CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
XIII LEGISLATURA
COMMISSIONE PARLAMENTARE
PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA
DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI
11.
SEDUTA DI MARTEDI' 28 GENNAIO 1997
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO STORACE
INDICE
Seguito della discussione sul pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo
La seduta comincia alle 10,5.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Essendo pervenuta la richiesta da parte del prescritto numero di componenti la Commissione, dispongo, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del regolamento della Commissione, che la pubblicità dei lavori della seduta sia assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Dell'esame di questo punto all'ordine del giorno della seduta odierna sarà altresì redatto e pubblicato il resoconto stenografico.
Seguito della discussione sul pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione sul pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo.
Ricordo che sono ancora iscritti a parlare nella discussione generale sono gli onorevoli Giulietti e Landolfi; al termine dei loro interventi, dirò qualcosa io stesso e l'onorevole Paissan avrà la possibilità di replicare, confermando nello stesso tempo se ritenga di poterci far pervenire entro giovedì prossimo la proposta di documento, il quale sarà poi inviato ai commissari, affinché si possa fissare per lunedì 3 febbraio alle ore 17 il termine per la presentazione degli emendamenti, come concordato in sede di ufficio di presidenza.
Do ora la parola all'onorevole Giulietti.
GIUSEPPE GIULIETTI. Interverrò molto brevemente, considerato che siamo giunti alla conclusione del dibattito e non vorrei ripetere cose già dette.
PRESIDENTE. Lei ha a disposizione mezz'ora di tempo.
GIUSEPPE GIULIETTI. Poiché ho un grande rispetto nei confronti di tutti voi, cercherò di impiegare molto meno.
PRESIDENTE. Se si hanno cose interessanti da dire, si può utilizzare il tempo a disposizione!
GIUSEPPE GIULIETTI. La ringrazio di questo giudizio preventivo.
Vorrei innanzitutto rivolgere un appello a tutti noi, considerato anche che successivamente interverrà il presidente e si dovrà decidere in che modo procedere nell'esame di un documento. Ricordo, in particolare, di aver colto, nell'ultima riunione della Commissione (che fortunatamente è stata poi aggiornata), toni da muro contro muro, con la riproposizione di schemi già visti. Ritengo però che si debba essere molto attenti ad imboccare quella strada: mi riferisco al fatto che in alcuni interventi svolti la scorsa settimana da esponenti del Polo ho constatato la riproposizione di tesi secondo cui la RAI è illegale, è fuori dalle regole e va ricondotta nell'ambito di queste ultime (non si capisce bene che cosa significhi questo discorso); ho ascoltato altresì qualche lata invocazione alle sanzioni. Su questo aspetto vorrei essere molto chiaro: non è che ogni volta non si replichi per mancanza di argomenti, ma alcuni di noi non replicano nel tentativo di costruire un percorso che impedisca il verificarsi di scontri frontali. Non si può, tuttavia, continuare a fare finta che la Commissione di vigilanza sia fuori dal mondo, che non si sia all'interno di un conflitto di interessi pauroso, che sta esplodendo ed è stato sollevato anche all'interno del Polo, in modo ormai palese, tanto che alcuni di noi appaiono, per così dire, come giovani di grande moderazione in confronto a ciò che leggo!
Il tema del conflitto di interessi è stato sollevato all'interno del Polo, forse in ritardo ma in modo a mio avviso corretto; è evidente, comunque, che si tratta di un tema maturo, il quale pesa sull'intero sistema delle telecomunicazioni. Quindi, dovremmo muoverci con mano leggera nel definire le regole dell'intero sistema (condivido, al riguardo, le osservazioni svolte dal collega Follini all'inizio della discussione), ossia ragionando non sulla base del criterio per cui si distingue tra chi sostiene la pubblica accusa e chi la difesa, tra chi cura il servizio d'ordine di Mediaset e chi quello della RAI (di volta in volta, tra l'altro, i servizi d'ordine cambiano a seconda di chi venga sfiorato o colpito).
Detto questo, giudico assolutamente importante tornare a ragionare con freddezza, per cui devo rilevare con grande franchezza che, se si imboccherà la strada delle sanzioni, dell'invocazione di provvedimenti disciplinari, si procederà a maggioranza, non si voterà nulla, non vi sarà alcuna possibilità. Oggi il discorso riguarda la RAI, ma non condivideremmo neanche il fatto che una futura authority imboccasse questa strada nei confronti di Mediaset, di Telemontecarlo, del sistema delle telecomunicazioni nel suo complesso. Si tratta di una strada sconsigliabile, della quale si conosce l'inizio ma non la fine. Credo - così, almeno, il presidente ha detto più volte - che nessuno pensi a questo, ma negli ultimi interventi svolti nella precedente seduta della Commissione di vigilanza ho colto, invece, echi di questa natura. Infatti, nel momento in cui si parla di illegalità, di ripristino della legalità, ciò significa che è necessario un tribunale esterno il quale ripristini, appunto, la legalità. Imboccando questa strada - lo ripeto - non si va da nessuna parte; piuttosto che fare ciò, sarebbe preferibile che non votassimo nulla, limitandoci magari a prendere atto che abbiamo ascoltato i direttori di rete e di testata.
Mi si può obiettare che allora non si vuole fare nulla, ma non è così: in realtà, dico questo per non perdere tempo e considero quella avviata dalla Commissione di vigilanza una riflessione utile; ora è necessario che prevalga la ricerca delle regole per il sistema nel suo insieme. E' inutile continuare tutte le volte ad affermare che non c'è simmetria e così via, perché queste sono tutte discussioni inutili: il conflitto di interessi esiste ed è evidente che qualsiasi misura si adotti nei confronti di una parte del sistema non può che investire anche l'altra. Allora, o abbiamo l'intelligenza di muoverci nei confronti del settore pubblico con capacità analitica e quindi - insisto su tale aspetto - con mano leggera, oppure mettiamo in moto un meccanismo il quale non può che diventare il paradigma della futura authority, degli interventi complessivi sul sistema delle telecomunicazioni. Ecco perché occorre essere molto attenti e non trasformare questo in un elemento di propaganda, elemento che mi sembra fosse presente nell'intervento dell'onorevole Vito (mi dispiace che in questo momento sia assente), il quale vedeva un punto di forza collegato al fatto di avere argomenti di propaganda. Mi sembra piuttosto debole l'argomento per cui il fatto di "sparare" sulla RAI sia comunque popolare. Non è detto che sia così e ricordo, per esempio, che molti di noi in passato erano convinti che vi fosse un grande consenso nei confronti di una critica forte rivolta al modello culturale di Mediaset, mentre in realtà la situazione era più complessa.
Ho quindi l'impressione che si stia sottovalutando il grado di consenso esistente nei confronti del servizio pubblico, a prescindere dai suoi gruppi dirigenti, il che è cosa diversa. Per di più, se il dibattito si sclerotizza in questo modo, tutto diventa più difficile anche per chi vuole ragionare - riprendo l'appello dell'onorevole Follini - sul futuro sistema di nomina dei consigli di amministrazione della RAI, quindi sui nuovi governi dell'azienda; se nel dibattito non si riesce ad affrontare il tema delle regole complessive, tutto diventa - lo ripeto - molto difficile, in quanto ciascuno viene, per così dire, ricacciato in una sorta di ruolo fisso, che chiude ogni possibilità di dialettica.
