagine. Attualmente sono in corso due incidenti probatori, mentre uno è già stato ultimato. Un incidente probatorio riguarda la necessità di sapere cosa c'è nella discarica di Pitelli, al fine di verificare soprattutto l'ipotesi di sussistenza o meno del reato previsto dall'articolo 434 del codice penale, cioè il disastro ambientale. Si tratta di un reato particolarmente problematico. Ho verificato che la Corte di cassazione si è occupata in non più di una decina di casi di questa ipotesi di reato.
PRESIDENTE. Ricorda di quali dei casi più noti all'opinione pubblica?
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Si è trattato sempre di fatti non attinenti al disastro ambientale, dato che l'articolo 434 riguarda anche altri tipi di disastro. Non ricordo di aver visto delle sentenze attinenti all'applicazione di questo articolo nell'ipotesi di una discarica.
PRESIDENTE. Pensavo non tanto alla questione rifiuti, ma alla fattispecie vera e propria di disastro ambientale: al profano può venire in mente il disastro della diga del Vajont, dovuto al crollo del monte Toc.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Nelle massime della Cassazione, però, si riproduce il principio giuridico applicato nel caso concreto ma non sempre è richiamato il fatto specifico: perciò non è sempre possibile risalire al fatto concreto che è stato oggetto della decisione della Corte di cassazione, anzi, in genere, ciò non viene massimato.
Un incidente probatorio riguarda l'accertamento della situazione per quanto riguarda la gestione della discarica di Pitelli. Sono emerse e stanno emergendo ipotesi di reato di violazioni specifiche della normativa ambientale, mentre è tutta da dimostrare - anche perché questo incidente probatorio è ancora in corso - la sussistenza del disastro ambientale, una fattispecie particolarmente complessa per la quale è necessario dimostrare la compromissione molto incisiva dell'ambiente. Ciò implica risvolti particolarmente problematici per quanto riguarda l'indagine penale, in quanto gli strumenti previsti nel codice penale, o comunque nella normativa speciale, per arginare gli illeciti in materia penale, sono abbastanza spuntati. Il grosso problema in cui mi imbatto è quello della prescrizione. Se il disastro ambientale fosse accertato, potrei risalire nel tempo, per quanto riguarda l'accertamento di fatti illeciti, agli inizi degli anni ottanta; se invece il disastro ambientale non fosse accertato, mi troverei di fronte alla possibilità di perseguire fatti-reato avvenuti soltanto negli ultimi tre anni, in applicazione della normativa ambientale così com'è attualmente.
Questo è un aspetto molto importante, perché se il disastro ambientale non viene accertato qualsiasi ipotesi di reato, anche accertata, anche avvenuta in precedenza, non sarebbe più perseguibile. E' questa la grossa tagliola che la magistratura incontra quando si occupa di questi reati: spesso cadono in prescrizione. Per sei anni ho lavorato alla procura presso la pretura e ho notato che spesso, soprattutto per reati contravvenzionali per i quali i termini di prescrizione sono molto brevi, il rischio che dopo i primi due gradi di giudizio si arrivi in Cassazione con il reato già prescritto è molto grande.
PRESIDENTE. Dottor Franz, non pretendo di dare veste giuridica alle considerazioni che farò, ma visto che si parla di disastro ambientale sarebbe bello se il buonsenso potesse coincidere con le definizioni giuridiche. Francamente, una situazione come quella della discarica di Pitelli, in cui per anni sono stati cumulati rifiuti di ogni natura, e in particolare tossico-nocivi, in un sottosuolo che presenta gallerie, che ha caratteristiche di permeabilità, dove è possibile inquinare le falde acquifere, dove sono stati violati i vincoli paesistici, dove il demanio militare si è inopinatamente trasformato in discarica, sembrerebbe suggerire che si possa parlare di disastro ambientale. Ma poiché lei ci ha fatto rilevare che, anche ricorrendo alle motivazioni contenute nelle sentenze della Corte di cassazione, è difficile configurare questa ipotesi di reato, vorremmo sapere perché vi sia una stridente contraddizione fra il senso comune e le previsioni dell'articolo 434 del codice penale.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Forse non mi sono spiegato bene. Non ho detto che nel caso in oggetto sia difficile. Dico che non ci sono molti precedenti e che la verifica della sussistenza di un disastro ambientale, e non di un inquinamento (perché esiste una normativa che colpisce quest'ultima fattispecie), comporta un salto di qualità fra l'inquinamento stesso, che può essere acustico, atmosferico, idrico o da rifiuti, e il disastro ambientale che, dal punto di vista giudiziario, è tutta da verificare. Nel caso in oggetto, ritengo che richiamare il buonsenso sia giusto, sono d'accordo con lei: ma come magistrato devo raccogliere tutta una serie di elementi probatori concreti.
PRESIDENTE. Ma supponiamo di voler far quantificare - e la magistratura ha la possibilità di avvalersi di consulenze tecniche - quanto sarà necessario per bonificare il sito e ripristinarlo. Quindi, non penso soltanto all'inquinamento, ma anche al cumularsi, in un sito ampio ma tutto sommato limitato, di una serie di fatti che hanno prodotto una situazione molto vicina all'irreversibile e hanno creato problemi colossali dal punto di vista della bonifica. Forse una misura del disastro ambientale può essere data da una perizia tecnica che renda chiaro quali procedure e quali tecnologie siano necessarie per smaltire e bonificare, e poi ripristinare il sito.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Nel corso delle indagini preliminari cerco di ricorrere nella minor misura possibile alle consulenze tecniche, perché se sono richieste da me, se sono di parte e non in contraddittorio con gli indagati, non possono essere inserite nel fascicolo del dibattimento, cioè non costituiscono una prova. La mia scelta è stata perciò quella di attivare degli incidenti probatori in contraddittorio, affinché i risultati ottenuti in questo modo entrino automaticamente nel fascicolo del dibattimento e facciano prova. Questo, secondo me, è un metodo corretto.
Tornando al discorso precedente, ho proposto al giudice per le indagini preliminari un quesito. In tale quesito avevo anche inserito l'accertamento di quanto sia necessario impegnarsi economicamente per risanare l'area. Il GIP ha ritenuto di non accoglierlo perché, secondo la sua valutazione (ed io non ho potuto fare altro che prenderne atto), non rientra nei quesiti che potevano essere posti in questo procedimento.
PRESIDENTE. Il giudice ha motivato questa decisione?
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Ha ritenuto che l'incidente probatorio è finalizzato esclusivamente all'accertamento della sussistenza del reato. La quantificazione del danno non rientra nell'ambito di questo accertamento. Ciò ha anche una logica. Nel nuovo codice di procedura penale la parte offesa è molto penalizzata: spesso, per avere un ristoro, deve ricorrere successivamente al giudice civile. Conseguentemente, questo è quello che è accaduto e non per cattiva volontà da parte del GIP. La parte offesa in questo caso è la collettività, che deve sostenere le spese causate dal danno ambientale, a meno che non siano aggredibili i patrimoni degli eventuali condannati.
Mi limiterò adesso a fare riferimento agli incidenti probatori che ho attivato e alla situazione in generale, riservandomi di rispondere poi alle domande dei parlamentari.
Il secondo incidente probatorio che ho attivato, e che è stato concluso, era quello relativo alla morte sospetta di un operaio che lavorava nella discarica, avvenuta però, se non sbaglio, nel 1984. In base all'indagine che abbiamo svolto, ricolleghiamo il decesso al fatto che la persona aveva maneggiato materiali particolarmente tossico-nocivi. Abbiamo chiesto la riesumazione del cadavere e lo svolgimento di analisi, ma i troppi anni trascorsi non hanno consentito di accertare con sicurezza le cause, o le concause, della morte.
