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CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA

SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'

ILLECITE AD ESSO CONNESSE

10.

SEDUTA DI MARTEDI' 30 SETTEMBRE 1997

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori. *

Audizione dei rappresentanti del Consorzio obbligatorio degli oli usati e dell'Assoambiente. *

 

La seduta comincia alle 18.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

 

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

 

Audizione dei rappresentanti del Consorzio obbligatorio degli oli usati e dell'Assoambiente.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti del Consorzio obbligatorio degli oli usati edell'Assoambiente,che ringrazio per aver aderito al nostro invito.

Do senz'altro la parola al presidente Curzi.

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. La ringrazio, presidente. Ho predisposto una relazione scritta, il cui testo ho già provveduto a depositare presso la presidenza della Commissione, dalla quale si ricava un'idea generale sulle funzioni svolte dal Consorzio. In particolare, in questa memoria è contenuta una descrizione dell'attività svolta negli ultimi anni nonché un'indicazione, sia pure di larga massima, dei programmi futuri.

La quantità di olio lubrificante immessa al consumo è stata pari, nel 1995, a 663 mila tonnellate e, nel 1996, a 621 mila tonnellate. Di queste, ne sono state raccolte 167 mila tonnellate, cioè una percentuale pari al 26-27 per cento dell'olio immesso al consumo, ed inviate a rigenerazione 148 mila tonnellate. Per la combustione sono state destinate, rispettivamente per gli anni 1995 e 1996, 18 mila e 13 mila tonnellate di olio usato. Alla termodistruzione - si tratta, quindi, di olio contaminato - sono state inviate 1.260 tonnellate nel 1996, a fronte delle 1.872 nel 1995. In definitiva, il totale di olio usato eliminato è pari, per il 1995, a 168 mila tonnellate e, per il 1996, a 163 mila tonnellate.

Nel documento predisposto dal Consorzio sono contenuti anche dati di raffronto in ambito europeo, ripresi da una pubblicazione del Concawe, dalla quale risulta che il nostro paese rientra nella media europea, nonostante la definizione di olio usato non sia identica in tutti i paesi europei: qualche volta, infatti, per olio usato si intendono anche altri prodotti.

PRESIDENTE. Che tipo di olio raccoglie il Consorzio? Si tratta solo di lubrificanti, come ad esempio gli oli per motori di autovetture da trasporto, oppure lo spettro di intervento del Consorzio è più ampio?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. L'attività del Consorzio riguarda soltanto gli oli lubrificanti usati, con l'esclusione di altri tipi di oli, quali sono ad esempio quelli vegetali. In definitiva, il nostro compito è limitato agli oli lubrificanti usati. In tale definizione non rientrano soltanto gli oli utilizzati nei motori ma anche gli industriali, ad esempio quelli impiegati per i comandi aerodinamici delle macchine oppure l'olio per i trasformatori, che ci crea qualche problema...

PRESIDENTE. Era questo che volevo sapere.

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Il Consorzio è strutturato in una direzione centrale con sede a Roma, costituito da pochissimi elementi (circa 20, in totale) e fa riferimento a circa 70 ditte che assicurano ed effettuano la raccolta su tutto il territorio nazionale. Queste ditte sono legate al Consorzio da un contratto e, nelle diverse zone, sono stimolate e controllate da una figura intermedia da noi definita "mandatario", trattandosi di un soggetto che ha il compito, appunto, di stimolare e controllare i raccoglitori. Presso alcuni mandatari esistono anche depositi nei quali sono trasferiti gli oli lubrificanti usati, raccolti per essere poi inviati o alla rigenerazione oppure, nel caso di oli non rigenerabili, alla combustione . Quanto agli oli contaminati, gli stessi sono destinati alla termodistruzione.

Per quanto riguarda i compiti assegnati al Consorzio dalla legge, nella memoria che vi ho consegnato troverete un'elencazione completa. Tra questi compiti, a nostro avviso, ve ne sono due di fondamentale rilievo. Il primo è la raccolta degli oli usati, da noi considerato come un obiettivo fondamentale da perseguire. Da stime che abbiamo effettuato, riteniamo di raccogliere quasi tutto l'olio usato prodotto, nel senso che ne perdiamo soltanto una percentuale pari a circa il 15 per cento. Stiamo operando per fare in modo che anche questa percentuale possa essere raccolta e destinata allo smaltimento. Si tratta, per noi, di un obiettivo primario ed importantissimo.

Vi è poi un'altra funzione, che il legislatore ha indicato al primo punto nell'elencazione dei compiti del Consorzio, alla quale teniamo in modo particolare. Mi riferisco alla promozione della sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle tematiche della raccolta e dell'eliminazione degli oli usati. Anche in questa direzione ci stiamo muovendo con una certa decisione, con iniziative di vario tipo. Qualcuno di voi conoscerà sicuramente la campagna, che abbiamo promosso per molti anni, denominata "Circoliamo", con l'utilizzazione di un enorme TIR rosso in giro per l'Italia a propagandare il Consorzio e a sottolineare la necessità di consegnare l'olio lubrificante perché sia smaltito nelle forme lecite, anche mettendo in evidenza i rischi che si possono correre con uno smaltimento scorretto. Quest'anno abbiamo realizzato l'iniziativa anche avvalendoci della Guardia di finanza, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica in forme ancor più efficaci. Soprattutto, cerchiamo di sensibilizzare i giovani, nel tentativo di realizzare un doppio obiettivo: anzitutto, educarli a questi problemi e, in secondo luogo, attraverso gli stessi giovani, far arrivare il messaggio anche alle persone adulte, sicuramente più sensibili di quanto le nuove generazioni vogliano far apparire.

Sono questi i due compiti fondamentali del Consorzio.

Per quanto riguarda il riutilizzo, una grossa percentuale di olio usato è inviato a rigenerazione. Quest'ultima, grosso modo porta a recuperare un litro di nuovo olio dal trattamento di circa un chilo e mezzo di olio usato. Il prodotto che ne deriva non ha nulla da invidiare all'olio originale e, anzi, presenta le medesime caratteristiche e capacità di risposta dell'olio vergine, cioè quello di prima distillazione. A questo si aggiungono piccoli quantitativi di altri prodotti, quali il gasolio e l'olio combustibile, quali residui della lavorazione.

Come dicevo, una grossa quantità di olio usato raccolto viene inviata alla rigenerazione. Una parte, non rigenerabile (perché non presenta le caratteristiche adatte), viene invece destinata alla combustione, sia pure con le dovute cautele ed è usata sopratutto dai cementifici e dalle fornaci.

Una piccolissima parte, circa 1.200 tonnellate, è rappresentata da oli contaminati, soprattutto dal PCB che si trova nell'olio trasformatori, ed è destinata alla termodistruzione.

Il ritiro del prodotto dal detentore è effettuato gratuitamente dal Consorzio, nel senso che il servizio è pagato dal raccoglitore, con una successiva cessione, alle condizioni di mercato, alle società di rigenerazione. Al detentore, a norma di legge, sono invece addossati i costi necessari per lo smaltimento di olio inquinato od emulsioni. Il costo di tale smaltimento è completamente a carico del detentore.

