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CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA

XIII LEGISLATURA

COMMISSIONE PARLAMENTARE

PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA

DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI

3.

SEDUTA DI MARTEDI' 8 OTTOBRE 1996

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO STORACE

INDICE

Discussione sui poteri e sulle competenze della Commissione

La seduta comincia alle 10,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Essendo pervenuta la richiesta da parte del prescritto numero di componenti la Commissione, dispongo, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del regolamento della Commissione, che la pubblicità dei lavori della seduta sia assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Della discussione di questo punto all'ordine del giorno della seduta odierna sarà altresì redatto il resoconto stenografico.

Discussione sui poteri e sulle competenze della Commissione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sui poteri e sulle competenze della Commissione.

Come era stato concordato in sede di ufficio di presidenza, l'avvio a questo punto dell'ordine del giorno sarà dato da una mia relazione, che parte da una domanda posta dal senatore Folloni nella seduta in cui fu ascoltato il consiglio di amministrazione della RAI e che è riassuntiva di tutte le questioni emerse. Il senatore Folloni domandava: "Quali poteri ha questa Commissione nei confronti della RAI? Credo che dovremo dedicare una sessione a discutere di questo" - leggo le parole di Folloni - "cioè di come riappropriarci di un ruolo che oggi di fatto è vanificato. La struttura che seguiremo è quella paradossale (ma neanche tanto) possibilità di trasferire tutti i compiti di vigilanza alla costituenda authority, e quindi di far cessare il ruolo di questa Commissione?" Sono domande che sorgono dalle dichiarazioni rese dal presidente e dal direttore generale della RAI.

Questo è l'interrogativo principe attorno al quale ha ruotato il dibattito tanto in sede di ufficio di presidenza quanto nel corso dell'audizione dei vertici della RAI, e sul quale intendo soffermarmi con la relazione che mi scuso se non sarà breve, tenuto conto che c'è la necessità di puntualizzare alcune questioni sulle quali chiamerò poi a discutere i membri della Commissione per poterne poi riferire - così come è stato deciso in ufficio di presidenza - anche ai nostri interlocutori naturali.

A beneficio dei membri della Commissione che non fanno parte dell'ufficio di presidenza chiarisco che in quella sede era stato proposto che il presidente si autodelegasse a rappresentare, sulla base delle risultanze già note, la situazione di difficoltà nell'accertare le rispettive responsabilità tra Commissione di vigilanza, RAI, Presidenti delle Camere e vertici dell'IRI. Ho rifiutato questa impostazione perché chiedo che la Commissione si esprima, attraverso la voce dei suoi commissari, in modo da poter riferire poi ai Presidenti delle Camere e agli altri soggetti che ho prima indicato sulla situazione attuale e capire come si può intervenire per dare chiarezza al problema delle nostre competenze.

Inizio la mia relazione dichiarando che il tema all'ordine del giorno della Commissione nella seduta di oggi non è agevole da svolgersi, né dal punto di vista giuridico-formale, né sotto il profilo politico. La questione di quanto siano estesi i poteri di questa Commissione, in materia di indirizzo generale e di vigilanza dei servizi radiotelevisivi, è dibattuta da tempo, e questa stessa Commissione, all'inizio di ognuna delle otto legislature che ha sinora vissuto, non ha quasi mai mancato interrogarsi quasi ritualmente sul contenuto e sui limiti delle proprie funzioni. Alle difficoltà iniziali, dovute al significato non specifico che hanno i termini "indirizzo e vigilanza" sotto il profilo giuridico, si sono aggiunte quelle derivanti dalla normativa successiva al 1984, che ha ridimensionato il ruolo complessivo della nostra Commissione (basti pensare che, dal 1993, le è stata sottratta la nomina del consiglio di amministrazione della RAI, perno politico di molte attribuzioni) e ha svuotato questi termini di molti dei contenuti concreti nei quali essi si attuavano.

Tuttavia queste difficoltà, che non sono solamente interpretative, non possono indurre la Commissione a rinunciare ai compiti che le sono affidati dalla legge. Ritengo anzi che si possa convenire sulla circostanza che, pur tenendo nel massimo conto non solo i limiti previsti dalla legge, ma anche quelli risultanti dalla prassi formatasi sino a questo momento (peraltro alla prassi non può sempre essere riconosciuta la medesima forza della legge), sia interesse di tutta la Commissione quello di dare alle norme che disciplinano i suoi poteri l'interpretazione più idonea a dare risalto agli stessi, e garantire il ruolo complessivo della Commissione. L'eventuali e legittime ragioni di carattere politico che possono di volta in volta indurre la Commissione, nella sua dialettica interna, a dare un taglio specifico ai propri interventi, non possono infatti spingersi fino a condizionare l'interpretazione giuridica delle norme che ne stabiliscono le funzioni: tale interpretazione - spero che ne converranno tutti i colleghi - deve essere quanto più possibile estesa ben inteso entro i limiti del lecito e del ragionevole, nell'interesse esclusivo dell'intera Commissione, in relazione alla dialettica, esterna alla Commissione stessa, del dibattito politico in materia di servizi radiotelevisivi.

Infatti, per quanto la legislazione posteriore alla riforma del 1975 abbia modificato i nostri poteri, un punto di questa è rimasto indiscusso: e cioè la necessità che l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi siano affidate al Parlamento, in quanto massima espressione istituzionale delle forze politiche e sociali del paese, e massima garanzia del pluralismo delle voci da tali forze rappresentate. Lo strumento operativo del Parlamento, a questo proposito è stato individuato nella nostra Commissione: la difesa di un'interpretazione dei poteri della Commissione che risulti, all'occorrenza, anche un'interpretazione estensiva, equivale pertanto alla difesa delle prerogative del Parlamento stesso.

Ciò premesso, menzionerò distintamente sia le funzioni specifiche attribuite alla Commissione, e le principali questioni interpretative che le caratterizzano, sulle quali i colleghi si pronunceranno, sia i poteri effettivi di cui la Commissione è dotata per garantire l'attuazione pratica di tali funzioni. Per comodità espositiva inizierò dalle attribuzioni di funzioni specifiche - e tra queste, da quelle che presentano minori difficoltà interpretative -, lasciando per ultima la problematica definizione dei termini "indirizzo generale" e "vigilanza", che è connessa con la questione della effettività dei poteri.

Prima di ciò, è il caso di fare presente che la Commissione si occuperà in via principale, almeno per il momento, esclusivamente della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, la RAI: eventuali audizioni di esponenti di radiotelevisioni private avranno carattere incidentale, se deliberate dall'ufficio di presidenza, ai fini di una migliore comprensione del ruolo del servizio pubblico. Questa precisazione non è del tutto scontata, come potrebbe apparire. La legge 14 aprile 1975, n. 103, che ha istituito questa Commissione, indica infatti all'articolo 1 sia le finalità di interesse pubblico cui devono ispirarsi tutte le attività radiotelevisive, sia i principi, all'epoca assai più penetranti rispetto a tali finalità, cui si ispira in particolare il servizio pubblico. L'attuazione delle finalità generali, ed il rispetto dei principi specifici, sono da valutarsi, entrambi, da parte della nostra Commissione, che in base a questa norma, mai abrogata, risulterebbe quindi titolare di alcune competenze anche in materia di radiotelevisione privata. Ovviamente, come i colleghi sanno bene, la legislazione successiva ha progressivamente esteso anche alla radiotelevisione privata i principi propri del servizio pubblico, istituendo inoltre un organo - il Garante per la radiodiffusione e l'editoria - cui sono affidate funzioni relative anche a competenze prima spettanti alla Commissione. Però, l'attuale ripartizione di competenze, che vede affidati al Garante i controlli sulle emittenti private, e dalla Commissione la vigilanza sulla radiotelevisione pubblica, non è disposta espressamente da alcuna norma, ma solo ricavata da una prassi attuativa della legislazione vigente. In astratto, quindi, come il Garante potrebbe esercitare alcune sue attribuzioni nei confronti della RAI, così anche alla Commissione potrebbero restare attribuite alcune funzioni - ad esempio, di vigilanza - nei confronti delle emittenti private. Tuttavia, converranno i colleghi che tale questione non rientra tra quelle più urgenti.

Passando all'esame delle singole competenze della Commissione, non recano particolare difficoltà interpretative alcuni pareri che la Commissione è chiamata a rendere in relazione allo schema di convenzione tra ministro delle poste e RAI circa l'affidamento del servizio pubblico radiotelevisivo; agli schemi dei contratti di servizio attuativi della convenzione stessa (articolo 4 della legge n. 206 del 1993, modificato dall'articolo 1 del decreto-legge detto "salva RAI"); e dagli schemi di modifica dello Statuto della RAI (articolo 5 del decreto legislativo n. 428 del 1947). Su tali funzioni le norme e la prassi sono chiare ed univoche: sottolineerei soltanto l'opportunità che la Commissione, conformemente alla prassi delle Commissioni legislative, richieda la presenza del Governo al relativo dibattito, pur restando fermo che l'eventuale assenza di un rappresentante dell'esecutivo nella seduta non impedisce alla Commissione di deliberare.

Parimenti del tutto pacifiche risultano le più rilevanti attribuzioni della Commissione in materia di tribune e di accesso: altrettanto pacifica è la circostanza che per entrambe le funzioni la Commissione è dotata di una potestà di disciplina diretta sulle relative trasmissioni, estesa, per prassi costante, sino allo stabilirne anche le modalità operative (quali orario, rete di trasmissione, numero dei partecipanti, modalità di intervento, trasmissione in diretta ovvero in differita, e così via) allorché la Commissione lo ritiene opportuno. E' altresì costante la prassi di richiedere la presenza di un responsabile della RAI nelle sedute nelle quali si assumono tali deliberazioni (nonostante, anche in questo caso, l'eventuale assenza di tale rappresentante non pregiudichi le deliberazioni). Come i colleghi sanno, per le trasmissioni dell'accesso è prevista l'attività di un'apposita sottocommissione, che sarà mia cura istituire non appena perverranno le designazioni dei gruppi.

Nella seduta di giovedì 3 ottobre scorso l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha ascoltato la responsabile delle Tribune e dei servizi parlamentari della RAI; nel corso della riunione sono state formulate alcune proposte per la realizzazione di tribune politiche tematiche, che ho già portato alla conoscenza dei colleghi, e che saranno prossimamente oggetto di attenzione da parte della Commissione.

Le questioni relative alle tribune elettorali si connettono poi con alcune competenze più generali attribuite alla Commissione circa il contenuto di tutte le trasmissioni in periodi di campagna elettorale. Esse sono disposte principalmente dagli articoli 1, 2, 5 e 6 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, che conta un solo precedente applicativo di rilievo (quello delle elezioni politiche del 1994) perché tali disposizioni restarono a lungo non applicabili per effetto del decreto-legge detto della par condicio tra le forze politiche, che le aveva abrogate a partire dal marzo 1995, e sino al luglio scorso, allorché tale decreto, decaduto per mancata conversione nei termini, non fu più reiterato. Questa normativa consente alla Commissione di integrare la disciplina diretta prevista per le tribune, nei periodi elettorali, con prescrizioni che garantiscano ai movimenti politici idonei spazi di propaganda nell'ambito del servizio pubblico televisivo in condizioni di parità tra loro; una potestà di disciplina diretta è inoltre attribuita alla Commissione in relazione a tutti i programmi che riguardano specificamente l'informazione elettorale e le relative rubriche.

Per quanto concerne il piano editoriale della RAI, del quale si è discusso anche nella riunione dell'ufficio di presidenza dello scorso primo ottobre, riterrei opportuno confermare la prassi per la quale la Commissione ne valuta la corrispondenza nei propri atti di indirizzo, come è già avvenuto, per il piano redatto dal consiglio Moratti, nella seduta del 4 ottobre 1994. Seguirà l'esame delle successive relazioni bimestrali che riferiscono sulla sua attuazione, in occasione delle quali la Commissione ha la facoltà (articolo 7 del decreto "salva RAI") di formulare proposte motivate alla RAI. Ritengo che il sistema individuato dalla legislazione attualmente vigente, cioè quello costituito da un piano editoriale seguito da una relazione periodica sulla sua attuazione, sia valido, e che pertanto sia compito della Commissione di sfruttarne a pieno le potenzialità, come sinora solo in parte è stato possibile fare. L'appuntamento bimestrale per i vertici della RAI, in occasione della presentazione di ciascuna relazione, dovrà quindi diventare permanente (la prassi della passata legislatura è già decisamente orientata in tal senso) e la Commissione dovrà anche fare in modo da individuare alcuni contenuti tipici della relazione (la cui formulazione già presenta uno standard relativamente costante) i quali dovranno essere necessariamente contenuti in ogni edizione successiva.

Altra funzione che, nonostante non sia svolta dal 1989, resta pacificamente attribuita alla Commissione, è quella della elaborazione ed approvazione di una relazione annuale al Parlamento. Ritengo sia intenzione unanime di tutti i colleghi di tornare a svolgerla, anche perché ciò si configura come adempimento di un preciso obbligo di legge; tuttavia, poiché tali relazioni hanno natura di consuntivo dell'attività svolta dalla Commissione (la quale riferisce anche sull'attività della RAI), la redazione di questo documento dovrà essere presa in considerazione successivamente.