Il terzo incidente probatorio, che è il più recente, è relativo alle irregolarità amministrative che abbiamo rilevato nei procedimenti autorizzatori della discarica. Dico per inciso che ho avuto una breve esperienza di lavoro in Sicilia. L'impressione che ne ho tratto è questa: mentre in alcune regioni d'Italia se si vuole costruire un palazzo lo si fa senza concessione edilizia, in altre si ottiene la concessione, cioè il provvedimento formale, ma quest'ultimo è viziato in tutta una serie di passaggi che rendono difficilmente accertabile l'illegittimità del provvedimento stesso. Lo stesso è accaduto nel caso di Pitelli. I provvedimenti formali ci sono e c'è tutta una serie di passaggi relativi ai procedimenti che si sono conclusi con il rilascio delle autorizzazioni, che hanno richiamato la nostra attenzione e che abbiamo individuato. Pertanto, ho ritenuto di chiedere, per circa una trentina di persone, di pubblici ufficiali, un accertamento tecnico relativamente ad alcuni atti, anche compiuti durante i procedimenti amministrativi, per verificare se erano legittimi o meno. Specifico che ho sempre avuto una certa allergia all'utilizzazione di una norma che anche il legislatore ha visto con sfavore, cioè l'articolo 323 del codice penale, concernente l'abuso in atti di ufficio. Ritengo invece di avere individuato ipotesi di falso ideologico: in alcuni passaggi, infatti, sono state dichiarate esistenti condizioni che esistenti non erano. Mi riferisco a compatibilità con il piano paesaggistico, compatibilità con il piano regolatore, esistenza di condizioni per l'apertura della discarica, compatibilità del forno inceneritore con la possibilità di trattare rifiuti che poi è stato abilitato a trattare. Attualmente, quindi, l'incidente probatorio è in corso nei confronti di una trentina di amministratori, al fine di accertare in contraddittorio eventuali violazioni di norme o dichiarazioni di falso nel corso dei procedimenti amministrativi che si sono dipanati negli anni.
Rilevo che anche in questo caso ci troviamo di fronte sempre allo stesso scoglio, quello della prescrizione. Ho analizzato gli atti emessi negli ultimi venti anni. Ho rilevato che gli atti più palesemente illegittimi sono stati compiuti tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, e perciò non sono più perseguibili. Devo appuntare il mio interesse esclusivamente sugli atti successivi ad una certa data, perché tutti gli altri sono scaduti in prescrizione. Inoltre, soprattutto per alcuni reati in Italia si concedono sempre le attenuanti generiche ad una persona incensurata. Pertanto, alcuni reati che avrebbero il limite di 10 anni, con la concessione delle attenuanti generiche vedono un restringimento drastico dei termini di prescrizione. Pertanto, esiste il pericolo che, se non nella fase delle indagini preliminari successivamente, questi comportamenti illeciti non possano essere perseguibili.
In sostanza, ritengo che i fatti più gravi siano avvenuti, per quanto riguarda la gestione selvaggia della discarica e gli atti amministrativi palesemente illegittimi, in un periodo che rischia di essere coperto dalla prescrizione.
PRESIDENTE. Vorrei sapere, dottor Franz, a che punto siano le indagini ed i provvedimenti giudiziari in cui sono implicati amministratori pubblici o pubblici funzionari. Lei ci ha peraltro di tre incidenti probatori: vorrei avere un'idea dei tempi.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. L'incidente probatorio relativo al filone della pubblica amministrazione che attualmente ci sta impegnando, e che ha portato anche all'emissione di alcuni provvedimenti cautelari, per esempio nei confronti di funzionari del Ministero della difesa, è formato da due tronconi. Non dico nulla che sia coperto dal segreto istruttorio.
PRESIDENTE. Poiché la seduta si sta svolgendo con il circuito audiovisivo interno in funzione, la prego di avvertirmi qualora ritenga di dover comunicare notizie riservate.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Ve bene. I due filoni si intersecano fra loro. Il primo è quello della documentazione relativa ad azioni che abbiamo rinvenuto durante le perquisizioni. Il secondo è quello del compimento degli atti illegittimi ai quali ho fatto riferimento per quanto riguarda l'incidente probatorio. I due filoni si intersecano in quanto spesso, almeno in parte, le persone indagate per falso in atto pubblico compaiono anche nella documentazione relativa alle dazioni. L'incidente probatorio che è stato attivato per quanto riguarda la pubblica amministrazione spero si possa concludere nel giro di due o tre mesi. Con la sua ultima azione avremo un quadro complessivo su eventuali irregolarità commesse dalla pubblica amministrazione nei rapporti con Duvia e gli altri gestori della discarica di Pitelli.
PRESIDENTE. Il rischio della prescrizione per la parte riguardante i pubblici amministratori o i pubblici funzionari in che misura sussiste?
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Sia il reato di corruzione sia quello di falso in atto pubblico hanno tempi prescrizionali non particolarmente lunghi. Attualmente l'incidente probatorio riguarda ipotesi di falso commesse dal 1985 in poi. Secondo me quelle più macroscopiche appartengono ad anni precedenti, ma era inutile che mi attivassi per ipotesi di reato già prescritte.
Direi che nel giro di qualche mese dovrebbe essere compiuto un accertamento in contraddittorio su eventuali irregolarità, che ancora non vogliono dire reato: un pubblico ufficiale può dire di aver sbagliato per dimenticanza, perché quel giorno aveva sonno, perché ha visto la carta sbagliata. Insomma, vi è tutta una serie di giustificazioni, anche se ritengo che alcune falsità siano talmente macroscopiche che non si possano commettere in buona fede, tanto più quando si intersecano con eventuali dazioni. Pertanto, credo di poter avere un quadro complessivo nel giro di qualche mese. Ritengo che in qualche mese il settore delle collusioni presso la pubblica amministrazione in senso lato dovrebbe risultare abbastanza chiaro. Il fenomeno presenta comunque caratteristiche di polverizzazione, nel senso che Orazio Duvia teneva una contabilità molto precisa relativamente alle dazioni, anche di quelle di minima entità, ma c'è una polverizzazione delle dazioni. Si intuisce che le dazioni più importanti non compaiono nella contabilità, mentre sono presenti soltanto quelle a funzionari di livello medio-basso.
Quanto più le somme diventano consistenti, tanto più è omessa l'indicazione dei nomi, sostituiti da una sigla o da un'indicazione che, senza l'aiuto dell'interessato, non permettono di risalire al percettore della somma di denaro.
PRESIDENTE. Ingenuamente, si potrebbe essere indotti a ritenere che a queste sigle corrispondano persone le quali, avendo ottenuto una moneta di corruzione più elevata, abbiano - come si suol dire - un maggior peso. Appare infatti del tutto naturale una proporzionalità tra l'offerta corruttiva ed il peso che una persona può esercitare.
Dalle intercettazioni telefoniche viene fuori il nome di un ministro, che noi ovviamente non faremo, considerato che siamo in seduta pubblica. Tuttavia, pur evitando di fare nomi, credo si possa senz'altro chiedere al dottor Franz di sapere se siano stati effettuati accertamenti con riferimento a questo caso.
PRIMO GALDELLI. Si tratta di un ministro in carica?
PRESIDENTE. Si tratta di un ministro. Comunque, onorevole Galdelli, i commissari possono consultare i documenti sottoposti a regime riservato e, quindi, acquisire l'informazione che mi ha appena richiesto.