Se si volesse discutere del caso Fazio, si potrebbe rilevare che esso è la conferma del perché non siano necessari strumenti disciplinari; ciascuno di noi ha un'opinione diversa su quell'episodio, ma il vero problema non è di avere strumenti disciplinari per intervenire su Fazio, bensì di mettere in moto una dialettica - mi pare che il senatore Falomi abbia fatto riferimento più volte a questo ed io credo molto in tale strumento - rispetto ad un'affermazione che può essere condivisa o meno. La discussione, comunque, è partita, ciascuno è intervenuto ed ho letto che ieri vi è stato un colloquio tra Storace e Fazio; non è scattato, però, un meccanismo, che pure è stato invocato in qualche dichiarazione, di richiamo disciplinare: chi avrebbe applicato le sanzioni? Nei confronti di chi? Si doveva forse intervenire su Fazio sospendendolo?
PRESIDENTE. Il richiamo alle sanzioni è stato più esterno che interno alla Commissione: chi non segue la materia ha avanzato una simile richiesta.
GIUSEPPE GIULIETTI. Avanzerò poi delle proposte premettendo che giudico la relazione dell'onorevole Paissan, alla quale tutti hanno fatto riferimento, equilibrata e seria, incentrata non tanto sul minutaggio da riservare ai partiti quanto piuttosto su un'idea di pluralismo. Infatti, la stessa relazione, anche dal punto di vista della sua struttura, della costruzione del pensiero, non contiene una mera elencazione di ragioni, ma si traduce in una serie di riflessioni. Se anzi si legge la carta dei diritti e dei doveri (ieri ho letto tutte le carte che incidono sul servizio pubblico), allora altro che la relazione di Paissan!
Il problema vero è se il governo della RAI e i direttori di rete e di testata, nella loro autonomia, pretendano il rispetto delle regole di cui l'azienda dispone già; la questione non è allora quella di aggiungere nuove regole, ma riguarda il rapporto tra le regole che esistono e la loro applicazione. Per tale ragione non è assolutamente necessario alcun elemento aggiuntivo, che sarebbe anzi un errore. Il problema riguarda il modo in cui si fanno "vivere" le norme che esistono.
Per tali motivi, ritengo sia necessario uscire dai ruoli fissi e sviluppare una riflessione (pongo, al riguardo, una questione che non chiedo sia inserita nel documento, ma dobbiamo sapere che essa è presente in prospettiva): penso che la Commissione di vigilanza possa avere il compito di fare "sfebbrare" l'atmosfera intorno al sistema radiotelevisivo configurandosi come un elemento che accompagna ed accelera (questa mattina ho constatato un grande consenso nei confronti della proposta relativa a tale accelerazione) l'approvazione delle norme sul conflitto di interessi, sull'authority e sull'antitrust. Credo che la nostra Commissione possa scegliere di accompagnare positivamente tale discussione che: quanto prima essa si concluderà, tanto meglio sarà per tutti; in questo momento, più che la legge migliore è necessaria la legge possibile, un compromesso fra le parti che chiuda questa vicenda, la scorpori dalla Commissione bicamerale e restituisca al sistema delle telecomunicazioni la valenza di sistema di impresa e non di sistema, per così dire, parlamentare aggiunto, in cui si consumano i contrappesi o le polemiche; si deve invece esaltare l'aspetto di regola e di sistema industriale.
Affinché tale processo si acceleri, come credo sia necessario, occorre che il clima complessivo sia contraddistinto da serenità, il che non significa dover rinunciare alle proprie posizioni, bensì ricercare, anche nella Commissione di vigilanza, il consenso possibile, evitando anche di spingere sulla strada del muro contro muro perché si esaurisca il ruolo delle Commissioni, del Parlamento (questa è una mia posizione personale). Ritengo che la Commissione di vigilanza ed il Parlamento debbano avere un ruolo nell'organizzazione del sistema; credo altresì nell'authority, ma credo poco al trasferimento di tutti i poteri nei luoghi della tecnocrazia nascente; ritengo pertanto che le competenze parlamentari vadano difese e non abrogate.
Per tali ragioni, il mio è un invito a valutare quali possano essere le convergenze, a partire dal documento dell'onorevole Paissan.
Non abbiamo bisogno di nuove carte o di nuovi indirizzi, perché l'insieme delle carte, degli indirizzi e dei contratti è pesantissimo nei confronti del servizio pubblico. Credo allora che si debba lavorare su questo tipo di documenti, considerato anche che l'onorevole Paissan ci ha sollecitato, se ricordo bene, a dare dei suggerimenti, oltre che a procedere a una definizione critica dei vari aspetti.
Siamo comunque in presenza di un documento del consiglio di amministrazione che è stato elaborato, su cui si dovrà esprimere un giudizio; da parte mia, lo considero un'utile base di partenza ed esprimo un giudizio positivo su quel documento, che è simile ai precedenti. Abbiamo inoltre acquisito la relazione di Paissan, che mi pare sia stata condivisa da tutti nella sua formulazione. Vi sono poi i patti e le carte esistenti, nonché i documenti votati dalla Commissione di vigilanza. Ritengo quindi che questa sia la base della discussione e che non vi sia altro da aggiungere; occorre richiamare ciò che è già stato fatto. Per citare un esempio concreto segnalo al presidente il fatto che Il Mondo di questa settimana pubblica un'inchiesta su ditte esterne o interne alla RAI con incarichi di consulenza. Non conosco la materia e non so se quanto affermato risponda al vero, ma ho constatato che Il Mondo pubblica un'inchiesta su tale questione, in cui segnala l'esistenza di questo problema; tuttavia, siccome non ho approfondito la stessa questione, la segnalo semplicemente come esempio.
La carta dei doveri già sanziona le incompatibilità professionali ed in base ad essa, per esempio, Efeso non poteva aver luogo: credo, quindi, che il nostro appiglio debba essere rappresentato dalle norme esistenti, che già impediscono una serie di comportamenti. Bisogna quindi innescare un controllo sulle norme in vigore, che necessariamente fa capo al governo della RAI, ai direttori di rete e di testata: la nostra funzione è quindi segnalare, mettere in moto, evidenziare eventuali rotture delle regole esistenti (al riguardo avanzerò una proposta).
Sarebbe dunque importante (ascolterò con attenzione l'intervento del presidente e valuterò le decisioni operative che ne scaturiranno) esplicitare con grande chiarezza che qualunque concezione disciplinare (uso questo termine brutto e provocatorio per capirci) del sistema delle comunicazioni non può avere luogo, né oggi, né domani con la futura authority. Voglio quindi ribadire con nettezza che qualunque concezione disciplinare o sanzionatoria da parte di organismi esterni, oggi della vigilanza domani dell'authority, che tendesse a trasferire il controllo deontologico - mi riferisco non soltanto ai giornalisti ma al sistema delle comunicazioni in generale - fuori dai patti, dalle regole, dai rapporti può essere molto rischiosa. Quanto decidiamo, infatti, potrebbe avere altri tipi di estensione e di applicazione: ecco perché invito i colleghi a considerare con lucidità e serenità questi problemi. Se poi una questione del genere non si porrà, tanto meglio: la avremo eliminata ed un comitato ristretto potrà eventualmente lavorare in altra direzione.
Voglio ora segnalare alcune questioni che potrebbe essere utile tenere presenti, se si riuscirà a prendere questa strada, se vi sarà una condivisione del percorso di fondo (vi è infatti una prescelta molto chiara da operare, per consentire un lavoro comune). La prima questione è quella dell'osservatorio; non credo, infatti - insisto - ad elementi prescrittivi, mentre sono più convinto dell'utilità di una Commissione che detti indirizzi, attivi elementi di conoscenza, raccolga materiale e su tale base consenta di innescare una dialettica che non è solo politica (per esempio, è stata recentemente portata all'attenzione del presidente della Commissione una protesta dei sindacati dei pensionati CGIL-CISL-UIL). Esiste una dialettica più ampia rispetto a quella che riguarda il minutaggio dei partiti, vi è un interesse dei soggetti sociali, mentre l'attenzione è sempre spostata unicamente sul rapporto fra i poli, o tra le forze politiche all'interno dei poli.
