CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
XIII LEGISLATURA
COMMISSIONE PARLAMENTARE
PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA
DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI
9.
SEDUTA DI GIOVEDI' 16 GENNAIO 1997
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO STORACE
INDICE
Audizione contestuale dei direttori di RAIUNO, RAIDUE, RAITRE e dei programmi radio sul pluralismo
La seduta comincia alle 20.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Essendo pervenuta la richiesta da parte del prescritto numero di componenti la Commissione, dispongo, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del regolamento della Commissione, che la pubblicità dei lavori della seduta sia assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Della seduta odierna sarà altresì redatto e pubblicato il resoconto stenografico.
Audizione contestuale dei direttori di RAIUNO, RAIDUE, RAITRE e dei programmi radio sul pluralismo.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione contestuale dei direttori di RAIUNO, RAIDUE, RAITRE e dei programmi radio sul pluralismo.
Ringrazio i direttori di RAIUNO, Giovanni Tantillo, di RAITRE, Giovanni Minoli, di RAIDUE, Carlo Freccero e dei programmi radio, Stefano Gigotti, per questa audizione che fa seguito a quella dei direttori dei telegiornali.
Informo i colleghi che ho inviato il resoconto stenografico della prima parte di quest'ultima audizione ai dirigenti della RAI, affinché si rendano conto dello stato del dibattito e delle questioni che sono state poste e siano anch'essi partecipi della relazione dell'onorevole Paissan sul tema del pluralismo all'interno della RAI (preciso che non si tratta di una questione di velocizzazione dei nostri lavori, che meritano tutto l'approfondimento necessario).
Iniziamo dunque la seduta con una breve introduzione da parte dei direttori, cui faranno seguito le domande dei commissari e le repliche ai quesiti proposti.
GIOVANNI TANTILLO, Direttore di RAIUNO. Intendo preliminarmente fare una brevissima presentazione di Giovanni Tantillo. Lavoro ai programmi della RAI dal 1961 ed ho soprattutto esperienza di programmi di ogni genere, non di testate giornalistiche.
Ritengo sia molto importante ed utile discutere in questo momento di uno dei principi basilari su cui sifondal'operato del produttore televisivo, inteso come un dovere per chi esercita la professione nel servizio pubblico, come un diritto del cittadino cui destiniamo il nostro prodotto e come un denominatore comune di tutta la comunicazione della quale ci occupiamo.
In tanti anni di lavoro, di programmi televisivi ho vissuto il problema del pluralismo spesso con sofferenza (mi riferisco ad alcuni momenti degli anni del monopolio). Ho vissuto (e vivo ancora) il problema con interesse, con passione, con curiosità per le possibilità che si sono aperte quando la comunicazione è diventata più vivace per ragioni di competitività interna, dalla fine degli anni settanta, e per ragioni di mercato quando si è aperto un confronto con l'esterno, con il privato.
Negli ultimi tempi, ma soprattutto in passato (adesso parlo di quello), occupandomi di trasmissioni giornalistiche nell'ambito delle reti - da Profondo nord a Milano, Italia, a Linea tre e, come direttore di rete, ad alcuni programmi di impronta giornalistica, ultimo dei quali Pinocchio -, ho sofferto a volte la difficoltà di trovare soluzioni idonee o di dover ricorrere a soluzioni spesso ridicole per rispondere a norme di regolamentazione rigide, meccaniche, che diventavano veramente cappe pesanti per il nostro lavoro. Discutere di ciò a mio avviso è utile per arrivare a fare chiarezza quanto all'impostazione, al metodo, in ordine ad alcuni fatti sui quali brevissimamente desidero attirare l'attenzione.
L'imparzialità, nella comunicazione che effettuiamo, non è garantita - di questo siamo tutti convinti - da un agglomerato di pareri che si giustappongono l'uno all'altro; non è un fatto meccanico che possa garantire l'imparzialità di una notizia, di una comunicazione. Il pluralismo nell'informazione, nella comunicazione, non tocca soltanto il programma giornalistico, ma tutta la gamma dei programmi e non può esplicarsi in riferimento soltanto ad uno di essi, bensì all'intera griglia, al palinsesto nel quale il programma stesso è inserito , valutando la globalità della proposta editoriale; solo così noi riusciamo a capire quanto un'offerta sia realmente rispettosa delle diverse opinioni esistenti nel paese intorno ad un evento. A quel punto, allora, comprendiamo che il lavoro che sottintende il metodo dell'operatore tanto meno è autoreferenziale tanto più è aperto e disposto a confrontarsi con la critica esterna.
Vorrei attirare l'attenzione su un punto. Il pluralismo di un prodotto e di una linea editoriale è tanto più garantito quanto più è tutelata la qualità del prodotto stesso e della linea editoriale medesima. Mi batto sempre per chiarire che, se un programma è ben fatto, può dare la granrazia di rispecchiare la diversità delle opinioni, dei valori che un evento sottintende. Un programma che consapevolmente inganni il pubblico non può essere di buona qualità; al contrario, un programma di buona qualità è caratterizzato dall'affidabilità della notizia, dell'informazione e del racconto.
Quanto ho letto nella breve introduzione dell'onorevole Paissan mi trova fondamentalmente d'accordo. Vengono toccati alcuni punti che vanno al di là della divisione delle parti in causa. RAIUNO è la rete cosiddetta ammiraglia, indubbiamente la più generalista delle reti RAI; essa offre un'informazione giornalistica differenziata, con i programmi quotidiani di Enzo Biagi, con quelli bisettimanali di Bruno Vespa, con quello settimanale di Gad Lerner, ponendo attenzione più che alla politica in senso stretto al momento del confronto tra politica e bisogno sociale; e fino a pochi giorni fa, ricordo, è andato in onda il programma di Sergio Zavoli dedicato alla giustizia.
Questa è la nostra caratterizzazione immediata, formale; tra l'altro, quest'anno per la prima volta, essendo cambiata in qualche modo l'impostazione editoriale tradizionale, l'informazione politica è in prima serata. In quella fascia abbiamo due tipi di informazione: politica e scientifico-naturalistica, della quale si parla nella relazione Paissan. Non credo sia giusto l'accenno, contenuto nella relazione, alla mancanza di sensibilità da parte della prima rete sui temi della scienza e dell'ambiente; noi abbiamo veramente la maggiore presenza per quanto concerne il settore: mi riferisco ai programmi di Piero Angela - da Superquark a Il mondo di quark, a Passaggio a nord ovest, sull'archeologia e la scienza archeologica, che avrà inizio questa sera -, a Check up, un programma di scienza e salute, il cui ciclo avrà inizio sabato; abbiamo, inoltre, programmi come Linea verde, Linea blu, dedicati all'ambiente e al territorio costiero, ed una nuova trasmissione concernente il paesaggio come ambiente storico e artistico, che avrà inizio tra un mese.
Il pluralismo sociale è il tema più delicato che ci riguardi; la prima rete ha delle fasce deboli ed offre una programmazione di due ore dedicata ai bambini nonché un'attenzione particolare verso un pubblico di anziani soprattutto nella mattinata, a partire dalle ore 9.
Un altro aspetto importante della comunicazione della prima rete è dato dalla presenza di una notevole fascia di trasmissioni a carattere religioso, che vanno in onda fra il sabato e la domenica, le quali non solo tengono conto di alcune scadenze settimanali importanti ed informano sulle attività della Chiesa cattolica romana ma, con un forte intento ecumenico, colgono anche quello che viene dalle altre chiese cristiane.
Vorrei dire, a questo punto, che mi sento un po' impacciato nel dover raccontare la programmazione della prima rete; mi sembra importante però ritornare su un concetto. Non credo che norme rigide possano determinare in un domani una garanzia di pluralismo nel messaggio televisivo. Quest'ultimo è affidato anzitutto alla responsabilità di chi lo diffonde ed alla qualità del prodotto che viene realizzato. Questa è la prima garanzia che bisogna chiedere. Certo, i principi di comportamento devono essere scritti, come avviene altrove, per esempio in Inghilterra e in Francia. Sono già scritti in parte in Italia e, quando sono stati disattesi, anche per ragioni di banale rincorsa all'audience, la stampa ha sufficientemente messo in rilievo lo scandalo che ne derivava. Il criterio fortemente meccanico di determinare la qualità pluralistica di un prodotto in base a criteri esterni, però, a mio avviso, non è interessante e perseguibile.
PRESIDENTE. Ascoltiamo il dottor Freccero, direttore di RAIDUE.
CARLO FRECCERO, Direttore di RAIDUE. Signor presidente, sono molto onorato di trovarmi in questa sede: sono alla RAI da pochi mesi, ma provengo da un'esperienza televisiva in Francia, dove opera una commissione sull'audiovisivo molto severa, per cui la vostra attività non è per me una novità. Ritengo che il pluralismo sia un a priori per fare televisione, per cui sono molto d'accordo con la relazione dell'onorevole Paissan: sono quindi pronto a rispondere alle vostre domande.
PRESIDENTE. Più sintetico di così non avrebbe potuto essere.
Ascoltiamo il direttore di RAITRE.
GIOVANNI MINOLI, Direttore di RAITRE. Voglio iniziare con una piccola provocazione: siamo qui, tre direttori di rete, che rappresentano le tre ruote di scorta del palinsesto televisivo. Se idealmente avessimo acceso dietro di noi un pannello con la descrizione dei palinsesti di RAIUNO, RAIDUE e RAITRE, con i nomi dei responsabili dei programmi (esclusi naturalmente i telegiornali, i cui direttori avete già ascoltato), spegnendo nell'ordine i nomi di Tantillo, Freccero e Minoli, resterebbe acceso quasi tutto e sarebbe lampeggiante il nome di Silva, il grande protagonista del palinsesto trasversale che riguarda RAIUNO, RAIDUE e RAITRE. Il pluralismo culturale, sociale, politico in senso lato, contenuto nell'offerta di palinsesto della televisione è infatti dato, nella sua stragrande maggioranza, almeno per due delle tre reti, dal contributo di acquisto e di produzione (quindi di budget, di quantità di risorse, di possibilità di scelta) che deriva dalla direzione della fiction.
Lo dico come premessa perché è una verità numerica semplice che forse è interessante conoscere in questa sede: fa parte del discorso sul pluralismo culturale e sociale, rispetto al quale naturalmente siamo impegnati anche noi responsabili delle reti, cioè degli approfondimenti (quindi non della gestione complessa e articolata della notizia quotidiana e della necessità di offrire rispetto all'attualità il massimo della pluralità delle opinioni). Credo, però, che questa sia una realtà da conoscere.
Per quanto mi riguarda, sono direttore di RAITRE da sei mesi; prima dirigevo FORMAT, in precedenza dirigevo RAIDUE. Se dovessi valutare il giudizio di tre diversi consigli di amministrazione, di orientamenti e progettualità diversi, rispetto al lavoro professionale svolto, dal punto di vista della gestione ed anche dell'informazione politica, in particolare durante quattro competizioni elettorali molto severe, potrei essere soddisfatto perché, se vi è stata una riconferma, significa che nell'insieme, pur con motivazioni e maggioranze differenti, vi è stato un giudizio positivo. Per quanto concerne il futuro, cioè il progetto di terza rete che devo dirigere, dobbiamo naturalmente tenere conto dell'incertezza (è inutile ricordarlo qui) di quadro legislativo nella quale ci troviamo a muoverci e ad orientare il nostro discorso di strategia e di palinsesti quotidiani.
Va peraltro tenuto presente che la terza rete è diretta da me per modo di dire, perché è una rete cogestita con molti editori: ha come editore principale me stesso ma come editori significativi l'educational, cioè Videosapere e la TGS, nonché come editore marginale e aggiunto ma significativo l'accordo stipulato con le regioni, quindi gli spazi e le finestre che ne rappresentano il risultato. In questo quadro con molti editori, la rete che dirigo ha come strategia quella di essere fortemente ancorata (concordo pienamente a questo riguardo con la relazione di Paissan) alle esigenze di pluralismo sociale, culturale, etnico e religioso. Anch'io, come Tantillo, penso quindi che, forse, le osservazioni di Paissan sullo scarso impegno della RAI nelle tematiche della scienza, dell'ambiente, dell'innovazione tecnologica sono un po' affrettate, perché una delle aree tematiche su cui stiamo costruendo la dimensione di servizio della terza rete è proprio questa: sono già in onda trasmissioni come quelle di Celli o Geo e geo, quelle di servizio vero e proprio come Elisir, o Chi l'ha visto?, o addirittura di servizio al consumatore, come quella di Lubrano.