Mi fermo qui, assicurando la mia disponibilità ad intervenire nuovamente in presenza di eventuali richieste di chiarimento o di integrazione che dovessero provenire da parte dei commissari.

PRESIDENTE. Le domande dei colleghi le forniranno sicuramente l'occasione per integrare il suo intervento.

MANLIO COLLAVINI. Vorrei sapere con quale sistema si rigenerino gli oli usati, se, nella rigenerazione e purificazione degli oli, siano utilizzati additivi e se questi ultimi possano creare condizioni di inquinamento superiori a quelle prodotte dall'olio non rigenerato.

Infine, in che modo viene messo in commercio l'olio rigenerato?

FRANCO GERARDINI. I dati sulla raccolta ed il recupero dell'olio usato riferiti agli ultimi anni mettono in evidenza un rilevante salto di qualità nell'attività del Consorzio. Vorrei sapere se, a seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 22 del febbraio 1997, si siano eventualmente create situazioni di incertezza nella gestione delle attività di recupero e di rigenerazione degli oli, soprattutto in relazione ai limiti di accumulo provvisori ed al regime delle autorizzazioni.

PRESIDENTE. Anch'io, dottor Curzi, vorrei rivolgerle qualche domanda. Credo che un'attenzione particolare debba essere riservata agli oli residuati pericolosi; a tale riguardo, ho già richiamato la sua attenzione sul PCB. Vi sono poi oli molto particolari, con composti fosforici. In che modo funziona la catena di smaltimento degli oli che presentano caratteristiche di rilevante pericolosità per la salute e per l'ambiente?

E' evidente che un conto è trattare e rigenerare oli lubrificanti quali quelli dei motori delle automobili, altro conto è invece trattare oli pericolosi (ho citato due esempi, ma probabilmente ve ne sono altri), con riferimento ai quali va adottata una cautela maggiore e considerata la necessità di seguire procedure idonee a garantire che lo smaltimento sia realmente effettuato, nel senso che non vi siano "buchi" nella catena. Vi risultano problemi con riferimento allo smaltimento degli oli pericolosi, con particolare riguardo all'impatto sanitario-ambientale?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Credo valga la pena descrivere in che modo, materialmente, avviene la raccolta. Quando il nostro raccoglitore ha quello che noi definiamo un carico (mi riferisco, cioè, ad un autotreno che abbia un carico completo di olio), lo invia presso il deposito del mandatario. Durante lo scarico, si effettua il prelievo in continuo di un campione, che viene analizzato. Se dall'analisi non emergono problemi di inquinamento, il prodotto è destinato alla rigenerazione o, in qualche caso, alla combustione. Se, invece, si riscontrano problemi di inquinamento, per esempio da PCB o da cloro (normalmente, il problema più grande per noi è quello legato al PCB), il prodotto è "messo a disposizione" di chi lo ha consegnato, nel senso che non lo restituiamo ma chiediamo a chi ce lo ha consegnato o di accollarsi tutte le spese e lasciare a noi la possibilità di inviarlo a smaltimento oppure di dirci dove intenda mandarlo a smaltimento, sì che il Consorzio possa avere la certezza che lo smaltimento del prodotto sia effettuato da un'organizzazione autorizzata ed in grado di operare a norma di legge. Quindi, non viene riconsegnato al raccoglitore, ma è mandato direttamente dal consorzio, generalmente a spese del detentore.

PRESIDENTE. E se il detentore opta per avviarlo egli stesso allo smaltimento?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Lo seguiamo sempre noi fino alla destinazione.

PRESIDENTE. Qual è la forma di controllo a disposizione del Consorzio su queste partite gestite dai detentori in modo diretto?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Non in modo diretto, perché è sempre il Consorzio a portarlo, su indicazione del detentore, alla destinazione finale. Non viene restituito. E' un vincolo contrattuale ben preciso.

Rispondo circa le incertezze sul piano normativo. Effettivamente qualche incertezza esiste e qualche problema è sorto per noi, come affermiamo anche nella nota scritta che abbiamo predisposto. Le incertezze riguardano essenzialmente i limiti di accumulo provvisorio degli oli usati presso i detentori, il regime delle autorizzazioni e i limiti imposti alla miscelazione delle varie tipologie di olio usato. Vi è qualche incertezza che sarebbe bene chiarire, perché ci crea qualche problema.

Le norme tecniche hanno generato problemi anche per quanto riguarda il deposito del detentore iniziale, cioè i famosi 500 litri. Ciò ha determinato aumenti di costi di gestione per il Consorzio, perché prima il ritiro era eseguito per quantitativi superiori, mentre ora arrivano a 499 chili senza superare mai i 500. Abbiamo quindi dovuto intensificare la raccolta. Perciò qualche problema dall'interpretazione della norma ci è derivato. Lo stesso accade circa il regime delle autorizzazioni.

Un altro aspetto che comporta difficoltà per il consorzio è quello dei limiti imposti alla miscelazione. La provincia di Lecce, per esempio, in una sua comunicazione che ha trasmesso anche al Ministero, sostiene che, poiché gli oli lubrificanti sono un rifiuto pericoloso, devono essere tutti miscelati, indifferentemente, anche con quelli inquinati: noi riteniamo che non sia giusto.

Rispondo alle altre domande. Negli oli derivanti dalla rigenerazione non vengono messi additivi pericolosi. I lubrificanti di base prodotti tramite rigenerazione sono trattati esattamente come quelli di prima distillazione, che possiamo definire vergini.

L'onorevole Collavini mi ha rivolto una domanda sull'immissione in commercio di questi oli, per sapere se siano venduti come oli rigenerati o come oli normali. Per quanto mi risulta - siamo in un campo che esula dalle competenze del Consorzio -, le società di rigenerazione lo cedono come olio rigenerato, e non potrebbero fare altrimenti. Chi lo utilizza, lo fa nelle forme che considera più opportune. Da quanto posso sapere, non sempre si indica che si tratta di olio rigenerato, ma è una notizia che le do senza garanzia, esulando - ripeto - dalle competenze del Consorzio.

MANLIO COLLAVINI. Ma l'olio rigenerato ha le stesse caratteristiche, la stessa viscosità dell'olio di prima distillazione? Per capirci, chi lo acquista è garantito dal rischio di fondere il motore?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Questo senz'altro, perché le caratteristiche fisico-chimiche sono le stesse.

MANLIO COLLAVINI. Lei ci ha detto che non vengono usati additivi, quindi immagino che avvenga una filtrazione dopo la quale si aggiungono le componenti che si sono bruciate nel primo utilizzo.

