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CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA

XIII LEGISLATURA

COMMISSIONE PARLAMENTARE

PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA

DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI

16.

SEDUTA DI MERCOLEDI' 5 MARZO 1997

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO STORACE

INDICE

Audizione del direttore generale e del direttore del personale della RAI

La seduta comincia alle 14.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Essendo pervenuta la richiesta da parte del prescritto numero di componenti la Commissione, dispongo, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del regolamento della Commissione, che la pubblicità dei lavori della seduta sia assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Della seduta odierna sarà altresì redatto e pubblicato il resoconto stenografico.

Comunicazioni del presidente.

PRESIDENTE. Come i colleghi sanno, ieri è stata data notizia della costituzione del Comitato per gli indirizzi alla RAI per quanto riguarda le elezioni amministrative; ne fanno parte il relatore Jacchia e i senatori Baldini e Falomi. I suddetti parlamentari hanno inviato alla presidenza una proposta e vi sono alcune integrazioni del senatore Falomi. Invito gli uffici a distribuire a tutti i commissari sia il lavoro comune - definiamolo così - di Baldini e Jacchia sia le integrazioni proposte dal senatore Falomi.

L'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi è convocato per martedì 11 marzo alle ore 14 proprio per esaminare la bozza di una risoluzione di disciplina delle trasmissioni radiotelevisive nell'imminenza della prossima campagna elettorale; sullo stesso argomento, se si raggiungerà un'intesa in ufficio di presidenza, mi riservo di convocare la Commissione per mercoledì 12 marzo.

Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Audizione del direttore generale e del direttore del personale della RAI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale e del direttore del personale della RAI.

Nel salutare i nostri ospiti, ricordo che, oltre al dottor Iseppi e al dottor Di Russo, rispettivamente direttore generale e direttore del personale della RAI, sono presenti anche il vicedirettore generale Mengozzi, il dottor Sagna, l'avvocato Esposito, il dottor Marruzzo, il dottor Basili, il dottor De Palma e il dottor Di Loreto.

Nell'auspicare che l'odierna audizione possa concludersi entro un'ora e mezzo o due ore, darò dapprima la parola al direttore generale della RAI, il quale procederà ad una breve esposizione che, secondo quanto mi ha preannunziato questa mattina, dovrebbe durare circa dieci minuti; successivamente darò la parola ai colleghi che chiederanno di intervenire. Io stesso interverrò alla fine per porre alcune domande e poi il direttore generale della RAI svolgerà la sua replica.

In questo modo, chi sarà stato impossibilitato ad essere presente a causa di concomitanti impegni parlamentari potrà leggere nel resoconto stenografico della seduta le risposte del direttore generale, in modo che nello stesso resoconto stenografico vi sia, per così dire, una bozza dei nostri lavori, che potranno proseguire con l'eventuale discussione di successivi documenti di indirizzo.

Nel dare la parola al direttore generale della RAI per la sua introduzione, prego i colleghi di iscriversi a parlare, auspicando che tutti intervengano in modo sintetico, anche se questo non è un obbligo, considerata la delicatezza della materia.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Ho predisposto una nota sulla situazione e sui presupposti che sono alla base dei nostri comportamenti nei confronti dei precari.

L'assunzione di programmisti-registi e di altri lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato viene praticata dalla RAI ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera e), della legge n. 230 del 1962, nel testo modificato dalla legge n. 266 del 1977. Tale norma consente l'apposizione di un termine alla durata del contratto "nelle assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi".

La legge del 1977 segue la legge di riforma della RAI (la n. 103 del 1975) che, come ricorderete, introduceva il pluralismo sia con l'articolo 1, che impegnava il servizio pubblico alla "apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione" sia con l'articolo 13, che istituiva l'organizzazione in reti e testate dell'azienda.

La legge del 1977 rappresenta, al di là di ogni lettura interessata, lo strumento con il quale viene sancita l'apertura al "mercato" del lavoro come dato indispensabile per evitare l'autarchia ideativa-realizzativa della programmazione radiotelevisiva del servizio pubblico.

La motivazione della legge n. 266 è quella di consentire al servizio pubblico radiotelevisivo di apprestare, a vantaggio della collettività, una maggiore varietà e ricchezza di programmi e spettacoli, facendo ricorso all'apporto delle diverse componenti culturali, artistiche e sociali al fine di rappresentare, in modo più completo e dialettico, la realtà che si vuole illustrare. La presenza di tali componenti nella preparazione e nella produzione di specifici programmi radiofonici e televisivi non può che essere, per sua natura e funzione, temporanea e integrativa dell'organico dei programmisti e degli assistenti, che ammonta attualmente a 507 unità.

Questa esigenza è oggi immutata e viene riproposta da interventi autorevoli anche a livello istituzionale (ad esempio il garante e la stessa Commissione parlamentare di vigilanza con il suo recente documento di indirizzi sul pluralismo).

Il riconoscimento da parte del legislatore di questa esigenza colloca adeguatamente la produzione radiotelevisiva all'interno della più ampia categoria della produzione dello spettacolo, settore nel quale il rapporto di lavoro a termine è funzionale alla realizzazione di un prodotto (il film, la prosa, la rivista, eccetera) e alle sue esigenze di diversificazione.

La stipula di contratti a termine è resa necessaria dall'elevato numero di programmi specifici che la RAI ogni anno realizza e risponde inoltre ad un'esigenza di razionalità e economicità della gestione aziendale, in quanto il ricorso all'assunzione a tempo indeterminato di lavoratori per ogni necessità comporterebbe la formazione di un organico soltanto parzialmente utilizzabile.

Nel corso degli anni si è venuto a determinare un vasto bacino di collaboratori che, anche attraverso i ripetuti impegni, hanno acquisito un elevato grado di professionalità ed esperienza che mettono a disposizione dell'intero sistema radiotelevisivo, non solo della RAI, e che la RAI ha interesse a utilizzare. Il numero dei collaboratori impegnati nell'ultimo quadriennio si attesta intorno alle 2.000 unità; nell'ultimo semestre ne sono stati utilizzati circa 800 (il 20-25 per cento nella programmazione radiofonica), con contratti di durata variabile fino a 6-7 mesi.

In tale ottica, le transazioni sottoscritte ex lege n. 533 del 1973, lungi dal rappresentare "inaccettabili pratiche di sfruttamento del lavoro", garantiscono la possibilità di soddisfare le predette esigenze e cautelano l'azienda di fronte ad indiscriminate rivendicazioni.

Le transazioni in questione vengono stipulate, ai sensi del comma 4 dell'articolo 2113 del codice civile, con l'assistenza dei rappresentanti sindacali dei lavoratori, la cui presenza garantisce l'imparzialità della composizione e il rispetto della normativa inderogabile posta a tutela del lavoratore.

Le conciliazioni in questione riguardano, in ogni caso, una modesta percentuale (50-60 casi all'anno, pari a circa il 5 per cento) dei lavoratori complessivamente impegnati con contratti a termine. I predetti verbali di conciliazione sono stati ritenuti legittimi dai giudici che sono stati chiamati a pronunciarsi in merito.

A proposito, invece, del contenzioso (quindi non delle conciliazioni), devo informare la Commissione che nell'ultimo triennio le cause intentate contro la RAI sono state in tutto circa 90 e soltanto 60 sono giunte a sentenza. Di esse, circa la metà sono risultate favorevoli all'azienda.

Ciò premesso, mi pare che siamo chiamati davanti alla Commissione parlamentare di vigilanza per rispondere sostanzialmente a una domanda: se l'azienda possa venire incontro più che in passato alle comprensibili aspirazioni all'assunzione a tempo indeterminato dei cosiddetti lavoratori precari.

In via preliminare, voglio informare la Commissione che l'azienda nel 1996 ha realizzato un significativo contenimento dell'organico, che è passato da 11.292 unità al 1° gennaio 1996 a 10.995 al 31 dicembre 1996 e a 10.800 unità circa al 31 gennaio 1997; questo obiettivo è stato realizzato congiuntamente a quello di immettere in organico stabilmente ben 300 unità, tutte rispondenti a precise esigenze lavorative e in gran parte prescelte tra lavoratori cosiddetti precari. Ciò fa parte di una politica che non è iniziata nel 1996 e che risale a diversi anni addietro.

Quanto ai programmisti, va detto che nell'ultimo triennio il relativo organico è passato da 500 a 507 unità, ciò a riprova del fatto che l'azienda ha deciso di mantenere un giusto equilibrio tra programmisti in organico e programmisti cosiddetti precari. In sostanza, nell'ambito della riduzione del personale, non si sono toccati i programmisti-registi e comunque coloro che lavorano nell'area editoriale.

Avendo ben presente, infatti, il problema delle aspettative che comunque sono ingenerate dal ricorso ai contratti a termine, laddove è consentito dai vincoli di piano, l'azienda, nel rispetto degli obiettivi di contenimento degli organici e compatibilmente con le esigenze di organico che via via si verificano, opera da tempo per il riassorbimento in pianta stabile dei contrattisti. Citerò ora una serie di casistiche: per il personale giornalistico si sta progressivamente procedendo all'assorbimento di collaboratori inseriti nelle liste dei precari; per il personale di studio (operatori, montatori, tecnici, eccetera) in quanto, di norma, precedentemente risultato idoneo a selezioni professionali, l'assunzione in pianta viene effettuata secondo l'ordine di graduatoria; per il personale impiegatizio si procede alle assunzioni sulla base della graduatoria delle persone maggiormente utilizzate con contratti a tempo determinato; per l'area ideativo-produttiva sono allo studio iniziative e provvedimenti volti a limitate immissioni in organico tra i collaboratori maggiormente utilizzati, compatibilmente con le esigenze editoriali e di palinsesto di ciascuna rete e le specifiche vocazioni professionali.

E' prevedibile che la politica degli organici negli anni futuri dovrà continuare ad essere improntata a criteri fortemente restrittivi: l'azienda è impegnata dai piani triennali approvati dagli organi vigilanti alla riduzione del personale in pianta organica, all'equilibrio del conto economico, al rilancio del servizio pubblico e al suo sviluppo nei nuovi servizi.

La possibilità di continuare la politica del riassorbimento dei precari è legata alla possibilità di sviluppare nuove offerte e nuovi servizi (mi riferisco ai canali tematici satellitari in chiaro e criptati); alla possibilità di varare un nuovo modello societario, così come previsto dai disegni di legge del ministro Maccanico, che consenta di valorizzare le aree di business e di svilupparle; alla necessità di riallocare diversamente le risorse umane, in attuazione del progetto di trasformazione della terza rete in rete a valenza territoriale; all'entità delle risorse economiche che la normativa antitrust, di cui è in corso l'approvazione, lascerà al servizio pubblico.

In conclusione, mi pare che nel quadro legislativo che si è delineato negli ultimi anni e che sta per essere modificato nella direzione anzidetta dal Parlamento, per regolamentare il sistema radiotelevisivo e il servizio pubblico, sia richiesto alla RAI di perseguire gli obiettivi che le sono assegnati in una stretta logica di impresa.

In questo quadro l'azienda si propone di far fronte alle normali esigenze delle reti (da turn over) con l'immissione in organico di programmisti-registi scelti tra quelli maggiormente utilizzati, in funzione delle esigenze editoriali e di palinsesto di ciascuna direzione di rete e delle specifiche vocazioni professionali. Allo stesso bacino e con gli stessi criteri l'azienda si rivolgerà per far fronte alle sue esigenze di sviluppo nel campo delle reti tematiche e dello sviluppo della rete territoriale. Naturalmente, i criteri selettivi verranno comunicati e discussi con i sindacati, con i quali è in corso una trattativa per quanto concerne la riorganizzazione, gli accorpamenti e la mobilità interna.

PRESIDENTE. Ringrazio il direttore generale della RAI e do la parola al senatore De Corato, che è il primo degli iscritti a parlare.

RICCARDO DE CORATO. Vorrei sapere a quanto ammonti esattamente il contenzioso con questo settore; desidero pertanto acquisire un dato complessivo sullo stesso contenzioso.

Chiedo inoltre fino a quando siano utilizzabili queste graduatorie, cioè se vi sia un limite temporale oppure se si tenga conto soltanto dell'esigenza di coprire gradualmente eventuali posti vacanti o comunque di far fronte alla mancanza di personale. Vorrei quindi sapere - lo ripeto - se vi sia un limite temporale in ordine alle graduatorie.

Passando ad un'altra domanda, ricordo che il direttore generale della RAI ha parlato della terza rete a valenza territoriale. Anche ammesso che questa ipotesi sia fatta propria dal Parlamento, vorrei conoscere l'entità del personale che la RAI prevede di utilizzare in questa rete a valenza territoriale che, se non sbaglio, sarebbe la rete federata. Tra l'altro, si è affermato che quest'ultima dovrebbe essere monotematica, ma non si è mai fatto riferimento a cifre o budget relativi all'ipotesi di questa rete; poiché oggi il dottor Iseppi ha affermato qualcosa di interessante, vorrei sapere esattamente quale sia l'ipotesi di utilizzo di personale in ordine alla stessa rete.