Questo scenario vede intersecarsi le trasmissioni di servizio in prima serata (faccio notare che facciamo sei trasmissioni di produzione in prima serata su sette giorni) e quelle di informazione: abbiamo appositamente ceduto lo spazio del giovedì a Lucia Annunziata, perché ci sembrava giusto che il telegiornale più penalizzato dall'orario di messa in onda avesse la possibilità - unico fra i tre telegiornali - di una serata di informazione, che sarà integrata prossimamente con la partenza in prima serata anche di Mixer. In questo quadro, che vede uno sforzo molto significativo per la produzione, si inserisce anche una vocazione forte della terza rete: quella, in una logica local-global, di sviluppare l'informazione economica; a partire dalla metà di febbraio, avremo un importante programma di economia, Maastricht Italia, condotto da Alan Friedmann, che si proporrà l'obiettivo di mettere in relazione le problematiche economiche e sociali del nostro paese con l'orizzonte europeo, nonché con i rischi e le opportunità della globalizzazione dell'economia.
Abbiamo anche una linea forte di sviluppo della coproduzione internazionale di prodotti no fiction, che ci porteranno ad essere presenti anche sui teleschermi americani: abbiamo stipulato accordi con la Turner e la NBC per programmi in coproduzione (è un'innovazione abbastanza interessante e significativa, che l'obiettivo di share definito dal consiglio di amministrazione ci consente). Per quanto attiene al nostro modo di interpretare la vocazione federalista della terza rete, direi che è duplice: da una parte, in ogni programma vi è una filosofia di fondo, sostanzialmente quella di girare la telecamera dalla faccia dell'attore a quella della realtà, raccontando oggettivamente tutte le realtà del nostro paese (per radicarsi); dall'altra parte, in ogni trasmissione, i collegamenti hanno sempre un forte orientamento specifico sulle realtà locali, per cui complessivamente, in accordo con la TGR,tentiamo di dare una prima risposta a questa indicazione, che dovrà poi essere frutto di una scelta più precisa e politica in senso lato, nell'ambito del riordino del sistema. Questo è, grosso modo, il quadro: sono naturalmente disponibile a rispondere alle vostre domande.
PRESIDENTE. A quest'ultimo riguardo, dottor Minoli, per avere un elemento in più ai fini del dibattito, le domando: per quanto riguarda la rete federale, la teme o la auspica? Inoltre, forse anticipando in parte gli interventi dei colleghi, vi è già qualcosa allo studio?
GIOVANNI MINOLI, Direttore di RAITRE. Né la temo, né la auspico, nel senso che aspetto di interpretare, come credo sia mio dovere, la scelta politica strategica che compirà il Parlamento, come gli compete, nel quadro di una visione globale del riordino del sistema radiotelevisivo ed anche della valutazione delle esperienze compiute in Italia con la riforma del 1975 (che ci ha insegnato qualcosa sull'interpretazione riduttiva ed in qualche modo pedante della televisione locale). Naturalmente, poi, il discorso è molto complesso: se, per esempio, si analizza il palinsesto della rete regionale francese, cioè di F3 (Freccero ne può essere testimone), si scopre sostanzialmente che, traducendolo nella realtà italiana, esso somma i palinsesti di RAIDUE e RAITRE. Quindi, semplificando per dare delle indicazioni di massima, che naturalmente possono essere approfondite e specificate, l'interpretazione che in attesa di una definizione precisa stiamo dando è quella che indicavo: i nostri sono tutti programmi prodotti, quindi per definizione si occupano della realtà del paese ed aprono continuamente su di esso finestre specifiche. Inoltre (questa è un'interpretazione operativa, che ne ho dato), la linea di specificazione dei centri di produzione sarebbe auspicabile ed intelligente, per dare un significato non demagogico al modo industriale di sviluppare l'idea dell'interpretazione della regionalizzazione della RAI.
Per quanto mi riguarda, con la produzione del primo seriale industriale di fiction a basso costo, in elettronica a Napoli, ho sviluppato l'embrione di questo discorso: quello di Napoli era un centro di produzione destinato alla chiusura dal progetto industriale dei professori, mentre oggi consiglio a tutti di visitarlo, perché si è trasformato in una piccola Hollywood: si vede davvero qualcosa che fa bene al cuore di chi ha amore per il prodotto; fra l'altro, a breve, nel momento in cui il cinema e lo sport abbandoneranno le televisioni generaliste via etere, la loro sostituzione con i prodotti di fiction seriale sarà una necessità. Se saremo preparati, potremo in qualche modo competere; altrimenti saremo definitivamente fuori.
PRESIDENTE. Do senz'altro la parola al direttore Gigotti.
STEFANO GIGOTTI, Direttore dei programmi radio. Sono stato nominato direttore dei programmi radio nel mese di agosto scorso ed è questa la prima volta che partecipo ai lavori della Commissione di vigilanza. Ho l'impressione che il tema oggetto del dibattito attenga più ad aspetti deontologici che a descrizioni di palinsesti. Di questo sono contento perché, se così non fosse, potrei intrattenervi per almeno due-tre ore.
La comunicazione radiotelevisiva registra valori, umori, modelli di vita e di cultura e, contemporaneamente, nel veicolarli, li seleziona e li fissa. Entra perciò prepotentemente nel tessuto della vita collettiva e tende a darle forma con i propri messaggi.
La comunicazione radiotelevisiva si impone anche perché è più duttile ed insidiosa di altre forme comunicative, che riesce ad emarginare o inglobare, mentabolizzandole. La comunità e le istituzioni che la rappresentano - prima tra tutte, il Parlamento - hanno piena ragione a porsi il problema della deontologia rispetto ad uno strumento che ha un peso tanto determinante nella vita sociale, soprattutto con riferimento al servizio pubblico radiotelevisivo. Su quest'ultimo - non dobbiamo dimenticarlo - grava un compito gravoso: da una parte, operare sul mercato e, dall'altra, farlo in posizione non marginale. Dall'interno dell'azienda, sappiamo che fissare alla RAI l'obiettivo dell'audience è condizione basilare per la stessa sopravvivenza del servizio pubblico. Essere sul mercato è condizione necessaria, seppure non sufficiente. Sappiamo bene, infatti, che il nostro intervento sul mercato della comunicazione deve essere di tale efficacia da alimentare un circolo vizioso tra ascolti e qualità della programmazione radiotelevisiva. Per qualità intendiamo un messaggio complessivo, che cementi l'unità nazionale, ispiri sentimenti di pacifica convivenza tra gli individui e tra i popoli, inviti alla tolleranza ed al reciproco ascolto.
Si discute molto su come possano essere veicolati questi pochi, ma essenziali valori positivi. Per quanto mi riguarda, posso dire che il massimo di obiettività possibile corrisponde al massimo di consapevolezza di quanto sia relativo ciò che raccontiamo. Si tratta di sostituire alla cultura di un'asettica, presunta obiettività, una cultura del punto di vista. Se il punto di vista di partenza è dichiarato e motivato, credo sia possibile sviluppare una civiltà della tolleranza, del pluralismo, del dialogo costruttivo. Diversamente, contribuiamo ad erigere una Babele, un ambito perverso dove si scontrano presunte e parziali certezze, ed i cui artefici, quanto più si accaniscono nel sostenerle e nel difenderle, tanto meno posseggono il senso del relativo e del limite.
Come fare per calare in concreto queste idee nella programmazione non giornalistica ma di intrattenimento, di varietà e di cultura? Il problema è di grandissima portata. Gli operatori del settore, ovviamente, sono preoccupati e anche comprensibilmente gelosi della loro libertà. Libertà e comunicazione vivono l'una dell'altra e tutte le moderne democrazie hanno dovuto sancire questo binomio. Sappiamo - e possiamo constatarlo - come non vi sia democrazia laddove la comunicazione non sia libera. Il problema esiste e fa bene la Commissione ad affrontarlo. Tale problema è stato posto da tempo all'ordine del giorno da fonti autorevolissime, in Italia e all'estero, così come ha ricordato il vicepresidente Paissan nella sua relazione. Del resto io, che prima di essere direttore dei programmi, sono giornalista (sono in RAI da 25 anni ed ho svolto tutta la mia carriera nel settore dell'informazione), vorrei richiamare la vostra attenzione sulla capacità della categoria di darsi strumenti deontologici.
A tale riguardo, posso ricordare la carta dei doveri e la carta di Treviso per il rispetto dei minori, che rappresentano vere e proprie forme di autoregolamentazione deontologica. La mia doppia esperienza mi aiuta a capire che mentre i problemi della comunicazione sono analoghi per giornalisti e programmisti, i giornalisti sono sorretti da codici deontologici che gli altri operatori non posseggono, venendosi a trovare in una condizione non certo simpatica, quella di doverli eventualmente subire dall'esterno.
Per colmare il vuoto che riguarda in particolare il settore della programmazione, l'azienda ha da anni emanato direttive sul pluralismo, tra le quali la più recente è stata adottata dal consiglio di amministrazione il 9 gennaio scorso. Ritengo che tali direttive rivolte a tutti gli operatori radiotelevisivi rappresentino uno strumento indubbiamente rilevante in materia deontologica, anche se il mio auspicio è che la categoria dei programmisti trovi in sé stessa la capacità di darsi regole forti ed universalmente condivise.
Quanto alla radio, vorrei sottolineare come il pluralismo si consegua anche garantendo la possibilità di essere ascoltati. Credo si tratti di un tema che interessi molto la Commissione. Su la Repubblica di oggi è stata pubblicata la lettera di un lettore, Mario Patuzzo di Verona, sotto il titolo: "La radio non si sente". Osserva lo scrivente: "Radio 3 è un'ottima radio, come pure le altre della RADIORAI, ma sfido comunque a poterle ascoltarle per lunghi tratti e senza disturbi. Lavoro con l'auto - come molti italiani - e ricordo con nostalgia, prima dell'avvento delle private, i miei spostamenti in macchina con la buona compagnia della radio. Ora, il solo accenderla mi rende nervoso". Ripeto: credo che il conseguimento degli obiettivi di pluralismo sia legato anche alla capacità tecnologica di farsi ascoltare. Non a caso l'azienda, si sta organizzando sul digitale: entro il 1999, il 60 per cento dell'ascolto sarà garantito dal sistema digitale e ciò rappresenterà anche una grande occasione di sviluppo del settore della produzione di apparecchi radio.
In sostanza, si tratta di mettere il servizio pubblico in condizioni di essere ascoltato. Ovviamente, mi riferisco alla radio, della quale si parla sempre troppo poco.
PRESIDENTE. Ciò dipende evidentemente dal fatto che per gli ascolti radio non ci sono i dati dell'Osservatorio di Pavia.
STEFANO GIGOTTI, Direttore dei programmi radio. Che si raccolgano allora anche questi dati!
L'attuale condizione di affollamento dell'etere, come risulta da uno studio interno alla RAI, a fronte delle 3 mila 500 emittenti che ci pongono una situazione che credo unica al mondo, con l'enorme crescita non regolamentata dell'emittenza privata, ha di fatto diminuito - solo per questo - del 10 per cento la copertura del segnale (non mi riferisco alla possibilità di ascolto) di RADIORAI per quanto riguarda la ricezione domestica, ed in una percentuale maggiore per quanto riguarda la ricezione in automobile.
Sottopongo questo problema alla vostra attenzione affinché possiate svolgere un'attenta opera di controllo sull'attività del Governo ai fini di soddisfare l'esigenza di intervenire nel settore dell'etere.
Nonostante questa situazione, gli ascoltatori di RADIORAI sono passati, da giugno a dicembre dello scorso anno, su RADIOUNO da 7 milioni 886 mila a 8 milioni 821 mila; su RADIODUE, da 5 milioni 766 mila a 6 milioni 414 mila; su RADIOTRE, da 1 milione 782 mila ad 1 milione 873 mila. Si tratta di dati forniti da AUDIRADIO, che saranno ufficializzati il 21 gennaio.
Ritornando al pluralismo, credo all'efficacia della capacità di autoregolamentazione degli operatori della comunicazione nonché alla necessità di dare al cittadino la possibilità di ascoltare.
Un ultimo riferimento vorrei dedicarlo alla parte della relazione del vicepresidente Paissan, che condivido pienamente sotto il profilo dell'analisi, riferita al pluralismo sociale. L'onorevole Paissan osserva a tale proposito: "Il servizio pubblico deve rappresentare la composizione sociale del nostro paese in tutta la sua articolazione, dando voce anche a chi spesso voce non ha". Nel leggere questo passaggio, ho avuto l'impressione che con Paissan ci fossimo parlati. Ho infatti istituito una trasmissione, che ha cominciato ad essere messa in onda da novembre, chiamata Ombudsman, una sorta di difensore civico, del quale peraltro si sente la mancanza nei settori istituzionali e burocratici del nostro paese, il cui sottotitolo é: "La trasmissione che dà voce anche a chi voce non ha".