Qualche difficoltà interpretativa è invece presentata dai pareri che la Commissione dovrebbe esprimere sulla programmazione annuale dei programmi per l'estero (articolo 19 della legge n. 103 del 1975), e sui rimborsi chiesti dalla RAI ad alcuni enti pubblici per l'effettuazione di specifici programmi (ad esempio trasmissioni in lingua estera in alcune zone di confine: articolo 20, ultimo comma, della medesima legge n. 103). Queste funzioni non risultano infatti svolte da molto tempo, e si deve verificare se l'evoluzione della normativa non ne abbia precluso l'esercizio. Le norme di legge che ho appena citato non risultano però formalmente abrogate: relativamente alla prima funzione, proporrei che le programmazioni oggetto di parere ai sensi di tale norma siano menzionate nel piano editoriale, e quindi nella relazione bimestrale, dando in tal modo alla Commissione la possibilità di seguire l'attività della RAI in proposito, ed eventualmente, pronunciarsi nel merito. La medesima procedura potrebbe essere seguita anche per la seconda questione, con lo strumento di menzionare specificamente nella relazione bimestrale tutti i casi in cui si dà luogo al rimborso di denaro pubblico nei confronti della RAI per la produzione di programmi speciali, indicando naturalmente il contenuto dei programmi stessi.

Parimenti, nel medesimo piano editoriale potrebbero essere fatte rientrare le competenze sui piani di massima della programmazione annuale e pluriennale, tuttora previste dall'articolo 4, comma primo, capoverso quinto, della legge n. 103 del 1975.

Dubbi sono anche sollevati in rapporto alla possibilità di emanare indirizzi relativi ai messaggi pubblicitari, ed alle analisi dei contenuti dei messaggi radiotelevisivi e dei dati di ascolto (articolo 4, primo comma, capoversi, rispettivamente, quinto e sesto, della legge n. 103 citata). Tuttavia la seconda funzione, cioè l'analisi dei contenuti dei messaggi e dei dati di ascolto, ancorché non svolta da tempo direttamente dalla Commissione, trova applicazione attraverso l'esame dei dati redatti da istituti specializzati (quali l'osservatorio dell'università di Pavia, ed altri) in riferimento a specifici programmi, e, avendo carattere istruttorio rispetto a future eventuali deliberazioni della Commissione, non sembra poter essere preclusa in alcun modo. Per quanto riguarda invece eventuali indirizzi relativi ai messaggi pubblicitari, la materia è ora disciplinata da alcune norme di legge (in primo luogo l'articolo 8 della legge Mammì n. 223 del 1990) i quali contengono prescrizioni relativi ai contenuti dei messaggi stessi. Restando, quindi, all'interno dei limiti contenutistici tracciati dalla nuova legislazione, alla Commissione non dovrebbe essere preclusa la possibilità di emanare atti di indirizzo relativi ai contenuti della pubblicità televisiva, tenendo ovviamente conto di alcune competenze che in proposito sono affidate al Garante, e della preclusione di regolamentare i risvolti economico-gestionali della risorsa pubblicitaria, che risulta dalla normativa successiva (in particolare, i commi 16 e 18 del citato articolo 8 della legge Mammì).

Altra norma mai espressamente abrogata, ma che non sembra essere mai stata applicata dalla Commissione, è quella dell'articolo 12 della legge n. 103 del 1975, secondo la quale la Commissione, qualora accerti che le spese della RAI superano di oltre il 10 per cento le entrate previste a bilancio nel corso di un esercizio, nomina a maggioranza qualificata, un collegio commissariale in sostituzione del consiglio di amministrazione. In questo caso, tuttavia, la successiva evoluzione legislativa, potrebbe accreditare la tesi della abrogazione tacita di tale norma, anche perché le ipotesi di sostituzione del consigli di amministrazione e del direttore dell'azienda sono oggi diversamente individuate. Per tale ragione, ritengo che la questione della permanenza di tale norma nell'ordinamento giuridico possa essere, almeno per il momento, accantonata.

Le competenze prima indicate, ed in particolare la piena attivazione del circuito decisionale rappresentato dal piano editoriale, dalle relazioni periodiche sulla sua attuazione, e dalle proposte motivate della Commissione in ordine al rispetto delle linee e degli obiettivi, riempiono in tal modo di contenuti la funzione di indirizzo generale di cui si è detto prima. A questa somma di competenze più o meno specifiche, si aggiunge inoltre, la circostanza che la potestà di emanare indirizzi generali è implicitamente prevista anche dalla norma, cui pure prima ho fatto riferimento, che espressamente riferisce il Piano editoriale agli indirizzi emanati dalla Commissione di vigilanza (articolo 2, comma 5, della legge 206 del 1993).

Pertanto, il circuito decisionale cui prima ho fatto riferimento, attribuisce alla volontà della Commissione un ruolo determinante nell'individuazione del taglio complessivo da dare all'intera attività della RAI: tale volontà deve però essere espressa o nella forma di un atto di indirizzo, ovvero in quella (equiparata alla prima nella previsione di una maggioranza qualificata) della proposta motivata, formulata in sede d'esame della relazione bimestrale.

Il potenziamento di questo circuito decisionale consentirebbe quindi di salvaguardare molte delle attribuzioni della Commissione, attuando nel contempo le previsioni di alcune novelle legislative.

Dobbiamo a questo punto esaminare la questione di quanto possano essere estesi i poteri della Commissione circa la valutazione del seguito dei propri atti: ovvero, in una parola, di quanto possano essere estesi i suoi poteri di vigilanza.

Questo termine è stato sempre interpretato, anche in passato, nel senso di escludere un vero e proprio controllo amministrativo della Commissione sull'operato della RAI e sui contenuti delle sue trasmissioni (altrimenti la norma avrebbe esplicitamente adoprato il termine "controllo", o altro equivalente). Ciò si legge anche nelle prime relazioni annuali della Commissione al Parlamento, ove la Commissione stessa si preoccupa di evitare che la propria azione di vigilanza possa condurre a censure, specie preventive, sui programmi della RAI, o anche solo ad un eccessivo particolarismo della sua azione: piuttosto sarebbe preferibile creare una sorta di flusso circolare delle informazioni tra Commissione ed organi direttivi della RAI (oggi si direbbe forse un feedback). Tuttavia, l'attività di vigilanza era ugualmente ritenuta indispensabile, e, non essendo i suoi contenuti espressamente previsti dalla lettera della norma legislativa, fu redatta una specifica norma regolamentare. Gli attuali articoli 17 e 18 del regolamento interno, difatti, indicano una serie di possibilità per la Commissione di richiedere notizie e documenti, indagini e studi alla RAI, effettuare visite nelle sue sedi (peraltro d'intesa col presidente della società concessionaria), ascoltarne senza particolari formalità i dirigenti ed i vertici.

Queste possibilità non sono state sempre usate per intero. Al di fuori dei casi delle audizioni, difatti, la via più utilizzata per attivare la vigilanza della Commissione sulla RAI è stata quella del seguito da dare, o da non dare, alle varie segnalazioni che, come i colleghi sanno, pervengono al presidente della Commissione in rapporto all'attività della concessionaria, da parte sia di componenti della Commissione stessa, sia di altri parlamentari, di altre istituzioni o uffici dello Stato (talvolta gli stessi ministri), o dai privati cittadini, alcuni dei quali possono essere anche dipendenti o collaboratori della RAI. Queste segnalazioni o proteste sono state sinora vagliate, nella loro ammissibilità e verosimiglianza, nella sede dell'ufficio di presidenza, e se del caso inoltrate alla RAI affinché, rispondendo alla Commissione, renda note le ragioni di alcuni suoi orientamenti. Questo strumento può essere potenziato e valorizzato, perché può risultare aderente alla nozione di vigilanza, così come prevista dallo spirito della legge n. 103 del 1975.

Tale procedura necessita però di ulteriori formalizzazioni. In primo luogo, si deve valutare l'opportunità di accordare una sorta di corsia preferenziale (in tal senso era anche un suggerimento emerso nel corso di uno degli ultimi uffici di presidenza) alle segnalazioni e proteste che provengono da colleghi parlamentari, anche non facenti parte della Commissione. Le loro segnalazioni, difatti, oltre ad essere più agevolmente valutabili per via della provenienza, possono presentare analogie con i vari strumenti di sindacato ispettivo comune che ogni parlamentare ha facoltà di rivolgere al Governo, ma che per le specifiche questioni inerenti la RAI devono frequentemente essere considerate inammissibili (poiché frequentemente il Governo, destinatario dell'interrogazione o interpellanza, non ha dirette competenze in materia, e si ritiene quindi non possa essere considerato responsabile delle questioni relative). La Commissione, invece, individua a questi fini il proprio interlocutore direttamente nel vertice della RAI: a tal fine, si può auspicare sia adeguatamente divulgata la possibilità per i colleghi parlamentari, anche non membri della Commissione, di azionare così la Commissione, specie nel momento in cui i colleghi vedono sanzionata di inammissibilità la proposizione di un loro atto di sindacato ispettivo.

In secondo luogo, è possibile convenire che, indipendentemente dalla risposta della RAI, delle questioni giudicate di maggior rilievo sia data notizia anche all'inizio delle sedute plenarie della Commissione, in modo da conseguirne la menzione nei resoconti parlamentari, analogamente a quanto avveniva nel corso della decima legislatura.

Su questi temi, peraltro, se la Commissione vi consentirà, mi riservo di indirizzare una lettera ai Presidenti della Camera e del Senato, anche in relazione a possibili ulteriori sviluppi che potrebbero portare a notevoli mutamenti della prassi e - in ipotesi - anche di regolamenti.

Infine, resta da dire dei disegni di legge governativi di riforma del sistema radiotelevisivo che, presentati al Senato, comporterebbero con la loro approvazione nel testo proposto un definitivo ridimensionamento del ruolo della Commissione, e probabilmente la sua scomparsa.

La normativa vigente non consente alla Commissione di pronunciarsi formalmente sul contenuto di tali progetti (questa caratteristica è stata valutata negativamente da svariati autori, nonché in alcune Relazioni della Commissione al Parlamento). Io ritengo che la migliore risposta alle ipotesi legislative di soppressione, la Commissione la possa dare svolgendo al meglio la sua attività ordinaria, in modo da porne i risultati sotto gli occhi di tutto il Parlamento. Non dubito, poi, che i numerosi colleghi che fanno parte sia di questa Commissione, sia di quelle legislative competenti ad esaminare tali progetti, non mancheranno di rappresentare in quelle sedi l'opportunità che almeno alcune delle nostre attuali competenze continuino ad essere svolte da un organismo parlamentare. Infine, credo che la nostra Commissione non rifuggirà dal prestare attenzione, benché incidentale, ai contenuti della riforma proposta: per parte mia mi impegno a favorire tutte le forme di partecipazione a tale dibattito che risulteranno non incompatibili con le leggi ed i regolamenti.

Per quanto riguarda le varie osservazioni colte nel dibattito con i vertici della RAI dai vari colleghi, oltre al riferimento principale che ho fatto prima al senatore Folloni, ricordo quanto è stato detto in sede di audizione dalla senatrice Fumagalli Carulli nella polemica con il direttore generale per quel che riguarda i compensi o i contratti ai collaboratori esterni. Questo è un aspetto che va chiarito. La stessa questione posta dall'onorevole Melograni sulla necessità di un filo diretto di comunicazione tra servizio pubblico ed utenti, ma soprattutto tra RAI e Commissione di vigilanza, ha ricevuto dal presidente della RAI una risposta assicurativa che però allo stato ancora non viene verificata nei comportamenti.

Altre questioni sono state poste dai colleghi del corso dell'audizione dei membri del consiglio di amministrazione della RAI: si tratta però di questioni che attendono risposte esaurienti sul merito dei poteri e delle competenze della Commissione.

Mi scuso se la relazione è stata lunga, ma spero di averla redatta in forma soddisfacente per tutti i colleghi.

Il senatore Semenzato ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori.

STEFANO SEMENZATO. Credo che la discussione nel merito dell'argomento sia possibile solo se, in via preliminare, si chiarisce la funzione del presidente della Commissione. L'articolo 6 del nostro regolamento affida al presidente della Commissione una funzione di rappresentanza e di convocazione, di presidenza dei lavori, ma non prevede iniziative dirette del presidente di convocazione o di rapporto con strutture della RAI né di intervento presso la RAI stessa. Questa previsione è palesemente esclusa dal regolamento, che all'articolo 10 prevede sottocommissioni con il compito di acquisire elementi presso la RAI.

PRESIDENTE. Senatore Semenzato, può chiarire a cosa si riferisce?

STEFANO SEMENZATO. Adesso ci arrivo. Credo che questi elementi operino una distinzione profonda, dando al presidente solo un ruolo di rappresentanza. Se il presidente della Commissione si muove presso la RAI, a nome della stessa Commissione, ad esempio per protestare su eventuali scarse informazioni su un segretario di partito (com'è avvenuto nel caso dell'onorevole Fini), o se si convocano, come mi pare sia accaduto ieri, strutture della RAI in funzione di una presunta istruttoria per il lavoro della Commissione, credo ci si collochi al di fuori dei compiti del presidente. Poiché questi elementi si stanno ripetendo, credo richiedano una spiegazione e un chiarimento preliminari, che considero pregiudiziali alla discussione. Nell'ambito della relazione si è sempre parlato della Commissione come di un organo collettivo: credo che i compiti del presidente debbano rientrare negli orientamenti della Commissione e non possano prescinderne.

PRESIDENTE. Ci sono altri interventi sull'ordine dei lavori (anche se la discussione riguarda i poteri)?