Pongo quindi la questione dell'osservatorio: d'altronde, dopo il documento critico che fu votato, vi furono gli incontri con il Presidente della Repubblica e con i Presidenti delle Camere, e si propose che il Garante istituisse un osservatorio con un'unica metodologia, fondata non soltanto sul minutaggio dei partiti, che rappresentasse un elemento utile di conoscenza.
Per quale ragione ritengo che questo osservatorio vada sollecitato? Perché trovo rischioso che sia la RAI a darci i dati su Mediaset e Telemontecarlo: senza mettere in discussione la correttezza dell'osservatorio di Pavia, mi sembra opportuno un osservatorio presso un arbitro terzo, quindi il Garante, che abbia unicità di metodologia e di rilevamento, al quale sia possibile chiedere un certo tipo di dati, che sono quelli che riguardano non soltanto i partiti, ma anche (e questo è segnalato con grande forza nel documento Paissan) quelli sulla dialettica sociale e su altri tipi di realtà che si muovono nella nostra comunità, oppure su argomenti specifici. Quasi nessuno ha notato che relativamente alla discussione sulla finanziaria (lo dico proprio per uscire dalla propaganda) vi erano dati molto netti: il 35 per cento dei servizi risultava a favore del Polo e il 30 per cento a favore del Governo; il dato che mi preoccupa di più, però, è che più del 30 per cento diceva che non aveva capito niente. Il vero dato rilevante, cioè, riguarda non tanto la contrapposizione politica quanto la non comprensibilità; non voglio dare giudizi professionali, ma spesso emerge questo elemento dalla lettura dei dati di Pavia: la difficoltà di comprensione, la non chiarezza, la richiesta di approfondimento su alcune materie.
Credo che un osservatorio serio ci possa offrire anche questo tipo di input. Mi domando, allora: non è il caso di rilanciare l'attenzione, anche dei Presidenti delle Camere, visto che vi era una condivisione del percorso per l'osservatorio, che sarebbe probabilmente il caso di attivare presso il Garante? Non vi sono soltanto le sanzioni: sono importanti gli elementi di conoscenza, che a mio avviso vanno ripristinati.
La seconda questione che segnalo è la seguente: se il problema è rappresentato dalla non applicazione della carta dei diritti, della carta di Treviso, di altri documenti, non va posto alla RAI (mi sembra che questo non possa avere minimamente sapore censorio) il problema di una grande campagna di informazione sui diritti del teleabbonato? La signora Moratti prima e l'attuale gestione RAI poi ci hanno mandato una ricca documentazione con l'indicazione di tutte le norme sulla materia di nostro interesse: si tratta, però, soltanto di uno degli aspetti da tenere presenti. Visto che, se ho ben compreso, il senatore Falomi sollecita un altro tipo di dialettica delle associazioni e dei cittadini, mi sembrerebbe più importante che la RAI promuovesse una campagna di conoscenza su quali sono i diritti del cittadino (penso alla rettifica, alla presunzione di innocenza, ad alcune trasmissioni che entrano con facilità negli ospedali e nei tribunali). Se vogliamo discutere di garantismo, dobbiamo farlo seriamente.
Mi sembra quindi opportuno ragionare su una campagna di conoscenza dei diritti e su quale possa essere il luogo in cui promuoverla: si parla, per esempio, della commissione qualità; ho qualche dubbio ma deve essere la RAI a definire questo aspetto. Non ho niente da suggerire al riguardo, anche se, quando si pone un problema di garanzie e di garantismo, non solo per le forze politiche ma per il singolo cittadino, la questione è importante e sento che è troppo debole dire che se ne devono occupare altri; credo, quindi, che delle regole debbano scattare. Come? In che modo? Non penso che sia compito della Commissione, la quale può solo segnalare le questioni: è un problema di metodologia e di applicazione che riguarda il consiglio, il direttore generale, i direttori di rete e di testata, ma non nuove norme, bensì le norme esistenti. Sento quindi la necessità di una campagna di conoscenza - lo suggerisco al relatore Paissan, perché è un'esplicitazione della sua relazione - da rimandare alle parti.
Mi permetto, poi, di segnalare un problema che forse non si può inserire in questo tipo di relazione che riguarda gli indirizzi, ma che mi sta a cuore (è stato sollevato di recente anche dal presidente). Mi riferisco alla questione dei criteri di assunzione, con particolare riferimento al precariato. Il problema riguarda sicuramente la carta dei diritti e dei doveri: è una di quelle norme che non so se sia stata sempre regolarmente applicata, visto che vi sono percorsi precisi riferiti alle assunzioni. La questione dei precari è esplosiva: esiste, ed è inutile negarla. Non so se vi possa essere un percorso legislativo, mi sembra difficile: certamente, però, l'azienda va sollecitata a dirci come la vuole affrontare, con quali criteri, con quali regole oggettive, anche perché in genere quelli che restano fuori da questi meccanismi sono i senza Dio; chi è protetto, spesso, trova le giuste corsie. E' anche un problema di pluralismo: quando si parla dei criteri di assunzione, infatti, si fa riferimento anche ad un problema di pluralismo, dato che il pluralismo dell'accesso è fondamentale per quello dei linguaggi. Quando vi sono migliaia di ragazzi che, per 1 milione 200 mila-1 milione 300 mila lire, rappresentano la spina dorsale di gran parte della programmazione, si pone un problema su cui è necessario soffermare l'attenzione.
Se il problema non è affrontabile in questa sede, credo però che debba essere oggetto di una seduta, poiché esiste da tempo e non basta manifestare solidarietà: bisogna invece sollecitare una soluzione che non possa essere successivamente accantonata.
Passo ad un'altra questione, richiamandomi in parte anche alla vicenda Fazio, nella quale vi è anche un elemento positivo. A parte il fatto che credo sia del tutto banale ripetere che siamo in presenza di una delle professionalità più raffinate e nuove del servizio pubblico e al di là dell'episodio, sul quale ognuno di noi ha dato il suo giudizio, si pone il problema del garantismo, del pianeta-giustizia e della realtà del carcere. Spesso usiamo i diversi casi per farci una sorta di guerra, ma in realtà esiste un problema: può il servizio pubblico non dedicare una linea di attenzione continua al tema delle garanzie e del garantismo, a prescindere dai casi che di volta in volta si pongono? Pongo quindi il problema di un viaggio quotidiano nel pianeta-giustizia, che è cosa diversa dal singolo caso: mi riferisco ad un percorso che riguardi le condizioni della giustizia, i diritti degli operatori e di coloro che talvolta subiscono situazioni di grande difficoltà. Mi domando quindi se non sia il caso di fare una riflessione su questi temi, nell'ambito delle trasmissioni di pubblica utilità cui faceva riferimento Paissan: non deve trattarsi di una fiammata improvvisa, ma far parte di una linea di trasmissioni di servizio, che si immerga in questi problemi e sia quindi diversa dalla polemica quotidiana.
Queste erano alcune delle questioni che volevo porre, per verificare se esiste un percorso, se si può ragionare, se esistono le condizioni, se si può successivamente accelerare la fase degli indirizzi e delle audizioni mirate su singole questioni: abbiamo sentito, per esempio, i direttori di rete e di testata, ma non abbiamo approfondito il settore delle politiche internazionali della RAI (penso a RAI International), delle convenzioni, dell'informazione estera, né il settore sportivo (la TGS), né l' educational e gli archivi. Sono grandi questioni che rientrano in quelle poste dall'onorevole Paissan: per esempio, sul tema della televisione educativa, che tipo di programmi, quali progetti esistono? La pongo come scaletta successiva, perché ci potrebbe essere utile.