GIUSEPPE GIULIETTI. Desidero porre alcune domande che si collegano a quanto rilevato dal senatore De Corato; la prima questione è probabilmente fuori tema, ma mi ha sollecitato lo stesso senatore De Corato.

PRESIDENTE. La questione posta dal senatore De Corato non era fuori tema, in quanto faceva riferimento all'utilizzo del personale in rapporto alla rete federata. Non avrei consentito che si ponesse una domanda fuori tema.

GIUSEPPE GIULIETTI. Non intendevo far nascere un incidente. Comunque, considerato che vi è un forte commercio clandestino di notizie su diversi temi, se posso dare un suggerimento, mi auguro che la RAI promuova una conferenza di produzione, a partire dalla rete federata; altrimenti, si correrebbe il rischio di assistere ad una fibrillazione permanente. Tale questione non c'entra con il tema in discussione ma intendevo porla in apertura.

Per quanto concerne i precari, ho ascoltato attentamente l'esposizione del direttore generale della RAI e devo dire che si tratta di una questione molto delicata: innanzitutto, il modo in cui si è formato il bacino del precariato all'interno del servizio pubblico costituisce un problema antico. Vorrei quindi sapere sulla base di quali criteri si distinguano i precari: ve ne sono alcuni che sono ormai, per così dire, storici, in quanto si trovano alla RAI da 15-20 anni, rappresentano la spina dorsale di alcune trasmissioni e ricevono retribuzioni molto basse. Non si comprende per quale motivo non siano state sanate le loro posizioni o non si avvii una riflessione per cominciare a definire un bacino del precariato o a distinguere tra le libere scelte di part time e la sostituzione surrettizia di pianta organica. Spero di essere stato chiaro.

So bene che è una questione delicata, che il settore ha bisogno di grande flessibilità, che vi è un problema per tutta l'area delle telecomunicazioni, che vi è un vincolo di serietà per il Parlamento, perché è difficile chiedere contemporaneamente la riduzione delle piante organiche e l'avvio di un altro tipo di progetto (parliamo di lavoro e sarebbe errato giocare) ma, detto questo, quello che mi interessa sapere è: non ritenete che una parte del precariato sia ormai diventata una sostituzione di pianta organica? Come distinguete le diverse figure di precari? Il meccanismo delle transazioni non configura, in talune situazioni, una sorta di patto leonino che viene imposto a queste figure professionali, per la sostanziale rinuncia ai loro diritti in una situazione di anomalia? Si sa infatti che, se non si firma, non si ha accesso al lavoro e si crea una situazione molto delicata.

Pongo queste domande per capire, come è nella volontà di gran parte della Commissione (in tal senso ieri si sono espresse tutte le parti politiche, per cui non siamo di fronte ad un oggetto di contrapposizione ideologica), se riteniate che, anche nell'ambito del rinnovo dei contratti di lavoro, o comunque in altre forme, si debba aprire una riflessione specifica all'interno dell'azienda sulla questione del precariato, sulla definizione di un bacino dei precari, sull'individuazione di queste figure professionali, su una proposta che nasca all'interno dell'azienda prima di qualsiasi percorso legislativo (che fra l'altro sarebbe delicato in una materia come questa). L'azienda prevede dunque l'apertura di una riflessione specifica su tali questioni, o ritiene che vi sia un problema non affrontabile, per cui all'interno dei confini dati oggi la vicenda del precariato sia immutabile? Ritengo che, se ci mettiamo tutti nello spirito di affrontare la questione nei modi e nelle forme possibili, nella contrattazione, nella sede parlamentare, nel corso dell'esame del disegno di legge Maccanico, rendendoci conto che il problema esiste e va affrontato con gradualità ed intelligenza, si sarà posto in essere l'atteggiamento migliore: vorrei quindi sapere se vi è una disponibilità in questo senso, della quale ritengo l'intera Commissione di vigilanza terrà conto nel formulare la sua risoluzione, i suoi indirizzi, o quanto riterrà opportuno.

PAOLO ROMANI. Mi aspettavo da parte del dottor Iseppi un esordio un po' più completo: penso che nessuno di noi possa mettere in dubbio che la struttura del servizio televisivo, pubblico o privato che sia, faccia comunque riferimento al campo dello spettacolo, nel senso che vi sono programmi e lavori a termine che non possono consentire all'azienda di tenere in pianta organica quanto le serve (visto che determinate esigenze durano per qualche settimana, per qualche mese, o per una stagione televisiva, cioè da ottobre fino a maggio-giugno). E' ovvio quindi che, nella considerazione del problema, dobbiamo tenere conto della specificità del settore.

Fatta questa premessa, l'impressione complessiva è che il problema venga risolto a valle, e non a monte. Vi è infatti il tentativo, da un lato, della contrattazione individuale, che tenda a sanare laddove il problema si pone per particolari condizioni, o situazioni personali, dall'altro lato, di tamponare un problema complessivo che non penso dipenda, dottor Iseppi, solamente dalle prospettive strategiche dell'azienda. Questa ha una sua continuità storica, che fa riferimento alla premessa che facevo, e non penso che oggi si ponga il problema di immaginare quale possa essere il monte complessivo della necessità di organico, sia in pianta stabile sia sul piano precario, anche se vi è evidentemente l'esigenza di stabilire le necessità obiettive di personale, sia giornalistico sia per la produzione. Certo, la rete federale da costruire, le reti tematiche, la pay-tv potranno modificare il sistema complessivo ma, fino al momento in cui il legislatore non si deciderà (speriamo che avvenga presto) a definire una legge di sistema, penso che comunque si possa immaginare uno scenario di produzione che consenta all'azienda di valutare, per esempio: al 31 gennaio, abbiamo 10.800 dipendenti e 2 mila persone a cui fare riferimento, delle quali 800 hanno collaborato nell'ultimo semestre, per cui possiamo fare un piano trasparente per tutti, sia per chi lo subisce dal punto di vista del precariato, sia per chi (come noi) deve capire quali possono essere le strategie.

La mia domanda è la seguente: può la RAI indicarci con ragionevole certezza quali sono le necessità oggettive, scontato il fatto che siamo tutti consapevoli che il precariato (un brutto termine), o il tempo determinato (il TD, come si dice in gergo), sarà comunque un riferimento normativo dal quale non si potrà prescindere? Se il problema è immaginare le strategie complessive del prossimo futuro, ne teniamo conto e sappiamo che la RAI si espanderà, ridurrà, o creerà dei meccanismi di mobilità interna che consentiranno non di continuare a ridurre il personale ma di effettuare spostamenti di personale in pianta organica in base alle nuove tecnologie; io però ritengo che si possa anche, soprattutto sulla base della storia di anni, valutare quali possano essere le necessità oggettive.

Ultima domanda su un aspetto che forse personalmente non ho capito, ma può darsi che il dottor Iseppi ci possa dare una risposta più precisa: come sono fatte le graduatorie? Chi stabilisce chi è più o meno bravo? Se queste graduatorie esistono, perché si creano meccanismi di insoddisfazione rispetto a quelli che vengono assunti e sembrano superare esperienze consolidate addirittura di 15-20 anni? Questo succede o no? Siamo sicuri che vi sia sempre un meccanismo virtuoso che ci consente di avere un plafond complessivo di persone che acquisiscono, come diceva il direttore generale, una propria professionalità vista la lunga fase collaborativa? Avviene però che queste persone non vengano, o non si sentano, collocate all'interno di un meccanismo che deve essere anche meritocratico? Si può essere bravi, oltre che condizionati: effettivamente i patti leonini cui faceva riferimento Giulietti in parte esistono, è ovvio, perché chi ha un contratto a tempo determinato tende a lavorare pure la domenica, anche se non dovrebbe essere consentito, ad essere più disponibile di chi è già in pianta organica; vi è effettivamente un meccanismo di "ricatto" psicologico, ma se questo esiste non è necessariamente un dato negativo perché può rappresentare uno stimolo ad essere migliori e disponibili, a dare un maggior contributo. Tra l'altro, in questa materia, facciamo riferimento a contributi di carattere più creativo che continuativo: il TD riguarda qualcuno che porta qualcosa che all'interno dell'azienda non c'è, per cui offre un contributo di ideazione e di creatività. Pertanto, è possibile immaginare un meccanismo di graduatoria che consenta di determinare un livello, in base al quale di possa capire meglio, in termini sia quantitativi sia qualitativi, il problema nel suo complesso?

ROSARIO GIORGIO COSTA. Signor presidente, la sensazione che un commissario ha avuto ieri ascoltando le rappresentanze del precariato è quella di un ente che, suo malgrado, appare come un grande sfruttatore, che esercita una pressione morale e psicologica sul lavoratore che non ha certamente riscontro in alcuna branca della pubblica amministrazione. Se è vero che è un soggetto di diritto privato, è pur vero che, per la funzione pubblica che esercita, l'autorità giudiziaria ne assimila i comportamenti e le responsabilità al settore pubblico. Il bacino del precariato, allora, che evidentemente è fisiologico per un'azienda che abbia l'oggetto sociale della RAI, nei limiti del possibile, deve essere contenuto al massimo.

Se questo bacino si attesta oggi nella misura del 10 per cento rispetto alla pianta organica strutturale dell'ente (tale percentuale si rileva dal rapporto tra i 1.200 precari e i 10.800 assunti), domando: qual è stato l'andamento tendenziale di questo indice negli ultimi dieci anni? Ha subito una lievitazione o una contrazione? Rispetto al comparto del privato è più o meno elevato? Questi dati possono giovare agli organi gestionali per avere un modello di riferimento cui conformare la propria azione, con l'obiettivo di contenere al massimo il bacino del precariato, che provoca lamentele, aspettative, frustrazioni. Questi aspetti negativi sono in parte necessari, perché chi si è occupato di aziende con un'attività analoga a quella della RAI sa che non è possibile operare senza contratti a tempo determinato, ma occorre possibilmente contenerli.

Per quanto attiene alle transazioni, la RAI si comporta in definitiva come qualunque soggetto di diritto privato: tenta di tutelarsi, di evitare l'insorgere di numerose cause di lavoro ed acquisisce, con le modalità e la tecnica proprie del soggetto di diritto privato, la soluzione transattiva. Personalmente però, come commissario, ho l'obbligo di comunicarvi che ieri ho avuto la sensazione che questi lavoratori non siano sufficientemente informati: non conoscendo io altre soluzioni per mettere al riparo l'azienda dal contenzioso (e voi avete l'obbligo di farlo), sono soltanto a pregarvi di fare in modo che vi sia un'ostentata pubblicità dei comportamenti e che, al limite, a parte la tutela dell'organizzazione sindacale, si induca il lavoratore a farsi assistere da un avvocato di parte. Questo per evitare la possibile sensazione che le transazioni vengano estorte: al riguardo, a mio avviso, nonostante la comprensione che si può riservare al personale, va compresa anche l'esigenza dell'azienda di tutelarsi. E' però necessario, proprio per la natura pubblica del soggetto aziendale, fare in modo che nessuno possa minimamente avere motivo di dire che ha dovuto firmare una carta che non avrebbe voluto firmare.

GIANCARLO LOMBARDI. Il mio intervento è molto sulla linea di quelli di Giulietti e di Romani. In sostanza, mi sembra di aver capito che vi sono precari che servono alla RAI in maniera sistematica, altri che servono soltanto parzialmente (diciamo al 50 per cento del tempo, per fare riferimento alla percentuale richiamata anche dal direttore generale), altri ancora, immagino, che non vanno bene, cioè per intenderci che rivendicherebbero di entrare in ruolo ma che l'azienda non ha alcuna intenzione di assumere per le loro caratteristiche professionali o per le loro competenze specifiche.

La situazione è a mio avviso molto diversa nei tre casi: per la prima categoria, penso che si dovrebbe trovare una soluzione anche rischiando qualcosa, per la seconda no, per le ragioni espresse dal direttore generale, per la terza il problema va affrontato ma in altri termini, chiarendo che certe persone non servono all'azienda. Mi allineo poi all'intervento di Romani in questo senso; prescindendo dalle importanti osservazioni relative al possibile fabbisogno derivante da eventuali innovazioni legislative, che potrebbero determinare un ampliamento di organico della RAI, e fermandoci quindi ai dati di fatto attuali, esiste probabilmente un programma dell'azienda: il direttore generale ci ha detto che l'azienda ha già fatto significativi risparmi, passando da circa 12 mila dipendenti a 10.800, ancorché non toccando in modo significativo le posizioni dei programmisti registi, che sono quelli su cui si concentra maggiormente la questione. Laddove esista un programma definito dalla RAI, potrebbe darsi che il numero dei dipendenti sia destinato a ridursi e che vi sia (ripeto, nella situazione attuale, a prescindere da nuovi dati) un'ulteriore esigenza di contenere il personale e i costi.