FRANCESCO SERVELLO. Collega Semenzato, porre una pregiudiziale circa i poteri e il modo di esercitarli da parte del presidente nel momento in cui abbiamo ascoltato una sua relazione sui poteri in generale della Commissione mi sembra un fuor d'opera. Dobbiamo avviare la discussione, nel corso della quale sarà sollevato da qualcuno il tema da lei richiamato. Credo che alla fine ci saranno precisazioni del presidente in materia e penso che arriveremo ad una soluzione comune, anche sulle parti del regolamento e della legge riguardanti la Commissione nel suo complesso, la sottocommissione, i gruppi di lavoro e, naturalmente, il presidente. Prego di ritirare la sua proposta; se dovesse verificarsi l'opportunità di farlo, il proponente la valuterà nel corso o alla fine del dibattito.

EMIDDIO NOVI. Presidente, sono quattro sedute della Commissione che si dibatte sempre sui poteri del presidente. Una parte dei colleghi della Commissione si augura un presidente silente, possibilmente con il sasso in bocca e che non parli. Non riesco a capire il perché di questi continui attacchi. Ritengo che, nella tradizione del Parlamento, il presidente della Commissione di vigilanza, anzi, i presidenti delle Commissioni, in genere hanno parlato liberamente, esprimendo le loro idee. Ma qui si discute sempre se lei, presidente, nel momento in cui esprime un'idea, un parere, un giudizio, lo fa in quanto presidente della Commissione o in quanto parlamentare o, ancora, in quanto semplice membro della Commissione stessa. Credo che dovremmo affrontare problemi ben più seri, come per esempio le questioni che riguardano le sedi regionali della RAI. Vi sono sedi della RAI che in realtà si sono trasformate in una sorta di megafono dei sindaci o delle giunte regionali.

PRESIDENTE. Senatore Novi, scusi se la interrompo, ma sarebbe meglio restare in argomento.

EMIDDIO NOVI. Allora, signor presidente, dobbiamo decidere quali sono le funzioni di questa Commissione, in cosa consiste l'indirizzo generale, in cosa consiste la vigilanza, quali comportamenti e quali atti questa Commissione può porre in atto circa alcune grandi questioni, come quelle di alcune sedi periferiche della RAI.

ELIO VITO. Presidente, avevo intenzione di parlare sulla sua relazione, ma credo che potremmo anche unificare i due argomenti, perché l'osservazione del collega Semenzato riguarda una parte delle funzioni della Commissione.

PRESIDENTE. Se i colleghi non hanno nulla in contrario, esaurirei la questione sollevata dal senatore Semenzato, che ringrazio per il garbo con cui l'ha posta, con un giro di interventi rapidi, ai quali mi riservo di dare una risposta. Poi proseguiremo il dibattito, perché altrimenti stiamo sempre a discutere dello stesso tema, mentre io ho cercato di impostare il dibattito su qualcosa di un po' più alto. Non che non si debba tener conto dell'osservazione del senatore Semenzato, però esauriamo questo aspetto e poi ci dilunghiamo su quello più interessante, che riguarda il ruolo della Commissione.

ANTONIO FALOMI. Mi associo alla richiesta del senatore Semenzato, che non tende ad impedire al presidente di esprimere le proprie opinioni o i propri pareri su questo o quel problema, ma mira ad intervenire sulle iniziative che il presidente Storace assume e che, a mio parere, vanno al di là delle funzioni e dei poteri del presidente di questa Commissione e stravolgono un corretto rapporto tra la Commissione, il presidente stesso ed il servizio pubblico radiotelevisivo.

Il senatore Semenzato ha accennato ad una serie di fatti che a mio avviso meritano questo chiarimento preliminare. Risulta, per esempio, che il presidente della Commissione, all'insaputa della Commissione stessa, che non lo ha mai deciso, nonché del consiglio di amministrazione, abbia convocato per audizioni private il direttore dei servizi della programmazione radiofonica e il direttore del GR.

ELIO VITO. E non sai con chi è andato a cena!

ANTONIO FALOMI. Della cena non mi interessa nulla.

PRESIDENTE. Posso dire che lei è male informato, senatore Falomi.

ANTONIO FALOMI. Benissimo, mi risponderà. Devo capire, per esempio, chi ha autorizzato il presidente a scrivere al presidente della RAI, in data 30 settembre scorso, una lettera che riprendeva la questione, sollevata nel corso della discussione, della cosiddetta pubblicità occulta. Nessuno aveva autorizzato il presidente a scrivere una lettera, tanto più che trattasi di materia di competenza del garante per l'editoria e non di questa Commissione. Chi autorizza il presidente a scrivere lettere al direttore della RAI in cui, facendo riferimento a questa o quella richiesta di questo o quel commissario, senza che tali richieste siano state formalizzate dalla Commissione, si chiedono documenti e atti, tra l'altro riguardanti questioni che non hanno a che vedere con i poteri e le competenze della Commissione, riguardando competenze gestionali? Queste sono iniziative, non sono opinioni o pareri: sono iniziative che a mio parere richiedono un chiarimento sul ruolo che sta assumendo il presidente, che tende a essere una sorta di commissario della RAI e non il presidente della Commissione.

GIAN GUIDO FOLLONI. Mi sembra che l'argomento sollevato dal senatore Semenzato e poi sostenuto dal senatore Falomi sia un po' specioso. Può esistere un caso circostanziato di obiezione ad un atto del presidente, ma mi sembra improprio che si possa contestare al presidente, nel momento in cui è stato eletto, di rappresentare la Commissione: se è stato eletto da questa Commissione, ne assume la rappresentanza e ha sia i diritti di un qualunque membro di incontrare chi voglia sia quelli di rappresentare, così come ritiene di farlo, gli atti, le valutazioni e i momenti di discussione verificatisi all'interno della Commissione.

Altra cosa è se dovesse sorgere un contrasto tale fra il suo modo di interpretare il ruolo di presidente e quello della Commissione, per cui quest'ultima potrebbe non sentirsi più rappresentata; se sussistono fatti circostanziati, si evidenzino quelli, perché non credo che dobbiamo ridiscutere la figura del presidente, che è ben definita dal regolamento. Se non fosse più ritenuta utile in quelle funzioni, la Commissione valuterà e discuterà se cambiare il presidente. Ma non capisco quale sia l'obiezione rispetto ad un ruolo che ognuno interpreta secondo il mandato che il regolamento gli assegna. Ripeto, se ci sono fatti circostanziati credo si debba fare obiezione su questi, mentre avviarci in una discussione sul ruolo del presidente mi sembra del tutto specioso ed inutile. Vige un regolamento, stiamo al regolamento.

MARCO FOLLINI. Presidente, mi riconosco in quanto ha detto il collega Folloni e condivido il suo intervento.

Questa Commissione corre qualche rischio se, in ogni seduta, ci troviamo punto e daccapo a ragionare su prerogative, diritti e modi anche personali del presidente di interpretare il suo ruolo e le sue competenze.

PRESIDENTE. Vedo una rassegnazione nelle sue parole, onorevole Follini.

MARCO FOLLINI. Non è rassegnazione, è una previsione. Lo dico amichevolmente al collega Falomi: la sua astensione è stata più determinante della mia nel consentire di eleggere questa presidenza.

Credo, tuttavia, che a questo punto dobbiamo fare un ragionamento comune sui poteri, e anche sulle abitudini e sui modi di procedere, di questa Commissione, un ragionamento che tenga conto innanzitutto del fatto che al presidente sono attribuiti un diritto di esternazione - che sta esercitando con misura, ma che in qualche modo è connaturato alla sua esperienza politica - e un diritto di colloquio che, francamente, non credo possa essere negato né a lui né ad alcuno dei membri della Commissione. Il mio appello, perciò, è nel senso di togliere di mezzo un argomento che o viene affrontato con reciproca disponibilità e con buonsenso, e facendo riferimento ai precedenti stratificatisi in materia, oppure rischia di divenire un tormentone che va a sicuro danno della funzionalità della Commissione e forse, per qualche aspetto, a maggior gloria del presidente.

MASSIMO BALDINI. Presidente, vorrei intervenire nel dibattito in relazione alle considerazioni svolte dai senatori Falomi e Semenzato. Rappresento il mio totale dissenso rispetto a queste posizioni, che sono, oggettivamente, di carattere squisitamente politico e che non attengono assolutamente alla funzionalità della Commissione e al ruolo che dovrebbe svolgere il suo presidente. Mi sembra di capire, dagli interventi seguiti a quelli dei colleghi Falomi e Semenzato, che in sostanza, da parte degli altri commissari che si richiamano alla maggioranza che sostiene il Governo, vi sia quasi un ripensamento rispetto alla posizione che ha consentito la sua nomina a presidente della Commissione. Non credo che il fatto che il presidente della Commissione assuma iniziative nei confronti del presidente, del direttore generale e della struttura della RAI per avere informazioni e disporre di elementi di valutazione e di approfondimento, quindi per avere una situazione di riferimento più ampia e articolata da sottoporre all'attenzione della Commissione, costituisca un atteggiamento censurabile. E' censurabile, ripeto, da parte della maggioranza, per un motivo squisitamente politico. Se si vuole impedire al presidente della Commissione di assumere iniziative, di avere rapporti con la RAI e di esprimere le proprie opinioni, lo si dica attraverso una posizione politica, che però deve emergere ufficialmente e non in modo surrettizio, cercando di ingabbiare le iniziative del presidente della Commissione di vigilanza.

Credo che ognuno di noi possa svolgere questi compiti, che non coinvolgono la Commissione, perché quando emergono posizioni ufficiali della Commissione nel suo complesso il presidente deve rappresentarli chiaramente. Ma questo non gli impedisce, pur essendo compito del presidente quello di rappresentare, coordinare e convocare la Commissione, di assumere tutte le iniziative che ritiene opportune nell'interesse dei lavori della Commissione e per acquisire maggiori elementi di valutazione ai fini del miglioramento della sua attività. Se dovessimo adottare questa linea di comportamento introdotta dai senatori Falomi e Semenzato anche nei confronti dei presidenti delle altre Commissioni parlamentari, saremmo veramente alla paralisi totale. Questo è un atteggiamento che non tiene conto, se mi è consentito e tra virgolette, di un corretto rapporto democratico tra le parti, che debbono svolgere correttamente la propria attività in modo serio, approfondito, articolato, se vogliamo diversificato, ma nel modo più corretto possibile. Quindi, il gruppo che rappresento non condivide questa posizione politica e la respinge con forza.

GIANCARLO LOMBARDI. Se gli interventi dei colleghi Falomi e Semenzato sono politici, l'intervento del collega Baldini è evidentemente retorico, nel senso che utilizza il noto sistema di dilatare il problema in modo che, una volta dilatato oltre misura, fa dire alle persone ciò che non hanno detto e di conseguenza svuota il discorso perché non lo si affronta per quello che è.

Che vi siano state alcune perplessità da parte di alcuni su certe modalità di elezione del presidente è un fatto noto, ma sul quale non giova e non è interessante tornare. Sono assolutamente allineato agli interventi dei colleghi Novi e Follini nel desiderare che questa Commissione incominci a lavorare quanto prima sul contenuto, esaminando problemi che mi sembrano esistere e non essere modesti, anziché continuare ad affaticarsi su aspetti di carattere previo. Però i problemi denunciati sono fatti reali: dalla prima seduta si è cominciato a mettere in evidenza che il presidente interpretava la carica in modo non condiviso da una parte rilevante dei membri della Commissione. Ciò è stato detto fin dalla prima seduta: è inutile che ci si lamenti se poi questo avviene per quattro volte, perché la gravità è proprio nel fatto che deve avvenire per quattro volte. Il vero problema è questo e non il fatto che per quattro volte si ritorna sull'argomento: l'aspetto che purtroppo, in qualche modo, è pesante, è che per quattro volte si debba tornare su un argomento già affrontato nella prima seduta. Si disse: attenzione, il presidente non può che operare in stretto contatto con la Commissione. Il collega Baldini ha citato l'esperienza di altre Commissioni: ciascuno di noi ha esperienza di altre Commissioni, anche molto approfondite (io solo parziale), ed è proprio alla luce di queste esperienze che si fanno questi commenti. Il presidente deve operare in stretta connessione con la Commissione. E' sembrato che, inizialmente, alcuni gesti fossero dovuti ad una mancanza di chiarimento: a mio modo di vedere, il chiarimento c'è stato; io sono stato allineato con il presidente nell'auspicare che l'atteggiamento nei riguardi della RAI fosse prevalentemente di aiuto, cioè di una vigilanza intelligente e non sostanzialmente fiscale e in qualche modo aggressivo, come sembra invece di cogliere nelle lettere che abbiamo ricevuto in copia. Soprattutto, vi sono movimenti di carattere individuale.

Il collega Servello può avere ragione quando dice che, se il problema esiste, bisogna esaminarlo all'interno di un discorso più ampio. Il presidente, nella sua relazione odierna, ha sempre correttamente parlato della Commissione. Però questo problema esiste, non è un problema politico marginale inventato: avreste ragione voi se il problema fosse di aver eletto un presidente rendendogli poi impossibile lavorare. Sarebbe un ben magro risultato, perché di fatto sarebbe la Commissione a non lavorare, e perciò saremmo tutti autopuniti. Non è questo l'obiettivo da perseguire. Però bisogna fare chiarezza: ciascuno ha il temperamento che ha e il desiderio di esuberanza che ha, ma se riveste un ruolo di carattere istituzionale, previsto dal regolamento (come ha ricordato Folloni), e il regolamento prevede qual è il compito del presidente, a questo ci si deve attenere. Mi sembra che il senatore Falomi abbia correttamente richiamato ad un comportamento che sia lineare all'interno del regolamento. Allora, la discussione non è inutile. Anch'io auspico sinceramente che sia l'ultima, ma è tutt'altro che inutile.