Infine, voglio rivolgere una richiesta alla presidenza: a suo tempo, ho presentato molte interrogazioni relative alle riviste King e Moda, che sono rimaste tutte senza risposta; il caso però è tuttora aperto, mi risulta anche nei tribunali. Mi riferisco alle modalità di cessione di queste testate; non so se altri parlamentari siano stati più fortunati di me, ma personalmente non sono mai riuscito ad avere risposte, per cui raccoglierò le interrogazioni e le rimanderò a chi di dovere, ma voglio farle presenti anche alla Commissione parlamentare di vigilanza, perché sarebbe utile capire come questa vicenda stia procedendo: se si intende vendere, come, a chi, a quali cordate, con quali garanzie. Occorrono infatti elementi di trasparenza e di serietà nell'utilizzo delle risorse del servizio pubblico, perché non si ripetano esperienze pregresse: vorrei quindi che su questo vi fosse da parte nostra una forte attenzione.
PRESIDENTE. L'onorevole Landolfi non è presente e si intende che abbia rinunciato ad intervenire.
Voglio ora svolgere alcune riflessioni conclusive, che ovviamente non hanno la pretesa di essere definitive: svolgerò alcune osservazioni che spero non appaiano provocatorie, per chiarire i suggerimenti che mi permetto di rivolgere al relatore. Comincerò dall'ultima questione cui si è riferito l'onorevole Giulietti nel suo intervento, che reputo sicuramente interessante e che avrà puntuali risposte almeno per la parte che mi compete a livello personale: quella di King e Moda è una delle questioni su cui dobbiamo prestare attenzione e, quando riceverò la documentazione dell'onorevole Giulietti, sicuramente la esaminerò e la porterò all'attenzione dell'ufficio di presidenza della Commissione. Il problema è capire se non si sconfini nella gestione societaria dell'azienda, sulla quale non abbiamo competenza. Sono del parere che dovremmo occuparci di tutto; c'è una scuola di pensiero secondo la quale dobbiamo occuparci di niente; spero che la questione King e Moda ci offra l'occasione per trovare una via di mezzo.
Cercherò nel mio intervento di limitare gli aggettivi ma sarà difficile farlo con i sostantivi, perché vi sono cose che devono essere dette. Inizierò annunciando il mio orientamento a proposito della votazione sugli indirizzi alla quale non parteciperò, perché ritengo di dover mantenere un atteggiamento di neutralità, proprio per poter rappresentare la decisione della Commissione. Parteciperò alla votazione se mancherà il ventunesimo voto determinante per l'approvazione degli indirizzi, qualunque sia la decisione della Commissione. Ciò per dare massima libertà al mio schieramento politico e alla Commissione nel complesso. Ritengo che non avrebbe senso un diverso atteggiamento, anche se non è dovuto e anche se i presidenti di altre Commissioni partecipano al voto. Non si notò che non votai sul documento della Commissione approvato all'unanimità meno 2, proprio perché era stato votato all'unanimità, ma quello che ho annunciato ora è l'atteggiamento che ho tenuto allora.
Vorrei innanzitutto Comincio facendo riferimento all'intervento dell'onorevole Giulietti, per arrivare poi alle determinazioni che dobbiamo assumere. Se volessi accentuare il clima di rottura che paventava l'onorevole Giulietti, potrei dire che il problema Fazio pone una questione che è relativa non al dibattito su Sofri e Calabresi ma ad altro e cioè, ad esempio, alle compatibilità o meno di chi conduce una trasmissione in un'azienda di servizio pubblico e - ed è notorio da pochi giorni - svolge militanza politica. Si può dire questo quando si viene a sapere che a Fabio Fazio - un ottimo conduttore: nessuno dubita della sua professionalità - è stata offerta una consulenza al partito dei Verdi. La Commissione potrebbe anche decidere - sono questioni che io pongo al centro del dibattito - e deliberare di entrare o meno nel merito e come farlo. E' giusto che chi fa giornalismo a quel livello, chi conduce una trasmissione o uno show debba vedersi affibbiata, per sua volontà, un'etichetta politica? Ricordate le polemiche, sollevate anche da me pubblicamente, sulle questioni riguardanti il presidente della RAI o la partecipazione della dottoressa Cavani al congresso dei popolari. Si tratta di questioni che, prima o poi, dobbiamo decidere di discutere qui e non solo sui giornali. Dalla discussione di eventuali emendamenti alla proposta di Paissan, vedremo quale orientamento vorrà esprimere la Commissione.
Ritengo un importante passo avanti l'affermazione di Giulietti relativa alla "popolarità o meno di una battaglia pro o contro la RAI, perché c'è consenso per il servizio pubblico nel paese, a prescindere dai suoi dirigenti". Questo è un dato fondamentale nel dibattito: dobbiamo giudicare, difendere o accusare la RAI a prescindere da chi ne siano i dirigenti. Come dicevo, questo è un passo avanti rispetto alla pretesa di chi aveva interpretato il nostro documento precedente come una legittimazione del consiglio di amministrazione o come una sua delegittimazione. Il documento non dice che il consiglio di amministrazione va bene, ma sottolinea che non vi è pluralismo, o meglio, secondo altri, che bisogna sforzarsi per trovare il pluralismo; la legittimazione dei dirigenti non c'entrava nulla. Si tratta, quindi, di un passo avanti, proprio perché non vi è la volontà di trasformare questa Commissione in un tribunale (tra l'altro non vi sono nemmeno i numeri). Se dovessimo agire in quest'ottica, dovremmo notare, ad esempio - nel corso dell'audizione dei direttori di rete lo rilevai come battuta e non in termini polemici - che la parola "pluralismo" nelle linee editoriali della RAI è citata una sola volta.
Accantoniamo questo tipo di problemi e andiamo al nocciolo delle questioni, prima di entrare nei contenuti della relazione dell'onorevole Paissan e degli interventi.
Non voglio eludere la questione del conflitto di interessi. Tutti dicono che esiste ed ognuno afferma che è provocata dall'altro. Temo che la discussione su questo punto possa rappresentare la grande elusione della questione relativa alla natura del sistema di elezione di chi deve governare il servizio pubblico. Si tratta di un nodo centrale, di una questione democratica che la legge n. 206 ci impone di risolvere con la legge di assetto del sistema. Spero e penso che non vi sia la volontà da parte di alcuno dei contendenti (Polo e Ulivo) di fare il grande baratto: a me la RAI, a te Mediaset; spero che invece vi sia la volontà di affrontare le questioni rapidamente.
Comunque, si porrà il problema del consiglio di amministrazione e quello del rispetto dei referendum, perché non è possibile eludere una questione sulla quale è stato chiesto il pronunciamento popolare e sulla quale il popolo si è espresso. Quindi, il problema della vita della televisione commerciale nel paese andrà posto.