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. No, ho detto che non vengono usati additivi dopo, quando già sono stati prodotti dalla rigenerazione degli oli base. Normalmente, nella fabbricazione dei lubrificanti, si parte da alcuni tipi di oli base, che hanno nomi diversi a seconda della densità. Dalla miscelazione di questi prodotti si ottengono oli di varia viscosità. Una volta esistevano, come ricorderete, l'olio per uso estivo e l'olio per uso invernale, mentre ora esiste una gradazione unica che vale per tutta la stagione. Ma le miscele sono comunque diverse. Si usano anche additivi. Questo avviene sia per quanto riguarda gli oli di prima produzione sia per quanto concerne gli oli rigenerati. Nel corso della rigenerazione si attua un processo di distillazione, o di ridistillazione - in certi casi con un idroflashing, che migliora ancora le caratteristiche dell'olio, in altri con filtrazioni effettuate con sistemi abbastanza sofisticati (che non sono in grado di spiegare, non essendo un tecnico) -, che è attentamente seguito e che non determina assolutamente problemi di inquinamento di alcun tipo.

Le grandi raffinerie che svolgono questa attività in Italia sono sostanzialmente due, una a Lodi e una a Ceccano. Quest'ultima è al 100 per cento dell'AGIP, mentre quella di Lodi è al 50 per cento dell'AGIP e per l'altro 50 per cento di un privato (ma è una società che penso dia sufficienti garanzie sulla qualità dei prodotti). Vi sono poi piccole raffinerie che trattano quantitativi minimi, una a Milano, una a Torino e l'altra a Napoli.

FRANCO GERARDINI. L'attività del Consorzio è diffusa su tutto il territorio nazionale o vi sono aree in cui il Consorzio non è ancora attivo?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. No, il consorzio opera su tutto il territorio nazionale. Non vi sono aree scoperte: non se ne lasciano scoperte perché a volte abbiamo avuto qualche problema, proprio qui a Roma.

PRESIDENTE. Vorrei tornare sulla questione degli oli che, in modo un po' generico, ho definito pericolosi. Lei ha parlato di analisi "in continuo".

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. No, ho parlato di prelevamento di campioni in continuo. Questo significa che durante lo scarico del prodotto dall'autotreno al serbatoio escono continuamente gocce di prodotto, in modo da ottenere un campione abbastanza rappresentativo di tutto il volume.

PRESIDENTE. Il PCB contiene vari composti pericolosi, come il cloro. Negli esteri sintetici sono presenti prodotti fosforici. Nei rilievi che effettuate, ottenete le percentuali di fosforo e di cloro presenti? Sono infatti degli indicatori della pericolosità del prodotto che possono influire sulla vostra decisione di mandarlo da una parte o dall'altra.

Rivolgo un'altra domanda sui pericoli di evasione dall'attività di corretto conferimento dell'olio. Immagino che l'uomo della strada abbia il sospetto che molti piccoli artigiani, ad esempio meccanici, a fronte di un circuito che comporta delle spese, preferiscano smaltimenti più rapidi e sicuramente non legali. Nella quota di olio usato non raggiunta dal Consorzio, che però vi prefiggete di raggiungere, quali sono le percentuali di evasione in base alle varie tipologie di attività?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Normalmente non si trova fosforo negli oli lubrificanti; il cloro qualche vota sì.

PRESIDENTE. Neanche negli oli idraulici, per esempio quelli per aviazione?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. No.

PRESIDENTE. Ma li raccogliete?

ALDO STORELLI, Consulente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Sì. Ci sono delle dichiarazioni di uso pregresso da parte di chi conferisce l'olio che sono prese in considerazione al momento della cessione. Se vi è una preclusione di pericolosità contrattualmente è già previsto che il raccoglitore prelevi - lo prevede la legge ma anche il contratto - un campione, per sottoporre l'olio all'analisi specifica di quel determinato utilizzo pericoloso. Analizzare 32 o 40 elementi implicherebbe costi tali e tempi talmente lunghi da rendere i controlli impraticabili. Quindi è la dichiarazione di uso pregresso del detentore iniziale ad indirizzare le varie analisi.

PRESIDENTE. Quindi, bisogna aver fiducia nel detentore iniziale?

ALDO STORELLI, Consulente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Sì, che è obbligato dalla legge a dare questa dichiarazione iniziale, e quindi se ne assume la responsabilità. In ogni caso, l'analisi è compiuta sugli elementi più consueti, fra i quali il PCB, per miscelazioni che non siano state dichiarate. Lo stesso vale per il cloro, perché gli artigiani, nel secchio in cui buttano gli oli usati gettano anche i solventi con cui puliscono i motori. Diciamo, perciò, che gli usi principali sono tutti soggetti ad analisi, qualsiasi sia la dichiarazione resa durante il ciclo della raccolta. Se, invece, di un certo olio è stato fatto un uso specifico industriale si andrà a cercare, tramite analisi, oltre agli altri, anche quel determinato componente che si sospetta si trovi nell'olio.

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Abbiamo accertato che sono tre i canali principali che dobbiamo curare per arrivare alla raccolta totale. Il primo è quello del cosiddetto "fai da te", ed è quello più difficile da seguire, essendo il più frazionato, dato che riguarda piccoli quantitativi. Anche in questo settore stiamo assumendo iniziative; abbiamo concluso un accordo con il comune di Roma, con l'AMA, per creare due punti di raccolta in una zona con 300 mila abitanti, per convincere chi usa cambiare l'olio da solo a portarlo in tali centri. Il volume di questo olio è forse un po' più elevato di quanto si immagini perché il "fai da te" è più diffuso di quanto si creda.

Il secondo canale è quello dell'agricoltura. Stiamo operando anche in questo campo, perché abbiamo siglato un accordo - che dobbiamo rendere più operativo - con le associazioni di settore allo scopo di raggiungere i singoli agricoltori. Cercheremo di intervenire d'accordo con il Ministero. Anche qui si pone qualche problema normativo, perché attualmente l'agricoltore che dovrebbe conferire l'olio non lo può fare, perché la legge non glielo consente. Valuteremo come risolvere questo problema.

Il terzo canale, che forse è il più importante, è quello degli oli industriali, cioè quelli che noi definiamo oli chiari, usati soprattutto per comandi oleodinamici, e che probabilmente finiscono per essere utilizzati per altri usi e non vengono conferiti al Consorzio. Si tratta di pure ipotesi, e non abbiamo alcun elemento...

PRESIDENTE. Per quali altri usi, sempre in via di ipotesi?

GETULIO CURZI, Presidente del Consorzio obbligatorio degli oli usati. Sempre in via di ipotesi, gli altri usi sono la lubrificazione di ingranaggi od altro, ma in quantitativi limitati, e soprattutto - sospettiamo che tale uso sia più frequente - come combustibile nel gasolio. E' un uso che forse, dal punto di vista ecologico, non è estremamente grave, però è comunque contro la legge, e quindi deve essere evitato. La Guardia di finanza ci sta dando una mano, ma bisogna risalire gli anelli della catena fino all'industria, per sapere in che modo questo olio sia utilizzato successivamente; ma è piuttosto difficile.

PRESIDENTE. Non essendovi altre domande, do la parola al vicepresidente dell'Assoambiente.