Dicevo prima che vorremmo sapere a quale livello di sviluppo sia giunto l'accertamento in ordine a questa specifica vicenda. Non sto ipotizzando necessariamente un rapporto tra corruzione e ministro, ma sta di fatto che il nome del ministro è venuto fuori. Gli accertamenti giudiziari in corso hanno consentito di fare passi ulteriori? Ovviamente, dottor Franz, ove lo ritenesse opportuno, può chiedere in qualsiasi momento che si proceda in seduta segreta.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Gli accertamenti relativi alla pubblica amministrazione sono ancora in corso.
PRESIDENTE. Per quanto riguarda il caso specifico, si potrebbe valutare anche l'ipotesi di attivare il tribunale dei ministri.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Qualora emergessero elementi, mi atterrei chiaramente alle disposizioni di legge.
PRESIDENTE. Dalla sua risposta si ricava implicitamente che non sono emersi elementi tali da configurare la possibilità di un ricorso al tribunale dei ministri.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Allo stato, no.
PRESIDENTE. La ringraziamo, anche per la documentazione che ha voluto fornirci.
Do senz'altro la parola al dottor Castiglia.
BENITO CASTIGLIA, Coordinatore del nucleo di La Spezia del Corpo forestale dello Stato. Il dottor Franz ha efficacemente illustrato lo stato delle indagini. Da parte mia, mi limito a considerare che il fascicolo relativo alla vicenda è stato organizzato in maniera interessante e nuova, tale da indurci a ritenere che possa essere presupposto per interessanti sviluppi nel complessivo ambito della repressione dei reati ambientali.
In sostanza, abbiamo proceduto alla informatizzazione di tutti gli atti, utilizzando un programma acquistato dal Ministero di grazia e giustizia, derivato di Access, un data base di organizzazione dei dati.
Abbiamo svolto un consistente lavoro iniziale; come certamente saprete, nel settore informatico vi è una fase di inerzia iniziale dalla quale tuttavia derivano immensi vantaggi in un momento successivo, così come sta accadendo per noi. Come polizia giudiziaria, abbiamo a che fare con un'enorme mole di atti cartacei; in tale contesto, disporre di uno strumento informatico che possa consentirci di arrivare alla sintesi di determinati risultati, rappresenta indubbiamente una grande agevolazione.
Dicevo che il fascicolo è stato informatizzato, nel senso che sono stati caricati tutti gli atti: quelli disponibili in floppy sono stati caricati con le normali procedure; altri su supporto cartaceo sono stati scannerizzati e poi inseriti, per cui abbiamo realizzato l'informatizzazione complessiva del fascicolo che ci permette, nel momento in cui ad esempio inseriamo nominativi di società o di persone, di avere in pochi secondi l'elenco degli atti che si riferiscono ai nominativi segnalati, di estrarre il cartaceo e di realizzare tutti i collegamenti possibili.
Sottolineo questi aspetti perché in questo tipo di attività investigativa bisogna cercare di cogliere tutti gli aspetti occulti. Fondamentalmente, ci siamo trovati di fronte ad una struttura a scatole cinesi, soprattutto con riferimento alle società che si avvalgono di prestanome titolari di quote societarie; tutto si gioca in passaggi nei quali appaiono quote societarie gonfiate e prestanome di personaggi occulti, per cui l'unica possibilità di arrivare a ricostruire le gerarchia ed i poli di potere che presiedono al traffico di rifiuti è legata alla disponibilità di banche dati efficienti, in modo che, inserendo i nominativi, sia possibile risalire ai veri titolari di società o, almeno, a quelli che le gestiscono, al di là di qualche nome di rappresentanza.
La creazione di una banca dati, in definitiva, consente di essere sicuramente più incisivi nell'attività di repressione di questo tipo di reati: l'obiettivo è di rendere maggiormente interconnesse le indagini e di permettere alle procure e agli investigatori di avere un maggior interscambio di informazioni. E' questa la chiave del discorso. Se, ad esempio, a La Spezia, stiamo indagando su determinate società e su vari traffici, non è escluso che a pochi chilometri di distanza, a Livorno, gli stessi soggetti abbiano aperto altre società con nomi diversi. Lo scambio di informazioni è quindi fondamentale se si vuole scardinare un sistema strutturato nel modo che tutti conosciamo.
PRESIDENTE. La ringraziamo per le preziose informazioni sulla struttura informatizzata alla quale sicuramente accederemo, visto che la Commissione rivolge l'interesse della sua attività di inchiesta soprattutto ai traffici illeciti e, quindi, alle composizioni societarie di vari soggetti per i quali abbiamo già avuto modo di acquisire elementi in merito alla loro correttezza.
Vorrei ora affrontare il problema dei traffici illeciti a livello internazionale. La Spezia è stata - e forse continua ad essere - un punto nodale per i traffici illeciti di vari tipi di rifiuti. Vorrei sapere se l'inchiesta in corso abbia portato ad acquisire elementi in questa direzione.
GIOVANNI POLIDORO. Ho posto più volte un problema rispetto al quale, pur avendo acquisito l'opinione di diversi interlocutori, non sono ancora riuscito ad acquisire elementi di chiarezza. Anche a voi, pertanto, chiedo di sapere se l'organizzazione nazionale od internazionale sia in qualche modo sovrapposta, legata o coincidente con la criminalità organizzata di stampo mafioso e camorristico oppure se, dalle impressioni e dai dati di cui disponete, la situazione sia di tutt'altro tipo.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Vanno considerati due livelli. Il primo attiene ad indicatori che possono non aver rilevanza per il processo penale, nel senso che potrebbe trattarsi soltanto di indizi o di punti di partenza. Sicuramente, però, alcuni degli indicatori che stiamo rilevando nel corso delle indagini ci dicono che quando si parla di traffico di rifiuti, soprattutto tossico-nocivi, i collegamenti con organizzazioni vicine alla criminalità organizzata esistono ed emergono. Altra cosa è passare da questi indicatori alla prova di atti illeciti realizzati in collusione con persone facenti parte organicamente della criminalità organizzata.
Sul primo aspetto, non posso che pronunciarmi affermativamente, nel senso che vi sono elementi che attestano...
GIOVANNI POLIDORO. Che tipo di elementi?
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. Il business dei rifiuti tossico-nocivi in Italia non è polverizzato, nel senso che ci sono società e personaggi che ricorrono spesso e che spesso ritroviamo in diverse compagini sociali, con ruoli specifici (ad esempio, amministratori) oppure legati a partecipazioni, magari realizzate attraverso prestanome. Il solo fatto che all'interno della compagine vi sia una persona può portare ciascuno di noi a svolgere una serie di considerazioni. E' evidente, tuttavia, che tali considerazioni hanno necessità di uno sviluppo ulteriore finalizzato a verificare se queste persone abbiano realmente posto in essere atti illeciti.
PRESIDENTE. Vorrei sapere, da questo punto di vista, se l'inchiesta in corso abbia portato a configurare ipotesi di reati associativi.
SILVIO FRANZ, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia. E' stato ipotizzato il reato di associazione per delinquere, ai sensi dell'articolo 416 del codice penale, non quindi del 416-bis. Stiamo lavorando con il GICO di Genova, il nucleo della Guardia di finanza che opera prevalentemente con riferimento alla criminalità organizzata, e siamo in diretto contatto con la procura distrettuale antimafia di Genova per verificare se esistano estremi concreti per configurare un'ipotesi di reato diversa. Se così fosse, si porrebbe anche un problema di competenza diversa. Mantengo sistematicamente contatti con la distrettuale di Genova ed ne ho avuti anche con la procura antimafia nazionale. Nel momento in cui dovessero emergere elementi tali da far individuare un coinvolgimento concreto delle organizzazioni criminali nei fatti di La Spezia, ciò comporterebbe scelte obbligate a livello operativo e di competenza.