Altro problema, che attiene alla denuncia di una deriva tecnocratica che rischia di esserci in questo paese, riguarderà un nodo centrale del servizio pubblico: chi dovrà controllare il rispetto della convenzione tra Stato e RAI. I cittadini pagano 2 mila 500 miliardi di canone e quando si discuteranno le questioni non del conflitto di interessi ma dell'antitrust televisivo e del riassetto del sistema radiotelevisivo, dovremo capire se sia sufficiente garanzia per i cittadini il fatto che il controllo della convenzione tra Stato e RAI passi dal Ministero delle poste all'authority. Ricorderete il dibattito dello scorso dicembre, quando parlammo del famoso emendamento alla legge sull'emittenza e si disse che la Commissione si voleva trasformare, per volontà del suo presidente, in un super consiglio di amministrazione, perché volevamo introdurre controlli sulla convenzione. I controlli già ci sono e appartengono al Governo. Allora, dovremmo porre il problema di chi dovrà verificare che certi obblighi siano rispettati. Se volete, la Commissione - rispondo anche a domande sull'ammissibilità - potrà indicare, in linea di principio, senza entrare nel particolare, questioni che esulano dalle sue competenze. Non ho nulla in contrario, se si troveranno le formule, anche perché forse ciò servirà a superare certe polemiche all'interno della Commissione. Chiedo all'onorevole Paissan di valutare se sia o meno possibile un percorso del genere che indichi una prospettiva un po' più ampia.
Ringrazio Giulietti per aver sollevato la questione dei precari RAI, collegata a quella delle risorse. Ieri mi è stata data una notizia che mi ha fatto rabbrividire e che dovrò verificare: una cifra di circa 300 miliardi sarebbe stata dilapidata dalla RAI (non so da quale gestione) tra tasse e ammortamenti (150 miliardi di utili e 150 di tasse); una somma questa che avrebbe potuto essere investita e non lo è stata; poi ci lamentiamo per i magazzini vuoti e per altro! E' folle un ragionamento del genere, perché abbiamo la possibilità di sistemare persone alle quali chiediamo di lavorare (i precari) e possiamo tentare di aprire nuove strade per quanto riguarda la produzione e la coproduzione.
Infine riprendo la questione più delicata toccata da Giulietti, che utilizzerò come premessa per quello che desidero dire: non è pensabile che, di fronte ad un competitore privato, la RAI debba porsi il compito di riequilibrare eventuali squilibri. Il dovere di attenersi a criteri di pluralismo appartiene ad ogni testata e noi abbiamo il compito di sindacare il pluralismo effettivo di ogni testata della RAI. Dobbiamo capire quali sono le forme, gli strumenti e i modi per poter intervenire (affronterò anche la questione del minutaggio, perché è bene fare un po' di chiarezza). Non so se siano necessarie sanzioni, ma è certo che qualcuno deve farci capire perché, se la legge n. 206 affida al consiglio di amministrazione compiti di controllo e garanzia, non si debba verificare che esso li eserciti. Questo è il nodo.
Faccio ora una provocazione più alla mia parte che ai competitori politici: potremmo approvare un emendamento interamente sostitutivo del documento Paissan, con il quale la Commissione di vigilanza RAI fa propria la carta dei diritti e delle garanzie degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo. Ciò ci servirebbe per dire che si tratta di un indirizzo della Commissione che deve essere rispettato. Però se intendiamo capire "chi verifica cosa", viene fuori un guazzabuglio e non ci si capisce più nulla, perché anche la carta dei diritti e delle garanzie viene continuamente stracciata. Dobbiamo essere seri, da questo punto di vista come organizzazioni politiche e come organismo istituzionale per poter far capire ai cittadini che ci poniamo il problema delle regole proprio perché quelle vigenti non sono rispettate e non sono rispettabili. Dobbiamo trovare gli strumenti.
Loro potrebbero decidere che tutti i giorni devono apparire in TV persone con i baffi; il giorno in cui queste non apparissero, dovremmo chiedere perché. Ho fatto un esempio greve, per intenderci.
Se accediamo a questa ipotesi, il problema non è quello delle sanzioni ma è quello della verifica dei comportamenti. Su questo dobbiamo dire qualcosa nel documento.
Dico subito che sulla questione genericamente intesa del pluralismo concordo, come molti commissari, in larga parte con le affermazioni dell'onorevole Paissan, soprattutto per i generi di pluralismo che egli ha individuato e che potrebbero far parte del nostro documento. E' ovvio che non possiamo approvare solo le cose che ci piacciono, ma dobbiamo trovare, su quello che potrebbe non piacerci, una forma di compromesso che serva a dar forza ad un documento della Commissione.
Ha ragione Paissan quando dice che il pluralismo è un dovere che la legge pone a carico dell'intero sistema radiotelevisivo ed ha ancora più ragione quando afferma che ciò che rappresenta un dovere per l'intero sistema radiotelevisivo, diventa un obbligo per il servizio pubblico. Questa è una stella polare alla luce della quale dobbiamo muoverci, non per sottovalutare l'altra questione, ma per rispondere ad una domanda dei cittadini che a noi chiedono cose che probabilmente non chiedono ai privati.
Un altro aspetto che ha toccato Paissan nella sua relazione riguarda il fatto che l'autonomia di chi fa radio e TV pubblica, lungi dall'essere un paravento per coprire discriminazioni o privilegi verso determinate parti, si deve esercitare rispettando scrupolosamente la ragion d'essere del servizio pubblico, un servizio dalla parte dei cittadini. Detta così è una frase forte che se rimane tale rischia di essere solo una dichiarazione, anche se bellissima. Come va sostanziata? Come bisogna dare consequenzialità a questo tipo di affermazione? E' una questione che la Commissione dovrà valutare in sede di emendamento.
Importante è anche il tema affrontato dall'onorevole Servello del ruolo della testata giornalistica regionale e del pluralismo delle città. Non è più pensabile, infatti, un'informazione, soprattutto nella prospettiva della rete federale, che incentri la sua attenzione solamente sui capoluoghi regionali. Vi sono mille culture in questo paese alle quali bisogna rispondere. In sostanza, potremmo essere chiamati a dare risposta al quesito posto dall'onorevole Romani che ha individuato un triplice problema nel corso dell'audizione dei direttori di rete: fare buona televisione; ottenere buoni risultati di ascolto; avere la responsabilità di fare televisione in un sistema pubblico, del quale il pluralismo è figlio legittimo. Come conciliare questa trilogia? Questo è uno dei problemi centrali che non può essere disgiunto da due generi di pluralismo individuati da Paissan e che sono stati al centro della polemica, il primo (pluralismo associativo) più del secondo. E' nota la polemica esplosa sul gruppo Abele, sui finanziamenti come regalo di Natale, questioni alle quali l'onorevole Paissan ha fatto riferimento nella sua relazione. Lo stesso direttore di RAIUNO ha chiesto regole, in questa sede. Sarebbe incomprensibile non tentare di liberare la RAI da questo problema regolamentando la questione.
Desidero sottolineare un passaggio della relazione relativo al pluralismo produttivo. Cito testualmente: "Per i programmi non prodotti direttamente dalla RAI" - si potrebbe aggiungere "o coprodotti dalla RAI e da altri" - "dovrà essere osservato un criterio di diversificazione delle produzioni in modo da non creare rapporti privilegiati con alcune società e da evitare discriminazioni tra imprese di pari adeguamento". Come si traduce nella realtà? La mia impressione personale è che si traduce con la massima pubblicità. Si tratta di un dibattito che forse per difetto di comunicazione non è stato compreso. Ho tentato di impostare nella discussione dell'emendamento sull'emittenza nel dicembre scorso il fatto che la Commissione di vigilanza deve ricevere l'elenco delle aziende che producono per la RAI o che producono in proprio e poi vendono alla RAI e che la RAI decide di finanziare.