PRESIDENTE. Informo i colleghi che sono disponibili i dati dell'Osservatorio di Pavia relativi agli ascolti della prima settimana del mese di gennaio ed estesi all'interno sistema della comunicazione.
Informo inoltre che la Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera ha previsto nuovi impegni parlamentari per la prossima settimana, che rendono necessario rivedere il calendario dei lavori della Commissione già predisposto. In particolare, mercoledì 22 gennaio è prevista la votazione per l'istituzione della Commissione bicamerale. Di conseguenza, alla luce di tutto quanto è accaduto negli ultimi giorni, non volendo essere accusato di boicottaggio, dispongo la sconvocazione della seduta della Commissione già prevista per quella data. La seduta prevista per martedì 21 gennaio, alle 19, può essere svolta, con l'intesa però - informo di una specifica richiesta dell'onorevole Paissan - di non procedere in quella sede alla votazione su eventuali atti di indirizzo.
Mi riservo, infine, di convocare una riunione dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi per mercoledì 22, al fine di deliberare in ordine all'ulteriore prosieguo dei nostri lavori.
Proseguiamo nella discussione. Do la parola al senatore Jacchia.
ENRICO JACCHIA. Ringrazio i nostri ospiti e sottolineo la concisione delle loro dichiarazioni, che ha raggiunto la punta più elevata con l'intervento del direttore Freccero. Eviterò di costruire ponti tra le nuvole o di imbarcarmi in considerazioni sul sesso degli angeli e formulerò senza indugi alcune domande. Anzitutto, vorrei sottolineare che in questa sede è stata rilevata l'importanza dell'informazione politica che, in particolare per quanto riguarda la RETE UNO, offrirete in prima serata; penso, in particolare, ai programmi di Vespa, Lerner e Biagi.
GIOVANNI TANTILLO, Direttore di RAIUNO. Il programma di Vespa è collocato in seconda serata.
ENRICO JACCHIA. Penso, inoltre, ai programmi di Lucia Annunziata ed a Mixer. Si tratta di un bel pacchetto. Quindi, un bel pacchetto di informazione politica che viene data in questo tipo di trasmissioni.
Noi ci occuperemo delle tribune tematiche; ne parlo perché sono responsabile della relazione su questo argomento e nei prossimi giorni incontrerò Angela Buttiglione. A questo proposito vi pongo un problema. Le tribune tematiche devono garantire un assoluto pluralismo; saranno quindi impacchettate in ore particolari, con un'assoluta minutazione di quel che ognuno dice. Dovrebbero avere un ascolto, ma hanno in concorrenza niente meno che questi vostri programmi, nei quali il pluralismo risulta assicurato da tutto quello che avete detto e cioè dall'abilità dei conduttori. Devo dire, avendo passato circa vent'anni all'estero, che questi nostro conduttori sono tra i migliori che esistono in Europa. Mi domando: se fate questo, cosa potremmo dare nelle tribune tematiche? Chi ci ascolterà nel momento in cui, proprio per assicurare un preciso pluralismo, ognuno avrà i minuti contati, anche quelli che appena vanno in video inducono il telespettatore a cambiare canale?
Una brevissima annotazione sull'informazione scientifica. Devo dire che su questo non sono d'accordo - mentre condivido tutto il resto della relazione - con quanto ha scritto l'amico e collega Paissan: credo che l'informazione sulla scienza nel nostro paese sia tra le prime nel mondo. Un programma come quello di Piero Angela - non ne menziono altri per non far nomi - è veramente di una qualità straordinaria; non credo che si possa spronarvi ad andare più in là.
Il direttore di RAITRE ci ha parlato di programmi di non fiction che stareste già promuovendo con grandi gruppi di televisioni straniere (BBC o NBC). Sarebbe molto importante se ci poteste dire qualcosa di più.
Sulla rete federata è chiaro che lei non ci può dire se sia a favore o contro, perché è un funzionario.
PRESIDENTE. E' un dirigente della RAI.
ENRICO JACCHIA. In francese fonctionnaire è anche il dirigente. Sulla rete federata state lavorando. Ottima questa idea dei centri di produzione, perché se ne fate uno nel nord est venite incontro anche alle domande politiche che sapete (poi un altro a Milano ed un altro a Torino: un'ottima idea). Ma se le mie informazioni sono giuste, avete un gruppo di lavoro che sta lavorando sulla rete federata. Mi rendo conto che sono informazioni ancora confidenziali, perché il gruppo non ha concluso il suo lavoro, però potreste darci qualche spunto, potreste dirci qualcosa di più, perché è un problema che ci interessa molto e che credo Giulietti solleverà nel suo intervento.
Il dottor Freccero ha l'esperienza di come in Francia viene assicurato il pluralismo, nella misura in cui lo si può assicurare. Se non mi sbaglio, è compito del Conseil superieur. Se ci potesse dire un po' di più, dato che è stato di una brevità accecante, su come funziona in Francia non solo il Conseil superieur ma il sistema di controllo del pluralismo, facendo un paragone con questa Commissione, gliene sarei grato.
GIUSEPPE GIULIETTI. Prima di porre alcune domande, vorrei svolgere alcune considerazioni, perché non sono intervenuto nel dibattito in questi giorni.
Sono un po' preoccupato dal rischio di una rappresentazione esterna: chi vuole i codici e chi non li vuole. Ho risentito anche negli interventi dei direttori di rete questa grande preoccupazione. Ricordo che non abbiamo di fronte a noi soltanto il documento del consiglio di amministrazione della RAI e la relazione di Paissan. Il documento del consiglio di amministrazione riprende precedenti documenti dei consigli di amministrazione Demattè e Moratti che a turno qui ciascuno salutò con favore; quindi vorrei che ci fosse un minimo di linearità nelle nostre riflessioni. Quel documento si colloca esattamente sulla linea di quelli precedenti, perché non c'è nulla da inventare in questa materia e perché le invenzioni condotte con mano pesante fanno disastri nell'intero settore della creatività e delle telecomunicazioni. Allora, chi salutò con favore questo o quell'altro documento non può che prendere atto che l'attuale documento del consiglio parte da quel testo (e quindi anch'io ne do un giudizio sostanzialmente positivo), ma fa anche riferimento ad un corpo sostanzioso di norme, non va letto da solo. Fa riferimento ai contratti di lavoro, che valgono per le reti e per le testate. Fa riferimento ai contratti dei direttori di rete e di testata, dove c'è un elemento di forte autonomia, in assenza del quale si introduce un elemento molto rischioso di cogestione delle reti e delle testate. Fa riferimento alle carte esistenti in RAI. Fa riferimento agli ordini professionali. Teniamo presente che parliamo di qualcosa su cui già esiste un insieme di norme. Forse, presidente, la domanda dovrebbe essere se in questo paese c'è rispondenza tra le norme ed i comportamenti. Ma a questo non si risponde con circolari aggiuntive, che diventerebbero grida manzoniane, ma con la verifica dei comportamenti e della cultura che discendono dalle norme già esistenti. Questo è il ragionamento del gruppo della sinistra democratica, che ribadisco, non quello mio personale. Lo riconfermo perché altrimenti corriamo il rischio, invece di esaltare l'aspetto dell'autonomia, di ridurla.
Aggiungo un altro punto, già toccato dal senatore Jacchia. Quando si parla di rete federata o di altre norme, dobbiamo sapere che spetta al Parlamento la produzione legislativa. Mancando un'autorità unica di controllo e profilandosi o un referendum o una riforma dell'ordine, sarebbe gravissimo se intervenissimo senza aver presente l'intero quadro su quali saranno le funzioni delle future autorità di controllo e su quali saranno le norme che passeranno all'autorità di controllo. In quel momento si porrà il problema di controlli diversi, ma non credo che questo problema si ponga oggi o comunque per noi non si pone oggi. Lo dice uno che ha votato poco tempo fa un documento di critica senza pentimenti, perché ritenevo giusto che ci fosse quel passaggio, così come ritengo che ci siano anche altri passaggi nei quali ciascuno deve esprimere le proprie posizioni con grande chiarezza.
PRESIDENTE. E' una preclusione verso l'adozione di indirizzi?
GIUSEPPE GIULIETTI. No, la mia è una preclusione verso l'adozione di indirizzi che contengano delle sanzioni.
PRESIDENTE. Sugli indirizzi abbiamo deciso in ufficio di presidenza.
GIUSEPPE GIULIETTI. Ho detto che quello del consiglio di amministrazione è un buon documento che fa riferimento a norme esistenti, poi si discutono gli indirizzi. Se gli indirizzi fossero altra cosa...
PRESIDENTE. Non capivo se fosse preclusivo rispetto al dibattito.
GIUSEPPE GIULIETTI. Non è una posizione che si impone agli altri, ma questa volta la nostra non è una posizione duttile su questa materia, proprio per lo stesso rigore con cui abbiamo assunto invece altre volte posizioni di grande severità. Questo non vuol dire non far nulla, ma vuol dire ragionare sugli indirizzi. Vuol dire, ad esempio, che anch'io come altri sono un convinto sostenitore della necessità di un osservatorio che non sia più solo sul pubblico, con una sola metodologia, che non guardi solamente ai minutaggi dei partiti. Oggi parliamo con i direttori di rete e credo che la cosa più interessante non sia il minutaggio dei partiti, ma che tipo di culture vengono fuori dalle reti, che tipo di senso comune, che tipo di innovazione, che tipo di pluralismo politico, sociale e religioso. Parliamo sempre dei TG, ma i direttori di rete hanno grosse responsabilità; penso alla partita della fiction, dell'innovazione, a cosa passa all'interno delle reti. Credo che quello sia il problema vero. Allora, quando penso all'osservatorio, non penso ad un osservatorio che ci dia un minutaggio da cui scaturiscano sanzioni, ma che ci faccia capire come l'insieme del sistema radiotelevisivo informa o non informa, chi parla e chi non parla, la qualità della comunicazione, che è cosa molto diversa. Queste affermazioni non sono in contraddizione con la relazione, perché condivido moltissime delle riflessioni svolte da Paissan nel suo documento; penso al pluralismo sociale e religioso e ad altre forme di pluralismo che si pongono oggi in questo paese tra le diverse culture regionali (quindi una materia molto ampia).
Vengo alle domande, facendo una premessa, perché voglio capire se c'è una linea di tendenza nelle reti o se è stata una mia visione ridotta. Abbiamo polemizzato molto - tutti, non solo alcuni - in questo periodo sulla base dei dati dell'osservatorio di Pavia e l'attenzione si è schiacciata nettamente su GR e TG, dimenticando di dire che nelle reti si è cominciata a dare una prima risposta ad una delle critiche più forti espresse negli ultimi anni, cioè il fatto che le reti si allontanavano da un rapporto con le testate. Sul fatto che vi sia un recupero dell'informazione alle reti (che ritengo un fatto positivo) ed un'apertura ad una diversa qualità della programmazione anche nelle prime serate, credo che molto laicamente - così come si è espressa in passato una critica molto dura - si debba prendere atto che c'è una ripresa di attenzione nelle prime serate che distanzia la qualità del prodotto tra il pubblico e il privato. E' stato un dato casuale, derivante - sarò brutale - dall'uscita di alcuni personaggi molto forti nel settore della fiction, questa scelta di spostare l'informazione in prima serata? Ho visto un recupero sulla Rete 2 della fascia pomeridiana e di altre fasce, ma la stessa cosa vale per la Rete 3, la Rete 1 e per la radio. E' stata una scelta consapevole che verrà perseguita e rafforzata nei prossimi palinsesti o è stata determinata dalle carenze di magazzino o dall'uscita di alcuni? Se è una scelta strategica di avviare una forte diversificazione di linguaggi, credo che possa incontrare consensi trasversali tra tutte le forze politiche. Credo che sia positiva anche rispetto alla legge.