PRESIDENTE. La ringraziamo.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti, dottor Luciano Tarditi, e dell'ispettore del nucleo operativo di Brescia del Corpo forestale dello Stato, Gianni De Podestà.
L'audizione è dedicata non alle molteplici inchieste che gravano sull'ufficio del dottor Tarditi quanto ad una specifica inchiesta, oggetto di attenzione anche nella precedente audizione con il dottor Franz, riferita ad una complessa vicenda giudiziaria che ha avuto origine da un'iniziativa della procura presso la pretura di Asti e che, in considerazione dei dati emersi e delle competenze territoriali venutesi a configurare, è stata attribuita alla procura di La Spezia.
Chiediamo quindi al dottor Tarditi di prospettarci una ricostruzione della prima parte di questa vicenda. Il dottor Franz ci ha parlato delle difficoltà connesse alla configurazione dell'ipotesi del reato di disastro ambientale, riferendosi ad un incidente probatorio in ordine al quale il GIP ha respinto valutazioni di carattere quantitativo sul danno ambientale (per essere molto chiari, il riferimento è al costo della bonifica della discarica di Pitelli). Si tratta sicuramente di un quadro investigativo molto complesso, del quale vorremmo acquisire una sintetica ricostruzione, insieme alle sue valutazioni di ordine giudiziario e legislativo.
LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. Le indagini hanno preso avvio nella fase successiva all'alluvione del 1994 che colpì il basso Piemonte e, in particolare, l'astigiano, con specifico riferimento allo smaltimento dei rifiuti alluvionali. L'indagine coinvolse le responsabilità di una ditta, la ISA Srl, che è stata inquisita e in ordine alla quale in questi giorni ho formulato richieste di rinvio a giudizio in relazione a truffe riconducibili, appunto, allo smaltimento di rifiuti alluvionali. Si tratta di un procedimento penale diverso da quello ricondotto a La Spezia, nell'ambito del quale individuammo contatti della ISA con la discarica di Pitelli e la società che la gestiva. Nel corso di un'altra indagine, sempre riferita alla ISA acquisimmo collegamenti tra la ATI e la SDM di Pioltello (Milano), che curava il ritiro dei rifiuti ospedalieri presso diverse USL del Piemonte e della Lombardia, rifiuti conferiti, in parte, al forno inceneritore di Pitelli. L'interesse per questa realtà, quindi, cominciò ad essere motivato dai presupposti ai quali ho accennato.
Successivamente fu avviata l'indagine che radicò il processo penale, in parte trasferito alla procura di La Spezia. In particolare, individuammo un traffico di rifiuti che partiva dal consorzio per la raccolta dei rifiuti solidi urbani di La Spezia (CONIR). Nella fattispecie ci risultò una situazione per cui una quantità di RSU era destinata alle discariche del Piemonte e del torinese, in flagrante e patente violazione della normativa che vietava l'arrivo di rifiuti solidi urbani da altre regioni.
Il meccanismo attuato era quello solito del cosiddetto giro bolla e delle false fatture connesse, con riferimento particolare all'assunzione che un centro di stoccaggio ubicato ad Asti, di tale Fasano, effettuava in relazione a trattamenti e lavorazioni e prelievi di parti di RSU, di talché gli stessi venivano trasformati in assimilati e, con questa veste, potevano poi essere depositati nella discarica di Beinasco ed in altre.
Come è evidente, si tratta di reati - per così dire - insoliti che, in via interpretativa, abbiamo cercato di rendere sanzionabili riconducendoli a fattispecie di competenza del tribunale, posto che dietro ogni giro bolla falso esiste una fattura in tutto o il parte falsa riferita a lavorazioni non avvenute.
Nell'indagare sulla provenienza di questi rifiuti e sulle società che li trasportavano, incappammo nella Ipodec, che risultò essere una delle società facenti capo a Duvia.
PRESIDENTE. Dottor Tarditi, qualora ravvisasse l'opportunità di procedere in seduta segreta, la pregherei di comunicarlo alla presidenza.
LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. D'accordo, presidente.
Imbattendoci in una delle società del Duvia, iniziammo a lavorare sulle utenze telefoniche, fatto che ci veniva consentito dalla configurazione del reato di associazione a delinquere, in quella fase finalizzato all'emissione di fatture per operazioni in tutto od in parte inesistenti. Questa circostanza ci consentiva di operare avvalendoci dell'intercettazione telefonica, mentre non ce lo avrebbe consentito la semplice configurazione del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, in considerazione del limite previsto dalla legge. Soltanto avvalendoci della contestazione di associazione per delinquere, quindi, abbiamo potuto attivare lo strumento delle intercettazioni telefoniche, assolutamente indispensabile per effettuare un'inchiesta che, in una situazione come quella descritta, potesse risultare adeguata.
Individuammo che le utenze della Ipodec erano le stesse della Contenitori trasporti, ossia della società base, del nucleo duro dell'impero finanziario di Duvia, posto che, oltre a raggruppare e controllare decine di società che seguivano il ciclo di rifiuti in tutte le fasi operative, comprese le bonifiche, era anche la società proprietaria del sito di Pitelli, affidato in gestione - sostanzialmente, si trattava di affitto di azienda - dalla Sistemi ambientali. Riguardo a quest'ultima, gli accertamenti ci consentirono di appurare che la stessa aveva un pacchetto azionario significativo nelle mani del Duvia.
Fino a poco tempo prima un pacchetto significativo era stato anche nelle mani di Di Francia e di altri personaggi inquisiti per 416-bis nell'indagine della direzione distrettuale antimafia di Napoli. Mi riferisco all'operazione Adelphi riguardante Perrone Capano e altre cento persone. Questo fatto ci mise in allarme.
Pertanto, tramite le intercettazioni, ci ponemmo in ascolto. Furono ascoltate 11 mila conversazioni, 300-350 delle quali erano a nostro avviso ampiamente significative del fatto che presso quel sito non solo erano avvenuti fatti penalmente rilevanti ed estremamente gravi erano avvenuti, ma avvenivano ancora, in quanto sentivamo che si sviluppava in modo costante il fenomeno del giro-bolla, delle falsificazioni, della richiesta ai funzionari responsabili di certificazioni compiacenti anche per truccare eventuali altre gare cui ditte del sistema italiano dei rifiuti erano interessate. Il quadro era veramente impressionante.
Nel frattempo, con estrema difficoltà, ma grazie al rarissimo spirito investigativo dimostrato dagli appartenenti al Corpo forestale di Brescia, e segnatamente dall'ispettore De Podestà, si riuscì ad ottenere la rottura dell'omertà nell'area spezzina, che aveva contraddistinto tutte le attività in qualche modo inerenti al fenomeno discariche della zona, in cui in pochi chilometri quadrati sono concentrate otto discariche, quattro in esercizio e quattro dismesse. Inoltre, un fianco della discarica di Pitelli si appoggia alla polveriera della marina, e anche questa circostanza suscitò in noi qualche perplessità.