La Commissione di vigilanza non deve entrare nel merito delle decisioni del consiglio di amministrazione: per carità! Loro decidono ed il paese sa cosa hanno deciso: questo è il circuito che bisogna introdurre in questo momento. Si dirà che non vi è alcuna legge che lo preveda, ma non vi è neppure alcuna legge che lo impedisca. La pubblicità degli atti dell'azienda di servizio pubblico è, secondo me, una discriminante fondamentale quando si parla di pluralismo. Su questo invito la Commissione ad una riflessione.
Per quanto riguarda in generale le regole, il collega Paissan ha parlato della direttiva del consiglio di amministrazione, giudicandola corretta nei principi e tralasciando di intervenire sul merito perché evidentemente non avrà voluto introdurre - questa è la mia interpretazione - ulteriori elementi di polemica. Io volutamente non ho affidato, ma la Commissione potrà ritenere di farlo in futuro, il compito di una relazione in merito alla delibera del consiglio di amministrazione per un eventuale giudizio perché, per quanto riguarda l'impostazione dei lavori della nostra Commissione, ho preferito passare per questa fase.
Avrete notato che non vi è stato alcun intervento che abbia preso spunto da quella direttiva; evidentemente, nella migliore delle ipotesi, sono solo principi o, diciamo, teoria della pratica; il problema invece è la pratica della teoria. Dobbiamo tentare di capire come si esercita la pratica della teoria all'interno della RAI. Ecco il problema delle regole: qui bisogna essere chiari e la questione ovviamente - vedo su questo l'attenzione del collega Falomi - si intreccia direttamente con la discussione sui poteri. Su questo, però, se la Commissione lo valuterà opportuno, dovremo dire qualcosa nel documento di indirizzo sul pluralismo.
Il collega Paissan, nella sua relazione, ha ricordato che la legge n. 206 del 1993 affida al consiglio di amministrazione anche funzioni di controllo e garanzia, come dicevo prima, circa il corretto adempimento delle finalità e degli obblighi del servizio pubblico, che sono quelli che fissiamo noi attraverso i dispositivi di legge: la legge n. 103 del 1975, la convenzione, eccetera. Si prevede inoltre - nota ancora il relatore - una specifica responsabilità degli amministratori in ordine al rispetto del principio del pluralismo. Ritorna così la domanda principale che avevo premesso al mio intervento: come rispondere alla domanda sulla verifica dei comportamenti degli amministratori? Questi comportamenti sono verificabili? Dobbiamo chiedere loro conto di come esercitano le funzioni di controllo e garanzia? La legge n. 206, nella nuova stesura, ci ha dato una possibilità di revoca. Io l'ho interpretata così, ma questo punto rientra - ripeto - nella discussione dei poteri; la modifica introdotta nell'articolo 7 di quella legge ci offre la possibilità di chiedere conto al consiglio di amministrazione, proprio attraverso la possibile revoca, di come esercita le funzioni delegate dalla stessa legge. Si tratta di una questione fondamentale per rispondere ad una delle domande poste, nella sostanza, dal collega Paissan: chi deve esercitare questa funzione?
Vediamo cosa succede in Europa, secondo quanto ha tratteggiato il relatore. Consideriamo i paesi che, anche se è improprio, possiamo considerare omologhi al nostro. In Gran Bretagna è la commissione per i servizi radiotelevisivi che redige un dettagliato codice per far rispettare il principio della "dovuta imparzialità"; in Francia è il consiglio superiore dell'audiovisivo a far rispettare, tramite le sue raccomandazioni, l'espressione pluralistica delle correnti di pensiero e di opinione nei programmi, in particolare nelle trasmissioni di informazione e politica; in Germania l'accordo sulla radiodiffusione prevede che le forze ed i gruppi politici, ideologici e sindacali significativi devono avere un adeguato diritto di parola nel complesso della programmazione e che le opinioni delle minoranze debbono essere tenute in considerazione e che - ancora - va prevista parità di condizioni nei dibattiti.
Invito i colleghi ad esaminare questo tema e a presentare eventualmente degli emendamenti.
Il collega Jacchia ha posto il problema della consulta di qualità. In proposito, ho ricevuto la lettera del dottor Jacobelli, con il quale desidero scusarmi perché pensavo fosse una comunicazione alla Commissione, mentre si trattava di uno spunto che voleva dare al dibattito. Non vorrei con questo averlo messo nei guai. Al di là di questo, mi chiedo se non sia utile prevedere nel documento di indirizzo - ecco la conoscenza, onorevole Giulietti - che siano resi pubblici i pareri della commissione qualità, che è una sorta di oggetto misterioso o araba fenice della RAI. Immagino che la consulta qualità lavori scrivendo e sottoscrivendo i documenti indirizzati ai direttori di rete, di testata, dei programmi e della fiction. Rendere pubblici i pareri della consulta qualità, in un momento in cui il mercato è calamitato dalla logica degli indici di ascolto con tutte le polemiche che abbiamo letto anche in questi giorni, ci consentirebbe di uscire dalla logica del minutaggio e di disporre di un indicatore di tipo diverso, di natura qualitativa, sul quale potremmo ovviamente confrontarci. Non dovremmo certo prendere come oro colato le questioni poste dalla consulta qualità.
Concordo - e su questo magari la Commissione potrà esprimersi - sulla questione posta da Lombardi e da Follini circa la parità di condizioni tra maggioranza o Governo ed opposizione. Sono questioni che sono state poste e che io segnalo all'attenzione dei colleghi.
Per chiudere su questa parte - ho pochissime altre considerazioni da svolgere; spero di essere sintetico ma avevo il dovere di dire queste cose - desidero accennare ai tempi del monitoraggio. Cito alcune affermazioni fatte in Commissione. Il relatore ha detto che in Francia il consiglio superiore per l'audiovisivo comunica ogni mese ai presidenti di ciascuna Camera ed ai responsabili dei diversi partiti politici rappresentati in Parlamento i rilevamenti dei tempi di intervento delle personalità politiche nei notiziari e nei bollettini informativi, nelle rubriche e negli altri programmi. Quella dei tempi non è dunque una anomalia o una invenzione italiana.
Potrei concordare se chiedessimo - questo potrebbe essere oggetto di un emendamento o un punto del documento Paissan se il relatore riterrà di proporlo - una verifica trimestrale. Sono d'accordo con chi afferma che non possiamo ragionare in tempi troppo ristretti. Ci mandino allora questi dati ogni tre mesi; se ciò avviene ogni mese, è chiaro che poi le notizie escono e si innesca la polemica. Sarei invece disponibile a chiedere alla RAI di inviarci questi dati a cadenza trimestrale; un tempo sufficientemente congruo per valutarli.
Le stesse rilevazioni quantitative dell'Osservatorio universitario di Pavia - ha detto ancora Paissan - rappresentano un utile riferimento e qualora da esse emergessero disequilibri costanti in un lasso di tempo significativo - che io propongo appunto di individuare in un trimestre - la direzione generale della RAI dovrà esigere dalla testata interessata la correzione dell'impostazione informativa. Ma qual è poi il rapporto tra noi e la direzione generale, una volta che abbiamo constatato l'eventuale squilibrio? Questo, onorevole Paissan, è un altro dei nodi su cui la Commissione è chiamata a pronunciarsi.
Allo stesso modo ritengo vadano accolte le questioni poste da Bosco e Bergonzi sulla rilevazione per fasce orarie. Anche quello è un problema. Si tratta di capire chi sia privilegiato e, accogliendo alcuni suggerimenti come quello del senatore De Corato, di proporre il monitoraggio anche dei telegiornali regionali e sul giornale radio, che oggi manca.