Sapete che nel contratto di servizio che dovremo discutere - un elemento molto spesso stoltamente trascurato - si pone anche il problema delle quote nazionali di produzione, che si lega al primo tema. A me pare di cogliere - ma vorrei, se ci fossero, dei dati al riguardo - un aumento di attenzione alla produzione culturale nazionale, che non significa provincialismo, ma una grande attenzione all'industria del cinema, del teatro, della musica, dei nuovi linguaggi che è presente in questo paese. Vorrei sapere se sia confermato dai dati un aumento di attenzione alla produzione nazionale, se anche questa sia una scelta deliberata, se su questo vi sia un investimento futuro, perché il tema riguarda gli interi comparti industriali non solo il mondo RAI, cioè il sostegno all'industria culturale in questo paese in un momento particolarmente difficile. Quindi, vorrei sapere se c'è stata anche una modifica, sia pure leggera, del rapporto fra la produzione e gli acquisti, cioè se vi sia una linea nel senso dell'aumento della produzione e dell'autoproduzione e della riduzione degli acquisti. Naturalmente, senza demagogia, perché una televisione vive anche di acquisti, della capacità di stare sul mercato; non credo alle ricette e poi non spetta a noi darne, ma a chi gestisce e ha le competenze. Però, mi interessa comprendere questa linea di tendenza.
Fu annunciata in alcune audizioni dal consiglio di amministrazione, ma non so se sia stata concordata con i direttori di rete, l'esigenza di una nuova leva - il termine non mi piace - di autori, sceneggiatori, eccetera, cioè l'esigenza di andare a vedere cosa c'è nel paese anche fuori dall'azienda RAI, se esistono talenti che possono essere recuperati alla produzione. Chiedo se anche questo tema sia all'attenzione delle reti televisive e radiofoniche, se sia una scelta concordata o se invece deve ancora maturare.
Sulla rete federata non porrò molte domande perché mi rendo conto di una difficoltà. Mi rendo conto che potreste dirci: "Questa rete federata si fa o non si fa? E' legata alla RAI oppure no? Va per vie terrestri oppure no? E' con i consorzi, su cinque bacini regionali, oppure no?". Mi rendo conto che questo è un problema nostro. Invece, mi collego ad un'osservazione che faceva Minoli che mi interessa e che riguarda il complesso della RAI, anche la radio. Comincia ad esserci una distinzione tra i centri di produzione. In attesa della rete federata, vi è comunque una vocazione che riguarda tutte le reti, ma nel dettaglio la rete 3, di rapporto tra nazionale e regionale. Esiste l'idea di qualificare i centri di produzione? Penso a Napoli, da una parte, e a Milano e Torino sul nord ovest, anche se poi c'è il grossissimo problema del nord est, che è completamente privo di centri di produzione, e del sud (penso a Palermo e al rapporto che potrebbe avere con la produzione del mondo arabo e del Mediterraneo, che è un altro grande tema). Esiste un tentativo di qualificare i centri di produzione e quindi di agganciare le sedi regionali non solo ai tradizionali GR e TG, che hanno uno spazio limitato, ma anche alla produzione delle reti televisive e - mi rivolgo a Gigotti - della radio? Per quest'ultima la velocità può consentire di pensare a programmi che coinvolgano direttamente la produzione regionale, perché abbiamo un problema di pluralismo anche in questo senso.
Mi interessa capire se ci sia una linea di tendenza in queste direzioni, perché credo che questo possa servirci nella formulazione di un documento di indirizzi che nasca dall'ascolto delle diverse esperienze - la mia quindi non è una pregiudiziale negativa - e dall'acquisizione di tutti questi elementi, affinché in tal modo si individui il migliore dei documenti possibili, quello che sviluppi l'autonomia e l'accompagni nell'interesse generale. Vorrei che non ci fossero equivoci su questo punto.
PRESIDENTE. Grazie per la precisazione. Era necessario ricordare che era stato l'ufficio di presidenza a decidere di varare un documento di indirizzo sul pluralismo. Lo dico perché sembrava preclusivo...
GIUSEPPE GIULIETTI. In genere condivido un documento che firmo...
PRESIDENTE. Sì, sì. Adesso è molto più chiaro: è ovvio che nel merito ognuno esprime le posizioni che crede, ci mancherebbe altro.
PAOLO ROMANI. Sono d'accordo con la prima parte dell'intervento del collega Giulietti, che vorrei rendere un po' più categorica e rigorosa. A questa audizione arriviamo per la provocazione (ovviamente, tra virgolette) costituita dai dati contabili fornitici dall'osservatorio di Pavia. Dopo la Commissione ha approvato una risoluzione cui è seguita una lettera del Presidente della Repubblica, cui è seguita una direttiva del Consiglio di amministrazione della RAI, cui è seguita la relazione dell'onorevole Paissan. Diciamo che vi è stata una procedura questa volta virtuosa nel porre il problema. In effetti, il problema era stato posto da molte forze politiche che si erano lamentate della mancanza di pluralismo nella RAI, comprovata da una lettera del garante - che ho dimenticato di citare poc'anzi- sostenuta da dati quantitativi forniti dall'osservatorio di Pavia. Ribadisco, come ho già detto stamattina nel corso dell'audizione dei direttori di testata, che la relazione del collega Paissan mi sembra la più completa. Egli, infatti, a mio avviso, ha "orizzontalizzato" e "verticalizzato" il concetto di pluralismo. Noi siamo partiti dal dato relativo alla presenza delle forze politiche, in termini percentuali ed assoluti, nei vari telegiornali, ma il problema non è solo questo, e giustamente l'onorevole Paissan ha parlato di pluralismo in termini complessivi. Faccio un esempio che vuol essere quasi una provocazione. Sono iscritto al CICAP e assisto con orrore alle trasmissioni sull'astrologia. Chiederei quindi perequazione e pluralismo con un bilanciamento di questo cretinismo diffuso riguardante l'astrologia pretendendo che vi fosse altrettanto spazio dedicato all'astronomia: le stelle sono lì per essere descritte in termini astronomici, piuttosto che costituire motivo di analisi astrologiche.
PRESIDENTE. Spero che in sala stampa non ascoltino, altrimenti i titoli di domani saranno: "Sono impazziti".
PAOLO ROMANI. No, presidente, non ho alcun problema.
GIOVANNA MELANDRI. Pluralismo astronomico!
PAOLO ROMANI. Quando vedo interi programmi destinati ai segni zodiacali inorridisco, come del resto faccio quando sento Costanzo non usare i congiuntivi.
GIANCARLO LOMBARDI. Credevo che tu inorridissi perché vi è un segno trattato con maggior favore di altri (Si ride)!
PAOLO ROMANI. No, no! Ho dato atto a Clemente Mimun di aver aperto una finestra di cinque minuti, una volta a settimana, sull'astronomia, che ha molta più valenza scientifica che non le ore ed ore dedicate alle assurde analisi astrologiche.
Tornando alla relazione del collega Paissan, mi sembra che abbia calibrato meglio il tema del pluralismo, ponendo finalmente in termini definitivi il problema.
Di fronte a noi siedono persone che fanno televisione. Tantillo ha dato una definizione che oserei dire perfetta: il pluralismo editoriale di una rete è tanto più garantito quanto più garantito è il prodotto. Io inverto il ragionamento: quanto migliore è il prodotto, tanto più è garantito il pluralismo (che è la stessa cosa). Il vostro problema di direttori di testata è perciò di fare il miglior prodotto possibile dal punto di vista televisivo. Checché Lucia Annunziata dica, provocatoriamente, "toglietemi l'auditel", il vostro problema è di fare share. Ma voi siete servizio pubblico, e purtroppo il vostro percorso editoriale non è una linea retta, bensì un triangolo in cui potete essere prigionieri o che potete usare in maniera virtuosa per fare in modo che i programmi siano fatti in maniera diversa. Il triangolo è il seguente: fare buona televisione e ottenere buoni risultati di ascolto, avere la responsabilità di fare il servizio pubblico, cioè di fare televisione all'interno di un sistema pubblico e, terzo lato del triangolo, il pluralismo, che è legittimamente figlio del fatto che fate servizio pubblico.
Aggiungo che è un bel problema da risolvere, cari direttori, perché non potete esaurire - come poteva fare Carlo Freccero in Francia - il vostro lavoro nel fare una buona televisione. Potete esaurire il vostro ruolo solo avendo dato risposte precise a tutti e tre i punti. Mi chiedo allora, prima di citare alcuni casi precisi: qual è il livello, dov'è la stanza di compensazione, in cui il direttore di rete si pone questo problema? Dov'è il momento in cui il direttore Tantillo si chiede: sto facendo un buon programma, ma sono sicuro che è un programma da servizio pubblico? Sono sicuro che faccio un programma da servizio pubblico e di buona televisione che garantisca il pluralismo? Credo che sia una domanda che vi ponete quotidianamente. Potremmo parlarne tutta la vita - giustamente il collega Giulietti ricordava che esiste una folta letteratura al riguardo -, ma nella pratica quotidiana, come giustamente ci insegnavano oggi i direttori, è ben difficile rendere in termini operativi e concreti ciò che noi chiediamo in termini generici e anche politici. Dov'è il momento, qual è il punto? Ho l'impressione che comunque la RAI paghi - Gigotti ne faceva un esempio - carenze che non sono esclusivamente tecniche ma anche di professionalità, non tanto perché vi siano cattive persone o cattivi giornalisti, quanto forse perché non c'è mai stata un'abitudine reale al giornalismo televisivo. Ma date le stratificazioni politiche che si sono create in RAI, può darsi che, anche all'interno di una buona professionalità, vi sia una mancanza di equilibrio che faccia commettere strafalcioni, che non generi il sistema immunitario contro le contraffazioni che ho citato stamattina, che quindi spesso possono emergere. E' probabile che ciò accada molto più spesso in un programma di soft news di un'ora e mezzo o due che non nell'arco di un quarto d'ora, dove è difficile riuscire a mettere subdolamente una notizia o a essere ambigui.
Se questo è il problema, avete questo teorema da risolvere, e voglio fare l'esempio più esemplare: Biagi. Ricordo la trasmissione su Storace: forse è un esempio di buona televisione, ma lo è anche sicuramente di pessimo servizio pubblico e di un'imbarazzante carenza di pluralismo. Perché il direttore di rete in casi come questo non interviene? Faccio un secondo esempio. Nel programma della domenica di RAIUNO,la gentile signora si permette - consentitemelo - di parlare di politica, di costume e di società; non so se ne abbia la qualità, ma sicuramente fa ascolto. Probabilmente fa una buona televisione: non so se faccia un buon prodotto, ma sicuramente fa un buon ascolto. Ma siamo sicuri che le debba essere consentito di fare il servizio pubblico con l'autonomia di cui mi sembra godere, per l'ascolto di quella trasmissione e per il tipo di target (forse il più indifeso, di carattere tipicamente familiare) che ha? Siamo sicuri che avete immaginato la stanza di compensazione in sede preventiva rispetto a quanto la signora Venier può produrre?
Terzo esempio. Blob è una trasmissione che adoro: è un'invenzione, ha risolto il problema del nostro zapping quotidiano, perché non abbiamo più bisogno di schiacciare i tasti del maledetto marchingegno avendo finalmente la rappresentazione di come noi vediamo oggi la televisione. Pur tuttavia, in determinati periodi Blob è andata oltre: ha fatto vedere anche organi sessuali in orari familiari come le 19,30 o le 20. Ha fatto operazioni di carattere politico. Io sosterrò sempre che Blob deve esistere, ma vi è stato, in quella sede, un meccanismo preventivo di selezione rispetto al tipo di programma che si andava a fare?
So che il vostro, cari direttori, è il mestiere più difficile di tutti, perché dovete riuscire a conciliare quanto viene proposto dalla multiproprietà citata prima da Minoli con il fatto che operate comunque all'interno di un meccanismo complessivo di fasce dedicate ai telegiornali e con un'armonia e un equilibrio che non si possono trovare al di fuori dell'analisi di ciò che il telegiornale fa. Ma questo è il problema, e la mia domanda è: vi ponete il problema? Quando e come ve lo ponete? Come lo risolvete?
GIANCARLO LOMBARDI. Desidero porre la stessa domanda e lo stesso problema posti dal collega Romani. Anch'io ho affermato stamattina ciò che Tantillo ha espresso con molta chiarezza: non credo che il pluralismo sia garantito da un controllo e da un'equiparazione in termini di minuti. Non tutti i colleghi hanno condiviso questa posizione, dicendo che questo è comunque lo strumento che abbiamo in mano per poter esprimere in giudizio: è vero, ma secondo me è uno strumento di giudizio terribilmente fallace e relativo, perché un pluralismo garantito esclusivamente in termini quantitativi mi sembra del tutto insoddisfacente. Condivido invece quanto ha affermato Tantillo, che il collega Romani ha poc'anzi richiamato.