Soltanto da questo quadro, a mio avviso, può uscire una risposta, che dovrà comunque fare i conti con i delicati problemi giuridici che sono stati ricordati da Costa e da altri: rimanendo però alla sostanza, la questione si pone in questi termini. Anche per me, d'altro canto, sarebbe interessante sapere se a fronte delle ipotesi oggi oggetto di discussione in Parlamento, quindi di un possibile intervento legislativo che apra nuove possibilità per la RAI, si possano quantificare le assunzioni; ne potrebbe uscire un quadro per il quale, per esempio, 30 persone devono essere assunte, 300 non verranno mai assunte, altre potrebbero essere assunte se si apriranno determinate prospettive. Mi sembra che un quadro del genere potrebbe essere utile per assumere decisioni sulla questione.

SALVATORE RAGNO. Se non ho capito male, il dottor Iseppi, nella sua relazione, con riferimento al contenzioso esistente tra l'azienda e il mondo del precariato, ha riferito che vi sono circa 90 vertenze giudiziarie in corso e 60 decise, di cui 30 favorevoli all'azienda e, debbo arguire, 30 favorevoli ai lavoratori precari...

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. In questi tre anni.

SALVATORE RAGNO. Al riguardo, comunque, non ho una curiosità di tipo numerico mentre vorrei sapere quali siano le motivazioni che hanno sorretto, da una parte, le sentenze favorevoli all'azienda e, dall'altra parte, quelle ad essa sfavorevoli. Ritengo peraltro che le rivendicazioni giudiziarie siano duplici: quelle che concernono il diritto a proseguire un rapporto di lavoro e quelle che riguardano diritti pregressi. Vorrei una risposta chiara al riguardo, perché mi sembra importante ai fini della politica gestionale dell'azienda con riferimento al rapporto con i lavoratori: si potrebbe infatti verificare un indirizzo giurisprudenziale, ancorché di merito allo stato ma domani potenzialmente anche di legittimità, che potrebbe determinare un assetto diverso all'interno dell'azienda (un indirizzo giurisprudenziale forzato dalle sentenze o in adeguamento alla corrente giurisprudenziale che si va affermando).

E' chiaro ed è logico che tutto questo in futuro inciderebbe sull'azienda. Di qui, la richiesta di una preventiva valutazione, che eventualmente potrebbe preludere ad un opportuno adeguamento, per evitare in futuro di incorrere in questo tipo di disfunzioni.

MARCO FOLLINI. In tutta questa storia militano sicuramente in favore dell'azienda diverse considerazioni sulla flessibilità del fattore lavoro; si tratta di un aspetto che governa il dibattito di politica economica e sociale e da cui credo non possa prescindere neppure la nostra riflessione. Ciò impone anche a noi di procedere con una certa cautela. E' altrettanto sicuro, tuttavia, che contro l'azienda militano alcune ragioni storiche, che risalgono al passato e che non possono essere addossate, a livello di responsabilità, né al direttore generale né al capo del personale i quali, anzi, pur trovandosi ad ereditare gli effetti di due distorsioni prodottesi nel tempo, ci hanno esposto dati dai quali si evince una consistente riduzione degli organici.

La prima distorsione alla quale mi riferisco ha avuto origine dal fatto che la RAI, diversi anni fa, ha assunto programmisti probabilmente anche al di là delle sue necessità operative, determinando, da questo punto di vista, la predisposizione di una pianta organica sproporzionata rispetto alle esigenze produttive. La seconda distorsione, in parte conseguenziale alla prima, è consistita invece nel chiudere - direi, anzi, sbarrare - i cancelli dell'azienda, affidando ai precari ed ai lavoratori a tempo determinato il compito di fornire non dico un esercito di riserva o una forma di lavoro nero ma sicuramente una compensazione che, come è già stato osservato, fa sì che oggi una parte significativa della programmazione non possa essere realizzata se non contando su determinati e particolari competenze, competenze che si sono andate accumulando nel tempo ma che sono rimaste tutte al di là dei cancelli dell'azienda.

Partendo da queste considerazioni, vorrei rivolgere una domanda, con la consapevolezza che quest'ultima si lega ad un obiettivo che presumo possa essere condiviso con difficoltà dall'azienda e con altrettanta difficoltà fatto proprio dalle rappresentanze sindacali dei precari, ma che tuttavia credo possa rappresentare una sorta di quadratura del cerchio rispetto al problema che stiamo esaminando. La domanda è la seguente: è possibile immaginare nel prossimo futuro e, comunque, in tempi ragionevoli, un concorso limitato all'assunzione di una parte di precari, un concorso cioè finalizzato ad assumere programmisti al quale possano partecipare le 2 mila unità di precari cui faceva riferimento il direttore generale? In questo caso si dovrebbe prevedere un punteggio che metta costoro in condizione non di vincere in partenza ma di vedersi almeno riconosciuti il vantaggio ed il merito acquistati in questi anni, lasciando libera l'azienda, sulla base di questo punteggio e delle risultanze del concorso, di assumere una parte di programmisti che dovessero provenire da questo esercito di riserva ed una parte che invece dovrebbe essere invece costituita da persone reclutate dal mercato e sottoposte al vaglio concorsuale. Si tratta, a vostro avviso, di una soluzione che potrebbe essere considerata - non oggi, ma in una prospettiva di tempo medio breve - una via di uscita percorribile dall'azienda, a fronte del contenzioso accumulato in questi anni?

GIOVANNI DE MURTAS. Presidente, non ho francamente compreso - non so se per mia responsabilità - se esista un progetto in base al quale l'azienda assuma il problema dei lavoratori a tempo determinato, relativamente alle figure professionali dei programmisti-registi e degli assistenti, nel contesto di un piano, di un programma, di un'indicazione di gestione dell'organico in base ai quali l'azienda stessa si propone di risanare una situazione che presenta - checché se ne dica - elementi di iniquità sostanziali, relativamente ai diritti acquisiti dei lavoratori ma anche con riferimento ad una serie di esigenze di programmazione dei lavori e delle funzioni. O forse l'azienda ritiene di poter continuare ad agire sulla base dello status quo attuale, ivi compreso il ricorso alle transazioni?

Mi pare di aver colto un'interpretazione - diciamo così - giustificazionista da parte del dottor Iseppi sullo stato dell'arte, cioè sulla situazione venutasi a determinare. E' proprio questo il punto che, come Commissione, vogliamo capire, tenendo conto anche delle informazioni che ci sono state fornite ieri nel corso delle audizioni dei rappresentanti sindacali e delle associazioni dei lavoratori precari. La Commissione ha appurato l'esistenza di un dubbio sul fatto che esista un meccanismo corretto, giusto e virtuoso che, attraverso il riconoscimento delle professionalità e delle competenze acquisite negli anni dai lavoratori, e fatte salve tutte le esigenze dell'azienda, possa consentire, da un lato, all'azienda stessa di immettere in organico questi lavoratori - e, quindi, di utilizzare tale risorsa ai fini aziendali - e, dall'altro, ai lavoratori di ottenere il riconoscimento dei diritti acquisiti. Non considererei secondario questo aspetto del problema. Non sono un esperto di diritto amministrativo e civile, ma ho forti dubbi sulla legittimità dell'operazione realizzata attraverso le transazioni, che mi pare sia stata contestata davanti al pretore del lavoro.

Presidente, sarebbe opportuno acquisire elementi di maggiore chiarezza rispetto a questo problema, considerato anche che la prospettiva nella quale la Commissione intendeva porsi era quella di un eventuale intervento legislativo. Il richiamo alle esigenze di organico ed alle politiche che il consiglio di amministrazione della RAI intende adottare per il contenimento degli organici stessi, può essere fatto salvo; ma nel nostro caso si tratta di una situazione specifica, che non può essere soffocata o annacquata nel discorso generale che comprende lo sviluppo delle comunicazioni, la necessità della presenza dell'azienda sul mercato ed altro ancora. Esiste un dato specifico relativo a queste figure professionali ed all'utilizzazione che delle stesse viene fatta oggi in azienda, dalla cui valutazione non possiamo assolutamente esimerci.

ADRIANA POLI BORTONE. Il dottor Iseppi, nella sua relazione, ha fatto riferimento in maniera sistematica a liste di precari, a selezioni professionali, ad utilizzazione di contratti a tempo determinato. Si ha quasi l'impressione di trovarsi di fronte ad un ufficio di collocamento, pur trattandosi di un comparto che presenta invece una sua specificità, essenzialmente riferibile alla professionalità acquisita. Chiedo, allora: esistono davvero delle graduatorie? Vi sono liste, e di che tipo? Come sono state predisposte le graduatorie e che validità hanno nel tempo? In che modo e secondo quali criteri si attinge da queste ultime? Non sarebbe forse opportuno stabilire criteri di utilizzo del personale inserito nelle liste e nelle graduatorie, considerando che si tratta di due ambiti diversi tra loro?

Credo che il termine "lista" sia utilizzato volutamente, nel momento in cui si intende fare riferimento a parametri che possono anche essere di discrezionalità. Allora, vi chiedo: entro quali limiti e da chi è esercitata la discrezionalità? Se uno dei parametri può essere rappresentato dalla maggiore utilizzazione nel tempo, qualora quest'ultima sia in rapporto allo spirito della legge ricordata ed invocata all'inizio della relazione del dottor Iseppi (legge n. 266), credo che gli anni settanta siano stati caratterizzati da un certo tipo di utilizzazione, di presenze e di pluralismo. Tale contesto va quanto meno aggiornato alla luce di quello che oggi viene inteso come lo spirito di un servizio pubblico, in un momento nel quale quest'ultimo si deve adeguare a quadri di riferimento istituzionale, diversi da quelli del 1977.

Vi chiedo, allora, molto semplicemente: siete in grado di fornirci le liste, con nomi, cognomi e professionalità? Siete in grado di fornirci graduatorie? Siete in grado di fornirci i criteri in virtù dei quali sono state compilate le eventuali graduatorie? In particolare, siete in grado di fornirci i criteri in base ai quali avvenga un utilizzo eventualmente graduale del personale (che ormai sembra precario a vita), anche perché c'è il serio dubbio che qualcuno debba rimanere precario per sempre, non si sa in virtù di quali criteri discrezionali?

RINALDO BOSCO. Credo che i colleghi abbiano sviluppato in modo sufficiente i dubbi e le argomentazioni che stanno caratterizzando questo particolare momento di riflessione della Commissione. Comprendo le esigenze di flessibilità dell'azienda, ma mi chiedo allora perché non si sia ricorso e non si ricorra - come in alcuni casi avviene - a collaboratori provenienti da aziende esterne alla RAI. Mi risulta, per esempio, che in RAI ci siano due troupe subacquee e che, ciò nonostante, spesso si ricorra agli esterni, mentre invece per tante altre mansioni si fa affidamento sugli attuali precari, i quali soffrono di una condizione di palese ingiustizia. Vorrei sapere quanti siano i precari, quale tipo di professionalità abbiano, quali siano i compiti da essi svolti e in che modo l'azienda intenda affrontare il futuro affinché l'entità del contenzioso possa finalmente ridursi.

PRESIDENTE. Tenterò di riassumere alcune delle questioni rimaste in sospeso nel corso delle audizioni, anche per chiedere ai rappresentanti della RAI di fornire risposte precise su determinati argomenti. Non posso tuttavia prescindere da una premessa fondamentale. Prima che si svolgesse l'audizione del direttore generale avevo la speranza di un chiarimento; oggi ho la certezza di una preoccupazione (non me ne voglia il direttore generale), anche con riferimento alle considerazioni dei colleghi Romani e De Murtas in merito allo sviluppo della RAI ed alla situazione attuale del precariato. Mentre noi ci siamo mossi, a normativa vigente, chiedendo una soluzione al problema del precariato, la RAI, per bocca del direttore generale, ci fa sapere che "la possibilità di continuare la politica del riassorbimento dei precari è legata alla possibilità di sviluppare nuove offerte e servizi, ad un nuovo modello societario (leggi disegno di legge Maccanico), alla ricollocazione diversa delle risorse umane, se ci sarà la terza rete federale, e all'entità delle risorse economiche che ci lascerà la normativa antitrust". Francamente, se il Parlamento deve risolvere il problema di chi ha lavorato senza disposizioni anche per quindici anni... Se si ritiene che il problema possa essere risolto soltanto se il Parlamento approverà nuove norme che consentano alla RAI di avere qualcos'altro, vorrei capire la logica di questa impostazione. Lo dico senza pregiudizio - mi creda, direttore generale - ma soltanto perché rappresenta per me un elemento di forte preoccupazione. Debbo dedurre, infatti, che, se il Parlamento decidesse di non realizzare le rete federale e di non varare l'antitrust, la RAI continuerebbe nella pratica attuale, senza che il problema si avvii a soluzione finale. Si tratta di una questione sulla quale le chiedo di soffermarsi in fase di replica, magari dando risposte sul contingente, su quello che intanto si può fare, anche alla luce degli interventi svolti dai colleghi.