ENRICO JACCHIA. Tutti, evidentemente, auspichiamo che sia l'ultima, ma come ricordava il collega Lombardi è già la quarta volta e non si vede che sia l'ultima. Se riuscissimo ad iniziare i lavori sull'argomento di fondo sarebbe importante.

Il collega Folloni ha parlato del diritto di esternazione e di colloquio del presidente. Nella misura in cui questo diritto corrisponde alle valutazioni della maggioranza della Commissione, non mi sembra un delitto. Per esempio, alla Commissione esteri del Senato, il presidente Migone agisce pressappoco come il presidente Storace: egli stesso esterna e scrive.

Si è parlato delle richieste scritte, che ho qui in copia. Ha fatto richieste al direttore generale Iseppi su domande rivolte dal senatore Jacchia, dall'onorevole Bosco, dal senatore De Corato, dalla senatrice Fumagalli Carulli. Ma è vero che abbiamo fatto queste richieste, quindi se ad un certo momento il presidente dice "ella ha preso impegno, su richiesta del tale parlamentare, di inviarci copia del tale atto", non mi sembra che sia un enorme delitto.

PRESIDENTE. Questo è rappresentare la Commissione.

ENRICO JACCHIA. Mi sembra che non sia molto grave, direi.

ANTONIO FALOMI. La Commissione si esprime collegialmente, altrimenti ognuno si alza...

ENRICO JACCHIA. Presidente, avrei io la parola, se mi consente.

Cari colleghi, si tratta di decidere, perché stiamo girando intorno ad un dito: sono quattro volte che parliamo dei poteri del presidente. Si dovrebbe fare una discussione definitiva su questo punto, per chiarire, magari votando a maggioranza, quali sono le opinioni della maggioranza della Commissione.

GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei rassicurare il presidente che non c'era intenzione di strangolarlo né di mettergli il sasso in bocca.

PRESIDENTE. E' difficile!

GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei che fosse sereno, perché il presidente è restio a fare dichiarazioni, ma il problema non è questo.

PRESIDENTE. Le manderò copia dei pochi comunicati stampa che ho diramato.

GIUSEPPE GIULIETTI. A me interessa un'altra questione. Nessuno vuole soffocare il presidente. Se giochiamo su questo, possiamo andare avanti per altre sette sedute. Se la preoccupazione è sul numero di sedute, senatore Jacchia, ne possiamo tenere altre dodici, finché non si chiarisce. Ma poiché a me pare sciocco - sono d'accordo -, preciso che nessuno vuole soffocare il presidente: mi pare che non sia accaduto, e mi pare anche che non ci sia un presidente che si faccia soffocare. Quindi, evitiamo questa discussione inutile.

Si è detto che forse qualcuno si è pentito perché la presidenza è stata attribuita alle opposizioni, e quindi adesso vuole rovesciarla. Nessun pentimento: non seguirei questo filone, che diventa un filone di facile argomento polemico. Si potrebbe infatti ribadire: forse si è pentita l'opposizione di aver indicato questo presidente e cerca pretesti per cambiarlo e per metterne un altro. Allora, eviterei anche questa discussione. Per quanto ci riguarda, chi ha deciso di affidare la carica all'opposizione non si pente, non è abituato a cambiare idea ogni dieci minuti, non ha interesse a provocare la crisi della Commissione. Condivido, infatti, molte delle cose dette sul fatto che comunque la crisi di una Commissione affidata alle opposizioni investe un'idea di rapporto tra maggioranza ed opposizione. Quindi, mi auguro che le persone più ragionevoli questo lo sappiano: non si tratta solo della figura di un presidente, ma anche del rapporto tra maggioranza ed opposizione che si sperimenta all'interno di una Commissione. Vorrei perciò che si prendesse atto che alcune delle critiche non hanno funzione distruttiva, bensì lo scopo di recuperare la tensione tra maggioranza ed opposizione. Quindi, otto sedute su questo tema sicuramente non sarebbero benefiche per nessuno. Ma se ci limitiamo a dire che è colpa della maggioranza che vuole cacciare il presidente, che è una questione politica, io controreplico che è il presidente a non interpretare il suo ruolo: se ciascuno resta fisso sulle sue posizioni, credetemi, non può che essere così per altre otto sedute, e non si discuterà di nulla.

Allora, mi pare che le osservazioni dei colleghi Semenzato e Falomi vadano ascoltate per quelle che sono. Pongono una questione che forse dovrebbe essere rivista a questo punto, magari sospendendo la seduta, in ufficio di presidenza e con molta nettezza. La cosa peggiore, infatti, senatore Jacchia, sarebbe una votazione a maggioranza sulla funzione del presidente: io non parteciperei ad una discussione di questa natura.

ENRICO JACCHIA. Era per chiarire.

GIUSEPPE GIULIETTI. Infatti, prendo le provocazioni nel senso migliore.

ENRICO JACCHIA. Non era una provocazione.

GIUSEPPE GIULIETTI. Non è una polemica, sto esplicitando ciò che penso.

ENRICO JACCHIA. Sono d'accordo sull'ufficio di presidenza.

GIUSEPPE GIULIETTI. Penso che il problema non sia quello di votare a maggioranza, oggi con un presidente e domani con un altro presidente di opposizione, teorizzare che si dà l'impeachment, perché questo, un domani in cui io fossi all'opposizione, sarebbe un metro reversibile in continuazione, in cui ciascuno dice "non parlo perché non è stato espresso da me". E' sempre importante tenere presenti le regole. Quindi, non si tratta di questo, perché quand'anche si andasse ad un documento di questa natura, cosa cambia? Lo votiamo e poi ricominciamo. Credo che le osservazioni che sono state poste da Semenzato e Falomi - e che non ributterei con fastidio dicendo "di che parlano?" - pongano una questione. Proprio perché questa è una Commissione difficile per tutti noi, va affrontata con molta intelligenza. Attenzione, definiamo il ruolo del presidente della Commissione, attenzione ad eventuali rischi di presidenzialismo, attenzione ad una non aderenza alle decisioni dell'ufficio di presidenza per quanto riguarda le convocazioni dei dirigenti e le istruttorie. Poi risponderà il presidente, ma non mi formalizzerei solo su questo punto, perché temo che la risposta possa essere: non è così, avete sbagliato, e la controrisposta: non ci siamo, e non se ne esce.

Credo che il problema, invece, sia il seguente: se una parte non secondaria avverte che vi è un rischio di forzatura, esaminiamo la questione con attenzione, riesaminiamola in ufficio di presidenza, vediamo cosa si intende per collegialità. Voi potreste dire: ma intendete esautorare il presidente. Io non credo che sia questo, credo che si tratti invece di una grande attenzione alla collegialità, la decisione di una serie di atti estremamente impegnativi che deve avvenire con grande attenzione, perché secondo me rafforza la Commissione. Questa è la mia impressione al di là delle singole questioni. Non liquiderei la cosa come un tentativo di porre due questioni inventate, perché evidentemente vi è un senso comune in questa direzione con cui fare i conti. Mi pare che sia avvenuto anche nelle discussioni della Commissione di vigilanza della precedente legislatura. Mi permetto, perciò, di rivolgermi al presidente: su questo, mi muoverei ascoltando attentamente, riunendo, se necessario, l'ufficio di presidenza, decidendo all'interno di quella sede, discutendo la questione del ruolo del presidente ed anche della Commissione con molta attenzione. Insomma, sconsiglierei di inserire tutto questo nelle critiche distruttive e negative di pregiudiziale politica o di assalto alla figura del presidente: lo sconsiglierei perché questo non consentirebbe di capire nulla e non porterebbe fortuna a nessuno, non facendoci fare un metro in avanti.

Se si recupera questo spirito, come credo possibile, ciò consente di liberare i nostri lavori, ovviamente con la dialettica. Il presidente ha una sua personalità, interviene nel dibattito, controreplica: non è questo che mi spaventa. Mi spaventa se sulle regole non si trova un'intesa sul lavoro comune, perché questo inficia l'attività della Commissione. Poi, il fatto che ciascuno di noi esprima le sue posizioni come crede e con la propria natura è del tutto evidente. Ma non trovare l'intesa su questo diventa rischioso, perché confermerà la necessità di chiudere o di ridurre, perché è già molto diffusa nella maggioranza e nell'opposizione una forte perplessità sulla vigilanza. La paralisi complessiva del lavoro della Commissione non può che aumentare la convinzione che è bene accentuarne la chiusura. Ecco perché mi permetto di sottolineare questo aspetto.

PAOLO RAFFAELLI. Riallacciandomi a quanto diceva poc'anzi il collega Giulietti, mi sembra che ancor più preoccupante di alcuni atteggiamenti del presidente, che pure non ho condiviso, sia la sufficienza - mi perdoni il vicepresidente Baldini - con cui alcune osservazioni critiche che abbiamo serenamente avanzato sono state accolte. Da parte nostra non vi è alcun ripensamento su scelte compiute appena qualche settimana fa, né credo che vi siano lezioni di democrazia o di cultura del funzionamento delle istituzioni da impartire o da ricevere. Abbiamo soltanto un timore molto rilevante riguardo ad uno stato di paralisi che può finire con il gravare stabilmente su questa Commissione se non si risolvono alcuni elementi di fondo che non sono squisitamente politicisti; riguardano invece una concezione del funzionamento delle istituzioni e del nostro ruolo che, a mio avviso, va affrontata e portata a soluzione.

I parlamentari che hanno già esercitato il loro mandato in una passata legislatura sanno come una funzione fortemente creativa nell'ambito dei poteri presidenziali (penso a quella dell'onorevole Sgarbi in Commissione cultura della Camera dei deputati) possa produrre poi una stabile paralisi dell'istituzione (ovviamente non faccio nessun parallelo tra ciò che ha fatto Storace in queste prime battute della sua presidenza e la prassi sgarbiana di presidenza della Commissione cultura della Camera nella passata legislatura). Sappiamo comunque che, se non si fa chiarezza e non vi è disponibilità al confronto su questo punto, si rischia di impantanarsi; per questo siamo molto attenti e desiderosi di fare chiarezza una volta per tutte su questo tema.

Chiarezza significa - ma questo Storace lo sa già, sembra che non lo sappiano i suoi difensori d'ufficio - nessun limite alla libertà di parlare o di cenare con chicchessia, perché questo sarebbe un limite ad una libertà individuale che non credo qualcuno possa sognare di stabilire. Diverso è il discorso relativo a ciò che si fa nell'esercizio di una funzione di rappresentanza generale della Commissione. Noi non cerchiamo un notaio; alla Camera sono membro di una Commissione, quella che si occupa di attività produttive, che ha come presidente l'onorevole Nerio Nesi, il quale interpreta in maniera molto attiva il suo ruolo, ma questa non è mai stata una ragione di contrapposizione frontale, anche se certamente si sono poste esigenze di chiarezza. Il problema, quindi, non è quello della volontà di fare del presidente: piuttosto, è quello della correttezza e della trasparenza dei rapporti, della chiarezza delle reciproche posizioni.

Peraltro, se avessimo voluto un presidente notaio, non so chi ci creda tanto fessi da consentire che venisse eletto Storace; se avessimo voluto cooptare un'opposizione di taglio notarile, avremmo scelto altre soluzioni ed oggi chi difende Storace sa benissimo che avremmo potuto farle nostre. Abbiamo, invece, compiuto una scelta di non ingerenza e questa secondo me è stata senz'altro un'esperienza politica utile che andrebbe riportata nelle scelte della minoranza, all'interno della logica del rispetto dei ruoli di maggioranza e di opposizione.

Da ultimo, vorrei fare una breve notazione. Molti di noi sono giornalisti; sappiamo che l'obiettività non esiste, comunque ce lo diciamo ogni qualvolta cerchiamo alibi per non tentare neppure di propendere verso la completezza; personalmente credo invece che la propensione all'equilibrio ed alla completezza debba rappresentare un dovere per tutti noi. Tuttavia, tale propensione all'equilibrio ed alla completezza è cosa diversa da una concezione meramente propagandistica della rappresentanza. Credo che queste siano banalità e come tali ho avuto anche qualche remora ad esprimerle; tuttavia, poiché dall'altra parte con tanta sufficienza questi concetti vengono considerati banali, mi sono permesso di ripeterli.

PRESIDENTE. Devo alcune risposte alla Commissione e magari qualcuno considererà alquanto inusuale il mio approccio alla risposta; tuttavia, spero che sia compreso dai colleghi appartenenti genericamente sia al Polo sia all'Ulivo.

Ringrazio per le considerazioni che hanno svolto i colleghi Iacchia, Follini, Folloni, Novi, Baldini e Servello, i quali hanno colto i miei intendimenti in questa Commissione, e vorrei invitarli a non considerare il dibattito oggi svoltosi come inutile, perché non mi sembra che si sia trasformato in un processo al presidente. E' una questione che probabilmente andava posta e forse è anche giusto averla posta, sperando però che questa sia l'ultima volta, perché la sfida su cui vorrei incontrare la Commissione riguarda un profilo alto del nostro dibattito. Preferirei essere accusato dalla maggioranza di incapacità piuttosto che di burocratiche competenze o meno nell'esercizio di questa Commissione, quasi che di televisione non capissi niente e quindi fossi l'uomo sbagliato. Questa sarebbe una sfida alla quale risulterebbe più difficile rispondere.

Inoltre, ringraziando per le parole che hanno usato i colleghi Lombardi, Giulietti e Raffaelli, devo dire che mi sembra che abbiano colto il senso della questione. Ringrazio anche i colleghi Semenzato e Falomi per le questioni da loro poste e desidero rispondere in modo ben preciso. Nella polemica che giustamente contraddistingue la loro attività in questa Commissione - polemica assolutamente legittima - hanno dimenticato la vicenda SINGRAI, ma anche su questa risponderò.