Personalmente, conosco meglio la situazione dei giornali stampati di quella televisiva, però si pone un delicatissimo problema - sono stato presidente di un quotidiano abbastanza importante per lunghi anni -, e cioè in che modo garantiamo che accada qualcosa che effettivamente vogliamo. Non so se gli esempi posti dal collega Romani siano tutti esatti. Possono anche essere influenzati, come è legittimo, dalle sue posizioni personali; però non vi è dubbio che può esistere una professionalità eccellente in termini tecnici e di efficacia su colui che guarda che non coincida con la garanzia dei valori cui coraggiosamente Tantillo ha fatto riferimento. L'uso del termine "valori" è sempre assai delicato, perché non è affatto detto che le persone riunite in questa sala abbiano gli stessi valori di riferimento. Ma mi sembra che, quando si va al dunque, debbano essere proprio quelli da lui richiamati, che poi sono quelli della Costituzione italiana. Quando ero ministro della pubblica istruzione, ci siamo posti il problema in termini di educazione civica, cioè di educazione della cittadinanza. Credo che l'educazione civica non possa che avere come riferimento la Costituzione, i valori costituzionali, perché questi sono, finché essa è il nostro documento fondante, il punto di riferimento che deve valere per tutti. Oltre questo, vi sono posizioni di rischio. Però esistono, e sono stati anche citati da Tantillo, problemi di sensibilità e di delicatezza di valori che non solo trovano riferimento nella Costituzione, ma che in qualche modo sono anche ampiamente condivisi. Penso al rispetto dei più deboli (siano giovani, bambini o altre categorie).
Minoli ha sfiorato il problema al quale, quando era presidente della RAI Letizia Moratti, avevamo dedicato uno spazio piuttosto ampio del colloquio, cioè una maggiore attenzione all'aspetto educativo. Si pensava anche ad una rete - immagino che l'idea non sia stata lasciata cadere - educational, dedicata a spazi formativi specifici per i ragazzi e gli insegnanti e con un'accezione ampia. Ma la domanda resta. Anch'io, con parole diverse (le mie erano più brutali, il collega Romani è stato più elegante), sostengo: una volta che si è d'accordo che questo è il problema, quali strumenti avete o pensate di darvi affinché l'affermazione non resti teorica e astratta e abbia invece un contenuto politico reale? A fronte di un comportamento oggettivamente gravemente erroneo (conosco l'estrema delicatezza di richiamare i giornalisti, perché sembra che si vogliano censurare le opinioni, quindi sono di fatto intoccabili), il richiamo avviene o costituisce soltanto una vaga aspirazione? Esistono strumenti educativi dei giornalisti per aiutare le persone a crescere? Questa è la strada che ho scelto per Il Sole-24 ore: abbiamo deciso, per esempio, di rinunciare a tutta una serie di scoop che non fossero strettamente tecnici, nel senso di riguardare notizie tecniche, rinunciando a nomi altisonanti di giornalisti molto famosi, investendo fortemente nella formazione dei nostri giornalisti giovani, dicendo loro che non ci interessava un certo tipo di scoop, ma che ci interessava un altro tipo di informazione.
Il collega Romani ha parlato di stanza di valutazione. Nel rivolgere la stessa domanda uso un'espressione diversa e chiedo: cosa state facendo o pensate di poter fare? Apprezzerei anche l'eventuale lealtà di dire "non possiamo fare nulla".
A Carlo Freccero rivolgo una domanda che, se ho capito bene, è identica ad una postagli dal collega Jacchia: mi interesserebbe sapere se, dalla sua esperienza in Francia, derivi qualcosa che ci possa risultare utile pur notando la differenza esistente tra una televisione di Stato e quella che invece è una società privata, che in quest'ottica ha sicuramente un problema diverso.
L'ultima osservazione riprende una considerazione di Gigotti, ma ovviamente vale per tutti. Mi riferisco alle sue considerazioni su chi non ha la parola. Continuo ad insistere che questa è una delle grandi carenze del nostro sistema di comunicazione, sia su carta stampata sia in televisione. Mi fa piacere che Gigotti ci abbia detto che la radio ha fatto questa specifica scelta: anch'io ritengo che questo costituisca un elemento essenziale del pluralismo, cioè, che il pluralismo non consiste nel misurare col bilancino il rapporto tra coloro che già parlano, bensì nel porsi il problema se non vi siano interi ambiti di portatori di idee, di sensibilità, di aspirazioni e così via che sono sostanzialmente tagliati fuori e, quindi, nel dare anche ad essi la possibilità di comunicare, di essere ascoltati. Questo sicuramente significa rispetto del pluralismo.
ANTONIO FALOMI. A mio avviso, come già avvenuto nell'audizione dei direttori di testata, nell'audizione di stasera continuiamo a girare intorno ad un problema cercando risposte che, evidentemente, ancora non siamo riusciti a trovare. Il punto attorno al quale si sta ragionando e sul quale si è chiesto il contributo dei direttori di rete e di testata è il seguente: stabilito che tutti siamo d'accordo sul pluralismo, sull'obiettività, sull'apertura alle diverse componenti della società (elementi che, peraltro, sono previsti dalla legge), in che modo riusciamo a tradurre tali principi generali (sui quali, ripeto, tutti ci ritroviamo) in qualche cosa che ne garantisca il rispetto? Questo è il tema sul quale stiamo ragionando: se, cioè, esistano strumenti, procedure, stanze di compensazione che effettivamente ci aiutino a realizzare i principi sui quali, lo ribadisco, ci dichiariamo tutti d'accordo.
Per quanti sforzi compiamo, probabilmente non riusciremo ad individuare tali strumenti, procedure, criteri; la materia è di estrema complessità e difficoltà. Non a caso, sulla questione se esista o meno il diritto dell'utente ad essere informato e su come tale diritto si configuri, se in qualche modo vada tutelato e, quindi, possa addirittura determinare un'azione come quella che si pone in essere quando viene leso un diritto della persona, è in atto un rilevantissimo dibattito tra giuristi. Non si addiviene mai, però, ad una conclusione: in realtà, esiste certamente un diritto, un interesse diffuso da parte dei cittadini all'informazione, ma poi non si riesce a concretizzarlo in qualcosa di più chiaro e preciso. Sono convinto che se cercassimo di percorrere la strada delle regole, delle prescrizioni, dei codici, degli strumenti, non riusciremmo ad andare molto in là; il rischio che corriamo è di produrre una programmazione ingessata e bloccata. Si rischia di finire nelle logiche di una frantumazione corporativa e politica del tempo televisivo, producendo quindi qualcosa che, a mio avviso, è abnorme.
In realtà, essendo chiari alcuni principi generali cui fare riferimento, credo che il vero strumento da adottare sia quello della responsabilità e della professionalità di chi produce informazione, il quale deve essere consapevole di svolgere il lavoro in un servizio pubblico e che vi sono valori, principi e finalità del servizio pubblico stesso che debbono essere rispettati; l'altro strumento è il conflitto. Non esiste diverso strumento; parlo del conflitto che si attiva nel momento in cui si ravvisa la violazione di quei principi. In caso contrario ci collocheremmo su un terreno dal quale francamente non riusciremmo ad uscire se non, probabilmente, producendo mostri.
Chiedo allora ai direttori di rete qui presenti se, alla luce della loro esperienza, ravvisino la possibilità di attivare strumenti, meccanismi, criteri, procedure per garantire quel diritto o se, in realtà, come io penso, l'unica strada sia quella del conflitto. Se riteniamo che una trasmissione abbia leso principi e valori, lo diciamo: la Commissione di vigilanza è uno strumento in tal senso; questa mi sembra l'unica via percorribile, altrimenti francamente non riesco a capire dove stiamo andando.
MAURO PAISSAN. Ringrazio i direttori per i riferimenti positivi alla mia introduzione, della quale vorrei però sottolineare unicamente un punto che non è stato toccato né dai nostri interlocutori né dai colleghi. Mi riferisco al pluralismo produttivo, così come l'ho definito; mi limito semplicemente a chiedervi, poiché ognuno di voi deve affidare a società esterne la produzione di programmi, riprese e quant'altro, se esista un problema nella scelta di tali imprese. Nella mia esperienza di membro di questa Commissione mi accade spesso di ricevere segnalazioni, proteste da parte di produttori, imprenditori del settore, i quali lamentano discriminazioni o privilegi o rapporti consolidati o affiliazioni partitiche e quant'altro. Chiedo dunque se esista o meno, dal vostro punto di osservazione, il problema.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai direttori per le risposte, vorrei esprimere qualche breve considerazione e porre una domanda.
Mi preme anche fare una precisazione alla Commissione a proposito di quanto ci siamo detti, per tentare di dare un contributo di chiarezza alla discussione, partendo in particolare dall'intervento dell'onorevole Giulietti, il quale ha posto un dato politico enormemente pesante, se posso usare tale espressione. Il collega ha posto una questione forte, che viene dunque avanzata dal gruppo più consistente presente in Commissione e che, quindi, ha il peso che ha. Va pertanto fatta chiarezza sul percorso successivo della Commissione stessa; sarebbe ingeneroso pensare - e sarebbe ingeneroso attribuirlo all'onorevole Paissan: sicuramente non lo vuol fare il presidente, poi i gruppi decideranno come riterranno opportuno - che qui si voglia stabilire un codice rigoroso, un qualcosa che fa a pugni con la deontologia professionale dei giornalisti. Quando si pone il problema delle regole - la questione potrebbe essere affrontata in sede di discussione generale, ma consentite al presidente di anticiparne un passaggio -, la questione dei codici, che fa a pugni con l'autonomia, non c'entra nulla con le regole che dobbiamo chiedere al servizio pubblico. Faccio un esempio: potremmo interrogarci - è una discussione che si affronta molto spesso - se debba esservi o meno la politica nel varietà. Sulla questione possiamo intervenire e decidere di dettare alcune regole: non sarebbe un'ingerenza (Commenti del deputato Giulietti).
PRESIDENTE. Per quanto riguarda Domenica in ed altri contenitori vi è stata una polemica (Commenti del deputato Giulietti)... Io non l'ho presa come una sua spiritosaggine e spero che lei non prenda quello che dico come mie spiritosaggini (Commenti del deputato Giulietti). Mi è capitato di scrivere su questo argomento magari in modo più rigoroso di quanto non abbia fatto l'onorevole Paissan; sto cercando di portare un contributo. Potremmo dire, ad esempio: più interviste durante il varietà.
Un'altra questione che è stata posta riguarda la polemica sollevata dall'Ordine dei giornalisti circa l'opportunità che le interviste, nel servizio pubblico, siano realizzate da persone non iscritte all'Ordine stesso che, pertanto, non sono sottoposte agli obblighi di rispetto della deontologia professionale. E' un altro argomento che noi potremmo affrontare, il che non sarebbe lesivo dell'autonomia di nessuno; è una richiesta di regole.
Ringrazio l'onorevole Romani per il riferimento alla trasmissione di Enzo Biagi, che peraltro avrei preferito non avesse fatto. Valuto la questione di Biagi - e sul punto il direttore della prima rete potrà darci una risposta - in riferimento ad una carta già in vigore, quella delle garanzie degli operatori e degli utenti del servizio pubblico, la quale è contraria alle trasmissioni personalizzate. Si tratta di un problema che dobbiamo porci o meno? Cioè, il servizio pubblico deve far trasmettere dai propri dipendenti - uso un'espressione che forse è un po' infelice - le proprie opinioni o quelle che si raccolgono nella società? Intorno a tale questione non possiamo girare: dobbiamo parlarne. Può essere anche giusto dire che è legittimo diffondere le opinioni di giornalisti di fama; può essere altresì giusto chiederci se quelle opinioni vadano offerte nell'orario di massimo ascolto, cioè anche con il piatto forte del pubblico presente a quell'ora davanti ai teleschermi. La mia opinione è valida in qualsiasi orario; io devo essere capace di trainare il pubblico, se del caso anche in fasce orarie di minore ascolto. Questa può essere una regola da stabilire o no.
Inoltre, quanto al problema di non fissare norme per il futuro (legge n. 650 sui criteri di nomine), mi chiedo se non si possa prevedere che qualsiasi cambio - futuro, nessuno parla degli attuali direttori - ai vertici delle testate debba essere motivato, perché è impensabile che l'unica ragione sia collegabile ai consigli di amministrazione. Anche questa potrebbe essere una regola da proporre, non so se sul piano legislativo o degli indirizzi, ma dobbiamo interrogarci su tali questioni. Non penso che la discussione relativa sia grave. Spero che l'atteggiamento apparentemente duro sia motivato dal fatto che si pensa chissà cosa; sono punti ragionevoli sui quali si può discutere.