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. L'Assoambiente è l'associazione che raggruppa le imprese private che trattano rifiuti, sia urbani sia industriali. E' un ramo dell'Ausitra, che a sua volta fa parte della Confindustria e raggruppa tutta una serie di aziende di servizi. Anche noi abbiamo predisposto un documento scritto, che lasciamo alla Commissione. Se il presidente è d'accordo, darei la parola al dottor Tiriolo, direttore generale dell'Ausitra, affinché illustri alcuni problemi che riguardano l'associazione ed anche questioni di carattere generale, riservandomi di fare in un secondo tempo una illustrazione abbastanza schematica sulle due problematiche dei rifiuti urbani e dei rifiuti industriali.

FRANCESCO TIRIOLO, Direttore generale dell'Ausitra. L'Ausitra è l'associazione di riferimento della Confindustria, mentre l'Assoambiente è l'associazione di maggior peso all'interno di questa organizzazione. Siamo già stati ascoltati da questa Commissione due anni fa, quindi qualunque curiosità in proposito può essere soddisfatta dalla lettura degli atti parlamentari.

PRESIDENTE. Purtroppo non c'è continuità formale, perché quella era una Commissione della precedente legislatura.

FRANCESCO TIRIOLO, Direttore generale dell'Ausitra. Allora, per far comprendere meglio chi è l'interlocutore della Commissione, aggiungo che l'associazione di riferimento della Confindustria Ausitra altro non è che una federazione che ha al suo interno diversi raggruppamenti merceologici. Sono tutte aziende di servizi, ovviamente, ma che lavorano prevalentemente per la pubblica amministrazione. All'interno di questa struttura federata vi è l'Assoambiente, cioè l'associazione che, nell'ambito della Confindustria, rappresenta i gestori dei servizi di smaltimento di rifiuti, siano essi urbani o industriali; è anche il raggruppamento di maggior peso all'interno della federazione stessa.

Anche la nostra associazione nutre delle preoccupazioni sulle materie e vicende oggetto dei lavori di questa Commissione. E' ovvio che l'associazione ha già adottato forme di cautela da molto tempo, sia pure con i limiti consentiti a un'organizzazione imprenditoriale costituita su basi volontarie. Abbiamo quindi adottato criteri di preselezione delle aziende che intendono aderire. Tali criteri sono sostanzialmente due: il possesso dell'autorizzazione ad operare nel settore in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 e, soprattutto, l'esistenza di un contratto che certifichi che l'azienda che aderisce alla nostra organizzazione sia già presente sul mercato, sia cioè operativa nel settore della gestione dei servizi.

A questo punto, dobbiamo introdurre il tema principale, anche se vi è il rischio di ripetere cose già dette due anni fa. La preoccupazione maggiore - mi riferisco, in particolar modo, al settore dei rifiuti urbani e lascerò poi al dottor Pasini gli approfondimenti con particolare riferimento al settore dei rifiuti industriali - è determinata dal fatto che le normative di riferimento del mercato che dovrebbero regolamentare la realtà in cui queste aziende operano sono spesso molto lacunose. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad alcuni progressi: il fatto stesso che sia stata recepita la direttiva comunitaria 92/50 in materia di appalti pubblici di servizi ha quanto meno posto le premesse per giungere ad una regolamentazione di tutta la materia, che non riguarda ovviamente solo questo settore, degli affidamenti degli appalti pubblici di servizi.

Ho già detto che si tratta di una normativa lacunosa e le preoccupazioni sono legate proprio al fatto che è nella sede dell'affidamento delle commissioni e dei servizi che possono verificarsi fenomeni di degenerazione o d'infiltrazione vera e propria. Abbiamo un sistema di regolamentazione di appalti pubblici di servizi che storicamente - credo di non dire nulla di nuovo - è stato sempre mutuato dalla legislazione in materia di opere pubbliche.

Qui ci troviamo in una situazione completamente diversa; basti una considerazione: anche se siamo di fronte ad aziende di servizi che richiedono investimenti finanziari e tecnologici di una certa consistenza (trascurando il dato degli impianti e degli investimenti che un impianto può comportare, un compattatore costa 300 milioni, quindi sono investimenti di una certa consistenza), comunque questo è un settore caratterizzato da un'altissima incidenza del costo del lavoro. Il dato sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione è che il 65-70 per cento dei costi di gestione di un'azienda che opera nel settore dei servizi degli urbani sono dovuti al personale.

Avevamo posto questo problema anche in una sede che apparentemente poteva sembrare impropria, ma che in realtà era la nostra sede naturale: nel corso della mediazione svolta dal ministro Treu nell'agosto 1995 per il rinnovo del contratto di lavoro di questa categoria, lo stesso ministro Treu assunse una serie di impegni di cui si fece in qualche modo portavoce o promotore presso il Governo. Tuttavia, si trattava di impegni politici; non voglio ovviamente muovere alcun addebito al Ministero del lavoro, tuttavia oggi registriamo che in questo settore la pratica più diffusa è quella del ricorso alle gare al massimo ribasso, cosa che accade per una ragione molto semplice. Non è che manchi lo strumento legislativo, perché il decreto legislativo n. 157 del 1995, che ha recepito la normativa comunitaria, prevede tra le forme di affidamento quella del massimo ribasso ma anche quella dell'adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Tuttavia, ancora una volta sono venuti a mancare i provvedimenti attuativi, perché la norma che ho citato rinvia all'emanazione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, sentiti i ministeri interessati, di provvedimenti che individuino i parametri di valutazione della congruità dell'offerta.

Comprenderete che in un settore in cui l'incidenza del costo del lavoro è molto elevata, giungendo anche al 70 per cento, secondo la pratica del massimo ribasso l'affidamento di gestioni avviene ad un costo che a volte, per non dire troppo spesso, è inferiore al puro costo della manodopera (un costo, tra l'altro, certificato dal Ministero del lavoro, in quanto le valutazioni del costo del personale sono state messe a punto con il Ministero del lavoro e con le organizzazioni sindacali, hanno formato oggetto anche di circolari del Ministero del lavoro e sono costantemente aggiornate); è chiaro che, nel momento in cui ci trovassimo di fronte a fenomeni di questo genere - cosa che accade abbastanza di frequente -, il sospetto dovrebbe sorgere spontaneo.

Allora, il problema della regolamentazione (credo di non dire nulla di nuovo, è un argomento rispetto al quale siamo in piena sintonia anche con la nostra omologa organizzazione del settore pubblico, cioè Federambiente) si pone con particolare evidenza perché si guardano con preoccupazione gli aspetti degenerativi di questo fenomeno, anche in ragione del fatto che se ne stanno producendo di nuovi; si tratta di fenomeni ancora non visibili nelle grandi gestioni.