Un'altra questione è stata sollevata dal collega Falomi che ha sottolineato l'esigenza di chiedere dati su quali siano le notizie che vengono date e quale peso abbiano le notizie di politica rispetto a quelle di natura sindacale ed internazionale. La questione è affascinante. Il problema è capire come inserire questo punto nel documento di indirizzo perché questo, secondo me, rappresenterebbe un salto di qualità anche per la Commissione. Questo si collega alla proposta Giulietti sull'Osservatorio; per quello ovviamente ci vuole una legge. Non ho nulla in contrario, se i capigruppo saranno disponibili, anche se queste esula dalle nostre competenze, a chiedere alla Commissione un parere sulla proposta di legge. E', se vogliamo, una questione forte perché non prevista nell'ordinamento ma se cominciassimo ad esprimere pareri autonomi su alcune proposte, forse aiuteremmo il Parlamento. Ricorderete che inizialmente io proposi questo percorso ma mi fu detto di no: lo ripropongo oggi su una questione che è comunque centrale per i nostri lavori; quella dei tempi. Esprimere un parere su una proposta, con una motivazione e ponendo anche delle condizioni, potrebbe essere un lavoro utile per il Parlamento.
Quelle che ho appena richiamato sono questioni che ho tratto dal dibattito; ve ne sono però altre sulle quali desidero intervenire brevemente prima di concludere questo mio intervento, per la cui lunghezza mi scuso con i colleghi. Si tratta di questioni importanti.
Nel 1993 la Commissione sostenne negli indirizzi la necessità di garantire, da parte della RAI, quella pluralità di espressione che non si poteva più tradurre in termini quantitativi e proporzionalistici come invece avveniva in passato. Questo accadeva perché si passava dal sistema proporzionale a quello maggioritario. Il riferimento al pluralismo fu assai generico. Come nelle linee editoriali il pluralismo è citato una volta, anche in quel documento di indirizzo non vi fu un grande sforzo per quanto riguarda il pluralismo politico: dieci righe con le quali si pretendeva di dire tutto. Questo non vuole essere un atto di accusa a chi redige i piani editoriali; il problema è quello che è stato qui efficacemente definito - non so se da Servello o da altri - come la cultura del pluralismo all'interno della RAI, che dobbiamo tentare di ridestare con un documento che sia efficace. Questo anche al fine di restituire una identità al servizio pubblico. Pensate, colleghi, alla questione sulla quale abbiamo a volte molto discusso, dei celebri addii, delle dimissioni. Si è parlato di Tizio, Caio e Sempronio che se ne vanno, ma non abbiamo mai discusso - né ci sarebbe materia per farlo, lo dico solo incidentalmente - delle centinaia di lavoratori e dirigenti della RAI che se ne stanno andando per via degli incentivi ai prepensionamenti. Una volta era titolo di merito il lavorare per la RAI. Oggi la gara è ad andarsene. Vi è allora un problema di identità del servizio pubblico, che noi dobbiamo contribuire a ricreare. La questione può trovare forza anche nel nostro documento, dal momento che abbiamo già iniziato il percorso di affidare ai lavoratori della RAI, a prescindere dai loro dirigenti, la salvaguardia di certi valori. Fu proprio con un documento approvato all'unanimità che chiedemmo ai lavoratori della RAI di farsi garanti di certe proposte che andavamo facendo.
Vengo alle proposte operative, che pongo all'attenzione del relatore e dei colleghi. Pensate sia possibile individuare un criterio per evitare che professionisti non allineati vengano messi da parte e siano pagati senza lavorare perché non omogenei al potere dominante del momento? Va fatto un richiamo su tale questione? Ovvero, va fatto un richiamo per evitare che ogni cambio di consiglio di amministrazione sia accompagnato dallo spreco di miliardi dovuto al "nominificio", cioè al monte-nomine? Una regola potrebbe essere quella che - badate bene, la faccio io, con la posizione di larvata polemica che ho nei confronti del vertice attuale - l'incarico di ogni direttore sia triennale e che l'eventuale conferma o rimozione venga discussa alla scadenza del mandato. Questa potrebbe essere una maniera per dare tranquillità, a prescindere da chi siano in un dato momento i direttori che saremmo però liberi di incalzare se non fanno il loro dovere. Anche questo è un circuito che, secondo me, va aperto. Vanno fissate o no incompatibilità tra incarichi dirigenziali nella RAI ed incarichi politici? Vi sono stati dirigenti politici diventati direttori di rete o di testata; dobbiamo o no dire la nostra su questo punto? Vanno fissate determinate incompatibilità e occorre invitare a scegliere tra giornalismo e politica? Tutto ciò ovviamente al fine di scongiurare quelle che in più epoche e da più parti sono state definite come occupazioni in stile militare.
Vi è poi la questione dei criteri di nomina. Per la nomina di un direttore, ma questo vale anche per la nomina del consiglio di amministrazione, vogliamo prevedere il meccanismo, che la legge non prevede ma neppure vieta, delle audizioni da collocare tra la designazione e la nomina per costringere la RAI ad essere trasparente nelle nomine di fronte alla pubblica opinione e perché nomini i migliori ? Ci dobbiamo o no porre questo problema?
Per quanto riguarda il pluralismo associativo, la proposta che vorrei avanzare è che i fondi siano attribuiti alle associazioni sulla base di criteri relativi agli anni di esperienza, ai risultati ottenuti nel loro lavoro, alla presenza di organi di controllo interni alle associazioni stesse, alla trasparenza contabile, alla chiarezza dei bilanci e soprattutto alla disponibilità a rendicontare le somme ricevute grazie alla RAI ed al suo pubblico.
Una parola infine sulla questione delle sanzioni, come è stata definita. Le norme ci sono già, collega Giulietti; è giusto? Una norma, - accenno ad esempi tratti dalla cronaca di questi mesi - afferma che un personaggio politico e tanto meno un ministro non può apparire in televisione il giorno in cui si svolgono determinate votazioni; nel momento in cui l'errore viene accertato, qualcuno deve pagare? Chi deve comminare la sanzione? E questo a quale controllo è soggetto? E' il caso del ministro Turco, ma potevano anche essere le cassette di Berlusconi; si tratta di questioni che attengono alla nostra deontologia, come membri di questa Commissione.
Consideriamo infine il caso di una trasmissione di servizio pubblico che viene soppressa. Vari esponenti di tutti gli schieramenti politici hanno ad esempio protestato per la soppressione della trasmissione di Oliviero Beha Radio Zorro, per la quale vi è stata anche una protesta popolare gigantesca. Di converso, vi sono gruppi politici - cito rifondazione comunista e i popolari - che hanno protestato per un'altra trasmissione: La voce dei vinti. Non entro nel merito delle polemiche di cui ho letto sulla stampa; pongo una questione di metodo. La RAI può essere libera di sopprimere Radio Zorro e di mandare in onda La voce dei vinti. Il problema è analogo a quello della trasparenza nell'ambito del pluralismo produttivo: se vi è una domanda, la RAI deve rispondere, spiegando le sue scelte, e non è pensabile che si rifugi nel silenzio; non si spiega, invece, perché non va più in onda Radio Zorro e neanche, dopo le domande del collega Monticone o di Bergonzi, perché vada in onda un'altra trasmissione, che a me può piacere, ma non è questo l'obbligo, in quanto la trasmissione non deve piacere a me o qualcuno di noi. La RAI deve spiegare ai cittadini italiani, tramite la nostra Commissione, il perché di determinate scelte. Intendiamo oppure no porre tali questioni nel documento di indirizzo?
Tra l'altro, non è stata data risposta neanche sui criteri relativi all'impostazione delle rassegne stampa dei notiziari della RAI; si tratta di un'altra questione in ordine alla quale non si capisce chi decida.