La domanda che intendo porre ai direttori si riferisce all'atto con cui è iniziato il nostro dibattito sul pluralismo, vale a dire la lettera del Garante: non mi riferisco al fatto specifico (i dati dell'osservatorio di Pavia), bensì ad un concetto espresso dal Garante che, per l'occasione, era motivato dall'elaborato dell'osservatorio stesso. In quella lettera di novembre il Garante lamenta un'eccessiva offerta di comunicazione politica nell'intrattenimento del genere altro rispetto ai notiziari ed all'informazione. Invita inoltre la RAI a far sì che, stante il carattere di esemplarità che assumono i comportamenti del servizio pubblico, non si indulga a forme in grado di alterare l'equilibrio della comunicazione politica, che qualifica come essenziale per il corretto svolgimento della vita democratica.
Chiedo ai direttori se si siano sentiti toccati in particolare da questa accusa, se ritengano che sia ingenerosa, se pensino che occorrono meccanismi nuovi - oltre ai dati dell'osservatorio, che tutti giudicano largamente insufficienti, ma che costituiscono l'unico strumento esistente oggi - e se vogliano avanzare qualche proposta.
GIOVANNA MELANDRI. Chiedo la parola sull'ordine dei lavori.
Presidente, sono sollecitata ad intervenire dal suo discorso; mi ero riproposta di non prendere la parola in questa sessione dei nostri lavori perché avevo già esposto alcuni punti di vista durante l'audizione di questa mattina, ma le audizioni che stiamo svolgendo - dei direttori di testata e dei direttori di rete, che anch'io ringrazio -, come è noto a tutti rappresentano il risultato di una iniziativa politica della Commissione e sono state avviate dalla relazione introduttiva dell'onorevole Paissan. A me sembrava, al di là delle diverse sfumature espresse nei vari interventi, che concordassimo in sede di Commissione sulla concezione del pluralismo sia nelle testate giornalistiche sia nelle reti. Ora avverto il bisogno di sottolineare che il suo ultimo intervento sembrerebbe addirittura prefigurare che all'ordine del giorno dei nostri lavori oggi vi sia il tema di una direttiva sul varietà...
PRESIDENTE. Ho fatto alcuni esempi, onorevole Melandri.
GIOVANNA MELANDRI. Ma sono esempi che, essendo portati dal presidente...
PRESIDENTE. E' la Commissione che...
GIOVANNA MELANDRI. Presidente, io non l'ho interrotta, la prego di farmi parlare. Poiché, dicevo, sono portati dal presidente della Commissione, che ricopre una funzione istituzionale, il quale ha le sue opinioni, ovviamente libere e legittime, che però tendono a dare un'interpretazione politica di ciò che stiamo facendo in queste sedute, vorrei riportare lei e tutti i commissari al tema degli incontri, vale a dire la questione del pluralismo, non di come la Commissione debba dettare direttive al varietà o per la libera espressione di un giornalista di fama come Enzo Biagi. Questo non significa, naturalmente, che la nostra Commissione non sia libera di giudicare le singole trasmissioni televisive; oggi, però, siamo qui per discutere su quale sia, alle soglie del terzo millennio, con una televisione in evoluzione ed una trasformazione socio-culturale profonda, il concetto di pluralismo nel servizio pubblico. A me sembra che, dall'interno di questo quadro, non vi sia il problema dei paletti da porre o meno al varietà, o delle espressioni del singolo opinionista.
GIOVANNA GRIGNAFFINI. Anch'io mi ero riproposta di non intervenire nuovamente; tuttavia, presidente, come sa sono spesso d'accordo con lei, ma le sue ultime affermazioni mi hanno allarmato, per cui voglio aggiungere una breve osservazione...
PRESIDENTE. Questo allarme è immotivato.
GIOVANNA GRIGNAFFINI. Mi spiego: ritengo che si possa registrare un grande dato positivo nelle discussioni che abbiamo avuto fino ad oggi e prendo atto del percorso che lei, presidente, ha inaugurato (non starò però a ripetere queste cose); voglio quindi riferirmi al fatto che abbiamo convenuto, forse con alcuni fraintendimenti, che vogliamo arrivare ad una risoluzione comune partendo da una proposta riferita agli indirizzi. Siccome vi è stata ambiguità, anche rispetto al mio intervento di oggi, va riconosciuto il termine "indirizzi" come elemento proprio per le indicazioni di questa Commissione; avevo inoltre aggiunto quali sono gli strumenti di verifica e di controllo, a partire dal principio che autonomia, libertà e responsabilità dei titolari di rete e di testata, o di chi fa televisione, sono comunque da salvaguardare.
Siamo quindi d'accordo su un indirizzo che riguardi i grandi principi e le grandi domande che la questione del pluralismo pone al servizio pubblico radiotelevisivo. Spesso, però, sia nella discussione con i direttori di telegiornale sulla libertà di espressione della loro opinione, sia con l'accentuazione che ora il presidente ha dato riguardo alla libertà di costruzione del prodotto e del palinsesto (in questo caso nel varietà), si fa confusione su due modalità di intendere il termine "indirizzo". il concetto, a mio avviso, si collega proprio alla domanda posta dall'onorevole Romani (rispetto alla quale tutti abbiamo cercato di dare un contributo, anche in termini propositivi): cosa significa, per un servizio pubblico, coniugare le tre istanze di fare prodotto, rispondere ad una missione e avere audience. Questo insieme articolato di questioni ha poi avuto varie esplicitazioni nell'importante relazione di Paissan, che sicuramente è molto più adatta a definire il pluralismo per quanto riguarda i direttori di rete, piuttosto che i direttori di telegiornale, visto che il pluralismo sociale, culturale, etnico, religioso, fa riferimento ad una missione più di rete che di telegiornale, visto che attraverso il palinsesto si può lavorare in questa direzione.
Se ragioniamo in termini di indirizzo, quindi, il nostro gruppo è disposto ad aderire alla riflessione: ricordiamoci intanto che parliamo di indirizzo rispetto alle missioni fondamentali di un servizio pubblico in questo settore, considerando anche l'ultima questione sollevata dall'onorevole Paissan (che anch'io avevo ripreso) rispetto alla pluralità dei soggetti che producono, o alla pluralità dei centri di produzione. Se allora la questione viene posta in questi termini, possiamo convenire tutti sull'opportunità di una risoluzione di indirizzo; se invece andiamo sul terreno su cui lei si è spinto con il suo ultimo intervento, ribadisco le posizioni già espresse dall'onorevole Giulietti.
PRESIDENTE. Consentite al presidente di rispondere, anche se non voglio aprire un ulteriore dibattito; non è usuale, peraltro, una discussione incardinata in questa maniera.
Nutro esattamente la sua preoccupazione, senatrice Grignaffini, e non altre: ho rilevato - lo dico all'onorevole Melandri - solamente una preoccupazione, perché il più forte gruppo parlamentare di questa Commissione ha sollevato una questione che rischia, a mio avviso, di provocare delle spaccature nella Commissione. Ho allora tentato di fare degli esempi, raccolti dal dibattito generale sull'argomento, per indicare quali possono essere gli ambiti di intervento: sarà poi la Commissione a decidere, visto che il presidente non ha né la facoltà né la volontà di imporre alcunché: dobbiamo essere estremamente chiari al riguardo.
Mi dispiace di rilevare, onorevole Melandri, che semmai è il suo intervento ad essere fuori posto: lo dico con grande fermezza, perché quello che ho osservato a proposito della carta delle garanzie fa riferimento alla carta scritta, cioè al codice della RAI e personalmente ritengo che dobbiamo uscire dal generico, per trovare gli strumenti di vigilanza sugli indirizzi che la stessa azienda si è data. Non sto dicendo nulla di insensato, quindi, visto che mi sto riferendo al codice della RAI: dobbiamo cercare di capire come rispondere alla domanda di garanzia che viene dai cittadini, che è stata recepita dalla RAI, visto che abbiamo un compito da rispettare. L'esempio di Biagi è soltanto quello più eclatante, perché si tratta di un giornalista famoso e fa capire subito a cosa ci riferiamo; certo, non è nel nostro potere cacciare Biagi, se è questa la sua preoccupazione, ma non è nemmeno la nostra volontà. Stiamo cercando di capire se il diritto che appartiene a Biagiappartenga anche ad altri.
Spero di aver risposto alla senatrice Grignaffini: mi preoccupo che vi sia il massimo di consenso in Commissione attorno ad un'opzione, perché a me interessa poter avere degli indirizzi che siano vincolanti per il servizio pubblico. Se permettete, sarebbe una conquista per la Commissione, dato che da tre anni essa non delibera indirizzi.
Ascoltiamo le repliche dei direttori di rete.
GIOVANNI TANTILLO, Direttore di RAIUNO. Risponderò rapidamente ad alcune richieste che riguardano le nuove scelte editoriali della rete: esse non sono dettate da fughe di persone altrove; sono scelte di inversione di tendenza che in questo momento si stanno esplicando su due versanti. Il primo riguarda operazioni innovative forti, come Lerner in prima serata e fra due mesi, in aprile, Celentano con un nuovo spettacolo; il secondo, con una esemplificazione, riguarda la linea editoriale consueta, "baudistica", con uno spettacolo che vogliamo comunque fortemente rinnovare.
Il problema della mancanza di autori effettivamente esiste e nasce anche dalla routine degli scorsi anni, che certamente non ci ha giovato ma che, come servizio pubblico, dobbiamo in qualche modo perseguire. RAIUNO, quindi, offrirà due serate, una per l'informazione sociale e politica di Lerner, nell'ambito della quale credo nessuno possa dire che non vi è rispetto del pluralismo, considerate anche le parti sociali rappresentate; un'altra per l'informazione scientifica (domani sera, Superquark parlerà di astrologia, nella maniera che lei vuole, onorevole Romani). Alla fine dell'anno, inoltre, manderemo in onda un altro programma che riguarda il cosmo.
Si tratta, quindi, non di tamponamenti ma di scelte editoriali, che speriamo in autunno possano prendere più corpo. La nostra rete, lo scorso anno, aveva quattro varietà (la domenica, il martedì, il giovedì e il sabato), mentre ora ne ha solo due (il giovedì e il sabato). Il termine "varietà", peraltro, è un terreno infido e oggi si usa ben poco, preferendosi fare riferimento a spettacolo, o intrattenimento (in day-time o di sera). Per quanto attiene al problema cui alludono sia l'onorevole Romani sia il presidente Storace, non credo si possa indicare alcuna delimitazione per stabilire fino a dove arriva la politica. L'episodio cui si è fatto riferimento è, a mio avviso, marginale ed è stato ampiamente motivato e giustificato: l'episodio di Domenica in certamente non caratterizza il modo di fare spettacolo di una rete, anche se si tratta di un grande spettacolo popolare, nel corso del quale una persona ha avuto un incidente di percorso (e la responsabilità me la sono presa io come direttore di rete, sia ben chiaro). Detto questo, però, la trasmissione affronta i temi più diversi, per esempio di carattere sociale, con la presenza di Don Mazzi, ma anche culturale: domenica scorsa, Giampaolo Pansa parlava del suo ultimo libro sulla Repubblica di Salò, rivolgendosi ad un ad un pubblico di un certo genere, anziano e di cultura media, come quello della domenica pomeriggio.
Pensare oggi al varietà come quello di Antonello Falqui degli anni sessanta non ha più senso: politica nel varietà, allora, non significa nulla; ci si esprime, si comunica, certo non ha senso portare l'onorevole Storace a Carramba, che sorpresa!
Per quanto riguarda l'episodio, da considerare più grave, dell'informazione su RAIUNO, la nostra rete cerca di mantenere la maggiore gamma possibile nei propri giornalisti, che sono tutti qualificati: Sergio Zavoli ha trattato il tema della giustizia; Vespa ha due serate a settimana, nelle quali, a suo modo, con i suoi punti di vista, con le sue angolazioni, si rivolge al pubblico con un programma di successo, a Lerner ho già accennato. Il fatto di Biagi, secondo me, è un particolare motivo di orgoglio della rete, perché è un grande programma di informazione di un grande giornalista e non credo che il pezzo riguardante l'onorevole Storace, di cui mi posso dispiacere...Vi sono comunque dei limiti entro cui ci si può riconoscere: al di là ci sono il codice civile e il codice penale. Se si va oltre, io riconosco questi codici: si tratta di difendere la libertà e l'autonomia di un grande giornalista.
Per quanto riguarda le osservazioni del senatore Jacchia, sono d'accordo sull'esistenza di un problema di coordinamento, ma le voglio domandare: è convinto che un programma come quelle tribune arriverà al pubblico, o piuttosto lo annoierà?