Non dimentichiamo la realtà di questi servizi: in Italia vi sono oltre 8 mila comuni; le nostre aziende gestiscono oltre 3.500 comuni e sono presenti prevalentemente nei piccoli comuni - oltre che in qualche decina di capoluoghi di provincia o in alcuni grandi centri -; l'imprenditoria privata in questo settore è presente soprattutto nelle piccole realtà territoriali, cioè nei comuni di poche migliaia di abitanti. Ci si trova di fronte a fenomeni di evasione contributiva e fiscale e ad altri aspetti di ulteriore degenerazione, sui quali ci siamo ampiamente confrontati con il movimento cooperativo organizzato: mi riferisco alla nascita delle cooperative che la stessa lega delle cooperative definisce spurie, nate cioè solo per trarre vantaggi dai benefici che sul piano legislativo e fiscale il nostro ordinamento prevede, ma che utilizzano questi strumenti per operare ai limiti dell'illegalità.

E' un problema che giudichiamo molto grave: sulle pagine dei giornali abbiamo assistito anche l'estate scorsa ad un'ampia polemica da parte del segretario confederale della CGIL sul tema del ruolo delle cooperative cosiddette spurie. Questo ha formato anche oggetto di un ricorso della nostra associazione alla DG4 dell'Unione europea in quanto questi fenomeni, in mancanza di provvedimenti che regolamentino l'aggiudicazione dei servizi, soprattutto per quanto riguarda l'elemento della valutazione del costo, dei prezzi e quindi della congruità dell'offerta, lasciano spazio alla "guerra da corsa" (una volta si definiva così).

E' questo il tema più importante con il quale ci misuriamo e siamo in grande difficoltà perché non riusciamo neppure ad individuare l'interlocutore competente. Mi spiego meglio: la norma contenuta nel decreto legislativo n. 157 del 1995, che rinvia a decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri sentito il ministero competente per settore, in realtà in materia di servizi fa sì che continuiamo ad avere una serie di contatti con il Ministero del lavoro, perché la discussione era iniziata in quella sede e perché se ne sta occupando per altri settori che la nostra associazione rappresenta; abbiamo avuto ripetuti contatti con il Ministero dei lavori pubblici e con quello della funzione pubblica, ma non riusciamo a capire quale sia effettivamente il ministero competente alla redazione di un provvedimento da sottoporre poi alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Mi dichiaro comunque a disposizione per approfondire questo tema; per ora, mi limito a ribadire che la situazione sta degenerando perché un mercato senza regole in un settore in cui alta è l'incidenza del costo del lavoro, se non vi sono tempestivi interventi correttivi, presta il fianco a fenomeni di degenerazione.

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. Il dottor Tiriolo ha già rappresentato alcune problematiche del settore dei rifiuti urbani, per cui io mi soffermerò maggiormente su quello dei rifiuti industriali. Avevamo preparato dei lucidi e se lei, presidente, lo ritiene utile, potremmo illustrarli.

PRESIDENTE. La pregherei comunque di illustrarli in modo esauriente, così che il loro contenuto resti a verbale.

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. Per ricordare la situazione italiana, vorrei innanzitutto far presente che nel nostro paese si producono circa 26 milioni di tonnellate di rifiuti urbani ogni anno; come si vede dallo schema, la stragrande maggioranza di questi rifiuti viene smaltita in discarica; pochissimi sono quelli che vanno ad incenerimento, a selezione ed a raccolta differenziata, che però sta crescendo di dimensioni.

Quanto agli impianti esistenti, in Italia sono stati censiti ben 137 impianti di incenerimento, ma i due terzi di questi (cioè 85 impianti) sono inattivi, mentre sono operativi solo 32 impianti. Anche questo è un aspetto preoccupante: una buona quantità di impianti costruiti in passato oggi non sono più operativi.

PRESIDENTE. Si tratta di 137 impianti per i rifiuti industriali?

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. In questo momento sto parlando di rifiuti urbani.

PRESIDENTE. Mi lascia abbastanza sorpreso la cifra di 137 impianti da lei indicata. Sono tutti impianti dedicati o si tratta di impianti nati e progettati per altro e poi utilizzati per i rifiuti solidi urbani?

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. Sono impianti progettati per i rifiuti solidi urbani e che sono stati censiti su tutto il territorio italiano; volevo solo far notare che la maggior parte di essi è inattiva. In buona parte questi impianti - volendo, si può vedere il perché - sono stati fermati anche in ragione del fatto che non erano più in grado di adeguarsi alle norme relative alle emissioni. Come si vede dallo schema, il termotrattamento copre oggi un milione e 800 mila tonnellate annue su un totale di circa 26 milioni.

Vorrei far osservare che quanto ho già detto relativamente alla grande percentuale di rifiuti smaltiti in discarica costituisce forse una delle cause principali dei problemi del settore, e mi spiego. La discarica ha due difetti: in primo luogo, al contrario di un impianto, "finisce" nel senso che quando è piena deve essere abbandonata e quindi ciò fa sì che vi sia un continuo ricorso a nuove discariche, con un conseguente problema di carenza delle stesse, perché nessuno vuole impianti o discariche. In secondo luogo, la discarica non è un sistema di smaltimento particolarmente sofisticato o tecnologicamente avanzato e quindi anche l'imponente ricorso alla discarica dà spazio ad operatori non particolarmente qualificati, con tutto ciò che ne deriva. Per concludere su quest'aspetto, vorrei ricordare che a suo tempo l'Assoambiente ha presentato una carta di qualità dei servizi, cercando di suggerire delle norme di qualità da inserire nella normativa sugli appalti.

Passando ora al settore dei rifiuti industriali, esso presenta problematiche alquanto diverse. Voglio ricordare che, secondo i dati forniti dal Ministero dell'ambiente, il settore dei rifiuti industriali speciali, trascurando gli inerti, ammonta a 22 milioni di tonnellate l'anno, cioè ad un quantitativo abbastanza simile a quello dei rifiuti urbani. In questi anni si è però constatato che la produzione di rifiuti speciali è estremamente variabile. Nella diapositiva si vede riprodotta una pubblicazione di Federchimica, che ha fatto un censimento presso un campione rappresentativo dei suoi associati dell'andamento della produzione dei rifiuti speciali nel corso degli ultimi anni. Come si vede, la gran parte di queste industrie ha sensibilmente ridotto il quantitativo di rifiuti prodotti, e questo per motivi di carattere sia economico sia ambientale. Voglio ricordare che oggi, fortunatamente, buona parte delle aziende fa il bilancio ambientale e quindi per un'azienda fa premio dimostrare di produrre meno rifiuti e di inquinare meno. Ciò evidentemente provoca un'estrema variabilità nella produzione dei rifiuti industriali, al contrario di quelli urbani il cui quantitativo è abbastanza stabile. Questa variabilità, che è stata ricondotta ad interventi nei cicli riproduttivi, è soggetta anche alle fluttuazioni del ciclo economico: infatti, se l'industria produce più o meno beni, evidentemente produce più o meno rifiuti. In questo senso il rifiuto industriale è un sottoprodotto di un'attività non pianificata e quindi è difficilmente pianificabile. Le aziende che trattano rifiuti industriali riescono a sopravvivere in un clima di estrema variabilità di produzione degli stessi; a tale proposito, vorrei ricordare che, a differenza dei rifiuti urbani, quelli industriali possono anche essere autosmaltiti e quindi un'azienda che produce rifiuti ad un certo punto può decidere di realizzare un proprio impianto e conseguentemente di non consegnare più i propri rifiuti a terzi.