Rompendo il muro dell'omertà, del silenzio e del condizionamento (e uso queste parole con cognizione di causa), ottenemmo verbali in cui impiegati, altri dipendenti e operai della Contenitori e trasporti alle dirette dipendenze di Duvia parlavano di interramenti illeciti avvenuti per tutti gli anni settanta e ottanta, e certamente fino al 1992, anno in cui il Duvia cedette la società alla Sistemi ambientali, conservando una quota di questa società, anche per evitare, come disse egli stesso, di essere truffato dai nuovi soci; ovviamente, mantenne la titolarità, cioè la proprietà del sito. Raccogliemmo almeno tre o quattro deposizioni che ci indicavano i luoghi precisi di interramento, anche con fotografie che furono scattate sul posto. Nel corso della prima parte dell'indagine non sequestrammo l'intera discarica, ma solo poche decine di metri quadrati in quattro o cinque punti precisi, proprio perché eravamo sicuri di quali fossero i punti per i ritrovamenti. Alcuni erano nel corpo della discarica e altri no. I primi erano i più difficili da raggiungere, perché nel frattempo erano stati costruiti sopra almeno quattro piani di discarica: i rifiuti più pericolosi, terribili, che sono in fondo non sono raggiungibili in questo momento. Quelli raggiunti facilmente furono i rifiuti che erano stati coperti da manti di cemento e sui quali erano stati sistemati gli uffici operativi della Sistemi ambientali: infatti, diverse baracche furono successivamente rimosse.
A questo punto, all'esito dell'ascolto delle intercettazioni e di deposizioni precise ed univoche, alla contestazione di cui ho parlato prima si aggiunse quella di associazione a delinquere finalizzata a disastro ambientale. Questa fattispecie, prevista dall'articolo 434 del codice penale, a mio parere non può essere invocata a destra e a manca, dato che non ci si possono inventare le cose se non esistono i presupposti. Ma ripeto che, nel caso di specie, se c'è un'ipotesi da prendere in considerazione ai fini dell'applicazione di questo articolo è proprio quella della discarica di Pitelli. E' sufficiente recarsi sul posto, vedere alcune fotografie, osservare gli edifici a 10 metri dai muri di contenimento della discarica per iniziare a chiedersi come sia stato possibile dare le concessioni edilizie: la risposta potrebbe essere che, dato che la zona è così danneggiata dalla devastazione ambientale, non si è ritenuto opportuno colpire i cittadini anche nelle possibilità edificatorie, ma le conseguenze di questo non sono affatto piacevoli.
La configurazione si radicava ulteriormente in relazione al fatto che era provato in atti che vi era stata la copertura di un rio di scolo. Inizialmente - come si può vedere dalle fotografie - esso era piuttosto lontano dalla discarica, ma a mano a mano che questa si espandeva, il rio è stato prima avvicinato e poi definitivamente coperto. Dati raccolti dalle USL del posto rivelano che i valori di BOD e COD nel 1993, cioè quando la discarica era già passata di mano dal Duvia alla Sistemi ambientali di Motta, Polotti e altri, erano enormemente superiori al consentito. Questo fatto ci consentiva, nel momento investigativo dell'indagine preliminare, di enucleare con tranquillità questo addebito, che invece non si può tranquillamente enucleare ogni volta che in un sito abbandonato...
PRESIDENTE. Dopo questo quadro impressionante, l'addebito specifico a cui fa riferimento a quale articolo si collega?
LUCIANO TARDITI, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. All'associazione a delinquere finalizzata alle fatture false si aggiunge quella finalizzata al disastro ambientale. Articolo 416 (associazione a delinquere) in relazione al 434, cioè il disastro ambientale. L'articolo 434 del codice penale è del seguente tenore: "Chiunque, e fuori dai casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di costruzione o di parte di essa ovvero un altro disastro...". E' attraverso questo passaggio residuale dell'"altro disastro" che, in dottrina e in giurisprudenza, si è cercato di usare il cavallo di Troia di un reato di competenza del tribunale per cercare di colpire queste situazioni.
Vi è poi l'articolo 439, che riguarda l'avvelenamento di acque o di sostanze alimentari, che contiene profili anche più gravi di quelli del 434. Anche questa è un'ipotesi che si può senz'altro fare.
PRESIDENTE. Quindi, per quanto riguarda le sue indagini, lei si richiama all'articolo 434; però suggerisce anche l'ipotesi di cui al 439.
LUCIANO TARDITI, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. Sì, ci può stare benissimo. Dobbiamo considerare la tempistica dell'indagine, che si è basata prevalentemente sulle intercettazioni telefoniche e sull'acquisizione di testimonianze. Quando il quadro ci è sembrato abbastanza consistente, abbiamo proceduto ad una serie di misure cautelari. Abbiamo iniziato gli interrogatori, ma come era diritto degli indagati è stata subito eccepita l'incompetenza territoriale, in uno con il ricorso al tribunale del riesame. Pertanto, nell'operare le misure cautelari, sapevamo di avere tempi strettissimi in cui muoverci. Cercammo perciò di compiere il massimo di attività in quel momento, perché non ci era ignoto che, almeno per una parte della vicenda, poteva essere fondata l'eccezione dell'incompetenza territoriale. Ciò non vincola assolutamente l'operato del pubblico ministero e del giudice, che può benissimo intervenire in azioni rispetto alle quali è incompetente, anche in relazione all'emissione di misure cautelari, salvo poi trasmettere gli atti al giudice competente, che ha 20 giorni di tempo per reiterare le misure cautelari, avvalendosi del lavoro del collega per mantenere gli imputati in stato di detenzione, fatto che nella fattispecie a La Spezia è avvenuto.
Dicevo che l'articolo 439 potrebbe essere benissimo invocato, però quando il procedimento è iniziato non avevamo fatto rilievi e analisi, e quindi non si poteva sostenere che vi fosse avvelenamento di acque. Ci sembrava fortemente radicata l'imputazione di disastro ambientale in base alle deposizioni testimoniali, nell'ambito delle quali era stato detto che erano stati versati materiali provenienti, per esempio, da hangar dell'Alitalia dell'aeroporto di Fiumicino. Questi sversamenti selvaggi erano avvenuti in un'area densamente abitata. Procedemmo quindi con le misure cautelari. Si ebbe giusto il tempo di procedere all'interrogatorio che, ex articolo 294, deve essere fatto dal GIP entro i 5 giorni successivi all'esecuzione della misura cautelare (tali misure erano 11), che subito furono sollevate le questioni di competenza. Fummo così costretti a fotocopiare metri cubi di carte da mandare al tribunale del riesame.
Nel frattempo, per operare con agilità e disporre di un supporto tecnico a ciò che andavamo assumendo, come pubblico ministero ritenni di avvalermi della consulenza tecnica del dottor Sommaruga, che aveva esperienza in materia. Lo ritenni uno strumento indispensabile ed inevitabile in quella fase.
PRESIDENTE. Il dottor Sommaruga è lo stesso tecnico cui ricorse la procura di Monza per le indagini connesse all'inquinamento del sottosuolo dovuto alla ex ACNA di Ceriano Laghetto?
GIANNI DE PODESTA', Ispettore del nucleo operativo del Corpo forestale dello Stato di Brescia. Sì, confermo che si tratta del dottor Giampaolo Sommaruga che si è occupato delle indagini relative all'inquinamento dovuto all'ex stabilimento dell'ACNA, poi divenuto BASF.
LUCIANO TARDITI, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. La sua professionalità mi fu sottolineata dai miei collaboratori, e infatti ne ebbi subito conferma.