ENRICO JACCHIA. Temo che l'annoierà.
GIOVANNI TANTILLO, Direttore di RAIUNO. E' il discorso sulla qualità, per il quale si apre un altro problema.
ENRICO JACCHIA. Le tribune tematiche sono strette nelle regole del pluralismo, cui devono assolutamente obbedire, mentre le vostre trasmissioni, che sono belle, portano via l'ascolto!
GIOVANNI TANTILLO, Direttore di RAIUNO. Per quanto riguarda l'ultimo punto su cui voglio soffermarmi, sorvolando necessariamente su altri, si può attivare un conflitto critico fra il giudizio espresso dalla Commissione ed il comportamento, ma un conflitto, un giudizio comportano un qualcosa che non può essere codificato, normalizzato, regolarizzato meccanicamente: non vedo una possibilità diversa.
Approfitto per porre un problema, sempre di pluralismo in qualche modo: mi trovo spesso di fronte a richieste di trasmissioni costose per beneficenza. Anche in questo caso vi è un pluralismo da rispettare: facciamo trasmissioni in difesa dei malati di AIDS, della ricerca sul cancro e sulla leucemia, Teleton. Vi domando allora di riflettere (è un problema importante per me), per una garanzia nostra ed anche delle associazioni, sulla possibilità di prevedere una sede di compensazione esterna, un organismo, una commissione, un garante che regolamenti la materia: altrimenti, andremo incontro a richieste intollerabili, a parte il profilo morale della questione che va sempre considerato.
CARLO FRECCERO, Direttore di RAIDUE. Sarò un po' più lungo nelle mie risposte rispetto al mio intervento iniziale! Innanzitutto, una premessa: sono qui non per dare contributi, anche perché questo spetta al consiglio di amministrazione; sono qui solamente per mostrarvi la difficoltà del lavoro di chi ogni giorno fa televisione. Bisogna far capire a voi che legiferate quali siano le difficoltà con cui si lavora, i balbettii, gli errori ma anche i successi. Questa è la premessa, perché non posso assolutamente sovrappormi al consiglio di amministrazione.
Seconda riflessione. Permettetemi di dire che il livello è molto alto; peccato che il vostro ufficio stampa non faccia capire...
PRESIDENTE. Non abbiamo un ufficio stampa!
GIOVANNA MELANDRI. Anche se avessimo un ufficio stampa, a quest'ora...
CARLO FRECCERO, Direttore di RAIDUE. E' davvero un peccato!
Il livello alto crea alcuni problemi e complica enormemente la questione. Se da una parte è fuori discussione che il vostro compito consiste nel decidere e nel legiferare, dall'altra vanno considerati discorsi teorici ed esperienze professionali che si sovrappongono alla politica e che danno vita ad una discussione più da aula universitaria che da aula parlamentare.
La televisione ha proprie regole che sono più forti della nostra soggettività: si tratta di regole che nascono dallo stesso medium. Inoltre, la televisione non è politica ma è anche estetica. So di aver pronunciato una brutta parola, ma il discorso deve essere avviato proprio in questa direzione.
Avevo immaginato che in questa Commissione non si parlasse del contingente, di Baudo o di altri, ma si astraessero e si concettualizzassero i problemi. Comunque, visto che non è così, vi farò un esempio che credo potrebbe risultare utile. In questi giorni sta riscuotendo un enorme successo il film Il ciclone. Tale successo è dovuto al fatto che il film immette nel panorama cinematografico una ventata di novità che scompagina tutto. Dico questo perché chi lavora nei media non può essere geometrico ma deve ispirarsi a un esprit de finesse capace di orientare le scelte. Ciò, in particolare, è molto importante oggi, quando da una parte viene espresso un realismo politico ispirato al motto: "Occorre andare a Maastricht", una cosa terribile, di grigio intenso, peggio del clima olandese e, dall'altra, c'è invece il pubblico che vuole sognare, uscire dalla cappa di piombo creata dalla situazione economica. La televisione ha bisogno di acquisire la capacità di far sognare, in qualche modo di trasmettere brividi. Non si può vivere soltanto in presenza di una "meteorologia" caratterizzata da nuvole basse e da sacrifici.
I problemi posti dal presidente e da altri validissimi parlamentari vertono essenzialmente sui generi e sulle quote. In questo momento si sta verificando un ritorno ai generi. In qualche modo, è finita l'epoca della cosiddetta marmellata e la televisione, per se stessa, cambia, così come cambia la moda dei colletti delle camice. Dopo anni contrassegnati da un certo tipo di varietà e di prodotto, la televisione improvvisamente si modifica, per effetto di una sorta di bradisismo lento e continuo. Ad esempio, non è più proponibile un varietà con politici che cantano, perché questo modo di fare televisione sarebbe kich e fastidioso.
PRESIDENTE. Non è anche fastidioso mandare il Presidente del Consiglio a Luna park ...?
CARLO FRECCERO, Direttore di RAIDUE. Non è di mia competenza, ma su questo punto sono d'accordissimo con lei. Non tocca a me dirlo, ma - ripeto - sono d'accordissimo con lei. Ho trovato quella partecipazione davvero di cattivo gusto: mi dispiace per il mio collega, al quale non voglio rivolgere critiche. Sono d'accordo con lei, presidente, soprattutto quando poi questa persona pensa di avere le stigmate del più bravo e del migliore. Sono consapevole che nel dire questo faccio emergere la mia soggettività: ho dato la prova pratica, concreta, ho mostrato in diretta come il soggettivismo possa intervenire nelle scelte. Ciò per dire che nella televisione vi sono regole ma anche momenti di soggettività molto forti che incidono pesantemente.
Credo che l'attuale congiuntura sia positiva, così come dimostra la discussione molto articolata, che ha fatto emergere il problema dei generi e delle quote. Credo che, se la televisione generalista ha una funzione, questa consiste nell'esaltare oggi la specificità nazionale, le nostre radici. Ecco perché si dovrà produrre italiano, fiction italiana. Non si tratterà di imposizione ma di una riconversione della TV generalista, della TV che siamo obbligati a fare. La stessa riduzione della messa in onda di film americani, così come era stato chiesto dalla politica, è una conseguenza di questa evoluzione, oltre che di altre ragioni (penso, per esempio, al fatto che il pubblico più giovane va al cinema mentre quello più anziano rimane in casa a guardare la televisione). In tale contesto, la scelta che ho operato di collocare le soap opera nella fascia d'ascolto del mattino, piuttosto che in quella del pomeriggio, non è una mia scelta coraggiosa. Non voglio vendervi uno spirito di servizio pubblico né mostrarvi le stigmate dell'operatore culturale. Si è trattato di una scelta razionale finalizzata a recuperare certe esigenze dettate dalla TV generalista.
In definitiva, da una parte c'è l'esigenza di tenere presenti regole e, dall'altra, quella di essere in sintonia con lo spirito del tempo, con quello che è dettato dalla nostra estetica (mi scuso per aver usato un'espressione molto alta). Si tratta di un dato al quale gli operatori di un servizio pubblico debbono prestare particolare attenzione; noi, infatti, siamo al servizio non del marketing ma di un progetto culturale. Se dovessi definire la televisione come servizio pubblico, direi che essa si caratterizza per essere al servizio non del pubblico ma di tutti quanti i pubblici configurabili. Parlare di "pubblico", significa infatti riferirsi ad una categoria di marketing. Ogni rete ha la sua missione e non deve intersecarsi con le altre; ogni rete, inoltre, persegue obiettivi dettati dal consiglio di amministrazione, per cui non può assolvere a tutte le esigenze, domande, imperativi categorici che voi avete posto questa sera.
Ho fatto volutamente un accenno all'estetica. Quando viene posto il problema delle tribune politiche, non si può non sentire come in televisione cali il bianco e nero... Siamo in Bulgaria! Improvvisamente, il televisore a colori si trasforma in bianco e nero...
ENRICO JACCHIA. Ma così Angela Buttiglione si suicida!
CARLO FRECCERO, Direttore di RAIDUE. Ricordo le tribune politiche di questi ultimi anni: da una parte, si assisteva alla decomposizione della politica e, dall'altra, si svolgeva questo rituale. Si comprende bene come si tratti di un qualcosa di estremamente stridente. Questo è un problema che spetta a voi risolvere. Io vi mostro soltanto il modo in cui va fatta la televisione. Non posso fare altro, altrimenti dovrei svolgere un lavoro diverso, che probabilmente sarebbe anche interessante. In questo momento, però, il mio lavoro è un altro, purtroppo (non sono mai contento, a dire il vero)!
Il vero problema è quello di decidere se si debbano introdurre, così come fa il medico, una serie di prescrizioni. Farò un riferimento alla Francia, con la consapevolezza che ciò comporterà un po' di angoscia in certi gruppi politici. In particolare, vorrei sottolineare come il Consiglio superiore dell'audiovisivo abbia non soltanto la responsabilità del servizio pubblico ma sovraintenda a tutto il sistema. In un sistema bipolare, ragazzi miei, non si deve controllare e minutare e si dovrebbe dire che non c'è la possibilità di effettuare alcun minutaggio, né quella di avere l'Osservatorio di Pavia, che oltretutto - lo preannuncio in questa sede - formerà materia di una parodia in un prodotto della Rete 2! Giustamente, voi chiedete che vi sia un conteggio; su questo punto sono d'accordissimo perché credo che si debba essere molto attenti, anche perché è sempre meglio che il più forte cancelli il più debole. Sta di fatto che tutto questo affollarsi al centro - lo dico con molta onestà intellettuale - porta a dimenticare le periferie, cosicché, quando si dà spazio a queste ultime, qualcuno grida allo scandalo. Bisogna evitare, come succedeva qualche anno fa, che il politico scopra improvvisamente che il paese è cambiato. E' necessario mostrare gli estremi di questa pancia dell'Italia. Non scandalizzatevi se a volte c'è un giovane che dice una parolaccia o qualcuno che non rientra nei canoni di quella televisione in bianco e nero, bulgara, che oggi fa tanta tenerezza. Purtroppo, queste cose ci saranno ancora; ma è meglio dare visibilità a tutto piuttosto che nascondere. Lo dico anche perché il vero problema oggi è non tanto quello del confronto fra destra e sinistra bensì del rapporto tra politica ed impolitica. L'esigenza è quindi di fare in modo che la televisione possa essere d'aiuto a tutti per comprendere il corpo sociale.
GIOVANNI MINOLI, Direttore di RAITRE. Dopo la lezione del professor Freccero, non potrò che essere breve, anche in considerazione dell'ora tarda. Concordo con Freccero sull'immagine "in bianco e nero" delle tribune: sarebbe come se i giornali di partito chiedessero ai giornali di opinione di non uscire, per vendere. E' evidente che, se si vuole rimanere sul mercato, la creatività nostra, della signora Buttiglione e di quanti altri, sta nel cercare di rendere appetibile ciò che è indigesto. Del resto, si tratta di un problema di sempre. Credo anzi che in occasione delle ultime elezioni la RAI abbia fatto un passo avanti rispetto a questo punto di vista, con programmi che, rispettando le regole dell'esatta partecipazione minutata, hanno inventato qualche formula sul tematico, introducendo tribune rispondenti alle esigenze tematiche. Si può quindi avere fantasia anche in questa direzione. Quanto alla domanda sulle produzioni di non fiction, questo è un discorso che abbiamo cominciato con parecchie televisioni internazionali; cito la NBC, la Turner ed anche Discovery, canali tematici con i quali produciamo alcune ore significative sulla guerra fredda, sull'astronomia e su temi storici. La specializzazione di una linea di produzione della terza rete è proprio quella di Top secret: i gialli della storia, dei problemi della storia; in questo stiamo associandoci agli historic channels che sono in circolazione nel mondo, perché l'apertura di moltissime cineteche porta oggi in emersione materiali interessanti che possono essere usati per fare chiarezza su molti fatti storici.