Quanto ai rifiuti che vengono smaltiti dall'associazione che rappresento, a fronte dei 22 milioni di tonnellate di rifiuti speciali censiti dal Ministero dell'ambiente, lo smaltimento conto terzi è di circa 5 milioni di tonnellate annue. Come si vede, vi è una grande differenza tra la produzione censita dal Ministero dell'ambiente e la quantità che viene smaltita dagli associati di Assoambiente, differenza imputabile a nostro parere a tre cause: in parte all'autosmaltimento, in quanto, come ho detto, molte industrie autosmaltiscono i propri rifiuti; in parte ad una probabile - almeno a nostro avviso - sovrastima della produzione, perché il Ministero dell'ambiente ha mantenuto costante la quantità di rifiuti industriali censita alcuni anni fa mentre, come abbiamo visto, buona parte delle aziende li ha ridotti; in parte ad uno smaltimento illegale, per cui la differenza tra 22 milioni e 5 milioni di tonnellate contiene una quota di smaltimento illegale che però da parte nostra è difficilmente quantificabile.

PRESIDENTE. Avete delle stime, se non delle cifre esatte, sull'autosmaltimento?

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. Non ho stime a questo proposito; posso solo ricordare che in paesi non molto diversi dal nostro, per esempio in Francia, la quota di autosmaltimento è stimata in una proporzione equivalente a quella dello smaltimento conto terzi. Se ciò fosse vero anche in Italia, si tratterebbe di 5 milioni di tonnellate e comunque ne mancherebbero dieci, metà delle quali sono forse addebitabili ad una sovrastima della produzione, mentre il resto... Sono comunque dati sui quali non abbiamo elementi.

Inoltre, vorrei ricordare che ciò che è accaduto in Italia, cioè il calo di produzione di rifiuti industriali, si è verificato anche nei principali paesi industriali europei e quindi vi sono oggi operatori francesi, e recentemente anche tedeschi, di aziende che possiedono impianti di smaltimento di rifiuti, i quali cercano sul mercato italiano rifiuti da portare a smaltire nei propri impianti. Ciò ha causato un calo dei prezzi e la conseguenza che oggi gli impianti di smaltimento conto terzi non sono completamente saturati, esiste cioè un'offerta di servizi di smaltimento dei rifiuti industriali superiore alla reale domanda.

Se, come del resto risulta evidente da una serie di fatti di cronaca, si verificano degli smaltimenti illegali, vorrei ribadire che con la situazione riscontrabile da alcuni anni in Italia e con una serie di operatori che cercano disperatamente rifiuti per i loro impianti, l'azienda che produce rifiuti non può più accampare l'alibi di non sapere come smaltire i propri rifiuti o a chi affidarli: se cerca canali illegali, lo fa scientemente. Come avevamo ricordato anche nella precedente audizione, i canali illegali sono innanzitutto il conferimento nel circuito dei rifiuti urbani (cosa che avviene evidentemente in modo prevalente da parte di piccole aziende o di artigiani), nel senso che una serie di rifiuti industriali impropriamente finiscono nel circuito di quelli urbani; in secondo luogo, un canale illegale è costituito dal fatto di non dichiarare tale il rifiuto ma di dichiararlo materia prima che un altro operatore compiacente fa finta di utilizzare; oppure - ed è il terzo canale di smaltimento illegale che non fa sparire il rifiuto, ma ne riduce il costo di smaltimento - si può declassificarlo, per cui determinati rifiuti che avrebbero bisogno di smaltimenti più costosi, come il termotrattamento, finiscono anch'essi in discarica. Nel grafico che in questo momento è proiettato vi è una stima del mercato dei rifiuti industriali; poiché in tale settore non si può parlare di un unico rifiuto, visto che i rifiuti industriali sono costituiti da tante famiglie completamente diverse l'una dall'altra, essi richiedono trattamenti di smaltimento diversi. Come si vede nello schema, il costo del trattamento va dal più caro, cioè dall'incenerimento dei rifiuti solidi, fino al più economico, che oggi è la discarica dei rifiuti speciali, la 2 B. Questo dimostra come nelle discariche italiane possano essere versati rifiuti che dovrebbero finire non in discarica ma, più correttamente, essere smaltiti o termorecuperati.

Quanto alle cause degli smaltimenti illegali, a nostro parere sono da imputare al fatto che i controlli non sono ancora sufficientemente efficaci. Taluni organi di controllo - penso, in particolare, alle ARPA - stentano ancora a decollare. Va inoltre considerato che i controllori non si possono limitare, come invece oggi avviene spesso, a verificare la regolarità delle "carte", anche perché di solito queste ultime sono in regola. Sarebbe necessario che i controllori fossero soggetti dotati di grande professionalità, in grado di entrare nel ciclo produttivo dell'azienda e di verificare se l'ammontare dei rifiuti dichiarato dall'azienda stessa sia compatibile con il ciclo produttivo o se, viceversa, la quantità di rifiuti dichiarata sia nettamente inferiore a quella realmente prodotta.

PRESIDENTE. Nessuno dei diagrammi che ci ha illustrato è dedicato all'analisi della componente rifiuti tossico-nocivi. Anche con riferimento a questi ultimi, abbiamo sempre proceduto sulla base di stime; in vari rapporti questa stima aveva quantificazioni comprese tra i 3 milioni e mezzo e i 4 milioni di tonnellate. Sulla base dei dati in vostro possesso, della conoscenza del sistema industriale italiano e dei rifiuti che quest'ultimo produce, confermate questa stima?

Inoltre, vorrei sapere se siate a conoscenza di ulteriori dati con riferimento a questo tipo di rifiuti, in ordine al quale, ovviamente, è molto viva l'attenzione di tutti; mi riferisco, in particolare, al modo in cui vengono trattati, ove si consideri il sospetto che larga parte dello smaltimento illegale riguardi proprio questa tipologia di rifiuti. Non vorrei sbagliare, ma qualche anno fa una stima di parte industriale indicava come il 20 per cento dei rifiuti tossico-nocivi fosse autosmaltito dalle industrie, ma non si sapeva che fine facesse l'altro 80 per cento. A tale riguardo, da voi vorremmo ricevere conferme, smentite o, se ne siete in possesso, dati ed elementi di conoscenza nuovi.