Cosa deve fare il presidente di un organo parlamentare quando viene richiesto di un incontro? Deve chiedere il permesso all'ufficio di presidenza? Poniamo il caso che questa prassi diventasse usuale in Parlamento: il Presidente Violante dovrà consultare l'Ufficio di Presidenza della Camera per incontrare i numerosi soggetti che giustamente ritiene di incontrare? Non mi sembrerebbe davvero il caso; di fronte ad una richiesta d'incontro, ho il dovere di decidere personalmente se rispondere sì o no, ma faccio questo ai fini del lavoro della Commissione, per poter fornire ad essa ulteriori elementi.

Altrettanto vale per la vicenda riguardante l'onorevole Fini. Sarebbe davvero balzana l'idea che proprio io debba discriminare l'onorevole Fini, non penso che qualcuno me lo chieda; tuttavia, quando l'onorevole Fini ha protestato per alcune notizie giornalistiche, mi sono posto il problema di non fare un intervento occulto, cioè di telefonare al direttore generale della RAI perché intervenisse; ho invece preferito dare pubblicità al mio intervento proprio in nome della trasparenza, per evitare che si potesse dire che usavo la mia carica per fini di parte. Quest'aspetto non è stato colto, ma posso affermare che, se il problema si ponesse nuovamente, mi comporterei allo stesso modo, proprio perché si trattava di un segretario di partito: voglio dire che qualsiasi segretario di partito si rivolga al presidente della Commissione di vigilanza su vicende che riguardano la RAI ha forse - può essere che mi sbagli, vi prego di darmi un parere a questo proposito - più responsabilità rispetto a qualsiasi altro parlamentare, perché guida comunità di milioni di persone, che hanno diritto ad essere rappresentate. In sostanza, avrei assunto il medesimo atteggiamento con l'onorevole D'Alema, qualora egli avesse protestato nei riguardi della RAI. Lo stesso vale per i massimi rappresentanti delle giunte regionali (divise più o meno equamente tra Polo ed Ulivo) e per i ministri, cioè soggetti che rappresentano qualcosa di rilevante nella società: se costoro intervengono presso il presidente della Commissione, questi ha il dovere di rappresentare la loro protesta alla RAI e di chiedere spiegazioni, null'altro.

In particolare dal senatore Falomi è stata posta una questione sulle cosiddette convocazioni. Non ho convocato nessuno, senatore Falomi; ai fini del lavoro che questa Commissione dovrà svolgere, sto cercando di capire meglio di quanto già non sappia la realtà dell'azienda ed allora, se telefono ad un dirigente della RAI per chiedergli se sia disponibile ad una chiacchierata informale, non penso di aver bisogno di chiedere l'autorizzazione dell'ufficio di presidenza. Peraltro, posso tranquillamente comunicare chi ho incontrato in questi giorni: il direttore di RAIDUE (non il direttore del giornaleradio, al quale non ho neppure telefonato perché non ne ho avuto il tempo), il direttore dei programmi radio; oggi stesso incontrerò il direttore di RAIUNO e non ricordo quanti altri dirigenti, ad esempio quelli della produzione e della fiction, tema riguardo al quale il consigliere Cavani ha sollevato alcuni problemi.

Intendo capire come si possa aiutare la RAI a diventare - per altri a restare - servizio pubblico: penso che questo sia un dovere che dovete pretendere dal presidente, affinché si conoscano gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo della RAI. Non penso che sia necessario fare ogni volta un processo agli incontri che vi sono stati perché, così facendo, francamente sviliremmo il ruolo di questa Commissione. Ribadisco che tali incontri servono ad acquisire notizie da riferire poi alla Commissione, esattamente com'è avvenuto, senatore Falomi, sulla vicenda della pubblicità occulta. E' stato detto che ho inviato una lettera (il collega Lombardi ne ha criticato la forma) al direttore generale Iseppi, oltre a varie altre lettere. Proprio in tema di regolamento della Commissione, che il senatore Falomi ha citato, ricordo che il comma 3 dell'articolo 17 recita: "I membri della Commissione possono richiedere al presidente di disporre per l'acquisizione di atti e documenti della società concessionaria". Su questo ho ricevuto sollecitazioni da membri della Commissione e questo ho fatto su incarico di membri della Commissione. Per rispetto delle prerogative della Commissione ho ricordato al direttore generale ed al presidente della RAI gli impegni da loro assunti nei confronti di questioni poste da chiunque dei componenti di quest'organo parlamentare.

La vicenda della pubblicità occulta non esula dalle competenze della Commissione di vigilanza; sul tema sono intervenuti praticamente tutti i membri della Commissione, perché evidentemente vi è un problema derivante dalla presenza contestuale del canone, della pubblicità e di queste convenzioni, che sono un po' come l'araba fenice e sulle quali discuteremo giovedì prossimo in sede di audizione del direttore generale. Del resto, quella stessa lettera - come ricorderà il senatore Falomi, che se non erro era presente alla riunione dell'ufficio di presidenza - trovò il consenso dell'ufficio di presidenza quando io portai a conoscenza dello stesso il suo contenuto. Scoprire oggi che la lettera non andava bene è per me una sorpresa; comunque, accolgo questi rilievi, e non lo faccio con tono polemico, anzi, mi scuso se sono apparso tale.

Rivolgendomi ai colleghi Giulietti e Raffaelli in relazione alle cose che sono state dette, vorrei ora rispondere sul motivo per il quale non è opportuno riunire oggi l'ufficio di presidenza per discutere di questi poteri. Come ho detto all'inizio, dobbiamo lanciare una sfida di alto profilo su cosa deve fare la Commissione, non il suo presidente. A mio avviso, se il presidente è depotenziato, ne esce depotenziata anche la Commissione: se non abbiamo autorevolezza come organo parlamentare (e questo riguarda sia il presidente sia ciascun componente), diventa difficile pretendere dalla RAI - come pure dobbiamo fare - il rispetto degli indirizzi ed il mantenimento degli impegni assunti e richiesti dai cittadini attraverso il pagamento del canone.

Allora, onorevole Raffaelli, la collegialità la misureremo per esempio sulla questione degli indirizzi; giovedì, al termine dell'audizione del direttore generale, terremo un'impegnativa riunione dell'ufficio di presidenza per stabilire, tra le altre cose, anche alcuni criteri prioritari sul metodo per definire nuovi indirizzi, prima ancora che sul merito; in proposito ho delle idee sulle quali chiederò un confronto con l'ufficio di presidenza. Voglio precisare che non ho problemi di dogmi, per cui bisogna fare a tutti i costi in un certo modo; ho semplicemente fatto ciò che la legge ed i regolamenti mi consentono: nessuna legge e nessun regolamento mi vietano, infatti, di incontrare delle persone che, se non vogliono incontrarmi, non hanno da fare altro che dirlo, oppure chiedere che l'incontro avvenga solo nel caso in cui siano autorizzate dal consiglio di amministrazione. Che poi due persone si debbano incontrare facendolo sapere al consiglio di amministrazione della RAI mi risulta difficile da comprendere.

L'ultima questione riguarda l'ordine del giorno della seduta odierna al quale, al termine di queste mie considerazioni, vi pregherò di passare dando la parola per primo all'onorevole Vito. Sulla base della discussione che abbiamo sviluppato fino ad ora, dobbiamo capire come dare forza al ruolo di questa Commissione, come abbattere determinati limiti che possono essere posti oggettivamente e che possono far diventare difficile l'espletamento delle nostre funzioni. Allora, evidentemente va stabilita qualche regola nel rapporto tra la Commissione e la RAI, la Commissione e l'IRI, la Commissione ed i vertici istituzionali; è questo il problema di fondo che sta davanti a noi. Desidero citare - e non lo faccio certo per captatio benevolentiae - una frase pronunciata dall'onorevole D'Alema: è necessario stabilire i confini del terreno di gioco; ecco, a mio avviso, questa Commissione può adoperarsi per stabilire tali confini, le regole su cui poi confrontarsi.

Spero di essere stato esauriente nelle risposte e comunque nel seguito del dibattito avrete modo di dire la vostra; spero, altresì, di non dover tornare su quest'argomento non certo perché sia seccato o perché il dibattito sia stato inutile; tuttavia auspico che sia stata utile anche la serie di risposte per far capire cosa abbia in testa questo presidente non più esternatore, come si dice.

STEFANO SEMENZATO. Chiedo di intervenire.

PRESIDENTE. Vorrei ricordarvi, colleghi, che in ufficio di presidenza avete chiesto di discutere dei poteri della Commissione ed io vorrei che tale discussione avesse inizio.

STEFANO SEMENZATO. La risposta del presidente non soddisfa assolutamente il quesito che era stato sollevato perché qui non è in discussione il comportamento generale di un'istituzione qualunque; i riferimenti ad altre Commissioni o ad altri organi istituzionali e parlamentari non hanno, a mio giudizio, motivo di esistere. Qui è stato sollevato il problema del rapporto tra il comportamento e l'azione del presidente ed il regolamento di questa Commissione, regolamento che in questo momento non è in discussione e che comunque la Commissione è tenuta ad osservare. Proprio per la delicatezza del rapporto con l'istituzione RAI, il regolamento prevede che le modalità delle azioni conoscitive e dei vari interventi siano molto rigide: infatti, è previsto che le attività conoscitive siano svolte da gruppi di lavoro della Commissione.

PRESIDENTE. Ho anche citato l'articolo del nostro regolamento.

STEFANO SEMENZATO. Ha citato l'articolo che parla di reperimento dei documenti, non di istruttorie conoscitive, che sono contenute in un altro articolo nel quale non è contemplato un ruolo diretto del presidente. Infatti, l'attività conoscitiva è regolamentata dall'articolo 17, i gruppi di lavoro dall'articolo 10 che - lo ripeto - non prevede un'azione diretta del presidente della Commissione. Credo che questo non sia un fatto casuale, ma una norma molto precisa cui il presidente si dovrebbe attenere. Non ci può rispondere che per l'autorevolezza della Commissione è bene che si proceda altrimenti. Noi chiediamo il rispetto del regolamento e quindi non facciamo certo osservazioni politiche di maggioranza, perché non è in discussione la validità o meno dell'elezione di questo presidente né è in discussione un criterio politico generale. Chiediamo soltanto l'osservanza precisa del regolamento e da questo punto di vista devo dire che, se la risposta del presidente ha un valore sotto il profilo dell'idea di Commissione, quest'idea non risponde però al regolamento. Il problema, quindi, a mio avviso rimane irrisolto e credo che costituisca anche un elemento di inquinamento in ordine al funzionamento della Commissione.

PRESIDENTE. Grazie, senatore Semenzato. Se i colleghi acconsentono, do la parola all'onorevole Vito.

ELIO VITO. Intendo innanzitutto ringraziarla, presidente, per aver posto all'ordine del giorno della Commissione - credo con il consenso dell'ufficio di presidenza - grazie alla relazione da lei svolta stamane il punto centrale e preliminare riguardante i compiti e le funzioni della Commissione nei confronti della RAI. Ritengo utile che tutti cerchiamo di attenerci strettamente a questo nostro compito fondamentale: non le nascondo un certo senso di disagio, oltre che di sorpresa, nel verificare come i componenti di maggioranza, che per volontà popolare detengono la maggioranza anche in questa Commissione, rinuncino ad esercitare questo compito fondamentale che è proprio della Commissione e corrano il rischio di attardarsi in polemiche con il presidente della Commissione stessa, quasi fosse questo il compito principale che la maggioranza è chiamata a svolgere.

Bisogna chiarire la natura del rapporto che intercorre oggi tra il Parlamento e la RAI, un rapporto che credo sia stato sostanzialmente equivocato nelle varie legislature che si sono succedute da quando per legge si è istituita la Commissione parlamentare di vigilanza.

Tale rapporto può essere sostanzialmente di due tipi: o pressocché inesistente, perché poteva e può essere sufficiente (ed alcuni di noi hanno sostenuto in passato anche nel corso di dibattiti parlamentari che sarebbe stato non solo sufficiente, ma anche preferibile) un rapporto diretto ed esclusivo tra il proprietario della RAI, cioè l'IRI, e la RAI stessa, affidando quindi all'azionista di maggioranza il compito di nominare il consiglio di amministrazione della RAI. Tuttavia, la volontà del Parlamento non è andata in questa direzione; si è detto che ciò è avvenuto perché è stata definita la natura di servizio pubblico dell'azienda mentre in realtà, secondo me, ciò non è accaduto anche per la presenza del canone, la cui esistenza in qualche misura fa diventare tutti coloro che lo pagano, cioè i cittadini, persone che hanno diritto al servizio pubblico, rispetto al quale quindi si delineano compiti del Parlamento.