Quindi, consegnai gli atti, a seguito delle pronunce di incompetenza territoriale per una parte dell'indagine fatte dal GIP del tribunale di Asti, dottor Lari, e dal tribunale per il riesame di Torino, che osservò che le misure che erano state emesse erano annullate non perché non esistessero i presupposti, ma perché l'indagine era già completamente finita: c'erano prove schiaccianti e sostanziali ammissioni (che invece in parte c'erano e in parte no). Ciò che avrei voluto fare in quella fase e che non ebbi il tempo di fare era non solo interrogare - come in effetti feci, in gran fretta - ma anche sfruttare l'enorme patrimonio investigativo derivante dalle intercettazioni telefoniche. Ricordo che avevamo diviso le intercettazioni in base agli imputati. Chiedemmo la loro versione, ma anche quella degli interlocutori dall'altra parte del filo: è questo il sistema ideale per cogliere eventuali contraddizioni e far emergere altre realtà. Ma purtroppo non avemmo questa possibilità, perché le misure cautelari erano della metà di ottobre, il fascicolo e le pronunce della metà di novembre e il 23 novembre già portai i primi atti al GIP di La Spezia, che doveva pronunciarsi sulle varie istanze di rimessione in libertà degli indagati. Il 30 novembre vi fu un incontro informale tra il procuratore capo di La Spezia, dottor Conte, il procuratore di Asti, dottor Sorbello, e me, che si tenne nei pressi di La Spezia. Il 6 dicembre consegnai formalmente al dottor Franz, nel frattempo designato titolare dell'indagine, le carte del processo.
Ho detto che era assai importante l'attività di confronto e di esame testimoniale, che apprendo essere fatto attualmente, mentre a nostro avviso avrebbe dovuto avvenire prima.
Ho parlato degli sviluppi del filone concernente la pubblica amministrazione. Questo è il secondo aspetto, perché nel corso della perquisizione, in particolare presso il Duvia, emersero brogliacci, annotazioni del libro-giornale. Presidente, preferirei che si procedesse in seduta segreta.
PRESIDENTE. Sta bene, non essendovi obiezioni proseguiamo i nostri lavori in seduta segreta. Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. Nel mese di ottobre 1995 il Corpo forestale dello Stato - settore di polizia di Brescia - individuava in territorio di Asti, e precisamente nei vasti capannoni di località Faletti, un deposito di almeno 6 mila tonnellate di materiali plastici cosiddetti "frazione mista" provenienti dalla raccolta differenziata della plastica eterogenea degli imballaggi, materiale interamente proveniente dalla Germania e conseguente alla cosiddetta legge Toppfer del 1991, sul riciclaggio dei contenitori di plastica.
Il deposito risultava essere stato costituito dalla società SLU Snc di Nota Sebastiano e Nota Giuseppe, società corrente in Vezza d'Alba (Cuneo), località nella quale si trovavano anche gli impianti di trasformazione del materiale attraverso un procedimento di densificazione, alla fine del quale residua un granulato che può essere utilizzato come materiale per manufatti in plastica. La ditta risultava avere un altro deposito dello stesso materiale in comune di Castagnito (Cuneo).
L'attenzione degli inquirenti veniva attratta dal fatto che, nel corso di controlli ai numerosi autocarri che trasportavano materiale, il documento di accompagnamento cosiddetto CMR risultava ideologicamente falso, recando dati che non potevano riferirsi al sito nel quale avveniva lo stoccaggio. Inoltre, venivano individuati numerosi autocarri con targa portoghese, adibiti al trasporto e allo scarico della predetta plastica tedesca. Analoga tipologia di materiale era stata individuata dalla stessa polizia forestale nel 1994 in Mozzanica (Bergamo), presso la società Dalplast, ed era stata oggetto di notizia di reato all'autorità giudiziaria di Bergamo e, segnatamente, alla locale procura presso la pretura in ordine a violazione al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982.
Gli accertamenti subito posti in essere evidenziavano che la SLU Snc effettuava proprio per conto della Dalplast la lavorazione della "frazione mista", ricevendo un contributo per la trasformazione in granulato di lire 80 al chilogrammo. Il richiamo al contributo impone un sintetico cenno al meccanismo della raccolta differenziata in Germania.
In Germania vige dal 1991 la legge Toppfer sugli imballaggi che impone a produttori, imbottigliatori e venditori degli imballaggi di raccogliere, selezionare e utilizzare una certa percentuale degli imballaggi (per il 1995 doveva essere raccolto il 55 per cento degli imballaggi e riutilizzato il 55 per cento; per il 1996 l'80 per cento, secondo le direttive CEE nn. 91/156 e 91/689).
Per adempiere gli impegni normativi è sorta la società a regime privato DSD, cioè Duales System Deutschland, alla quale è demandata la funzione di provvedere a che gli imballaggi usati siano raccolti e selezionati, società che però non è responsabile per la destinazione e l'utilizzazione dei materiali.
Il DSD si finanzia attraverso il sistema del "punto verde" in forza del quale tutti coloro che portano imballaggi sul mercato devono concludere un contratto di licenza, cosiddetto "punto verde", e versare corrispondenti roialties. Nel 1995 sono stati versati 4,1 miliardi di DM pari a circa 4 mila miliardi di lire. Si finanzia così la raccolta, la selezione e la pubblicità per il sistema duale e si forniscono gli incentivi per il riutilizzo degli imballaggi plastici. Il corretto recupero dei materiali viene effettuato dai cosiddetti "datori di garanzia". Per le materie plastiche raccolte da circa 350 ditte di selezionamento che operano in Germania in forza di contratti con le singole amministrazioni comunali, datore di garanzia è il DKR (Dentsche Gesclsliaft fur Kunst Stoffreccling) di Colonia.
Il DKR riceve dal DSD ogni anno determinate somme proporzionate al materiale correttamente riciclato. Il DKR è nato nel luglio 1993 in sostituzione di un precedente ente di garanzia, il VGK, operante tra il 1991 e il 1993.
I controlli effettuati dal DKR avvengono avvalendosi di società di certificazione o di auditing, quali il TUV (sotto il profilo tecnico) e il KPMG (sotto il profilo contabile e di bilancio).
Chi vuole riciclare deve prima permettere la valutazione del TUV per accertare se la ditta è adatta all'utilizzo del DSD e per quali entità; dopo una prima certificazione provvisoria, dovrebbe, entro sei mesi, effettuarne una successiva per la certificazione definitiva che va ripetuta ogni anno. In base alle certificazione del TUV e del KPMG, il DKR autorizza i flussi alle ditte riciclatrici. Il DKR opera attraverso alcune sue ditte di commercializzazione del materiale plastico e precisamente: Paulus Recycling, WM e TSN che, ovviamente, devono fornire solo a ditte certificate.
La commerciale e l'utilizzatore vengono pagati solo dopo aver dichiarato di avere utilizzato il materiale e ciò avviene mediante esibizione di fatture di lavorazione del materiale. Il contributo che il DKR dà ai riciclatori varia tra i 550 e i 650 DM a tonnellata (circa 650 lire al chilogrammo).
Una volta l'anno, la DSD deve indicare all'autorità di sorveglianza quali e quanti materiali sono stati raccolti, selezionati e riciclati. L'autorità di sorveglianza per la Bassa Sassonia, Vestfalia, Turingia, Berlino, Schelwig Holstain è la Cyclos Srl di Osmabruk. Sopra la Cyclos sta il Ministero dell'ambiente di ciascuno dei laender.
Individuati i meccanismi giuridici ed economici che ispiravano l'operazione, l'autorità giudiziaria di Asti avviava indagini attraverso il Corpo forestale dello Stato di Brescia e la Guardia di finanza della compagnia di Bra, per accertare se il materiale che si assumeva riciclato, e che in forza di ciò riceveva il contributo, fosse effettivamente trasformato.