Vorrei ora affrontare altre questioni. In sede di discussione sugli indirizzi, abbiamo affrontato il problema del precariato e, non a caso, lo abbiamo fatto con riferimento agli indirizzi in tema di pluralismo, anche per le ragioni poc'anzi ricordate dall'onorevole Poli Bortone. Quella del precariato è una questione che riguarda l'azienda, il suo modo di comunicare ed anche il modo di interpretare - visto che parliamo di organici - le ansie di pluralismo di questo paese.

Nel frattempo, direttore, si rincorrono le voci su assunzioni a pioggia all'interno dell'azienda. Su questo punto, anche in considerazione del fatto che sono state preannunciate specifiche interrogazioni parlamentari, vorremmo avere una risposta netta e possibilmente chiara. In particolare, vorremmo sapere se corrisponda al vero l'intenzione di procedere ad una "carrettata" - così è stata definita - di assunzioni e, in caso affermativo, a quali criteri riteniate di dovervi attenere.

In definitiva, sollecitiamo un chiarimento complessivo sull'atteggiamento in tema di organici, al di là dei crudi dati che sono stati esposti, che pure vanno apprezzati per alcuni aspetti.

Un ulteriore chiarimento sarebbe necessario in merito alle considerazioni dell'onorevole Follini ed al tema del lavoro dei precari nell'azienda.

Nel corso delle audizioni di ieri ci è stato riferito - e prego il direttore Iseppi di confermare il dato, anche perché non abbiamo altre possibilità di verifica - che, per i programmi, il 90-95 per cento del personale utilizzato è costituito da precari. Si tratta di un elemento che, alla luce delle considerazioni svolte dall'onorevole Follini, è importante venga chiarito. Se il dato corrispondesse a verità, infatti, vorrebbe dire che gran parte dei programmi RAI, nella loro struttura, è realizzata da precari. Cosa accade se il problema non viene risolto senza introdurre modifiche alla legislazione? Se la percentuale corrisponde al vero, inoltre, mi chiedo cosa facciano - probabilmente si tratta di una domanda un po' ingenua - i lavoratori a tempo indeterminato. In che modo questi ultimi sono impiegati? Cosa fanno?

Un altro aspetto da chiarire - richiamo a tale proposito le considerazioni dell'onorevole Giulietti - riguarda l'individuazione dei precari. Abbiamo appreso genericamente che nell'ultimo quadriennio ne sono stati impiegati 2 mila e nell'ultimo semestre circa 800. E' evidente che occorre una maggiore chiarezza sul dato quantitativo e sui criteri in base ai quali i precari sono individuati, con riferimento sia al precariato giornalistico sia a quello, ben più consistente, per effetto di altre logiche sulle quali mi soffermerò in seguito, non giornalistico. In particolare, vorremmo fosse chiarito a quali bacini si fa riferimento. In sostanza, è precario anche colui il quale abbia avuto un solo contratto di lavoro a tempo determinato? Il problema, insomma, è di capire quale sia l'area complessiva del precariato in RAI.

Quanto ai giornalisti, vorrei che il direttore generale ci confermasse se sia stata assorbita definitivamente la lista dei 30 del 1993 e quella successiva dei 54. Se non fosse stata assorbita la lista dei 54 precari giornalisti sottoscritta con l'Usigrai, siete in grado di indicarci - anche alla luce delle considerazioni svolte dai colleghi Poli Bortone e De Corato - una data di conclusione certa di questo processo di riassorbimento, sulla base non di una normativa legislativa, che è ancora di là da venire, ma di un accordo già fatto?

Un'ulteriore questione riguarda tutti quei soggetti non ricompresi nelle liste concordate con l'Usigrai. In base ad alcune notizie acquisite da una serie di interrogazioni parlamentari - penso, in particolare, a quelle sottoscritte dagli onorevoli Bosco e Bertucci - i precari giornalisti dovrebbero essere complessivamente 300. Vorremmo capire in che modo si arrivi ai 54. Sappiamo del criterio relativo alla data di nascita e alle 650 giornate di lavoro maturate, ma vorremmo capire se i soggetti riamasti fuori dalla lista dei 54 dovranno aspettare un altro accordo sindacale oppure se abbiano la possibilità di sperare in un reinserimento a legislazione vigente. Questo glielo chiedo anche alla luce di una lettera che ho ricevuto proprio questa mattina e che riguarda un gruppo di undici giornalisti precari della RAI, che si definiscono precari della RAI, che lamentano una disparità di trattamento rispetto ad altri precari. Si tratta dei lavoratori entrati come programmisti-registi e ai quali l'ordine del giornalisti, che non è un'istituzione privata, ha dato riconoscimento professionale iscrivendoli d'ufficio all'ordine stesso. Poiché sono iscritti all'ordine da un tempo minore rispetto ai 650 giorni dei 54 della lista, sono rimasti fuori, pur essendo stati giornalisti, in quel periodo. Come si risolve il caso di queste undici persone e come si risolve il problema di tutti gli altri precari cui prima ho fatto riferimento? In sostanza, i giornalisti precari che attendono la soluzione del loro problema, rispetto alla lista dei 54, dovranno attendere altri accordi o l'azienda intende procedere autonomamente a risolvere la questione?

Vi è un'altra questione, che secondo me attiene a criteri di trasparenza: in base a quale norma si è assicurato l'accordo sindacale per il quale è preclusa la possibilità di ingresso in RAI a chi non ha mai lavorato nell'azienda? Ci trasciniamo la questione dei precari da anni. C'è stato chi ha avuto la fortuna di essere assunto dalla RAI e chi ha avuto la fortuna limitata di essere assunto soltanto con contratti a tempo determinato. Questa categoria di persone è entrata in RAI magari grazie ad una spintarella (si dice, ma può darsi che non sia vero, e che vi sia stata solo professionalità maturata sul campo), e ci sono altre persone che non sono mai entrate alla RAI perché magari non avevano la spintarella (parliamo degli anni del passato) e adesso si vedono preclusa la strada di un ingresso nell'azienda proprio perché non vi sono mai entrate non avendo avuto la spintarella. Qual è la logica normativa di un accordo sindacale in cui si è deciso che non si può entrare alla RAI se non ci si è mai stati nemmeno per un giorno? L'azienda è disponibile a rivederlo?

Un'altra questione riguarda i programmisti-registi e gli assistenti ai programmi. Secondo quanto ci è stato riferito nelle audizioni, si tratta di persone impegnate, per lo più nelle reti, in un vero e proprio lavoro giornalistico. Abbiamo anche visto il caso di 12 persone alle quali è stato riconosciuto lo status di giornalista dall'ordine. Per il resto, a tutte le persone che svolgono funzioni giornalistiche, perché redigono testi e sono autori di programmi, la RAI intende regolarizzare la posizione anche dal punto di vista contrattuale senza aspettare l'intervento d'autorità dell'ordine dei giornalisti? Lo chiedo anche per sapere se sia vero che non si bandiscono concorsi per programmisti-registi dal 1975, e se il ricorso al precariato non sia il frutto di questa scelta. Esiste una necessità dell'azienda, ci si rifiuta di bandire concorsi, si è data la speranza a legioni di programmisti-registi di poter entrare un giorno alla RAI grazie ai contratti a tempo determinato, ma la questione cozza con gli accordi sindacali. Vorrei sapere se anche per le reti sia vietato stipulare contratti a tempo determinato con chi non ha mai lavorato in RAI, esattamente come per i giornalisti.

Vi è poi la questione delle transazioni. Il direttore generale (excusatio non petita...) ci ha detto in premessa, mettendolo tra virgolette nella sua relazione, che questa pratica è lungi dall'essere immorale, riferendosi ad espressioni usate non da uno ma da vari colleghi. A vederla così, direttore, la pratica delle transazioni appare di dubbia moralità, da parte sia di un'azienda pubblica sia di un'azienda privata, perché comunque comporta la rinuncia a un diritto non in cambio di un'assunzione - e su questo già avrei dei dubbi - ma di un contratto a tempo determinato, di un rapporto di lavoro sempre aleatorio. Allora, vorremo capire se abbia ragione chi parla - e Costa lo ha ricordato poco fa - della sensazione di estorsione: o firmi questo contratto, o con noi non lavori più. Come si fa a parlare di garanzia sindacale al lavoratore? Se uno non firma, non lavora: è vero o no? Questo è un dato importante anche per capire quanta giustizia e quanta trasparenza vi siano all'interno dell'azienda.

Sempre nella lettera che ho citato - l'ho fatto perché si tratta di persone che hanno chiesto in ritardo di essere ascoltate - è scritto testualmente, a proposito delle transazioni: "Sempre più spesso, per poter continuare a lavorare per l'azienda, ci viene chiesto di firmare delle transazioni che mettono una pietra sopra al nostro passato aziendale. L'episodio più preoccupante: ci viene chiesto di firmare una transazione anche per ritirare la nostra liquidazione di fine contratto, per ottenere cioè dei soldi che ci spettano di diritto. Davanti a questa spada di Damocle, molti non firmano, congelando così in azienda i loro soldi a tempo indeterminato". Non so come definire questa pratica, però leggendola così indubbiamente non sembra una cosa carina. Poi capiremo dalla risposta del direttore come stanno le cose.

Sempre in tema di transazioni, vorrei capire quanti nuovi contratti sono stati stipulati dopo la firma delle transazioni, quanti lavoratori hanno rifiutato di firmarle, quali sono gli effetti pratici delle transazioni in caso di ricorso alla magistratura - quindi non solo di quelle che danno esito favorevole alla RAI -, e quali sono, anche in riferimento a quanto ha chiesto il senatore Ragno, gli effetti pratici delle sentenze che danno ragione ai precari. Lei sa, direttore, che molto spesso da parte sindacale viene denunciata - anche se per altra questione, cioè quella dei direttori e dei vicedirettori collocati a riposo - la situazione per cui anche chi ha avuto ragione in sede giudiziaria non viene fatto lavorare dalla RAI. Per quanto riguarda questi lavoratori, la RAI è in condizione di dare immediata esecuzione alla sentenza del pretore?

Infine, abbiamo appreso, nel corso dell'audizione con i contrattisti (chiedo all'azienda se non sia possibile andare incontro a questa esigenza), che non è stata loro riconosciuta dalla RAI - non so se le norme in materia lo prevedano, ma si tratterebbe di un gesto di buona volontà - la dignità di interlocutori sindacali sui loro problemi. Le associazioni dei contrattisti non hanno mai potuto sedersi, dicono, ad un tavolo di interlocuzione con l'azienda, e magari hanno dovuto farsi rappresentare dai sindacati ufficialmente noti. Vorrei capire se l'azienda intenda aprire un tavolo di trattativa diretta con le associazioni che rappresentano i precari.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Non so se rispondere complessivamente o alle singole domande.

PRESIDENTE. Come vuole.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. E' che non riesco a mettere... Allora...

PRESIDENTE. Non ci stimoli le battute che poi definisce simpatiche non pensandolo!

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. No, non sono adatto...

PRESIDENTE. L'importante è rispondere, direttore.

GIUSEPPE GIULIETTI. Il presidente è docile?

PRESIDENTE. Sì, comunque in sala stampa non la sentono, Giulietti (Commenti del deputato Giulietti).

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. E' sempre stato docile con me.

PRESIDENTE. Io sono molto docile con il direttore della RAI. Non avviene mai il contrario, per fortuna della RAI.

GIUSEPPE GIULIETTI. Ci siamo anche noi oltre alla RAI, i parlamentari.

PRESIDENTE. Molte differenze, il direttore...

GIUSEPPE GIULIETTI. Dovremmo allargare all'intero settore il tema del precariato. Può essere un'interessante ispezione quella di allargarlo. Farò una proposta...

PRESIDENTE. Scusi, direttore, l'onorevole Giulietti propone un'inchiesta sul precariato in tutto il settore.

GIUSEPPE GIULIETTI. Sono per una sanatoria generale del settore!

PRESIDENTE. Se l'onorevole Giulietti estenderà i poteri della Commissione di vigilanza sul precariato di tutto il settore, troverà il mio consenso!

GIUSEPPE GIULIETTI. Sono pienamente d'accordo.

PRESIDENTE. Ogni volta lei dice questa cosa. Sono d'accordo con lei! Però lei non presenterà mai un emendamento in tal senso perché magari nel suo partito non glielo faranno fare.