L'ultima questione, che può apparire provocatoria a chi è pigro, la pongo con riferimento preciso al nome e cognome di un giornalista celebre, che si chiama Enzo Biagi. La carta delle garanzie della RAI prevede - cito a memoria - che sugli schermi del servizio pubblico non possano andare in onda opinioni personali. Tuttavia, nessuno potrà togliermi dalla testa che quella rubrica, per la sua stessa impostazione, si traduce nell'espressione di un'opinione personale. Comunque, non dico che si debba eliminare la trasmissione di Biagi, ma affermo che quella è una violazione della carta delle garanzie della RAI, che tuttavia si può anche superare; vorrei però sapere dalla RAI perché al giornalista famoso cui si chiede di entrare alla RAI per esprimere la sua opinione personale (non per riferire fatti che accadono) si debba offrire sul piattino anche l'orario di massimo ascolto. Se si vuole esprimere la propria opinione personale, si può farlo in altri orari, ma non è possibile pretendere di imporre il proprio pensiero nell'orario di massimo ascolto al numero massimo di persone che si può raggiungere in quel momento grazie al servizio pubblico. Si tratta certamente di un problema. E' vero che la carta prevede anche motivate deroghe a questo tipo di violazioni: tali deroghe vanno portate a conoscenza della Commissione di vigilanza e motivate?
Nello scusarmi per la lunghezza del mio intervento, rilevo che quelle cui ho fatto riferimento sono alcune delle questioni che intendevo porre e che spero siano accolte con spirito costruttivo, perché questo è il senso delle stesse osservazioni.
Do ora la parola al relatore per l'intervento conclusivo.
MAURO PAISSAN, Relatore. Non svolgerò una replica, fondamentalmente per due ragioni: innanzitutto, perché sono già intervenuto in sede di audizione dei direttori di rete e di testata, allorché ho espresso la mia opinione su quanto gli stessi direttori ci avevano esposto.
La seconda ragione è rappresentata dal fatto che la vera e propria replica che intendo svolgere rispetto al dibattito della Commissione si tradurrà nella presentazione di un testo di documento di indirizzo che mi riservo di illustrare brevemente nella seduta di martedì prossimo.
Non avverto l'esigenza di svolgere una vera e propria replica perché in nessun intervento dei colleghi commissari ho colto un dissenso di fondo sull'impostazione (non sulla singola affermazione) della mia relazione. Sono state invece avanzate proposte di integrazione e di specificazione che ora, una volta conclusa la discussione, prenderò in considerazione nella stesura del vero e proprio documento di indirizzo.
Colgo l'occasione per sollevare un piccolo problema politico che nasce, a mio avviso, da una dichiarazione del capogruppo alla Camera di forza Italia; questo mi interessa per capire l'atteggiamento politico del maggior gruppo di opposizione con riferimento al nostro dibattito. L'onorevole Pisanu ha definito "patetica" la discussione in corso presso questa Commissione sul tema del pluralismo; si tratta di un'espressione, sia pur legittima, che denota disprezzo politico e istituzionale nei confronti di ciò che stiamo facendo. Sono quindi interessato a sapere se il gruppo di forza Italia condivida tale giudizio, che si tradurrebbe in un disinteresse verso ciò che la Commissione sta facendo e verso l'esito della nostra discussione, oppure se quella dichiarazione sia una presa di posizione estemporanea e puramente personale dell'onorevole Pisanu, non fatta propria dal gruppo di forza Italia in Commissione.
Senza entrare nel merito delle questioni poste dal presidente, desidero svolgere un'ultima osservazione relativa ad un problema che interessa la mia forza politica: mi riferisco, in particolare, alla posizione di Fabio Fazio nei confronti dei verdi. Il presidente ha rilevato che il problema è quello della compatibilità tra determinate collocazioni all'interno della RAI e la presenza in organismi dirigenti di forze politiche. Nel caso di Fazio la questione non esiste in termini di fatto, in quanto i verdi hanno formato un organismo di consulenza del portavoce del movimento ricorrendo a persone che non solo non sono iscritte allo stesso movimento, ma talvolta dichiarano addirittura di votare per altre forze politiche. Si tratta di una forma di consulenza che riguarda l'interesse di queste persone - tutti esperti di singoli settori - ad avere una presenza ambientalista nel panorama politico italiano.
La questione non esiste di fatto con riferimento a Fazio, ma a mio avviso non si pone neanche in termini generali: infatti, il problema non è tanto della RAI o del telespettatore nel momento in cui vede un conduttore o un direttore schierato politicamente in modo esplicito, quanto piuttosto dell'interessato, ossia di quanto regga, in termini di immagine, un conduttore, un giornalista o un direttore nel momento in cui si dichiara o è schierato politicamente in maniera esplicita. Questo è il vero problema e tra l'altro occorre essere attenti: infatti, che cosa significa far parte di un organismo formale? Per esempio, è compatibile il passaggio dalla redazione di un quotidiano di partito alla RAI?
PRESIDENTE. Parliamo di organi dirigenziali.
MAURO PAISSAN, Relatore. E' più schierato chi pone la propria firma su un quotidiano di partito (ossia quanto di più schierato vi sia) oppure chi fa parte di un organismo formale? Per esempio, il fatto di essere il portavoce di un segretario politico è meno rilevante, da questo punto di vista, del fatto di essere uno dei 170 membri di un comitato centrale o di un consiglio nazionale? Vi è quindi una serie di tipologie di impegno politico che dovremmo valutare, ma il fatto non regge, perché il problema - insisto su tale aspetto - non risiede tanto nella necessità di fissare una regola di incompatibilità quanto piuttosto in una situazione di compatibilità rispetto a ciò che si fa o si intende fare nella RAI. Si tratta comunque di un problema interessante da esaminare in termini generali. Da parte mia, sono intervenuto soltanto per negare che nel caso specifico si possa parlare di presenza in un organo dirigente di partito; non è infatti così, ma il tema generale potrebbe essere affrontato dal punto di vista dell'impegno politico esplicito e del fatto di essere invece più o meno clandestinamente al servizio di una forza politica.
Infine, con riferimento al calendario dei nostri lavori, spero di riuscire a presentare la proposta di documento entro il pomeriggio di giovedì prossimo, come si era ipotizzato, anche se in queste ore, nella mia veste di capogruppo, devo far fronte a una serie di adempimenti molto impegnativi legati alla costituzione della Commissione bicamerale. Mi impegno comunque a predisporre lo stesso documento entro venerdì al massimo (esso potrà essere inviato ai commissari via fax); se però mi sarà possibile, lo presenterò entro giovedì.
PRESIDENTE. Presumo che la risposta del gruppo di forza Italia relativamente alla vicenda Pisanu sarà data nel corso della discussione degli emendamenti. Anch'io non ho apprezzato quell'affermazione del presidente Pisanu, ma è qualcosa che può succedere; diciamo pure che gli è accaduto ciò che è capitato a Fazio: tutti possono commettere un errore.
Non giudico affatto patetica questa discussione (anzi, tutt'altro); sono comunque questioni che attengono alla dialettica politica e probabilmente, nella polemica con il direttore del TG1, è successo anche questo.
Il relatore ci ha informato sulla sua disponibilità ad inviarci, al massimo entro venerdì prossimo, il testo del documento, che sarà immediatamente trasmesso via fax a tutti i commissari.
Informo i colleghi che il termine per la presentazione di eventuali emendamenti è fissato per lunedì 3 febbraio alle ore 17 (anche gli emendamenti potranno essere trasmessi via fax).
Il seguito della discussione è pertanto rinviato ad altra seduta.
La seduta termina alle 11,10.