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. Purtroppo, non disponiamo di un'analisi che distingua il rifiuto tossico-nocivo da quello speciale. Molti impianti sono in grado di trattare entrambi i tipi di rifiuti; i pochi forni di incenerimento esistenti in Italia, apparentemente più che sufficienti a soddisfare la domanda, trattano, infatti, rifiuti sia tossico-nocivi sia speciali. A nostro parere le stime del Ministero, che indicano una quantità di tre milioni di tonnellate annue, sono abbastanza attendibili. L'associazione - ripeto - non dispone di dati che possano confortare questo aspetto. Tra l'altro, per effetto del decreto Ronchi, vi sarà una nuova classificazione, che porterà a distinguere i rifiuti tra pericolosi e non pericolosi. Al momento, non siamo in grado di stabilire la quantità di rifiuti che, sulla base di tale classificazione, dovranno essere considerati pericolosi.

PRESIDENTE. Qual è il vostro punto di vista sulle tecnologie di inertizzazione dei rifiuti pericolosi? Svolgete attività in questo settore?

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. Ci sono diversi associati che hanno impianti di inertizzazione dei rifiuti pericolosi, successivamente immessi in discarica.

PRESIDENTE. Quali sono le tecnologie più diffuse? Lei ha giustamente ricordato che esistono tanti tipi diversi di rifiuti. La mia domanda, allora, è la seguente: qual è il tipo di rifiuto pericoloso più diffuso nelle attività industriali? Corrispondentemente, qual è il tipo di tecnologia di smaltimento o di trattamento alla quale maggiormente si ricorre? Ovviamente, mi riferisco sempre ai rifiuti pericolosi.

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. E' difficile segmentare tutti i rifiuti... Possiamo dire che negli impianti di inertizzazione la gran parte dei rifiuti trattati è quella contenente metalli pesanti, cioè rifiuti provenienti da industrie metallurgiche, oppure ceneri provenienti da impianti di incenerimento. L'altra parte di rifiuti pericolosi (poco fa è stato ricordato il PCB) non può che essere termodistrutta. In sostanza, le due principali tecnologie di smaltimento sono la termodistruzione per i rifiuti pericolosi organici e l'inertizzazione, con successiva messa a discarica, per i rifiuti a base inorganica.

GIUSEPPE SPECCHIA. Il rappresentante di Assoambiente ha sostenuto che sostanzialmente, per quanto riguarda gli impianti di smaltimento di rifiuti industriali, l'offerta è maggiore della domanda. Considerato che in Italia vi sono 32 impianti funzionanti, ed anche alla luce delle richieste provenienti dall'estero, ritenete che sia ancora necessario ed opportuno creare altri impianti, come pure in alcune regioni si sta facendo? Sono pugliese e mi risulta che in alcune province della mia regione ci si stia attrezzando per realizzare nuovi impianti.

E' stato detto che una percentuale di smaltimento è illegale. Chiedo, allora: in base alle notizie in possesso di Assoambiente, quanto è diffusa la presenza della criminalità organizzata in questo settore? Vi risultano conoscenze al riguardo?

Infine, vorrei sapere - chiedo scusa fin d'ora - se vi siano state vicende di vostri associati, "pecore nere"...

PRESIDENTE. Si tratta di una domanda che dovremmo rivolgere a tutti!

GIUSEPPE SPECCHIA. Sì, a tutti.

Chiedevo se abbiate accertato casi in cui vostri associati abbiano avuto rapporti con la criminalità organizzata.

FRANCO GERARDINI. Se non sbaglio, si è parlato di 85 impianti non operativi. Vorrei sapere se nell'ambito di questo censimento abbiate anche individuato l'area in cui si concentrano maggiormente questi impianti, se si tratti cioè del nord Italia, del centro o del Mezzogiorno.

Vorrei inoltre conoscere i motivi che hanno impedito l'attivazione degli impianti, in particolare se si tratti di ragioni di natura psicologica o se collegati a risvolti di carattere giudiziario, avendo riguardo ad esempio all'appalto delle opere finalizzate alla realizzazione di questi impianti. L'Assoambiente, nell'ambito dello studio che ha lodevolmente promosso, ha effettuato anche verifiche di questo tipo?

Da più parti le aziende si lamentano per il fatto che, una volta emanata la norma tecnica di attuazione di un decreto legislativo o di altro atto di questa natura, i tempi previsti assumono particolare rilevanza in rapporto alla capacità dell'azienda di implementare queste norme al suo interno. Ritenete che l'aspetto della tempistica sia uno dei motivi che abbia caratterizzato, per esempio, un aumento delle attività illegali, magari sommerse, da parte di aziende non di grado di adempiere nei tempi previsti dalla norma all'attuazione della stessa? Oppure ritenete che non si tratti più di un problema, a fronte di una capacità autonoma da parte delle aziende, acquisita grazie ad una crescita culturale realizzatasi negli anni, di adempiere meglio alle finalità indicate dalla normativa e, quindi, di garantire il rispetto delle norme tecniche? Secondo voi, l'aspetto della tempistica è un problema attuale anche rispetto all'attuazione del decreto legislativo n. 22 e sta influenzando negativamente l'attività delle imprese?

PRESIDENTE. Il dottor Pasini e il dottor Tiriolo rappresentano società che definiscono di servizi. Ma se un'azienda svolge un'attività di inertizzazione di rifiuti pericolosi o di termodistruzione con cogenerazione di calore, si tratta di filiere tecnologiche che fanno pensare più ad attività produttive che ad una pura attività di servizio. Vorremmo perciò capire da voi, che rappresentate società di servizi, ma la cui proiezione in senso lato produttiva ci sembra abbastanza evidente, se si stia attivando un circuito virtuoso che stimoli nelle imprese private l'interesse a un'imprenditoria nuova che, dopo un ritardo di molti anni - ritardo collettivo, delle amministrazioni, della legge, ma anche delle imprese stesse -, affronti la partita rifiuti, in particolare industriali, come una situazione da risolvere all'interno di un sistema-paese con imprese che non si sentano solo utenti di servizi ma anche capaci di entrare in un circuito più ampio. Il ministro dell'industria, posto a confronto con una problematica del genere, si è professato abbastanza ottimista. Vorremmo sapere da persone che hanno il polso della situazione in modo più diretto se questo ottimismo sia giustificato. In ogni caso, qual è la vostra opinione sul ruolo delle imprese nella partita rifiuti, ruolo non solo di utenza, non solo di servizio, ma anche con un qualcosa in più?

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. La prima domanda riguardava la sufficienza o meno degli impianti. Gli impianti esistenti in Italia nel settore dei rifiuti industriali sono sufficienti a soddisfare la domanda attuale, cioè una domanda che sconta una quota difficilmente definibile, ma sicuramente importante, di smaltimento illegale. Nel momento in cui si riuscisse, attraverso controlli più professionali, a fare emergere la quota di smaltimento illegale, allora si porrebbe sicuramente il problema dell'insufficienza degli impianti. Ma si tratta di discorsi che probabilmente debbono andare di pari passo: man mano che i rifiuti emergeranno, ci sarà bisogno di nuovi impianti.

Il senatore Specchia ha rivolto una domanda su eventuali associati "pecore nere". Preferirei che su questo rispondesse il dottor Tiriolo, che è al corrente più di me di quanto è successo negli anni passati.