GIUSEPPE GIULIETTI. Caro Storace, per quanto riguarda il mio partito non sono fatti che la riguardano. Si preoccupi del suo, che mi pare non la segua su una serie di esibizioni ultime che fa in questa Commissione!

PRESIDENTE. Bene, il teatrino è finito; a lei la parola, direttore.

GIUSEPPE GIULIETTI. Così non si può continuare: ciascuno si preoccupi dei suoi affari.

PRESIDENTE. E be', ogni volta questa cosa, caro Giulietti...

GIUSEPPE GIULIETTI. Ma ogni volta lei pensa di trasformare... Non è il Maurizio Costanzo show , è una sede parlamentare.

PRESIDENTE. E allora, che cosa...? (Commenti del deputato Giulietti). Intervenga sull'ordine dei lavori, vorrei capire che ha detto.

GIUSEPPE GIULIETTI. Teniamo delle audizioni che sembrano oramai - come dire? - delle interviste personalizzate. Non credo che questo sia il modo di procedere.

PRESIDENTE. Mi può contestare qualche domanda che ho fatto, Giulietti?

GIUSEPPE GIULIETTI. No, contesto proprio i toni con cui si conduce la Commissione. Questa è una mia valutazione. Siccome lei fa spesso battute, comprenda che le battute ritornano.

PRESIDENTE. Prego, direttore.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Comincio dalle domande del senatore De Corato. La prima riguarda i contenziosi. Ho citato i dati che risultano da due, diciamo, categorie di appartenenza, cioè le conciliazioni e i contenziosi giudiziari. I dati relativi ai contenziosi risalgono agli ultimi tre anni; quelli riguardanti le conciliazioni all'ultimo anno. Per quanto riguarda, invece, il limite temporale, non so cosa si intenda con questa espressione. Se mi si spiega bene cosa vuol dire, cerco una risposta.

PRESIDENTE. Forse è sulla certezza di date per l'assorbimento dei precari. Io su questo mi sono...

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Non ho capito bene cosa significasse, cioè se "limite temporale" significa che noi prendiamo degli impegni per l'integrazione...

PRESIDENTE. Nella sostanza, questo è il senso.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Allora questo rientra in una risposta più generale sul modo in cui ci stiamo comportando.

Per quanto riguarda la terza domanda, relativa alla rete territoriale e a quanto personale può assumere, quando sarà definito il modello di rete territoriale si potrà fare un ragionamento di questa natura. Faccio solo due esempi. Il modello francese di rete territoriale ha 3.200 dipendenti e si basa su una rete nazionale centralizzata con delle finestre regionali del tipo della terza rete italiana; il modello tedesco, invece, non è paragonabile da nessun punto di vista a questo, perché le reti regionali sono di fatto reti nazionali, e occupa 24 mila persone. Quindi, il livello di occupazione di queste reti è in rapporto al modello che si sceglie.

L'onorevole Giulietti ha parlato innanzitutto della conferenza di produzione. Credo che non ci siano problemi a fare una conferenza di questo tipo, nel senso che probabilmente si tratta di un'iniziativa adottata anche negli anni passati, e che è legata alle prospettive del servizio pubblico, tema entro cui può rientrare in sostanza anche quello relativo ai precari.

Venendo al discorso dei precari, posso anticipare alcuni aspetti più generali. Per quanto riguarda i precari, non facciamo riferimento solo a un potenziale futuro per poter assumere delle persone. Innanzitutto si tende a integrare questi precari nella struttura aziendale a tempo indeterminato sulla base delle necessità che di volta in volta in qualche modo si manifestano. L'anno scorso, quindi... in questi tre anni sono state assunte 300 persone. Diciamo che dal 1° gennaio 1996 al 31 gennaio 1997 - cioè il periodo per cui ho citato la diminuzione di organico - sono state fatte 300 assunzioni, tutte di precari. Quindi, la prima risposta alla domanda su come ci comportiamo rispetto ai precari è che già allo stato attuale si pensa ai precari: laddove, o per normale mobilità o per i classici turn-over aziendali, sorgono possibilità, la prima risposta è quella di trasformare un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. Ma qui viene il punto della questione.

PRESIDENTE. Su questo vorrei chiarire un aspetto. Lei ci ha fornito un dato da cui risulta una diminuzione di organico di circa 500 persone, se non sbaglio.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Esatto.

PRESIDENTE. Se calcoliamo i 300 precari, i dipendenti in questione diventano 800 o 200?

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Ottocento. Mi riferisco al saldo; non è che 500 siano stati sostituiti.

Che discorso si può fare? Non affrontare il problema dicendo che lo affronteremo quando vi sarà una prospettiva futura, bensì tenere conto che una prospettiva futura è certamente importante, ma che è necessario rispondere immediatamente alle esigenze attuali. Allora, il problema è quello di definire i criteri. Non ci sono (e anticipo le risposte all'onorevole Poli Bortone) liste di precari per quanto riguarda i giornalisti e i programmisti-registi; non ci sono bacini precostituiti ai quali attingere, nel senso che queste sono professionalità di tipo intellettuale (mi riferisco in questo caso ai programmisti-registi) alle quali si fa riferimento in rapporto alla tipologia dei programmi e sulla base di una decisione dei direttori di rete o delle aree tematiche che hanno bisogno di effettuare certi tipi di lavori. Non esistono liste di questo tipo.

A maggior ragione, se si vuole risolvere questo problema, è necessario che si stabiliscano i criteri con i quali stabilire il passaggio da una situazione di tipo determinato ad una di tipo indeterminato. Pensiamo di decidere questi criteri assieme alle organizzazioni sindacali, che sono i soggetti con i quali, anche a livello interno, stiamo pensando ai criteri di integrazione dei compiti e delle mansioni e ai criteri di mobilità interna, in modo tale che questo soggetto, con il quale si hanno relazioni industriali, diventi importante anche nella definizione dei criteri con cui attingere al mercato esterno per quanto riguarda la trasposizione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.

Qui entrano in ballo alcune valutazioni di tipo conoscitivo da fare su questi cosiddetti precari, e che sono sostanzialmente quelle indicate in parte dall'onorevole Giulietti e in parte dall'onorevole Lombardi. In primo luogo, si tratta di una professione con un coefficiente di tipo "liberale" molto elevato, perché molte professionalità sono tipicamente intellettuali; costoro non hanno alcuna intenzione di avere un rapporto di tipo indeterminato con l'azienda, avendo soltanto l'intenzione di capire quali sono i margini di sicurezza di un certo tipo di lavoro e di rapporto, senza contrabbandare tutto questo, cioè un'esigenza legittima, con l'aspettativa di essere assunti. Vi è poi una serie di persone che preferisce addirittura un rapporto part-time, e neanche a tempo illimitato, con l'azienda. Bisogna anche considerare che molte persone lavorano da anni in RAI e che alcune di loro sono determinanti per l'identità di alcuni prodotti. Sono un patrimonio al quale non possiamo non fare riferimento, ma sono anche coloro che non pongono problemi circa un rapporto a tempo illimitato. Al loro interno vi sono persone sulle cui prestazioni forse è importante un giudizio complessivo di merito, per fare emergere - con regole che ci possiamo dare, che vi comunicheremo e che pensiamo di elaborare assieme alle organizzazioni sindacali - un bacino potenziale al quale attingere. Questo è l'ambito dal quale in qualche modo attingiamo sia per risorse legate ai normali turn-over sia, in caso di una prospettiva di sviluppo dell'azienda, per quanto riguarda le nuove offerte.

L'onorevole Romani ha fatto il seguente ragionamento: voi cercate di mettere una pezza quando i problemi sono a monte, cioè cercate di recuperare a valle i problemi postisi a monte. Il problema è molto semplice: non si tratta tanto di mettere una pezza su una continuità di tipo storico, bensì di considerare che per certe professionalità dovrebbe essere previsto un sistema normativo molto diverso da quello della garanzia di assunzione: quello di una garanzia complessiva, in un arco temporale sufficiente, del lavoro, considerando che molte di queste professionalità sono tipiche di mercato e non hanno bisogno di un contratto a tempo illimitato. Questo è, forse, il ragionamento da fare in termini normativi complessivi del sistema, non quello di definire a posteriori i criteri con i quali normalizzare situazioni pregresse. Siamo tutti non solo interessati ma moralmente obbligati a risolvere questi problemi, anche perché il lavoro è un diritto costituzionale, e non una specie di optional. il problema è talmente rilevante che è difficile ignorare come dietro questa questione vi sia qualcosa di più di un semplice contratto, cioè qualcosa legato all'esistenza e a sicurezze complessive addirittura previste a livello costituzionale. Però è anche vero che vi sono professioni la cui caratteristica è una collocazione sul mercato libera, non legata a rapporti a tempo indeterminato.

Questo è un tema sufficientemente importante su cui impostare un lavoro ed a mio avviso non è possibile, in questo tipo di settore, prefigurare una volta per tutte un discorso di graduatorie, in quanto non saprei neanche da che parte cominciare rispetto alle stesse graduatorie. Spesso, infatti, il rapporto tra le caratteristiche delle singole persone e le tipologie dei prodotti è tale per cui la graduatoria diventerebbe un elemento ulteriormente vincolante, mentre credo sia giusto stabilire una serie di criteri attraverso i quali svuotare progressivamente questo bacino, in modo che il personale acceda ad un rapporto a tempo indeterminato. Mi limiterei comunque ad un discorso di criteri generali piuttosto che di graduatorie. Si parla infatti di persone e di professioni in cui la componente di carattere creativo è estremamente elevata, per cui il discorso relativo ai criteri è a mio avviso molto più accessibile rispetto a quello di graduatorie classiche, di tipo molto statico.

A questo punto si colloca anche il discorso contenuto nella domanda dell'onorevole Follini. Ritengo che non sia impossibile fare un discorso sui concorsi per quanto riguarda il turn over aziendale. In passato (ricordo, per esempio, gli anni settanta) si è fatto ricorso ad una serie di concorsi in cui si prevedevano punteggi preferenziali per chi aveva già lavorato con contratti a tempo determinato. In sostanza, si stabiliva, per esempio, che coloro i quali erano interni, anche se non laureati, potevano partecipare ad una certa selezione, oppure che chi era titolare di un contratto a termine, anche se non aveva l'età prevista dal bando di concorso, poteva partecipare a quest'ultimo; inoltre, si è previsto che coloro i quali avevano avuto più anni di contratto dovessero essere tenuti in considerazione perché nel momento in cui si salda, per così dire, il contratto, si recupera anche la fase del precedente rapporto.

In passato vi sono state tali esperienze, se ne è sempre tenuto conto e credo che non vi sia sostanzialmente una grande differenza tra questa idea e quella di definire criteri attraverso i quali attingere al bacino: bandire concorsi nei quali "privilegiare" coloro i quali hanno maturato dei diritti rispetto ad altri non contrasta con il fatto che si decidano criteri di assunzione nei confronti del bacino di coloro che potenzialmente possono entrare senza concorso ma sulla base dell'applicazione dei criteri stessi.

Una delle domande poste dall'onorevole Lombardi, ma non solo da lui, è volta ad appurare quale sia sostanzialmente il nostro fabbisogno. Posso rispondere che facciamo ricorso ad un bacino di precari che si aggira attorno ai 1.000-1.200 l'anno; nel semestre indicato si parla di 800 unità, ma va considerato anche che non tutti i semestri hanno la stessa valenza, perché per esempio in estate non produciamo. Il nostro bacino di utenza si aggira quindi - lo ripeto - tra le 1.000 e le 1.200 unità, tenendo conto che facciamo riferimento - in questo senso rispondo anche a un'altra domanda - a contratti di una certa consistenza, attorno ai sei mesi di durata, non quindi a quelli di un giorno, allorché si ha bisogno, per esempio, di un parrucchiere.

Quella è la risposta all'attuale tipo di fabbisogno, che però non risponde sostanzialmente alla domanda di quale sia il fabbisogno in rapporto ad altre due variabili: la prima è rappresentata dal fatto che a livello interno stiamo lavorando per modificare, in accordo con i sindacati, una serie di caratteristiche degli attuali vincoli che presiedono ai requisiti professionali, alla mobilità, alla flessibilità; dobbiamo quindi tenere conto che già all'interno si sta sviluppando un discorso di modifica delle caratteristiche professionali e della flessibilità rispetto all'organizzazione del lavoro, e questo deve valere ovviamente anche per gli esterni.