Non sono d'accordo con l'affermazione, contenuta nella sua relazione, presidente, secondo cui la legge che ha tolto il potere di nomina del consiglio di amministrazione alla Commissione di vigilanza abbia per ciò stesso sottratto un potere a quest'ultima. Non ero d'accordo con quel sistema di elezione che affidava quel potere, come sappiamo, non alla Commissione di vigilanza ma ai partiti, con le grandi lottizzazioni d'epoca, ma quell'affermazione sarebbe vera se tale potere fosse stato attribuito ad organismi esterni al Parlamento. La legge, invece, ha conferito tale potere di nomina addirittura ai Presidenti della Camera e del Senato, con ciò evidentemente intendendo affermare - non posso darne una lettura diversa - il principio per il quale è il Parlamento che, nominando il consiglio di amministrazione della RAI, assume il compito di vero e proprio editore dell'azienda, compito che di fatto non è stato esercitato dall'IRI, che ne è il vero proprietario, e che comunque qualcuno in questo paese deve pur poter esercitare. Non è pensabile, infatti, che la RAI sia editrice di se stessa o che il consiglio di amministrazione, a causa del mancato esercizio di queste funzioni da parte dell'IRI e per il fatto che la nomina del consiglio di amministrazione dipende non dall'azionista, ma da un altro organismo, il Parlamento, ritenga di non avere doveri nei confronti di quest'ultimo, in particolare per ciò che riguarda la necessità di avere un proprio editore. Delle due l'una: o questo editore viene individuato nell'IRI, attribuendo ad esso - e sarebbe stato plausibile - anche il potere di nominare il consiglio di amministrazione nella sua qualità di principale azionista e proprietario, oppure nel momento in cui la legge affida questo compito al Parlamento, è quest'ultimo a dover svolgere tale funzione.

Alla luce di tutto ciò, ritengo di poter dire che i compiti di questa Commissione non sono, come pure genericamente si è inteso nel corso di varie legislature, semplicemente quelli di verificare che venga rispettato il pluralismo, nel senso che il servizio pubblico dia voce a tutte le espressioni politiche, culturali e sociali. Si pone, invece, una questione sostanziale: la RAI su questo deve rispondere al Parlamento e a tale proposito mi pare che siamo anche confortati dalle prassi che si sono man mano instaurate, per esempio per quanto concerne il rispetto del piano editoriale. Se quest'ultimo deve essere elaborato dalla RAI sulla base degli indirizzi dettati dalla Commissione parlamentare di vigilanza e se quest'ultima è tenuta a verificare il rispetto di questi principi nel piano editoriale e nelle successive periodiche relazioni, evidentemente ciò significa che abbiamo un potere maggiore rispetto a quello che abbiamo fino ad ora esercitato.

Quindi, a mio giudizio, il fatto che il potere di nomina sia stato assegnato per legge ai Presidenti delle Camere aumenta la responsabilità di questa Commissione, perché è evidente che quel potere si esplica attraverso la Commissione stessa, altrimenti non saprei davvero come interpretare il fatto che due organi di garanzia - i Presidenti di Camera e Senato i quali hanno per regolamento solo funzioni di rappresentanza delle Camere - eleggano il consiglio di amministrazione di un organismo terzo, rispetto al quale il Parlamento non ha poi da svolgere alcun compito, se non genericamente quello di verificare che il pluralismo sia rispettato.

Da questo punto di vista, la definizione dei nostri compiti può anche essere contenuta in un testo da approvare e da inviare ai Presidenti delle Camere; tale testo, riguardante le funzioni e i poteri della Commissione, con l'intesa dei Presidenti di Camera e Senato, deve essere reso pubblico ed inviato all'IRI ed alla RAI per definire una volta per tutte le funzioni e i compiti della Commissione parlamentare di vigilanza e del Parlamento, soprattutto per fare in modo che la RAI sappia ufficialmente, anche da coloro che ne nominano gli organismi dirigenti, che vi è un soggetto al quale deve rispondere.

Il fatto che si osservi che la stessa denominazione della Commissione parla di indirizzi generali e di vigilanza ma non di controllo rischia a volte di far scadere il nostro lavoro in un'attività che pure è importante ed essenziale: mi riferisco alla trasmissione di segnalazioni e di lamentazioni alla RAI. Il nostro compito, tuttavia, non è questo; mi rendo conto che vi è anche questa fase in cui in primo luogo i componenti la Commissione e poi tutti i cittadini ricorrono alla Commissione per segnalare determinate circostanze e presentare le proprie proteste, che naturalmente la Commissione gira ai dirigenti della RAI per avere delle risposte. Tuttavia, come ho già detto, nostro compito non è quello di raccogliere le segnalazioni e di trasmetterle al consiglio di amministrazione; il nostro compito è molto più stringente e vorrei che fosse definito una volta per tutte e quindi reso noto al consiglio di amministrazione, che deve essere consapevole del fatto che, da quando è cambiata la legge, questa Commissione è molto più "forte", ha poteri e funzioni maggiori che intende esercitare.

Evidentemente vi è un problema di collegamento con la legislazione che si sta elaborando anche sulla base dell'iniziativa presentata dal Governo; tuttavia, sono d'accordo con lei, presidente, sul fatto che chi approverà questa legge non potrà non tener conto del fatto che in questa legislatura la Commissione intende svolgere appieno queste funzioni, ma che anche l'approvazione di questa legge o interviene con la modifica dei criteri e delle procedure di nomina del consiglio di amministrazione oppure, non intervenendo su questo punto e lasciando i poteri di nomina ai Presidenti delle Camere, non può che prevedere che la Commissione di vigilanza eserciti pienamente i poteri che le sono affidati.

A titolo di considerazione politica vorrei osservare che il fatto che non siano definiti veri e propri compiti di controllo da parte della Commissione di vigilanza sulla RAI, a parte la questione lessicale se nei termini "vigilanza ed indirizzi generali" non siano compresi anche compiti di controllo, mi pare che la volontà politica delle forze presenti in Parlamento in questa legislatura di far esercitare alla Commissione compiti di controllo si sia già manifestata attraverso la sua relazione: la volontà politica si è esplicata nel senso di riconoscere alla Commissione funzioni prevalenti di controllo nei confronti della RAI; ed infatti è stata questa la motivazione ufficiale e pubblica invocata da tutte le forze politiche, soprattutto da quelle di maggioranza, nel momento in cui hanno riconosciuto che per queste ragioni e non per altre era giusto che questa Commissione fosse presieduta da un esponente di minoranza. In qualche misura, quindi, se lei non ci aiuta ad esercitare queste funzioni, viene meno anche la ragione della sua elezione. In buona sostanza, la maggioranza dovrebbe imputarle lo scarso attivismo, non l'eccesso di attivismo, perché si è voluto eleggere un presidente di minoranza proprio per dare significato e forza a questa caratteristica della Commissione, una caratteristica che è di tutta la Commissione e in generale del Parlamento nei confronti della RAI.

Concludo osservando che quello che stiamo svolgendo è un dibattito di grande importanza, che è stato affrontato anche altre volte all'inizio delle varie legislature, ma che quasi mai si è concluso con un'affermazione piena di responsabilità e consapevolezza nei confronti del Parlamento e soprattutto della RAI. In questo caso credo che dobbiamo avere la forza di farlo, sapendo che è questo il compito che ci è affidato dal complesso meccanismo di leggi che regolano la materia del servizio pubblico radiotelevisivo e sapendo che venir meno a questa funzione significa venir meno ad una funzione propria del Parlamento ed anche che solo il pieno esercizio di questa funzione può consentire che le contraddizioni presenti nella legislazione vigente vengano superate. Intendo dire che, solo se esercitiamo appieno questa funzione, emergerà la contraddizione insita nel potere di nomina del consiglio di amministrazione da parte dei Presidenti delle Camere, nonché quella rappresentata dal canone; tuttavia, fino a quando quest'ultimo esiste, la sua stessa natura richiama dei principi che siamo costretti ad applicare. Credo, in definitiva, che l'esercizio e la definizione delle nostre funzioni e dei nostri poteri nei confronti della RAI rappresenteranno un'opera quanto mai utile nei confronti del Parlamento e del paese in un periodo nel quale, come lei diceva, è necessario descrivere e riscrivere le regole, cosa che può avvenire nel momento in cui c'è qualcuno che le riconosce e le esercita.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Servello, devo fare una precisazione. L'onorevole Vito ha introdotto un argomento sul quale sarà bene che chi prenderà la parola intervenga, cioè l'ipotesi di un documento conclusivo dei nostri lavori sulla questione in oggetto. Ricordo a me stesso e ai colleghi che, per ora, l'ufficio di presidenza ha escluso questa possibilità, quindi il tema sarà nuovamente demandato a questo organo. Il percorso che, come ho detto all'inizio, era stato indicato, su proposta del senatore Folloni, era proprio quello di ascoltare la Commissione sul tema perché, alla luce del resoconto stenografico, il presidente possa scrivere una lettera in cui chiede una valutazione ai vertici istituzionali, all'IRI ed alla RAI, in modo da esaminare le questioni sul tappeto. Solo successivamente ad eventuali risposte potremo pensare ad un documento conclusivo. Per ora l'ufficio di presidenza non ha deliberato in questo senso, anche se nulla toglie che possa farlo.

FRANCESCO SERVELLO. Mi sono permesso di affermare, all'inizio, che la discussione sui poteri del presidente era la discussione sui poteri della Commissione. La distinzione sottile, a volte maliziosa, altre volte strumentale, tra le due posizioni a mio avviso nasconde una realtà molto preoccupante, cioè che da qualche parte, forse, non si vuole far funzionare questa Commissione. Allora, non ci si può nascondere dietro un dito, richiamandosi alla lettera o allo spirito di una norma. Mi meraviglia che qui si facciano meraviglie sulle esternazioni di qualcuno di noi, del presidente in particolare: siamo in una fase della politica italiana in cui esternano tutti, dal Presidente della Repubblica ai Presidenti delle Camere, e, anche fuori dalla collegialità del Consiglio dei ministri, i singoli ministri. Esternano i presidenti delle Commissioni, quelle bicamerali ed anche quelle monocamerali. Se vogliamo togliere autorità a questa Commissione, dobbiamo mortificare il ruolo e la figura del presidente e il gioco è fatto. E' il gioco delle forze politiche che reggono l'attuale maggioranza? E' il gioco della RAI, che non vuole controlli ad onta di quello che dichiara in questa sede? L'inutilità dell'ultima audizione è stata registrata. Io stesso ho sollevato dei problemi: quello della radiofonia, quello della singolare decisione assunta di affidare il coordinamento ad un personaggio ben caratterizzato dal punto di vista politico e già controllore del presidente. Nessuna risposta. Ho sollevato anche un problema di deontologia professionale e politica con riferimento alle trasmissioni di Montesano: sembra un muro di gomma, nessuno risponde; lo stesso Montesano dichiara "ho famiglia". Sicché le trasmissioni sono iniziate e pesanti sono le reazioni di certi ambienti a talune parti di queste trasmissioni; saranno pure pregevoli dal punto di vista artistico - nessuno lo discute - ma comunque il fatto che determinino un dibattito nell'ambito cattolico, con pesantissime dichiarazioni da parte di alti esponenti di quel mondo, indica come io abbia colto nel segno quando avevo invitato la RAI a non far trasmettere i servizi di due deputati europei, uno dei quali ha avuto la sensibilità di rinunciare, l'altro ha dichiarato urbi et orbi "ho famiglia" (mi sembra di ricordare qualche battuta di longanesiana memoria). Queste sono le cose che contano.

Ho qui davanti a me - mi rivolgo in particolare al senatore Falomi - la carta dell'informazione e della programmazione a garanzia degli utenti e degli operatori del servizio pubblico. Mi riferisco al comportamento degli operatori del servizio pubblico impegnati politicamente nelle consultazioni elettorali e rilevo che, al riguardo, nella carta si stabilisce tutta una serie di incompatibilità. Ad un certo punto, si dispone: "Nei periodi di aspettativa o di sospensione non è consentita la partecipazione in audio o in video. E' fatta comunque salva la partecipazione dei dipendenti e dei collaboratori a trasmissioni istituzionali come tribune politiche (...) Ai dipendenti chiamati a cariche pubbliche elettive, nazionali o locali - è il caso Montesano - ovvero a ricoprire incarichi in organizzazioni di partito è fatto divieto per tutta la data del mandato di curare o condurre trasmissioni radiofoniche e televisive". E' un problema, questo, o non lo è? E vi pare che noi si abbia qualche autorità se, posto in questa sede, in sede di audizione del presidente, del direttore generale e di tutto il consiglio di amministrazione della RAI, nessuno ha risposto e si è tranquillamente andati avanti, realizzando una violazione di norme deontologiche e, nello stesso tempo, di norme sulla difesa dell'obiettività che la stessa RAI proclama di voler attuare?

La mia preoccupazione, dunque, è che questa Commissione continui a non contare nulla nei confronti del servizio pubblico radiotelevisivo. Caro Lombardi, altro che politica soft, per carità! Qui ci vuole una politica incisiva, certamente non irragionevole ma incisiva, per entrare anche in quella che è la formazione del prodotto in termini qualitativi, culturali, politici, in termini di informazione oggettiva e pluralista. Questo dovrebbe fare la nostra Commissione e dovrebbe avvalersi, anche, del presidente e della sua possibilità di informazione più diretta di quella di un singolo parlamentare.

Se il presidente lo consente, vorrei ricordare a me stesso diversi precedenti, che si sono prodotti in un quadro politico e in uno scenario istituzionale molto diverso dall'attuale. Quando si insediava un nuovo presidente non solo era chiaro che dovesse assumere informazioni, avere contatti, ricevere personaggi non solo della RAI ma anche di altri ambienti comunque interessati all'informazione, all'intrattenimento, al cinema, tutti elementi che concorrono a creare il prodotto, ma subito dopo si apriva un discorso diverso in sede di indirizzi. Ad esempio, venivano ufficialmente convocati, allora sì, dalla Commissione e dall'ufficio di presidenza i rappresentanti degli interessi che comunque potevano essere, in qualche modo, fonte di suggerimenti, di stimoli e di proposte. Era quello il momento in cui il presidente non poteva sostituirsi alla Commissione o all'ufficio di presidenza, non per il tipo di incontro ora in questione.