Gli accertamenti svolti interpellando tutti i più importanti riciclatori italiani e sottoponendo a controllo fiscale la SLU e la Dalplast evidenziavano che: il prodotto, stante la carenza di ogni preselezione del materiale e la eterogeneità chimica dei componenti (PET, PVC ed altro), non dava alcuna affidabilità ad ogni serio operatore posto che il granulato che, ad alti costi, si poteva ricavare non aveva mercato e i manufatti che si sarebbero prodotti avrebbero avuto gravissimi limiti qualitativi; il materiale non poteva neppure essere utilizzato come combustibile per cementerie; le lavorazioni e le trasformazioni di quel materiale che la SLU assumeva di avere compiuto (prima che l'unità produttiva fosse fermata da provvedimenti amministrativi del comune di Vezza d'Alba della provincia di Cuneo e della regione Piemonte) erano avvenute utilizzando materiale "pulito" e cioè plastica italiana omogenea del consorzio Replastic e le fatturazioni che intercorrevano fra SLU e Dalplast (in forza delle quali erano stati erogati i contributi) erano relative ad operazioni inesistenti; la SLU non aveva riciclato neppure un chilogrammo di frazione mista, come provato, oltre che dall'esame dei registri di carico e scarico, anche dai consumi energetici; le certificazioni che TUV e KPMG avevano rilasciato per la SLU, la Dalplast e numerose altre società della "galassia Dalplast" non erano le certificazioni definitive che la normativa tedesca imponeva ma solo delle documentazioni di una "prevista" che - come ammesso dal responsabile del TUV Italia, ingegner Kurt Lindemblatt - erano state compiacenti e fatte su richiesta e ispirazione dei responsabili della Dalplast che, tra l'altro, pagavano l'onorario delle prestazioni dei funzionari del TUV. Grazie a questi blandi controlli, erano entrati in Italia per essere destinati poi in concreto alla discarica o all'indefinito. I responsabili del DKR, interrogati nella primavera del 1997 dalla procura di Asti - e sui quali gravava comunque il sospetto di avere autorizzato con troppa leggerezza l'invio dei materiali in Italia -, si difendevano assumendo di essere stati ingannati dalle loro società commerciali e dalle certificazioni delle società di auditing e riferivano di essere impegnati in diversi altri paesi europei, fra cui Spagna e Portogallo, a riprendere a proprie spese la frazione mista che era stata colà inviata. Aggiungevano che analoga, costosa operazione di rientro avevano effettuato anche dall'Egitto.
In effetti, gli accertamenti della procura di Asti evidenziavano che materiale frazione mista stoccato a Bergamo (circa 1.500 tonnellate) era stato cartolarmente e fittiziamente inviato per il recupero a una società di trasformazione della plastica nei pressi di Roma. Di qui, sempre fittiziamente e cartolarmente, il materiale era stato inviato, passando per il porto di La Spezia, ad Alessandria d'Egitto, alla società Horuplast. In realtà, come confermato da autisti e spedizionieri, era stato inviato direttamente in container da Bergamo a La Spezia e di qui, senza alcun controllo doganale - anche perché i documenti di viaggio parlavano di residui di lavorazione di plastica italiana - inviata in Egitto, da cui poi nella primavera di quest'anno il DKR aveva curato a proprie spese il rientro in Europa.
Anche a seguito di questi fatti, il DKR, tramite i suoi legali, aveva presentato denuncia di truffa avanti la procura presso la pretura di Bergamo nei confronti dei responsabili della Dalplast.
Nel giugno 1997, il DKR - in persona del suo rappresentante - si impegnava avanti al pubblico ministero di Asti a trovare adeguata e corretta sistemazione al materiale (che nel frattempo, dopo un iniziale sequestro da parte dell'autorità giudiziaria, era stato rimesso nella disponibilità dei responsabili della SLU per decisione del tribunale del riesame).
Nei primi giorni di agosto di quest'anno si sviluppava un imponente incendio nel deposito di Asti di via Faletti, durante il quale, con gravi pericoli ecologici e per la sicurezza delle persone che abitavano in zona, andavano bruciate circa 1.500 tonnellate di materiale. Gli accertamenti dei vigili del fuoco propendevano per la dolosità del fatto sia per la contemporaneità dello sviluppo del fuoco in punti diversi e distanti sia perché la tipologia del materiale e il pressantissimo suo confezionamento rendevano estremamente improbabile la fortuità del fatto. Anche per il fortissimo impatto emotivo che sull'opinione pubblica l'accaduto aveva determinato, venivano accelerate le procedure di sgombero di materiale combusto e non. L'intero costo dell'operazione oggi a buon punto, come la Commissione ha potuto constatare (essendo stato portato in discarica tutto il materiale combusto), ammonterà a circa 5 miliardi, posti interamente a carico del DKR.
ROBERTO LASAGNA. Farò una breve considerazione sui rifiuti ospedalieri. Nel corso del sopralluogo che abbiamo effettuato presso la discarica di Pitelli, è emerso che il forno inceneritore non ha mai funzionato. Credo, pertanto, che alcuni rifiuti ospedalieri, probabilmente particolarmente tossici, abbiano potuto determinare un rischio di un'eventuale strage: essendo infetti, avrebbero potuto avere conseguenze gravissime.
La città di La Spezia risulta particolarmente colpita da decessi per cancro, e in particolare allo stomaco e all'intestino. E' mai stata compiuta un'analisi delle acque all'interno della diga? Sarebbe estremamente interessante conoscere il contenuto di alchilfenoli nelle acque del golfo all'interno della diga, dato che è ormai provato che gli alchilfenoli sono prodotti chimici castranti. Derivano anche dalla fermentazione e dalla lavorazione di discarica (provengono da plastiche e altro).
Ho qui un documento contente i risultati di ricerche effettuate negli Stati Uniti sulla base di circa 200 parti di ricerca compiute nel mondo. Esso pone finalmente in chiaro che gli idrocarburi aromatici policiclici, gli alchilfenoli, i monilfenoli, i policlorobifenili (cioè il PCB), sono la causa dominante dell'attuale perdita di spermatozoi negli esseri umani e di malformazioni genetiche nel feto. Pertanto, il golfo di La Spezia, con le sue acque chiuse, sarebbe un sito primario per vedere se questi prodotti chimici sono presenti. Questo discorso, comunque, riguarda tutte le discariche che desondano in qualunque sito d'Italia.
Il sito della discarica di Pitelli era di proprietà della marina militare: era il luogo dove si armavano i siluri per i sommergibili durante l'ultima guerra. Immagino, pertanto, che il sito sia ancora del demanio, e in particolare della marina militare. Inoltre, il sito era collegato alla polveriera attraverso una serie di gallerie interne, che sono numerosissime e che servivano per il trasporto di armamenti dalla vecchia struttura della polveriera fino ai sommergibili. Queste gallerie sono totalmente scomparse: immagino che siano state chiuse, interrate ed anche riempite. Sarebbe interessante conoscere il contenuto di queste gallerie, che sono molto, molto lunghe, andando dalla località dove adesso c'è l'ENEL sino allo sbocco all'interno della diga.
Ripeto: le esondazioni, probabilmente già avvenute e che sicuramente si verificheranno, saranno concentrate all'interno della diga. La diga di La Spezia è un alveo completamente chiuso (circa 6 chilometri per 5 di massa d'acqua, con una profondità di 20 metri), con acqua stagnante, tanto che è stato calcolato che il ricambio avviene una volta ogni cento anni.