L'altro elemento di cui occorre tenere conto è il progressivo cambiamento dell'offerta televisiva: negli ultimi tre anni abbiamo modificato sostanzialmente il tipo di offerta; facendo riferimento al contratto di servizio, che è approssimativo ma dà un'idea della situazione, ricordo che attualmente abbiamo un vincolo che prevede il 60 per cento di programmi che abbiano un significato di servizio pubblico e il 40 per cento di intrattenimento. A queste cifre siamo giunti tenendo conto che tre anni fa il rapporto, anziché 40-60 per cento, era pari al 50 per cento per ciascuno dei due settori. Ciò significa che il fatto di modificare il tipo di offerta prefigura un cambiamento significativo anche nelle caratteristiche di come si accede al mercato del lavoro professionale.

Passando ad un altro aspetto, se si considera un rapporto 800-500, si desume che il lavoro cui si provvede tramite il precariato non è il 90 per cento, ma potrebbe aggirarsi attorno al 60 per cento. Ovviamente queste cifre si riferiscono soltanto alla parte, per così dire, intellettuale e a quella finanziaria, non alla struttura aziendale. In sostanza, i programmisti precari sono stabilmente in un rapporto di massima di 800-500, nel senso che la cifra di 1.200 è legata all'anno, non ai mesi in cui si concentra l'attività. Di qui si può desumere un'approssimazione relativa al rapporto, di cui si è parlato, tra il 90 e il 95 per cento. Comunque, nei mesi di attività più intensa il rapporto è di 800-500.

Per quanto riguarda alcune indicazioni sul mercato privato, non sono in condizione di rispondere, ma credo che il direttore del personale possa fornire informazioni al riguardo.

In ordine al discorso sullo sfruttamento, devo dire che mi troverei estremamente a disagio se si verificassero situazioni del genere; a me non risultano, anche se non escludo che esistano, ma onestamente non ne sono a conoscenza. Su questa tematica, peraltro, il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore è impari e sproporzionato rispetto alla capacità di trattativa. Non escludo, quindi, che esistano fisiologicamente delle forzature; è impossibile escludere questo perché il rapporto - lo ripeto - non è alla pari ma è comunque squilibrato in ragione della sua stessa fisiologia.

Passando ad alcune risposte alle domande dell'onorevole Storace, premetto che non facevo riferimento soltanto alla prospettiva ma anche al discorso della normativa vigente in ordine al turn over e all'integrazione nell'attuale tipo di modello.

Per quanto riguarda le assunzioni a pioggia di cui si parla per il 1997, credo che non si tratti di questo; il dottor Di Russo sarà comunque in condizione di dare risposte dettagliate su tale aspetto.

In ordine ai criteri con cui le reti assumono i programmisti con contratto a termine, non vi sono vincoli rispetto a coloro che non hanno mai lavorato; si privilegiano certamente coloro che hanno avuto rapporti sistematici con l'azienda e che possono dare garanzie.

PRESIDENTE. Quindi, vale solo per i giornalisti?

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Mi riferisco alle reti. In queste ultime ciò non esiste, anche se ovviamente ogni direttore preferisce scegliere le persone con cui ha lavorato per lungo tempo, di cui si fida e con le quali non ha neanche bisogno di stabilire dei rapporti.

Il dottor Di Russo potrà inoltre rispondere a una serie di domande molto precise relative alle liste dei 54 e dei 30.

Concludo sottolineando che saremo in grado di fornire una serie di criteri in base ai quali intendiamo attingere in futuro al bacino dei precari, per far fronte sia ad esigenze immediate di turn over sia a quelle che si presenteranno in prospettiva, tenendo conto che il vero problema è rappresentato dai programmisti-registi assistenti e non dal resto del personale, che rientra in un tipo di mercato che non presenta questa fisiologia in qualche modo conflittuale. Infatti, il settore dei tecnici e dei giornalisti è molto più controllabile e semplice da gestire, in quanto vi sono regole molto più precise.

PRESIDENTE. Ascoltiamo ora le risposte del dottor Di Russo, che immagino si soffermerà anche sul problema delle transazioni.

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. Il direttore generale ha dato una serie di risposte e personalmente ne aggiungerò qualcuna di carattere tecnico, o per completare alcuni dati.

PRESIDENTE. Eventualmente, se non disponete in questa sede di determinati dati, potrete trasmetterli alla Commissione in seguito.

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. Risponderò per ora ad alcune domande rimaste in sospeso: per esempio, l'onorevole Giulietti faceva inizialmente riferimento ai livelli retributivi del personale precario; per la verità, i livelli retributivi sono quelli contrattuali e, per alcune persone, sono soggetti a trattativa in relazione alla loro capacità professionale. Certamente, quindi, non vi è un sottodimensionamento retributivo ed è riconosciuta al massimo la professionalità: eventualmente, inoltre, ripeto, le reti o chi utilizza il personale precario può contrattare compensi superiori alle tariffe contrattuali.

Per quanto riguarda le motivazioni delle sentenze sfavorevoli all'azienda, ricordatone il numero (parliamo di 60 sentenze, di cui circa 30 sfavorevoli all'azienda), esse hanno riguardato per lo più gestioni, se volete irregolari, del contratto durante la sua vigenza. E' stata messa in discussione, quindi, non la legittimità del contratto ma l'uso che ne è stato fatto da parte della struttura. Faccio un esempio, peraltro non del tutto corrispondente alla realtà: se una persona è stata assunta regolarmente per sei mesi, per lavorare a Domenica In, può essere accaduto che la struttura l'abbia utilizzata anche per un'altra trasmissione; questa è naturalmente un'irregolarità gestionale e giustamente vi è stato un reintegro da parte nostra. L'azienda ha peraltro chiesto i danni al dirigente responsabile (spesso si tratta di casi del passato): vi sono comunque ordini di servizio e disposizioni ripetute nel tempo che invitano la dirigenza ad evitare utilizzazioni scorrette del personale in relazione al contratto che è stato definito.

Un po' meno della metà di queste 30 sentenze (circa 10-12) ha riguardato invece giudizi negativi per l'azienda e favorevoli al dipendente, in quanto il pretore del lavoro ha eccepito la ripetitività dei contratti per le stesse trasmissioni, o per trasmissioni simili. Queste sono le motivazioni sostanziali delle sentenze.

Per quanto concerne le previsioni di assunzione, il piano del 1997, che la direzione generale ha mandato al consiglio di amministrazione, prevede un organico a fine anno di circa 200 unità in meno rispetto al 31 dicembre 1996. Le assunzioni compatibili con questo piano sono circa 160 e riguardano diverse categorie (impiegati, tecnici, alcuni giornalisti, altre figure professionali) ma sono essenzialmente orientate ai tecnici, quindi al rafforzamento della produzione e comunque al mantenimento della capacità produttiva. Sostanzialmente, riguarderanno tutte personale che è stato già oggetto di utilizzazione nel tempo e che ha partecipato a selezioni, quindi il precariato.

GIANCARLO LOMBARDI. Vi sarà pure qualcuno che non fa parte dei precari nell'ambito dei 160 da assumere: è così?

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. Sostanzialmente è così, anche se sul piano della previsione non si può dare una risposta certa. In ogni caso, come ha evidenziato il direttore generale, nell'ambito del reclutamento (anche se vi deve essere, come sembra sottolineare l'onorevole Lombardi, la ricerca di professionalità specifiche), non vi è mai l'esclusione aprioristica del precariato.

Quanto ai giornalisti precari, per accordi precedenti a questa gestione, che risalgono al 1993 e al 1994, sono state predisposte tutte le assunzioni dei 50 giornalisti che erano risultati vincitori del concorso indetto nel 1992 e realizzato nel 1993. Sono state inoltre portate a termine le assunzioni dei 30 giornalisti cosiddetti maggiormente utilizzati, secondo l'accordo del 1994. Nei pochi rimpiazzi per turn over che i direttori di testata vanno eventualmente individuando e che la direzione generale autorizza sulla base dei piani accettati dal consiglio di amministrazione, si fa riferimento all'accordo che veniva richiamato per l'elenco delle 50 persone maggiormente utilizzate (il secondo elenco): certamente queste persone vengono tenute presenti da parte dei direttori di testata, che eventualmente, ai sensi dell'articolo 6 del contratto giornalistico sui poteri dei direttori, li indicano, se lo ritengono, in ragione di professionalità specifiche e di esperienza maturata presso settori aziendali.

Il presidente aveva chiesto inoltre come mai, rispetto ai 50, ve ne siano alcuni che non sono stati compresi anche se hanno lo stesso numero di giorni: questa esclusione non è aprioristica ed è meramente tecnica. I 700 giorni di riferimento per essere presi in considerazione (anche se non è un obbligo) riguardano persone che sono state utilizzate dall'azienda nel quinquennio dal 1990 al 1996 con contratti giornalistici e richiesti dalla RAI come giornalisti. Sono rimaste escluse 8-10 persone che non hanno lavorato per la RAI con contratto giornalistico per quel numero di giorni e che rivendicano (a torto o a ragione, è un'altra considerazione, poiché stiamo ora parlando in termini esclusivamente tecnici) di aver lavorato, per esempio, 500 giorni con la RAI e di avere stipulato anche contratti come programmisti registi, avendo riconosciuto dall'ordine, per cui non vi è alcun collegamento con l'azienda...

PRESIDENTE. E' un fatto.

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. E' un fatto ma non significa che la RAI abbia acceso con loro contratti giornalistici. Vi è di più, presidente: quel riconoscimento non poteva tecnicamente esservi, perché automaticamente avrebbe significato per la RAI riconoscere che aveva acceso un contratto giornalistico, anziché un contratto da programmista, come invece era stato correttamente inteso e posto in essere. Non si tratta, quindi, di una scelta aprioristica nei confronti di determinate persone: qualunque azienda avrebbe fatto la stessa scelta.

PRESIDENTE. Un'altra domanda riguardava i precedenti contratti in RAI per i giornalisti.

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. Nel 1994 la RAI, seguendo una logica che non saprei dire se identica o contraria a quella di cui ci stiamo occupando, al fine di limitare l'espandersi del cosiddetto precariato, concluse un accordo in base al quale, da quel momento in poi, si sarebbe potuto utilizzare soltanto il personale che avesse già avuto una precedente utilizzazione. Questo accordo di massima è stato applicato solo per un anno; per quanto ne sappia, non vi è stato, infatti, alcun divieto a prendere in considerazione persone che non fossero state precedentemente utilizzate. Per la verità, ritengo si tratti di un orientamento corretto, fermo restando che le richieste dei direttori di rete o di testata sono valutate dal punto di vista non del merito ma dei requisiti. Non spetta alla direzione del personale stabilire se una persona sia meglio dell'altra; è evidente, tuttavia, che sono assunti come riferimento alcuni requisiti oggettivi, quale l'esperienza professionale acquisita, il titolo di studio, la conoscenza di lingue straniere, il tipo di laurea. Non vi è, in sostanza, un'esclusione aprioristica. Ovviamente, è assai più facile, per consuetudine e per esperienza acquisita, che, su 100 contratti che si vanno ad accendere, 80-90 siano stipulati con soggetti che abbiano esperienza...

PRESIDENTE. Non c'è una regola!

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. Non c'è uno sbarramento pregiudiziale.

Quando il direttore generale accennava alle circa 600-800 persone impiegate nel semestre, non è stato chiarito - probabilmente per un vizio di comunicazione da parte mia - che in questo numero sono compresi anche lavoratori con contratti di 4, 5 o 6 giorni. Quando lei, presidente Storace, afferma che in una redazione in qualche caso può esservi una prevalenza consistente di personale cosiddetto precario rispetto agli altri, va tenuto conto che questo fenomeno si può certo verificare, ma a maggior ragione in redazioni che si dedicano a programmi molto, molto specifici. Se si realizza un programma relativo ad un argomento nuovo, ad esempio, probabilmente vi sarà un esperto organizzatore all'interno e quattro o cinque ricercatori reperiti sul mercato.

PRESIDENTE. Potrebbe fornirci qualche dato sulle transazioni?

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. Abbiamo già fornito i dati relativi alle transazioni...

PRESIDENTE. Avevamo chiesto di sapere quanti contratti siano stati stipulati con la transazione e se vi siano lavoratori che abbiano rinunciato...

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. Su questi aspetti l'avvocato Marruzzo potrà fornire una risposta più adeguata. Il dato globale, se non ricordo male, riguarda il 5 per cento dei contratti accesi, per un totale di circa 50-60 transazioni...

PRESIDENTE. Scusi, ma si tratta di un punto che - non lo dico per amore di polemica - va chiarito in modo più dettagliato. Se qualcuno ha un contratto a tempo determinato con la RAI, quest'ultima gli chiede automaticamente di firmare la transazione per il rinnovo del contratto?

ROBERTO DI RUSSO, Direttore del personale della RAI. No.

PRESIDENTE. E allora, in base a quali criteri ad alcuni viene chiesto e ad altri no? Vorremmo capire quale sia la logica sottesa a questo meccanismo. E' per questo che chiedevo prima di sapere quante persone abbiano rinunciato a lavorare ancora per la RAI, per non perdere i diritti.