Ho preso visione delle lettere, caro Lombardi. Tu pensi che siano, diciamo, un po' vivaci, ma non è così, per carità! Sono lettere quasi burocratiche, nelle quali si dice: è stato affermato in ufficio di presidenza questo e quest'altro, è stata avanzata una certa richiesta da parte di un membro dell'ufficio di vigilanza, si prega di fornire le delucidazioni del caso. Se dobbiamo avere paura anche di questo, allora è meglio che questa Commissione venga sciolta. Essa ha un senso, un valore se in tutte le sue componenti - non faccio distinzione tra maggioranza ed opposizione - vi è la libertà, l'autonomia, la volontà di farla funzionare e di far capire al servizio pubblico che noi non siamo qui per umiliarlo o mortificarlo, ma per valorizzarlo, semmai per esaltarne le funzioni ed il ruolo centrale nella vita politica e culturale del nostro paese.

Se si avverte questo, allora non ci si va a perdere nei rivoletti dei piccoli dispetti, delle censure e censurine nei confronti del presidente o di chiunque altro, ma si bada alla sostanza. Correttamente questa mattina il presidente ha indicato quali siano i compiti possibili, in base all'interpretazione ed alla lettera del regolamento e della legge, di questa Commissione; io concordo al cento per cento con quanto è scritto nella sua relazione ma rivendico a questa Commissione il suo dovere di essere un elemento pressante, diuturnamente stimolante - come presidente, come ufficio di presidenza e come Commissione complessivamente - nei confronti del servizio pubblico. Questo stimolo è indispensabile e necessario; la vigilanza è prescritta dalla legge e guai se non la facesse, insieme a noi, il presidente, perché allora non assolverebbe ai suoi compiti ed ai suoi doveri.

GIAN GUIDO FOLLONI. La ringrazio, presidente, per la sua relazione puntuale sulle attività residuate - quelle attive e quelle non attive - oggi esercitate dalla Commissione di vigilanza.

Vorrei riuscire a porre un problema - che spero sia attentamente valutato dai colleghi - che, a mio avviso, precede di molto le considerazioni già svolte dai commissari che mi hanno preceduto. Si tratta di un problema che mi ero permesso di sollevare in un intervento precedente, che il presidente ha avuto la bontà di raccogliere e di esporre, attraverso il deliberato dell'ufficio di presidenza, come oggetto di questa seduta e che, a mio avviso, è necessario che affrontiamo per non rendere - lo dico per quanto mi riguarda, ma credo sia problema di ciascuno di noi - il soggiorno all'interno di quest'aula, di fatto, una perdita di tempo. A meno che non vogliamo considerarlo tempo utile per guadagnare, di tanto in tanto, qualche citazione da parte dei giornali dediti ad occuparsi del dibattito tra le diverse forze politiche.

Lei, presidente, accennava ad un'ipotesi di cessazione del ruolo di questa Commissione in ordine alla legislazione che si sta predisponendo sul sistema radiotelevisivo; io credo che, per la verità, la funzione per cui questa Commissione di vigilanza è nata cesserà il giorno in cui la RAI dovesse diventare un soggetto a maggioranza privata. Fino ad allora, è nella natura di questa Commissione, nata all'ombra dei Governi e che la Corte costituzionale ha voluto sottrarre al potere del Governo, fare da filtro nei confronti del potere di controllo che il Governo tende di per sé ad esercitare riguardo ad uno strumento comunicativo di diritto pubblico. Questa è la ragione per la quale - non concordo con qualche commissario che si è soffermato su questo aspetto - l'IRI è tenuto sostanzialmente fuori dagli atti di controllo dell'azione del consiglio di amministrazione della RAI, o, almeno, ne è rimasto fuori fino a tempi recenti.

Qual era, dunque, il ruolo della Commissione? Vigilare sul potere che il Governo può avere sull'azienda, in modo tale che la vigilanza stessa e l'indirizzo sull'attività dell'azienda siano ricondotti all'interno del Parlamento e non lasciati a soggetti esterni. Su questo aspetto della questione qualche problema in più è nato con il passaggio dal sistema puramente proporzionale di formazione del Parlamento ad un sistema tendenzialmente maggioritario. Intendo dire che con il maggioritario si è innescata, in qualche modo, la possibilità di un circuito esterno che attraverso la rappresentanza parlamentare elettiva, che dà forma e sostanza al Governo, sia possibile esercitare per strada non parlamentare un controllo sull'azienda. Da questo punto di vista, la nomina da parte dei Presidenti di Camera e Senato del consiglio di amministrazione ha finito per confermare questa possibilità; soprattutto quando, come è accaduto in questa legislatura, la nomina è arrivata essendo i due Presidenti espressione della stessa maggioranza.

Credo, allora, che dovremmo riflettere sul fatto che con la legislazione che si è via via succeduta sul potere di nomina del consiglio di amministrazione della RAI, sulla limitazione dei poteri della Commissione, alla quale è stato sottratto, in un primo tempo, il potere di nomina del consiglio di amministrazione stesso e poi, di fatto, anche il potere di censura, di licenziamento di tale consiglio, siamo addivenuti ad una situazione un po' paradossale che spero, a conclusione di questo dibattito, si possa tentare di superare. Non c'è vigilanza se non c'è potere sanzionatorio ovvero se non c'è potere di vincolo a comportamenti coerenti con gli indirizzi che qui vengono determinati, ma io oggi non vedo quali poteri sanzionatori e di vincolo abbia questa Commissione nei confronti del consiglio di amministrazione della RAI. Questa è la natura del problema di cui stiamo discutendo. Se non individuiamo questo potere, tutto il nostro discorrere potrà andare avanti all'infinito - mi spiace che non ci sia il collega Giulietti, sulle esternazioni del presidente, sul suo ruolo, su cosa dibattere nelle nostre sedute; ma quale che siano le conclusioni alle quali addiverremo, sappiamo che il consiglio di amministrazione della RAI le ascolterà come noi leggiamo i giornali la mattina, sapendo, cioè, che può tenerne conto, se lo desidera, o ignorarle. Del resto, da questo punto di vista mi sembra che l'ascolto di quanto sono venuti a dirci il presidente Siciliano ed il direttore generale Iseppi confermi questa mia valutazione; sostanzialmente ci hanno detto - impostazione poi ripresa dal collega Lombardi - che desiderano che noi si collabori con la RAI. Mi sembra un'espressione totalmente inutile rispetto alla funzione di una Commissione parlamentare. La RAI può attrezzare un ufficio studi, ma non è nella natura, nella genesi di questa Commissione parlamentare la funzione di collaborazione con il consiglio di amministrazione; essa ha funzioni di indirizzo e di vigilanza, che è cosa ben diversa. Che poi ciò avvenga con cordialità e spirito collaborativo è altra cosa. Ma mancano qui i presupporti per esercitare vigilanza e indirizzo nei confronti del consiglio di amministrazione della RAI.

Nel rifiuto da parte dell'IRI di approvazione del bilancio abbiamo, poi, avuto un terzo atto. L'IRI è rientrato in scena e da questo punto di vista, presidente, mi sembra che si ponga in ordine alla sentenza della Corte costituzionale una seconda questione di potenziale violazione. Oggi non solo la RAI ha creato un corto circuito per rientrare in un dialogo più stretto con il Governo, attraverso i poteri di nomina esercitati dai Presidenti di Camera e Senato nonché attraverso il fatto che la Commissione non ha più potere sanzionatorio nei suoi confronti, ma l'azionista è tornato ad esercitare prerogative delle quali, in qualche modo, si era spogliato per consentire la vigilanza parlamentare, ed anche da questo punto di vista credo sia necessario un chiarimento. Io non so chi debba darlo - il Parlamento, vorrei dire - e ricordo che esso era iniziato quando, prima al Senato e successivamente alla Camera, diverse forze politiche avevano avviato una legislazione che tendesse a determinare i nuovi criteri di nomina del consiglio di amministrazione ed anche i nuovi criteri di sanzione nei confronti di questo. Quel percorso si è interrotto perché la riforma del sistema è stata assorbita dalle iniziative del ministro Maccanico, oggi in discussione al Senato; però in quelle iniziative non è presente la definizione del ruolo di questa Commissione. Per questo in una seduta precedente io avevo posto la questione ed avevo sottoposto - torno a farlo oggi - a lei e ai commissari l'esigenza che qualcuno - come lei osservava ne discuteremo, probabilmente, in un prossimo ufficio di presidenza - si rivolga ai Presidenti delle Assemblee elettive per sapere se il Parlamento sia interessato ad affrontare la questione e se intenda farlo per via legislativa, se i Presidenti di Camera e Senato debbano, con un atto, esprimersi su quali siano i poteri reali, attuali di questa Commissione, se attendiamo la riforma del sistema o se, in vacanza di tutto questo, noi si faccia qui una supplenza di buona volontà di un potere che non c'è più.

Io dunque, presidente, credo - e invito a sottoporre questo tema ad un prossimo ufficio di presidenza - che lei dovrebbe rappresentare tutto questo ai Presidenti Violante e Mancino. Siamo in presenza di una elusione di fatto del dettato della Corte costituzionale. Se la Commissione parlamentare di vigilanza non è messa in grado di esercitare, con poteri suoi propri, la sua funzione, oggi la RAI torna ad essere, come era prima della sentenza della Corte costituzionale, uno strumento strettamente legato all'Esecutivo.

PRESIDENTE. Devo comunicare alla Commissione che giovedì mattina avranno luogo, sia al Senato sia alla Camera, votazioni importanti; pertanto propongo che l'audizione del direttore generale della RAI, dottor Iseppi, già fissata per quella data, sia rinviata a martedì mattina, e di conseguenza sia anche rinviata la riunione dell'ufficio di presidenza sulle tribune tematiche e la prosecuzione dei nostri lavori che era convocata al termine di quell'audizione. Come mi è stato suggerito da alcuni colleghi, propongo che tale audizione abbia inizio alle 11.

Dunque, se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che l'audizione del direttore generale della RAI è fissata per martedì 15 ottobre, alle ore 11.

(Così rimane stabilito).

Aggiungo che sto attendendo dal direttore generale la risposta alla richiesta di consentire ai commissari di esaminare il carteggio sulla pubblicità occulta per poter formulare domande in proposito. La questione era stata posta in ufficio di presidenza proprio al fine di evitare di non essere pienamente a conoscenza della materia. Comunque, è questione che valuteremo successivamente.

STEFANO PASSIGLI. Ho ascoltato con grande interesse l'intervento del senatore Folloni, con il quale concordo pienamente tranne che nell'ultima conclusione, perché a me la RAI non sembra oggi asservita all'Esecutivo, come sicuramente è stata in certi momenti della sua storia. Mi sembra, semmai, una nave in cui non sono sicuro chi siano i timonieri; ma questo vale non per la RAI di questo consiglio bensì per la RAI così come è venuta configurandosi negli anni.

La ricostruzione del collega Folloni è corretta ed io aggiungerò qualche elemento. Sostanzialmente, il disegno verso il quale ci stiamo muovendo è quello di una autorità indipendente dall'Esecutivo e - in questo senso sono d'accordo - sempre di più anche da un Parlamento che si esprime attraverso una Commissione che ha sostanzialmente perso i suoi poteri. A questo riguardo la ricostruzione è corretta: il modello è quello di una RAI autonoma, in cui occorre ridefinire quale sia il concetto di vigilanza, di controllo e di indirizzo, che è ovviamente diverso da quello che era in passato, quando vi era uno stretto vincolo tra la RAI e il Governo in certi momenti, tra la RAI e il Parlamento in certi altri, quando questa Commissione svolgeva il cruciale ruolo di nominare il consiglio di amministrazione.

Certamente, se ci avviamo verso il modello di una RAI autonoma bisogna ridefinire quale sia il reale significato della vigilanza e del potere di indirizzo, anche se, inevitabilmente, almeno il potere di indirizzo sarà nettamente inferiore a quello che è stato in certi momenti del passato. Ma io non lo rimpiango affatto, sia chiaro. Né mi sembra che lo rimpiangesse Folloni nel suo intervento.

Che questa Commissione - nell'attuale legislatura come già nelle precedenti - si trovi ad operare in un quadro istituzionale profondamente mutato mi sembra assolutamente indubbio. Nessuno ha ricordato - non mi sembra che Folloni l'abbia fatto nella sua ricostruzione - quali siano state le tappe della progressiva perdita di ruolo di questa Commissione. Nessuno ha ricordato il garante; ma sicuramente l'istituto del garante è anch'esso - indipendentemente da come le persone che hanno occupato quella posizione istituzionale abbiano svolto la loro funzione - un elemento che completa un disegno che passa per una diversa nomina del consiglio di amministrazione, che passa, appunto, per l'istituto del garante e che, quindi, ridimensiona sostanzialmente i poteri di indirizzo di questa Commissione. Per questo motivo mi sorprende molto una teorizzazione come quella del collega Vito, secondo il quale la RAI non deve essere editrice di se stessa - perché questo è, invece, il modello verso il quale stiamo andando - ed è il Parlamento che deve porsi come editore. Di certo il Parlamento come editore è meglio del Governo come editore, ma - questo era il senso della sentenza della Corte - in un Parlamento eletto con il sistema maggioritario - e qui venivano a proposito le considerazioni di Folloni - non c'è dubbio che non vi sia molta differenza, perché nei Parlamenti e nelle Commissioni si decide a maggioranza. Anzi, nella decisione della maggioranza di affidare ad un membro della minoranza la presidenza della Commissione, ho letto proprio l'esplicita volontà di non esercitare un possibile potere di maggioranza.