Un'altra domanda era rivolta a sapere dove sono gli impianti non operativi nel settore dei rifiuti e perché sono inattivi. Nella documentazione che abbiamo predisposto è contenuta una nostra ricerca contenente un elenco di tutti gli impianti, da cui si deduce dove sono quelli non operativi. Sono presenti praticamente in tutte le regioni; non vi è una zona con una maggiore concentrazione di impianti non operativi. Le motivazioni della mancata operatività di questi impianti sono molteplici. In buona parte, è una conseguenza delle norme riguardanti l'incenerimento e le emissioni.

PRESIDENTE. Cioè l'obsolescenza degli impianti rispetto alla produzione normativa.

CARLO PASINI, Vicepresidente dell'Assoambiente. Si tratta di impianti non più economicamente ristrutturabili. Purtroppo, gli impianti censiti sono nella stragrande maggioranza di piccole dimensioni, cioè con una capacità intorno alle 100 tonnellate al giorno, quando sappiamo che una grande città oggi ha bisogno di un impianto con una capacità di mille tonnellate al giorno. Una causa è stata anche l'effetto Seveso, cioè la psicosi che si è creata - non solo in Italia - sui pericoli derivanti dalle emissioni di diossine, che ha impedito di riattivare alcuni impianti. Infine, vi sono stati impianti costruiti con finanziamenti pubblici soltanto per ottenere i finanziamenti, che però non servivano. La nostra associazione è contraria a questo tipo di sovvenzioni, mentre è estremamente favorevole a sovvenzioni "in conto esercizio", come quelle dell'ex CIP-6: la sovvenzione, cioè, arriva solo se l'impianto funziona e fornisce il servizio per cui è stato creato.

Per quanto riguarda la tempistica, non ci risulta che le aziende incontrino difficoltà nell'adeguarsi alla produzione normativa. Il problema, che è attuale anche dopo l'emanazione del decreto Ronchi, è che le norme stentano ad essere emanate: se vi è qualcuno lento, a nostro parere è il legislatore. Il decreto Ronchi è entrato in vigore a febbraio, ma ancora non sono stati emessi i decreti attuativi per esempio sul recupero dei rifiuti. Molte aziende, perciò, si trovano in una situazione d'incertezza, non sapendo se portare avanti investimenti in questo settore perché non sanno quali rifiuti potranno recuperare, e quanti ve ne saranno, in funzione delle specifiche norme che entreranno in vigore.

L'ultimo aspetto è relativo alle aziende di servizi o di produzione. Ci definiamo aziende di servizi perché rendiamo il servizio di smaltimento dei rifiuti, ma questo non toglie che il settore si stia evolvendo, a nostro parere in senso positivo, riguardo sia ai rifiuti urbani sia a quelli industriali. Se, anziché incenerire e basta, si fa anche termorecupero, producendo energia elettrica, ecco che l'azienda rende un servizio di smaltimento rifiuti ma produce anche energia, e quindi diventa un'azienda produttiva. Se un'azienda che tratta rifiuti urbani non si limita a smaltire ma recupera anche materiali, diviene un'azienda che produce materie prime, e quindi diventa in parte produttiva. Non è necessario che sia fatto tutto dalla stessa azienda, però i confini fra il settore del servizio di smaltimento rifiuti e quello produttivo si stanno in qualche modo sovrapponendo, sicuramente con un effetto positivo, se le norme attuative del decreto Ronchi - come il decreto stesso già in parte fa - incentiveranno anche le aziende collaterali al settore dei rifiuti urbani a dare il loro contributo.

FRANCESCO TIRIOLO, Direttore generale dell'Ausitra. Alla domanda del senatore Specchia potrei rispondere negativamente, ma purtroppo la stessa domanda, non più tardi di due anni fa, mi è stata rivolta proprio in quest'aula. Abbiamo avuto un solo caso, eclatante per la risonanza che ha avuto, anche se poi le attività illecite del gruppo - ma penso si possa parlare di una vera e propria organizzazione criminale - erano più rivolte ad altri settori di attività, cioè soprattutto all'edilizia, alla lavorazione del calcestruzzo. Quest'azienda, come spesso accade, aveva diversificato le sue attività ed era presente al nostro interno in modo piuttosto ramificato, non solo in questo settore, ma anche per lavori svolti per le ferrovie dello Stato o nel campo delle pulizie ospedaliere, ed in buona parte del territorio nazionale. In quel caso adottammo provvedimenti di allontanamento dall'associazione delle aziende in oggetto; come ebbi modo di riferire rispondendo a domande che mi furono poste in questa sede due anni fa, per ragioni molto meno nobili mantenemmo i rapporti con i liquidatori, in quanto avevamo delle pendenze.

Più recentemente non è il caso (ritengo, forse, non lo so) di parlare di vere e proprie infiltrazioni, ma ci siamo trovati di fronte ad un caso clamoroso, anch'esso assurto agli onori della cronaca, di smaltimento illegale ed abbiamo adottato un provvedimento di espulsione: sto parlando della Sistemi ambientale di La Spezia, un'azienda nostra associata, nei confronti della quale mesi fa è stato adottato un provvedimento di espulsione dall'associazione.

D'altronde, come dicevo prima, questa è un'associazione volontaria ed aperta, per cui non possiamo adottare criteri di discriminazione neppure in sede di preselezione: voglio dire che un'azienda che dimostri di essere in possesso dei requisiti e che chieda di essere associata presentando una domanda, se la vedrebbe accolta. Per parte nostra, possiamo adottare regole di comportamento, così come in Confindustria vi è il codice etico; mi rendo conto che sono soluzioni che lasciano il tempo che trovano: gli imprenditori a vario titolo incappati in vicissitudini giudiziarie sono fin troppi, però gli strumenti per intervenire tempestivamente, arrivando all'espulsione dall'associazione, ci sono. L'ultimo caso, che è sicuramente un caso di smaltimento illegale (anche se non so quanto si possa parlare di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata) è recentissimo perché risale a quest'anno.

PRESIDENTE. Se possiamo darvi un suggerimento, mi pare che, procedendo sul terreno dei codici di comportamento e delle possibilità di controllo di un'associazione volontaria, un settore abbastanza a rischio qual è quello della autodemolizioni è riuscito a trovare alcune formule, che vanno al di là della selezione e dell'autocertificazione, che forse potrebbero rivelarsi utili anche in settori del tutto diversi.

Vi ringraziamo anche per aver detto con molta chiarezza del problema dello smaltimento illegale dei rifiuti industriali e del fatto che, per così dire, piccolo non sempre è bello, soprattutto se i termodistruttori sono realizzati soltanto per fare l'opera e non per una finalità reale.

Vi invitiamo altresì ad integrare le notizie fornite alla Commissione con la documentazione che riterrete opportuno inviare nelle prossime settimane.

Avverto che la prossima seduta della Commissione avrà luogo giovedì prossimo, 2 ottobre 1997, alle 17, con all'ordine del giorno l'audizione del presidente dell'ENEL, dottor Enrico Testa.

La seduta termina alle 19,35.

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