BRUNO MARRUZZO, Capo del contenzioso sindacale della RAI. Le conciliazioni in sede sindacale o davanti all'ufficio del lavoro sono sottoscritte laddove nella sostanza si ravvisi un interesse del lavoratore. Ci troviamo di fronte ad una legislazione molto rigorosa e ad un'interpretazione giurisprudenziale che in alcuni casi, almeno sotto il profilo della parte meno attenta della giurisprudenza, pone vincoli strettissimi, per cui ci potremmo trovare nella condizione di non utilizzare il lavoratore e, quindi, sostanzialmente di danneggiarlo. E' per questo che si sottopone alla valutazione del lavoratore stesso, in presenza della richiesta di un direttore di rete il quale ritenga che la professionalità di quest'ultimo sia utile per l'azienda, l'opportunità di sottoscrivere un verbale di conciliazione che vale sia a cautelare l'azienda rispetto ad eventuali rivendicazioni sia a consentire al lavoratore stesso di instaurare immediatamente un nuovo rapporto che, in caso contrario, l'azienda sarebbe costretta a non instaurare.

In proposito vorrei precisare che tutti i giudici chiamati a pronunciarsi in materia hanno riscontrato la legittimità delle conciliazioni sottoscritte. Se volete, posso leggervi qualche passaggio, che potrebbe essere utile ed illuminante...

PRESIDENTE. No, no. Avvocato, la questione non è questa. Si tratta di capire se si possa continuare a lavorare senza firmare la transazione.

BRUNO MARRUZZO, Capo del contenzioso sindacale della RAI. Sì, si può continuare a lavorare, magari rispettando tempi più cautelativi per l'azienda. In relazione all'orientamento giurisprudenziale che richiamavo, infatti, l'azienda correrebbe il rischio di vedere riconosciuto il rapporto a tempo indeterminato. E allora, come giustamente è stato osservato da qualche commissario, l'azienda, seguendo un criterio imprenditoriale, deve necessariamente cautelarsi e lo fa utilizzando lo strumento che il legislatore ha espressamente previsto per superare il problema in una condizione paritaria. Le conciliazioni sono ritenute valide in quanto vi sia la presenza di un rappresentante sindacale, cioè di un'entità in grado di valutare la portata della conciliazione stessa e di consigliare al meglio il lavoratore assistito. Del resto, è questa la motivazione a base di tutte le pronunce a noi favorevoli.

PAOLO ROMANI. Vorrei capire meglio. Se, per ipotesi, a qualcuno sia chiesto, per esigenze produttive, di lavorare 21 giorni di seguito, perché a quest'ultimo viene richiesto il verbale di conciliazione mentre lo stesso verbale non è richiesto ad altri che abbiano un rapporto di lavoro nel quale questo tipo di problema non si pone? E' stata chiarita la discrezionalità dell'azienda rispetto al verbale di conciliazione, ma non riesco a comprendere i motivi a base di tale discrezionalità.

BRUNO MARRUZZO, Capo del contenzioso sindacale della RAI. In relazione ad un orientamento giurisprudenziale minoritario, la ripetizione dell'instaurazione di contratti a termine a distanza temporale molto ravvicinata fa ritenere che il rapporto sia a tempo indeterminato. Tra l'altro, si tratta di un atteggiamento non assunto dalla giurisprudenza più autorevole. Ho con me una sentenza della Cassazione dalla quale si desume chiaramente che i contratti sono legittimi e che non vi è stata nessuna violazione di norme di legge. Per quanto riguarda le conciliazioni - si tratta di un dato assolutamente pacifico - vi sono numerosissime sentenze della Corte di cassazione che ne hanno confermato la legittimità.

Il punto è il seguente: se c'è necessità di utilizzare, a distanza ravvicinata dalla scadenza del precedente contratto, lo stesso lavoratore, anche nel suo interesse e per evitare di attendere tempi lunghi... In realtà l'azienda, se volesse essere del tutto tranquilla rispetto all'orientamento giurisprudenziale minoritario, dovrebbe lasciare trascorrere intervalli di anni: non credo si tratterebbe di un vantaggio per il lavoratore. Questa è la riprova del perché le organizzazioni sindacali sottoscrivono i verbali di conciliazione. Non è che le organizzazioni sindacali non abbiano valutato la portata della conciliazione; tuttavia, in una valutazione complessiva, hanno ritenuto più confacente agli interessi dei lavoratori sottoscrivere la transazione stessa.

PRESIDENTE. Hanno chiesto di parlare i colleghi Raffaelli, Landolfi e Giulietti.

PAOLO RAFFAELLI. Presidente, mi deve consentire di esprimere, a questo punto del dibattito, un disagio che è anche all'origine di alcune perplessità che sto per formulare. Non c'era bisogno dell'intervento molto puntuale dell'avvocato Marruzzo perché ci rendessimo conto che il patto tra un singolo lavoratore, più o meno precario che sia, e un'azienda delle dimensioni della RAI sia un patto leonino. Come ha detto correttamente il dottor Iseppi poco fa, è difficile pensare a un equilibrio di pesi e di forze. E' ovvio che ci troviamo di fronte ad una situazione per certi versi fortemente condizionata dalla differenza di pesi specifici.

Vorrei dunque capire se alla Commissione serva continuare a mescolare materiali diversi per consistenza e peso specifico, che probabilmente possono servire a produrre rumore ma servono poco a capire come uscire da un problema grave e reale e che riguarda non soltanto la RAI (anche se è di questo che oggi parliamo) ma il complesso di una serie di attività professionali di tipo prevalentemente liberale ma fortemente contrattualizzato. Vorrei evitare di continuare a mischiare insieme materiali diversi per consistenza e peso specifico: la questione dei programmisti, quella dei tecnici e quella dei giornalisti. In primo luogo perché, come è stato documentato con la lettera che opportunamente abbiamo avuto, l'appartenenza o meno all'ordine dei giornalisti costituisce già un elemento che crea una discriminazione e non un elemento di ulteriore garanzia. Chi ha acquisito il diritto all'appartenenza all'ordine dopo una certa data, anche se magari ha un'anzianità di servizio precedente rilevantissima, si trova in una condizione diversa da chi ne ha una più lunga. Questo è un meccanismo che chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il funzionamento, in questo paese, delle professioni liberali e degli ordini professionali che regolano l'accesso a queste professioni (vale per i giornalisti, ma anche per i notai) conosce senza bisogno che si dedichi all'argomento una seduta specifica della Commissione di vigilanza.

Allora, proprio perché non dobbiamo mescolare cose secondo me non miscelabili, è da qui che dobbiamo partire. Primo punto: quando si dice "su questi dati è così" mi piacerebbe approfondire un po' meglio, perché in questo paese si parla molto di flessibilità del lavoro ma conoscere qualcosa di più sulla flessibilità del lavoro non solo in fabbrica, nel lavoro hard, ma anche nel lavoro soft, dell'ideazione, può essere utile. Mi chiedo: in attività professionali in cui il 60-90 per cento (vi è una differenza di stime tra il presidente e altri interlocutori)...

PRESIDENTE. Non è una differenza di stime, sono dati acquisiti dalla Commissione.

PAOLO RAFFAELLI. ...sì, il 60 variabile 90 per cento delle attività creative è di tipo precario, mi chiedo se il concetto di precariato continui ad essere adeguato o se ci troviamo di fronte ad una categoria di tipo diverso, ad un meccanismo di flessibilità che non ha più nulla a che vedere con il precariato e che comunque costituisce un problema grave, perché se non lo si regolamenta si entra in un meccanismo di giungla che, probabilmente, in altre aziende equiparabili alla RAI funziona, ma che non può funzionare in un servizio pubblico. Questo, secondo me, è un punto fermo da cui partire, perché se non partiamo da qui ci condanniamo a non capire ciò che sta succedendo e a non tutelare chi ci chiede tutela.

Il secondo punto è direttamente connesso a questo. Se la RAI non fosse un servizio pubblico ma un normale datore di lavoro giornalistico (isoliamo per un momento la questione del lavoro giornalistico da quelle dei programmisti-registi e dei tecnici), ci troveremmo in una situazione in cui ci potremmo tranquillamente sentir dire che si entra in redazione con gli stessi criteri adottati in ogni giornale, cioè per cooptazione. L'accesso alla professione giornalistica in questo paese, infatti, e chiunque sia giornalista lo sa, avviene per cooptazione, che è qualcosa di più della chiamata nominale: è l'arruolamento.

Sotto questo profilo, è indiscutibile che il problema che ci troviamo di fronte è strettamente connesso, innanzitutto, all'intero sistema di regolamentazione della professione giornalistica e dell'accesso alla professione stessa. En passant ricordo che vi sono forze politiche che si sono poste il problema di una riforma dell'accesso alla professione che tenga conto dei mutamenti avvenuti nel sistema informativo nazionale globale, e vi sono forze politiche che hanno scelto l'altra strada, cioè la totale delegificazione, la cancellazione degli ordini professionali. Mi domando, all'interno di questo contesto, quali problemi si pongano per noi nel momento in cui riteniamo - e mi chiedo in che termini dobbiamo farlo - di andare a vigilare e di dare indirizzi al servizio pubblico in questo campo. Credo che qui si ponga un nodo forte, stringente. E' difficile capire che tipo di indirizzi e di vigilanza realizziamo se non abbiamo sciolto questo nodo stringente, che è il nodo dell'accesso. La RAI è un datore di lavoro giornalistico atipico e non può operare per cooptazione solo in quanto servizio pubblico. E chi si pone il problema, per esempio, della privatizzazione, in tutto o in parte, credo dovrebbe porsi anche questo problema, che non è trascurabile.

Aggiungo un ultimo aspetto, prima di rivolgere alcuni quesiti ai nostri interlocutori. Non c'è dubbio che, nel sistema nazionale dell'informazione, almeno nell'ultimo decennio, è avvenuto un mutamento profondissimo che è conseguenza dell'esplosione del sistema dell'emittenza locale, o comunque dell'emittenza privata nelle sue articolazioni, e nello sviluppo impetuoso dell'editoria locale attraverso le sinergie. Questo ha prodotto un meccanismo molto forte, in altri tempi si sarebbe detto di proletarizzazione, ma oggi diciamo di impiegatizzazione del mestiere giornalistico, che ha fatto sì che si sia allargata enormemente la forbice tra il singolare precario con cui il dottor Iseppi stipula un contratto da 600 milioni l'anno, che quindi nel patto leonino è un po' leone anche lui (o forse lo è ancor più della RAI, perché ha dalla sua il mercato e fissa il prezzo), e colui che si trova al lato opposto della forbice, che chiede semplicemente un posto, come diceva Hemingway, "caldo, tranquillo e ben illuminato", e magari un computer, se glielo danno (davanti al quale è disposto a stare anche venti ore). Se non entriamo all'interno di questo meccanismo (com'è cambiata la professione, come cambiano le regole d'accesso), come ne usciamo? E' questa la domanda, chiedo scusa se troppo lunga, che rivolgo alla Commissione. Se non rispondiamo a questa domanda, non capisco come potremo continuare a lavorare.

Rivolta la domanda alla Commissione, credo di poterne porre una o due ai rappresentanti dell'azienda, che sono i nostri interlocutori. Sento una carenza molto forte. Di fronte ad un problema di questo genere quali sono quelli che, alla Commissione attività produttive, sono definiti "piani industriali" settore per settore, realtà per realtà, che state costruendo - è, in altri termini, probabilmente, la richiesta di una riflessione sulla conferenza di produzione che ha formulato il collega Giulietti - che possano consentire ad un soggetto che ha tra le sue funzioni istituzionali quella della vigilanza e del controllo di capire in che direzione si va? Ho ben chiaro che in una grande produzione che ha una durata temporanea e che richiede professionalità assolutamente specifiche il concetto di precariato non funziona più: si fa un contratto, si realizza il prodotto e ci si ricolloca sul mercato, ricominciando daccapo per la produzione successiva. Ma vi sono parti di produzione che hanno continuità nel tempo. Penso per esempio che la RAI ha, tra le sue peculiarità, quella di avere una rete estesa e diffusissima sul territorio di gangli informativi, cioè le redazioni regionali, i centri di produzione.

Sotto questo profilo, continuiamo ancora a riflettere - uso un termine che forse è sovradimensionato - sulla questione "rete federata sì-rete federata no" (le agenzie di stampa ancora oggi riportano la questione con autorevoli dichiarazioni di esponenti di questa Commissione) ma non riusciamo ad individuare una linea di indirizzo e di tendenza. Mi rendo conto che da una parte si pone, per il Parlamento, la questione dell'interconnessione con il problema complessivo della legge di sistema; ma dall'altra credo che sia necessario vedere con più chiarezza quali sono le politiche tendenziali della RAI in questa direzione, perché mi sembrano non sufficientemente chiare.