Infine, vorrei acquisire le valutazioni dei nostri ospiti in merito - diciamo così - al ripristino del sito.
PRESIDENTE. Credo che buona parte delle considerazioni e delle domande formulate dal senatore Lasagna andassero rivolte al dottor Franz. Ciò non è stato possibile in quanto, per un disguido non imputabile né al senatore Lasagna né alla segreteria della Commissione, un disguido comunque spiacevole, lo stesso senatore Lasagna ha ricevuto un avviso di convocazione della seduta per le 13,30 invece che per le 12,30, circostanza, questa, che non gli ha consentito di partecipare alla prima parte delle audizioni di oggi. Ovviamente, se il dottor Tarditi ritenesse comunque di rispondere, saremmo ben lieti di ascoltarlo; comunque, trasmetteremo le osservazioni e le domande al dottor Franz.
Il senatore Lasagna ha segnalato la particolarità di possibili rifiuti ospedalieri ed infetti. Vorrei che riprendessimo la tematica, già affrontata nella relazione del dottor Tarditi, dei rifiuti pericolosi tout court che possono aver provocato inquinamenti tali da configurare l'ipotesi di disastro ambientale, con conseguenze molto gravi sulla salute dei cittadini spezzini.
GIOVANNI POLIDORO. Sono un po' scettico in ordine al collegamento tra sversamenti di rifiuti tossico-nocivi ed epidemie o manifestazioni cancerogene che possano essersi sviluppate in tempi molto rapidi, visto che alcune teorie dimostrano che le forme cancerogene debbono avere una eziologia un po' più lunga.
Se non ho compreso male, il dottor Franz ha prospettato difficoltà rispetto al perseguimento di obiettivi repressivi, sostenendo che reati commessi oltre tre anni fa non sarebbero più perseguibili se non ricondotti alla fattispecie del disastro ambientale.
LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. Anche l'applicazione dell'articolo 439 va benissimo!
GIOVANNI POLIDORO. Comunque, il dottor Franz ci ha prospettato una difficoltà ancora persistente, mentre mi è sembrato che voi foste orientati in una direzione molto più puntuale e convinta. E' così?
Vorrei inoltre sapere se lei, almeno per quanto riguarda il passato, abbia notato una qualche "pigrizia" da parte non soltanto dell'apparato pubblico delle amministrazioni ma anche della magistratura.
LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. Per quanto riguarda la situazione all'interno della diga di La Spezia, denunciata dal senatore Lasagna, non dispongo di elementi precisi. Ciò perché, come ho detto, il passaggio dei documenti avvenne, purtroppo, in modo velocissimo, per cui gli approfondimenti che intendevamo realizzare sotto il profilo chimico e scientifico sono stati fatti da altri.
Dai documenti risultava una situazione tale da evidenziare una gestione criminosa e criminale negli anni 70-80 non soltanto da parte di Orazio Duvia, ma anche della Sistemi, che ha posto in essere un comportamento - diciamo così - disinvolto, comunque idoneo ad integrare il reato che avevamo contestato. Ciò perché alcuni documenti segnalavano che già nel 1993... Ricordo, in particolare, una fotografia scattata nel corso di una rilevazione aerea, dalla quale appare chiaro come in un punto della discarica fossero stati collocati fusti azzurri, a decine. Questa rilevazione fu effettuata nel 1993. Ho precisato questo dato perché la prima difesa di quasi tutti gli indagati, a parte Duvia, si è espressa nei seguenti termini: "Nulla sappiamo delle porcherie che ha fatto Duvia; da quando ci siamo noi, però, tutto è perfetto" (ma, che non fosse perfetto, lo si ricava dalla telefonate intercettate nella primavera-estate del 1996). Noi ritenevamo e riteniamo che la Sistemi, sia pure in modo meno audace di Duvia, avesse continuato in questa attività che veniva ad aggiungersi a decenni di sversamenti. Che poi la causa delle malattie possa essere individuata negli sversamenti stessi è fatto che dovrebbe essere acquisito in base ad un'approfondita ricerca epidemiologica, che noi non riuscimmo a fare, ma che potrebbe essere effettuata da altri.
Ciò che è certo è che nelle carte da noi sequestrate era rinvenibile la prova di un'imponente serie di casi di eczemi alla pelle riscontrati tra le persone che vivevano intorno all'area della discarica, come tra l'altro aveva appurato anche la locale USL. Ci colpì particolarmente constatare come la stessa indagine epidemiologica non fosse stata condotta in relazione alla diossina, la cui presenza era stata evidenziata dalle prime perizie, non nelle quantità che noi ritenevamo in relazione al possibile interramento in Pitelli di fusti provenienti dall'Icmesa di
Seveso, ma comunque, come accertò il consulente del pubblico ministero, in relazione alla presenza di diossina proveniente da scorticamente superficiale di terreni, che avrebbe potuto essere proveniente da Seveso oppure da altre località.
L'indagine epidemiologica in relazione ai tumori non fu effettuata. Nelle carte che sequestrammo - ripeto - erano riportati i risultati di un'indagine epidemiologica sugli eczemi. Quando chiedemmo il perché non fosse stata effettuata un'indagine in relazione alla diossina, ci fu risposto: "chi poteva immaginarsi la diossina? Abbiamo cercato di appurare la presenza di metalli pesanti connessi alle ceneri del forno". Quanto a quest'ultimo - mi ricollego al discorso del senatore Lasagna - che lo stesso fosse palesemente inadeguato, è un dato sul quale tutti i testimoni sono stati concordi, tanto che definirono il forno come una stufa o poco più. Noi stessi, in relazione agli sviluppi dell'indagine, nei giorni precedenti alle misure cautelari, facemmo una serie di appostamenti in zona, fotografando lo sversamento dei camion (utilizzammo macchine fotografiche con teleobiettivo e posizionammo i nostri uomini in un cimitero vicino alla zona) per rilevare le targhe degli automezzi ed accertare il tipo di materiale sversato. Agli atti vi sono alcune fotografie che evidenziano il ribaltamento in discarica di confezioni che somigliano in modo evidentissimo a quelle dei ROT (rifiuti ospedalieri trattati). Nel corso dell'interrogatorio contestammo anche questo fatto, ma ci furono fornite risposte più o meno sfuggenti. Il nostro discorso si fondava sulla constatazione che fosse più conveniente interrare i ROT piuttosto che bruciarli, anche perché il forno aveva i problemi ai quali mi sono riferito prima ed attirava l'attenzione dei cittadini. Nei venti giorni a disposizione, ovviamente, non eseguimmo alcun esame delle acque interne.
A questo punto, presidente, le chiederei di procedere in seduta segreta.
PRESIDENTE. Sta bene, dottor Tarditi.
Non essendovi obiezioni, proseguiamo quindi i nostri lavori in seduta segreta. Dispongo la disattivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Ispettore De Podestà, il collega Lasagna vorrebbe sapere se il segreto militare sia stato opposto da esponenti politici o militari.
GIANNI DE PODESTA', Ispettore del nucleo operativo del Corpo forestale dello Stato di Brescia. Da esponenti militari.
PRESIDENTE. Quindi, non da esponenti politici.
GIANNI DE PODESTA', Ispettore del nucleo operativo del Corpo forestale dello Stato di Brescia. No.
PRESIDENTE. Vi ringraziamo.
Avverto che la Commissione tornerà a riunirsi domani, mercoledì 3 dicembre 1997, alle 12, per ascoltare il dottor Mascazzini del Ministero dell'ambiente e l'ingegner Bianchi della sezione EMAS-Italia.
La seduta termina alle 15,20.