A Giulietti rispondo sulla linea della specializzazione dei centri, sulla quale avevo detto qualcosa. Credo profondamente che questa sia una strada industriale percorribile, seria, nella ricerca di giovani talenti, di giovani professionisti da immettere sul mercato della professionalità, per realizzare quella fiction italiana di cui tutti parlano ma che non si vede ancora molto sui teleschermi. Citavo proprio l'esempio del serial drama, del teleromanzo che stiamo realizzando a Napoli, perché lì ci sono in concreto 300 giovani che con un certo turn over stanno cominciando ad imparare a scrivere quello che la serialità industriale televisiva impone. Da quello che so, la direzione della fiction, proprio mutuando qualcosa da questa esperienza, sta già pensando a quei prodotti sostitutivi per la prima serata che dovranno necessariamente apparire all'orizzonte quando il cinema internazionale o i tv movies di maggiore o minore qualità che attualmente vediamo sui nostri teleschermi dovranno per forza sparire, per dare corso a quel rinnovamento di offerta di fiction che è necessario. La RAI come servizio pubblico prima di tutte dovrebbe porsi il problema di fare questo rinnovamento nell'offerta di fiction di prima serata. E' molto interessante, perché lì nasce proprio il laboratorio di queste professionalità, non semplici da creare, necessarie ma complesse, che richiedono tirocini lunghi, selezioni forti e l'esperienza insegna che ci vuole del tempo per formarle. Questo tema è molto interessante e riguarda anche il discorso della formazione.
Per quanto riguarda il discorso di Paissan sul pluralismo produttivo, credo che intanto esistano regole all'interno della RAI abbastanza precise; su questo si fa moltissima demagogia. Spesso è uno strumento di lotta personale ed anche politica, sovente smentito da sentenze di tribunali, che riconoscono l'infondatezza di molte valutazioni. Le regole interne dell'azienda sono abbastanza rigorose da questo punto di vista. Nelle due peraltro brevi esperienze che ho fatto di direzione di rete ho potuto vedere che la quantità di società che circola all'interno dell'universo che si occupa di prestare servizi aggiuntivi a quelli interni dell'azienda è molto numerosa e la rotazione è abbastanza ampia e garantita da regole. E' anche vero che esiste molto "quaquaraqua" in questo tipo di società, cioè la selezione secondo me può essere elevata. Credo che se fosse realizzata una ristrutturazione dell'azienda - esprimo un'opinione assolutamente personale - si potrebbe adottare un modello come quello che portò nel 1975 in Francia alla nascita della SBP: intorno alla specializzazione necessaria della SBP per stare sul mercato, si formarono delle società ad alto valore aggiunto, tecnologico o professionale, nei singoli segmenti di mercato, che razionalizzarono e fecero abbastanza pulizia di tutto quello che circolava prima. Credo che le conseguenze della ristrutturazione del sistema porteranno ancora ulteriore chiarezza. Però, le regole esistono e sono precise. Le gare di appalto sono obbligatorie, a certe condizioni. E' anche vero che esistono delle specificità di alcune società, che maturano delle professionalità maggiori di altre in alcuni settori e secondo me è giusto, perché la qualità del prodotto richiede anche che sia valorizzata la capacità di investire nella propria specializzazione.
Per quanto riguarda la domanda più impegnativa, posta dall'onorevole Romani ed anche da Falomi e Lombardi (tre facce dello stesso problema), certamente esprimo l'angoscia di chi sente il senso di responsabilità rispetto alla necessità di coniugare questi tre corni del problema che sono in equilibrio dialettico. Credo che non esista la formula certa e vincente che dia risposte impeccabili a ciascuno dei rappresentanti dei tre corni del problema. Ritengo che sia frutto di una alchimia complessa e dialettica. Per fortuna esistono luoghi di formazione della decisione sul fare questo o quel programma, in base ad indirizzi che si sono ricevuti, ad obiettivi che si hanno, sia di ascolto sia di prevalente specificità di indirizzo delle reti. Questa dialettica è complessa, molto sofferta e però esiste. La definizione degli obiettivi di ciascuna rete in qualche modo offre anche occasioni in più in una direzione rispetto ad un'altra perché certamente, per esempio, una rete come la mia, che deve fare il 10 per cento di ascolto in prime time per dare il suo contributo all'insieme del successo della RAI, ha delle possibilità e degli obblighi secondo me maggiori sul versante del servizio, sul versante dell'attenzione totale al telespettatore cittadino più che al telespettatore consumatore. E' chiaro che il telespettatore consumatore in qualche modo dovrà essere un pochino più sedotto dagli obiettivi di ascolto delle altre reti, pur tenendo conto che il giudizio complessivo si basa sulla valutazione complessiva dei palinsesti, che hanno la fortuna di poter essere cambiati abbastanza ed abbastanza rapidamente, pur entro certi limiti. L'esempio della prima rete descritto da Tantillo mi sembra un segno forte, cioè abbastanza rapidamente si vedono le conseguenze di un'offerta piuttosto clamorosa nella sua diversità. Quindi, l'unione della ricerca sofferta delle motivazioni delle scelte al conflitto - intellettualmente onesto, non pregiudiziale e non partitico, ma sicuramente motivato - costituisce una dinamica che sicuramente è per noi lo stimolo maggiore. Ritengo che sia da favorire questa dinamica, sapendo che c'è anche la possibilità di cambiare, perché la RAI non è una fabbrica come quella di Melfi, per cui una volta impiantata, se costruisce la Punto e se questa non si vende più, è più difficile cambiare. In televisione si può cambiare, si cambia, cambiamo e lo si può anche fare grazie alle critiche intelligenti e costruttive che si ricevono.
STEFANO GIGOTTI, Direttore dei programmi radio. C'è una diversità sostanziale fra l'organizzazione delle reti televisive e quella delle reti radiofoniche; non a caso le reti televisive hanno tre direttori e quelle radiofoniche ne hanno uno solo.
Mi è piaciuta l'immagine di Freccero che sintetizza un po' il nostro dibattito, che non concluderemo certo stasera, perché non credo che riusciremo a risolvere mai i problemi deontologici e della definizione del pluralismo. Mi piace la sua affermazione secondo cui il servizio pubblico si qualifica con la capacità di rispondere a tutti i segmenti della società: questo è il servizio pubblico. Questo è il modo in cui lavoro io; potrò sbagliare ma adesso voglio fare anch'io delle affermazioni di tipo soggettivo, senza volare alto. Nessuna opinione secondo me deve essere sopportata o marginalizzata, ma dobbiamo dare spazio a tutti. Forse per la radio RAI è più facile, perché stiamo uscendo dal concetto di radio generalista e stiamo spingendo sull'acceleratore delle radio tematiche, anche se sappiamo bene - ho letto i resoconti stenografici dei dibattiti sulla radio svoltisi in questa Commissione parlamentare - che negli altri paesi le radio tematiche hanno una pluralità di canali, non soltanto tre. Si tratta di mettere in piedi un canale istituzionale, un canale di servizio, un canale di servizi locali, ed altri; se facciamo riferimento alla Francia, si tratta di sette-otto canali più non so quante decine di segnali regionali e lo stesso avviene in Germania ed in altri paesi. Invece, come dicevo prima, ci troviamo nella condizione che non siamo nemmeno ascoltati come radio nazionale. Ripeto che questo mi sembra un problema del quale la Commissione parlamentare si deve occupare con una certa urgenza se ha a cuore le ragioni di un servizio pubblico radiofonico che ha tutta la volontà di continuare ad esistere.
Allora, come si risponde a questa enunciazione di principio? Con una articolazione del palinsesto, che per noi è più facile essendoci un solo direttore del giornale radio ed un solo direttore dei programmi. Abbiamo dato una vocazione precisa alle reti. La radio 1 è quella dell'informazione e dell'intrattenimento comunque informativo, che potrebbe avere come slogan "un titolo per saperne di più". La radio 2, pur avendo una caratterizzazione forte sull'intrattenimento, sulla musica, sulla compagnia e sulla società, mantiene anche altri prodotti; è la radio di tutti, è la radio che dovrebbe avere al suo interno tutte le offerte che poi dovrebbero andare sui canali tematici. La radio 3 è la radio della divulgazione culturale, del grande progetto di divulgazione culturale di massa.
All'interno di ogni rete forse viviamo meno i problemi della commistione tra varietà e informazione politica; abbiamo razionalizzato l'offerta e dobbiamo rispondere a tutti i segmenti della società.
Rispondo all'onorevole Lombardi che faceva riferimento ai valori, che sono assolutamente presenti nella nostra programmazione. Abbiamo fatto fili diretti sulla condizione dei bambini, sul rapporto fra i bambini e la comunicazione radiotelevisiva, attraversando orizzontalmente tutte le reti, in tutti i programmi (varietà, intrattenimento, musica ed informazione), con queste tematiche. In tal modo, abbiamo svolto un grande servizio. Lo stesso abbiamo fatto in occasione della giornata mondiale sulla fame, quando abbiamo spezzato i palinsesti per svolgere anche riflessioni su queste tematiche. Poi, abbiamo tutta una serie di prodotti sulla rete 1 per rispondere alle esigenze di tutti i cittadini. Abbiamo trasmissioni quotidiane, oltre a Ombudsman che ho già citato. Abbiamo Radio help sul volontariato, Permesso di soggiorno che si rivolge agli immigrati, Nonsoloverde, cioè una trasmissione quotidiana che tocca tutti i delicati problemi dell'ambiente, che si va sempre più deteriorando (per cui occorre che la RAI presti attenzione su queste tematiche), Mediterraneo, che raccoglie tutte le culture di riferimento del nostro paese, Diversi da chi, un'altra trasmissione che si rivolge ai portatori di handicap. Credo perciò che, su questo piano, la radio non abbia di che pentirsi sul piano della risposta fornita dal servizio pubblico.
Rispondo al vicepresidente Paissan sulle produzioni. Sottolineo, perché dovete saperlo, che la radio non fa appalti, facendo solo autoproduzione, nel senso che produce tutto all'interno. Ma questo non significa fare tutto a Roma, perché la scelta strategica che abbiamo voluto compiere è stata quella di un forte decentramento produttivo. Cito alcuni dati: la sede di Torino ha due programmi, uno quotidiano e l'altro, molto corposo, settimanale; quella di Milano ha una pluralità di programmi, per quattro ore al giorno, più due trasmissioni il sabato e una la domenica, di lunga durata; quella di Firenze si occupa di programmi di orientamento universitario (con il programma Learning); abbiamo anche un programma che mette in relazione le comunità italiane all'estero con il nostro paese; la sede di Napoli si occupa di tutta le filodiffusione. Non cito la produzione di concerti perché, essendo diffusi in tutto il paese, le riprese esterne si svolgono dappertutto. La produzione di concerti della terza rete radiofonica è molto cospicua.
L'onorevole Giulietti ha fatto riferimento al tipo di cultura. Ricordo che sono tutti prodotti che si stanno avviando in questi giorni e il palinsesto è stato fortemente rivoluzionato. Stiamo compiendo anche operazioni di tipo culturale. Per esempio, trasmettiamo un grande viaggio con Federico Zeri nel patrimonio artistico e culturale del nostro paese. La radio, la sorella cieca della televisione, farà anche vedere i musei, perché all'ascoltatore sarà possibile collegarsi attraverso Internet con un sito che consentirà di visualizzare le opere d'arte illustrate a voce da Federico Zeri. Un'altra operazione suggestiva è quella di compiere, con una grande produzione che impegnerà il palinsesto per tutto l'anno, una rilettura del costume del nostro paese (un "come eravamo e come siamo") attraverso il messaggio cinematografico, sfruttando le voci, gli effetti e le suggestioni del cinema trasmessi via radio per raccontare l'evoluzione del costume. Credo che la complessità e l'articolazione del palinsesto di radio RAI ci metta al riparo da critiche, anche se possiamo sbagliare.
Vorrei infine rispondere agli onorevoli Falomi e Romani, che hanno posto un problema serio. Ci hanno detto che sì, facciamo tante cose, ma poi chi è che controlla? Ma il nostro è un prodotto collettivo, non c'è qualcuno che si inventa il prodotto: vi è un'articolazione nell'organizzazione del prodotto, e all'interno delle strutture di radio RAI non si attua un'omogeneizzazione delle idee. Pertanto, vi sono pesi e contrappesi che emergono nel dibattito nel momento in cui si allestisce un programma. Inoltre, aggiungo che vi è la consapevolezza che gli operatori del servizio pubblico avvertono questo impegno etico (come del resto accade a me, che opero nel servizio pubblico da venticinque anni) per rispondere compiutamente al diritto del cittadino di essere informato correttamente.
Infine, osservo che non credo che un ennesimo codice o un'ulteriore normazione in materia che piova dall'alto possano contribuire a migliorare la libertà complessiva del sistema. Come ho già detto, credo più alla capacità di autonormazione di tutte le categorie, dei giornalisti come degli operatori della comunicazione. Mi scuso per la lunghezza dell'intervento, ma sono stati molti i suggerimenti ai quali ho avuto piacere di rispondere.
PRESIDENTE. Ringrazio i direttori della loro presenza. Ricordo che il seguito della discussione generale in materia di pluralismo avrà luogo, come convenuto, in altra seduta.
La seduta termina alle 22,25.