PRESIDENTE. Ovviamente la Commissione determinerà se e quali indirizzi dare (perché dobbiamo anche decidere se darci indirizzi e se darli sul settore).

La questione delle rete federale non è oggetto di questa seduta, anche se ho fatto avere ai membri della Commissione il cosiddetto progetto Badaloni, che è l'unico che risulta alla Commissione stessa. Abbiamo letto sui giornali di uno studio della RAI, ma non abbiamo avuto il piacere di riceverlo. Comunque il direttore è libero di dirci se ce lo manderà o meno: deciderà lui.

MARIO LANDOLFI. Ricordo che si era avanzata l'ipotesi di concludere queste audizioni con una risoluzione sul problema dei precari, più che con un indirizzo, in quanto potrebbero sorgere perplessità circa la competenza della nostra Commissione a formulare indirizzi su tale questione.

Avverto innanzitutto l'obbligo di fare una precisazione molto pacata all'onorevole Giulietti: il presidente Storace rappresenta la Commissione e non un partito politico, che in questa sede è rappresentato da altri commissari; eventuali sfumature su determinati problemi non fanno altro che rafforzare l'autonomia di giudizio e di valutazione del presidente nei confronti del suo partito di appartenenza. Ritengo quindi che si possa concludere una volta per tutte il continuo martellare sul fatto che la presidenza di questa Commissione sia andata a un rappresentante dell'opposizione.

Fatta questa precisazione, niente affatto polemica, ed entrando nel merito della questione in esame, devo dire, dottor Iseppi, che mi è sembrato di cogliere (se non è così, mi scuso fin d'ora) una discrasia tra quanto lei ha affermato oggi e quanto hanno sostenuto ieri i rappresentanti delle organizzazioni sindacali USIGRAI e SINGRAI, nonché i rappresentanti dei lavoratori precari, circa l'esistenza o meno delle liste.

Mi sembra che lei, dottor Iseppi, abbia detto che queste liste non esistono, mentre i rappresentanti dell'USIGRAI prima e del SINGRAI poi ci hanno spiegato addirittura come esse vengono formate ed i relativi criteri. In particolare, il criterio principe è quello della maggiore utilizzazione dei lavoratori precari. Le liste vengono formate e si creano questi bacini all'interno dei quali si attinge in ossequio all'articolo 6 del contratto nazionale di lavoro dei giornalisti per consentire l'autonomia dei direttori di testata.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Le liste valgono per i giornalisti.

MARIO LANDOLFI. Allora, non ho domande da fare.

GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei rispondere con grande pacatezza all'onorevole Landolfi: figuriamoci se non ho rispetto istituzionale nei confronti del presidente! Mi accusano di averne anche troppo!

Non potevo non rispondere ad una battuta che viene ripetuta continuamente; poiché ogni tanto il presidente Storace ci richiama alla disciplina di partito, per quanto mi riguarda spero che ciascuno pensi al suo. Credo che l'incidente sia chiuso, ma occorre che ognuno si preoccupi, per così dire, dei propri itinerari.

Mi interessa comunque il tema dei precari e non ho compreso bene l'affermazione dell'onorevole Landolfi secondo cui si era ipotizzato di pervenire alla discussione di una risoluzione e che questo sta sfumando.

MARIO LANDOLFI. No, non ho detto questo.

GIUSEPPE GIULIETTI. Allora ho capito male.

MARIO LANDOLFI. Oggi equivochiamo spesso.

GIUSEPPE GIULIETTI. Questo è un paese in cui spesso accade che tra la sanatoria e il nulla non vi sia mai un percorso riformista. Se invece siamo tutti d'accordo - mi sembra che lo siamo, perché l'hai detto ieri con molta chiarezza - occorre seguire tale percorso.

Vorrei inoltre valutare se da questa audizione possano nascere elementi positivi per un lavoro ulteriore, perché se tali elementi non emergono, rischiamo di non affrontare più questo tema in termini rigorosi.

Da parte mia, ho capito due cose, ma chiedo conferma al direttore generale della RAI. Un primo dato è quello relativo alla disponibilità dell'azienda, che il dottor Iseppi ha indicato come una ripetizione di eventi del passato (ma a mio avviso non è così), rispetto alla conferenza di produzione, che in realtà non ha mai avuto una dimensione vera all'interno dell'azienda RAI. In una fase come questa, poter ragionare finalmente in modo serio su questioni gravi ed importanti come la holding, i mercati o la rete federale sarebbe, a mio avviso, un fatto molto positivo, soprattutto perché credo che questo sia un interesse dell'impresa così come della sfera politica.

Piuttosto che far uscire notizie ad arte o pilotate su singole questioni, sarebbe molto meglio affrontare l'idea della riforma e far conoscere le opinioni della RAI al riguardo nell'ambito di un confronto pubblico, che forse chiamerebbe a raccolta non solo la politica e gli interni, ma anche una parte della ricerca di questo paese, che potrebbe avere qualcosa da dire. Si dovrebbe in sostanza aprire un confronto, perché quanto più si alza il livello dello stesso confronto, tanto più è possibile individuare percorsi da seguire e non limitarsi alle polemiche.

Sulla questione dei precari, ho colto un passaggio, ma chiedo ai rappresentanti dell'azienda di confermare se ho compreso bene ed invito il presidente a formalizzare questa proposta. Sulla problema del precariato vi sono idee molto diverse anche all'interno della Commissione (non intendo comunque rifare questo tipo di percorso); è vero che molte cause sono state vinte, ma sarebbe interessante prendere in considerazione anche tutte le cause perse e le relative ragioni, verificando che cosa dicano tali sentenze, laddove vi sono precari di cui la magistratura ha imposto l'assunzione. Lo dico perché dobbiamo avere un quadro molto realistico della situazione, al di fuori di un tono conflittuale, il quale porta ad una contrapposizione - per questo mi sono irritato - con il risultato della paralisi delle assunzioni dei precari ed il blocco della questione. Per tali motivi, eviterei una discussione ideologica su flessibilità o rigidità.

E' noto quale sia stata, negli anni sessanta e settanta, la storia del bacino dei precari; si pone allora il problema di esaminare la parte relativa alla flessibilità (l'ha rilevato molto bene l'onorevole Romani e non lo ripeterò): non vi è dubbio che in questo settore siano presenti aspetti relativi al part time, alla flessibilità, al lavoro intellettuale, all'organizzazione del tempo libero, nonché alla richiesta del lavoratore di costruire in modo diverso il tempo del lavoro. Se si blocca questo elemento, ho l'impressione che per il prossimo ventennio saranno bloccate le assunzioni nel settore delle telecomunicazioni. Mi riferisco al caso in cui si blocchi questo tipo di bacino nel pubblico e nel privato, considerato anche che vi è un forte movimento tra i due mercati: basti pensare al cinema, alla musica, al teatro, ai service, alle riprese.

E' vero, tuttavia, che l'azienda RAI ha alle spalle una storia diversa rispetto al privato, perché negli anni settanta e ottanta si è assistito ad una crescita di questo tipo di contratti, una parte dei quali sono ormai, a mio avviso, in sostituzione di pianta organica, in quanto riguardano persone che da un ventennio operano nell'azienda.

Da parte mia, non ho una ricetta, ma mi è sembrato di capire che voi abbiate affermato di non avere un atteggiamento di chiusura su questo tema e di voler individuare alcuni criteri; state ragionando con i sindacati e con le organizzazioni dei precari - se ho ben compreso - non soltanto in ordine alla ripetizione di ciò che è accaduto, ma per lavorare attorno alla definizione di che cosa siano la flessibilità e il precariato, individuando quali siano i precari in sostituzione di pianta organica e quali i criteri da seguire.

Senza voler riaprire la discussione, giudico importante che l'azienda ci indichi un termine (che potrà essere di venti, trenta o quaranta giorni) entro il quale essa elabori una sua proposta su tale materia, senza estremismi di nessuna natura e ragionando sulle varie questioni. Sulla stessa proposta la Commissione potrà decidere, discutere, valutare; la politica ha comunque una sua autonomia ed io credo sia nell'autonomia dell'impresa sia in quella della politica: non si tratta di seguire un percorso di concertazione, ma giudico importante che venga avanzata una proposta, affinché la Commissione possa giudicarla nella sua autonomia. A quel punto, se si è d'accordo, si può valutare una proposta di risoluzione (riprendo la proposta dell'onorevole Landolfi): o si verifica il testo o si parte da una proposta di risoluzione; ve ne è una, che condivido in gran parte, presentata da rifondazione comunista ma so che anche gli amici della lega nord e gli esponenti di altre forze politiche di tutti gli schieramenti stanno riflettendo su questo. E' stata inoltre presentata una proposta legislativa.

La mia sensazione è che dobbiamo chiedere all'azienda di presentare una proposta e valutare quale contributo la Commissione possa dare su di essa. Non vi è dubbio che, se chiediamo uno sforzo particolare nella direzione della forza lavoro e della flessibilità, il Parlamento non può non tenere conto di questo tipo di passaggio. Lo stesso Parlamento, infatti, deve considerare che sta chiedendo la riduzione della pianta organica e contestualmente l'adozione di un meccanismo di soluzione del pregresso. Sarebbe infingardo da parte della politica porre tale questione e non volerla poi assumere nelle sedi opportune, che sono, appunto, quelle della politica; questo non sarebbe concepibile e credo che sia preferibile muoversi sulla linea di una riforma graduale. Ritengo che questo sia un percorso da seguire.

FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Landolfi, mi sembra chiarito che le liste si riferiscono ai giornalisti.

Vorrei inoltre fare una precisazione sulla base di quanto ha detto il direttore del personale: il numero di 800 si riferisce alle teste, quindi in qualche modo si modificano quelle percentuali indicate nel discorso che è stato fatto (e mi scuso al riguardo). Riprendendo poi un discorso di saldatura con riferimento alle osservazioni degli onorevoli Raffaelli e Giulietti, penso che un dato di tipo quantitativo - che è sempre importante per capire quali margini vi siano in questo tipo di processi - possa essere fornito dal piano industriale triennale che stiamo preparando. Il piano si basa su due opzioni di fondo: una inerziale, come se non accadesse nulla nel nostro paese, e l'altra prospettica, come se fra due mesi già avvenissero alcune cose, come la possibilità per la RAI di realizzare free e pay-tv, una rete con certe caratteristiche territoriali, una certa struttura societaria di holding rispetto all'attuale compattezza unitaria. Stiamo quindi preparando un piano triennale che ha due sbocchi: uno inerziale e uno relativo ad alcune opzioni di fondo ipotetiche, che abbiamo individuato come fondamentali rispetto all'attuale dibattito sulla riforma del sistema.

Ne emergono due prospettive molto diverse, anche nei numeri per quanto riguarda il grande tema delle risorse umane. Questo è quindi un primo dato per capire come ci si orienta rispetto alla situazione oggettiva e quali sono i punti di riferimento. Vi può essere inoltre l'occasione per un discorso che si può definire come si crede (conferenza di produzione, dibattito, confronto eccetera) ma che deve basarsi fra l'altro sul piano triennale dell'azienda. Se ancoriamo a questo piano la proposta che vorremmo fare con le organizzazioni sindacali, ritengo che i tempi per definire un'ipotesi che risponda alle richieste di Giulietti siano di almeno un paio di mesi: cominciamo ora, infatti, a discutere il piano e presumo che tra un mese-un mese e mezzo esso sarà all'esame del consiglio di amministrazione, con le due prospettive indicate, che mi sembrano importanti per capire come ci si orienta rispetto alla fondamentale risorsa del personale.

PRESIDENTE. Colleghi, in apertura di seduta, ho dato notizia del mandato ricevuto dall'ufficio di presidenza per la convocazione della prossima seduta per definire l'indirizzo da dare alla RAI sulle prossime elezioni amministrative. Dunque, l'ufficio di presidenza integrato dai rappresentati dei gruppi è convocato per martedì 11 marzo alle 14 esclusivamente per discutere sulla questione della bozza di risoluzione per la disciplina delle trasmissioni radiotelevisive nell'imminenza della prossima campagna elettorale; se si sarà raggiunto l'accordo in ufficio di presidenza, presumibilmente sarà convocata la Commissione per l'approvazione del documento nella serata del successivo mercoledì .

PAOLO ROMANI. Signor presidente, sull'ordine dei lavori, vorrei sapere se è stata mandata la lettera concernente il problema sollevato relativamente al TGR della Toscana.

PRESIDENTE. Sì; ho mandato una lettera riguardante i TG regionali, con riferimento alla questione sollevata dai colleghi del gruppo di forza Italia. La lettera è a disposizione dei colleghi.

La seduta termina alle 16,15.

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