Bisogna, dunque, innanzitutto decidere se la tendenza verso una RAI che si ponga come editore di se stesso sia qualcosa che a noi sta bene o non sta bene. Non sta bene al senatore Servello, il quale mi pare abbia sostanzialmente affermato, anche se non ho preso nota delle parole precise, che una delle funzioni della Commissione è definire il prodotto. Egli ha parlato di prodotto editoriale ed ha detto che tale prodotto deve essere creato non dalla RAI ma dal Parlamento attraverso questa Commissione: si è espresso quasi in questi termini. Al riguardo io ho delle riserve totali, assolute.

PRESIDENTE. La Commissione fissa gli indirizzi.

STEFANO PASSIGLI. Certo non credo che pensasse che la Commissione debba preoccuparsi di come riempire un palinsesto nei dettagli. Ma un conto sono gli indirizzi... Gli indirizzi, però, non sono sul prodotto editoriale bensì su alcuni principi o criteri ai quali il prodotto editoriale deve rispondere. Quindi, mi sembra che, progressivamente, tutto il complesso normativo così come è venuto evolvendosi e delle istituzioni che hanno competenza relativa alla RAI tenda ad affermare alcune cose: l'auspicabilità della pluralità dei soggetti sul mercato (ciò vale sia per gli atti normativi sia per la giurisprudenza della Corte); il cammino accelerato verso la pluralità di questi soggetti; il pluralismo interno; l'autonomia professionale. Questi sono alcuni dei grandi principi che noi dobbiamo verificare nel comportamento effettivo della RAI, sulla base di poteri di controllo e di vigilanza. Credo che sia scontato che abbiamo poteri di controllo non sulla gestione ma sul rispetto che nella gestione gli organi di amministrazione della RAI devono avere per i principi ai quali si deve ispirare il servizio pubblico, che sono principi generali. I poteri di indirizzo sono ben pochi oramai, a questo riguardo ha ragione Folloni; e se pensiamo che i poteri di indirizzo possano contribuire alla definizione del prodotto, inevitabilmente definire il prodotto significa definire anche chi lo debba fare: quindi pesanti interferenze o desiderio di pesanti interferenze sulle nomine RAI, sulle strutture interne e quant'altro.

Potrei anche desiderare una Commissione con poteri diversi, ma la nostra è una Commissione il cui compito è sostanzialmente di vigilanza sul rispetto dei criteri generali. Perché a questo ci porta - al potenziamento del compito di vigilanza e al depotenziamento del potere di indirizzo - tutta l'evoluzione normativa. Su questo bisogna certo ridefinire i compiti della Commissione, ma avere ben chiaro che non si può pretendere che un cavallo voli; si può pretendere che trotti o che galoppi, ma non che voli. Dico questo poiché mi sembra che alcuni autorevoli interventi ponessero in termini molto estesi il potere della Commissione, il che naturalmente si riflette sui poteri della presidenza, che esprime visibilmente il ruolo della Commissione. Al riguardo, io sono certamente per il non imbavagliare nessuno e sono consapevole che il presidente ha una funzione di informazione e via dicendo; mentre sarei esitante a riconoscergli un potere di istruttoria, al di là della acquisizione di elementi, poiché questo configura un ruolo più ampio di quello di presidenza di una Commissione, che è pur sempre un organo collegiale.

PRESIDENTE. Come si è determinato questo mio potere di istruttoria?

STEFANO PASSIGLI. Non mi riferivo a te, presidente. Considero, comunque, che è buona regola che l'acquisizione segua sempre dei cammini procedurali. Per esempio, sarei molto esitante ad affermare che tu o qualsiasi altro presidente operi bene quando, scavalcando la gerarchia aziendale, si rivolga direttamente a questo o quel funzionario o a questo o quel servizio per acquisire informazioni; perché inevitabilmente - e malgrado questa Commissione abbia perso buona parte dei propri poteri - il presidente della Commissione di vigilanza è pur sempre persona che viene percepita dalla RAI come influente ed in grado di influire sulle posizioni personali delle persone che va a contattare.

PRESIDENTE. Sono accuse...

STEFANO PASSIGLI. No, direi che è regola di buon comportamento seguire l'iter gerarchico. Negli eserciti è una regola, non dico che debba esserlo nella RAI però, francamente, questo è l'unico punto sul quale inviterei ad una certa prudenza. Soprattutto, ognuno si porta dietro il proprio passato ed il tuo è un passato di esternazioni pesanti quando non eri presidente di questa Commissione.

PRESIDENTE: Mi si accusava, a volte, di essere intollerante, ora di prediligere il dialogo. Ci sarà una via di mezzo?

STEFANO PASSIGLI. Mi sembra che quanto stavo dicendo fosse estremamente tollerante. Dico che ognuno è prigioniero della propria immagine: se altri presidenti, con un passato meno conflittuale del tuo, facessero le stesse cose, probabilmente desterebbero meno reazioni e meno sospetti. Ognuno ha la sua genesi e la tua non è certo la meno conflittuale che esista.

Detto questo, credo che ci si debba rassegnare ad avere una funzione ben precisa, che è quella di vigilare che le grandi linee direttive verso le quali il servizio pubblico si è incamminato - che si concretizzano sostanzialmente in una propria autonomia - vengano rispettate; che venga rispettato il pluralismo interno; che venga rispettata l'autonomia professionale; che la RAI nulla faccia che possa turbare la costruzione di un mercato pluralistico. Su alcuni grandi indirizzi devono quindi esprimere un parere non solo le Commissioni di merito, ed un parere occorre anche sull'opportunità che la RAI si indirizzi sulle reti tematiche, sulle pay-TV.

Senza definire ora se la Commissione abbia o non abbia certi poteri (cosa che dovrà essere decisa in altro momento), qualora si verificasse che li ha, per la strategia complessiva di un'azienda il cui compito principale è di fornire un servizio pubblico (il che significa informazione ed un certo tipo di palinsesto generale), occorrerà indicare, in un mercato radicalmente cambiato e che cambierà ulteriormente, qual è la funzione del servizio pubblico e della RAI. E' questo il potere di indirizzo che abbiamo, non certo un potere di definizione dei prodotti editoriali.

ALBERTO MONTICONE. Vorrei innanzitutto esprimere un parere sostanzialmente favorevole alla relazione del presidente Storace, perché mi è parso utile il metodo da lui adottato di partire da alcuni elementi concreti per poi additare alcune prospettive più generali.

Mi permetterò però di fare alcune accentuazioni e qualche piccola osservazione. Vorrei richiamare l'attenzione della Commissione ed in particolare dell'ufficio di presidenza sull'importanza che ha il dibattito della Commissione di merito intorno al riordino del sistema radiotelevisivo. E' infatti vero, come è detto nella relazione del presidente, che questa Commissione si deve per ora occupare principalmente della RAI, ma è anche vero che il riordino del sistema radiotelevisivo concerne più direttamente la collocazione del servizio pubblico nel quadro dell'economia di mercato e la sua prospettiva internazionale. Dai progetti di legge in discussione, ed in particolare da quello presentato da Maccanico, è infatti prevista l'applicazione di alcune norme comunitarie che incidono profondamente sia sul mercato sia sul servizio pubblico radiotelevisivo. Non solo, ma tali norme comunitarie prevedono anche l'emanazione di regolamenti che nei due provvedimenti all'esame della Commissione del Senato si dice dovranno essere emanati entro 90 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Credo che proprio in sede di emanazione dei regolamenti, dove c'è evidentemente un forte intervento del Governo, sia molto importante che venga esercitata la vigilanza del Parlamento, sia in relazione alla RAI sia al più generale sistema radiotelevisivo. E mi pare che la nostra Commissione lo debba fare già in questa fase.

Un secondo aspetto che emerge dalla relazione del presidente è quello della valutazione del rapporto tra vigilanza e indirizzo, rispetto al quale confesso di non essere d'accordo con il collega Passigli sulla prevalenza della vigilanza. Tenuto conto del percorso storico delle vicende di questa Commissione e poi del mondo della comunicazione, considero invece più importante che la Commissione svolga un ruolo di indirizzo, anzi di promozione del servizio pubblico. Cercherei pertanto di evitare - e qui critico la relazione del presidente - che la Commissione sia la stanza di compensazione, di eco e di trasmissione delle lamentele dei singoli o anche del suo complesso. Ci sarebbe in tal caso un rischio di frammentazione, un rischio di immiserimento della funzione di vigilanza.

Tra l'altro riterrei che qualora uno dei parlamentari, anche non commissario, esponga al presidente una censura su alcune vicende della RAI, questa non debba essere trasmessa direttamente e neanche attraverso l'ufficio di presidenza, ma debba formare oggetto - salvo casi eccezionalmente gravi di urgenza - del nostro dibattito, in modo da costituire anche un atto di indirizzo e non solo di censura.

Un terzo argomento sul quale invece concordo con il presidente Storace è la rilevanza delle relazioni bimestrali, oltre quella annuale, che peraltro, stante il recente insediamento del nuovo consiglio di amministrazione, ritengo opportuno venga rinviata al momento in cui decideremo insieme di valutare il cammino compiuto. E' auspicabile che sulle relazioni bimestrali si instauri un circuito di comunicazione con il Governo e con la RAI, per cui riterrei che la presenza di rappresentanti del Governo e della RAI alle sedute della Commissione, ancorché non definita dai regolamenti, sia molto importante.

In proposito vorrei aggiungere che a me non è parsa una perdita di tempo per la Commissione l'audizione della dirigenza della RAI. E' vero che alcuni elementi non si sono ancora tradotti in un ascolto effettivo dell'indirizzo dato dalla Commissione, ma noi dobbiamo accentuare il carattere di indirizzo incrementando il numero delle audizioni.

Sulla funzione di indirizzo, che è complementare a quella della vigilanza, osservo che mi pare giusta la parte della relazione del presidente concernente le tribune e l'accesso. Al riguardo solleciterei il presidente, e quindi i gruppi parlamentari, alla formazione della sottocommissione di vigilanza, perché questo è un settore molto importante, anche per quella funzione di promozione dello scambio e della dialettica tra le culture presenti nel paese e la funzione culturale e formativa del servizio pubblico.

Da ultimo vorrei segnalare che il dovere di indirizzo deve essere esercitato sia in quel settore che con brutta parola è definito educational che, secondo quanto è emerso dall'audizione con il dottor Iseppi degli altri membri del consiglio di amministrazione della RAI, sembra essere centrale per la RAI e che comunque è centrale per la funzione di servizio pubblico. Direi anche che l'indirizzo deve essere soprattutto di promozione della cultura, nel senso lato e popolare del termine, attraverso una produzione originale della RAI.

Torno a sottolineare quanto mi sono permesso di osservare incidentalmente nel mio breve intervento dopo l'audizione dei vertici della RAI e che anche il collega Melograni aveva indicato, cioè la funzione dell'archivio della RAI come un elemento di produzione di cultura. Credo che sulla produttività della RAI sia molto importante che questa Commissione dia un apporto di indirizzo.

A conclusione del mio intervento rilevo che concordo con gran parte di quanto ha dichiarato il senatore Folloni, ma direi che non ci deve essere un potere sanzionatorio della Commissione. Piuttosto occorrerebbe chiarire ulteriormente le conseguenze dei pronunciamenti di carattere censorio della Commissione, e pertanto sono d'accordo sull'idea di investire le Presidenze delle due Camere non solo degli effetti della nostra funzione di vigilanza, ma anche della opportunità di intensificare i rapporti da rendere al Parlamento.

PRESIDENTE. Devo una risposta ad alcune questioni di carattere procedurale che sono state poste anche dall'onorevole Monticone. Per quanto riguarda la sottocommissione per l'accesso, nel corso della riunione l'ufficio di presidenza che abbiamo rinviato a martedì prossimo provvederemo a sollecitare i gruppi perché designino i loro rappresentanti.

Il capitolo lamentele è giusto porlo. Sottolineo però la necessità di una differente organizzazione dei nostri lavori, perché già oggi abbiamo difficoltà a porre al centro del nostro dibattito numerosi argomenti. Se dovessimo arrivare a discutere anche le cosiddette lamentele, questa Commissione avrebbe difficoltà a riunirsi.

Infine, ha ragione l'onorevole Passigli quando parla della mia esuberanza, ma si pensi cosa sarebbe accaduto se avessi adoperato il termine "sorveglianza" che egli ha usato con riferimento a questa Commissione.

ORESTE ROSSI. Esprimo il mio parere favorevole alla relazione del presidente, con particolare riferimento alle seguenti parole: "l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi sono affidati al Parlamento (...). Lo strumento operativo, a questo proposito, è stato individuato nella nostra Commissione: la difesa di un'interpretazione dei poteri della Commissione che risulti, all'occorrenza, anche un'interpretazione estensiva, equivale pertanto alla difesa delle prerogative del Parlamento stesso".

Ottime parole, presidente. Non capisco però perché la stessa maggioranza di governo che ha nominato i vertici della RAI, dichiarando ai quattro venti la sua grande democraticità, ha prima enfatizzato la funzione di vigilanza di questa Commissione sulla RAI - che, lo voglio ricordare, ha migliaia di dipendenti e amministra ogni anno migliaia di miliardi pubblici - e poi ha di fatto cercato di limitarla; ma per poter vigilare bisogna conoscere, e per poter conoscere non possono accettare le parole di un direttore generale che in questa Commissione ha sostenuto che i dati sui consulenti esterni ce li può fornire soltanto in modo aggregato. Cari colleghi della maggioranza, abbiamo diritto di sapere quanto i cittadini italiani pagano ciascun consulente. Se si riterrà che un consulente sia troppo pagato o non abbastanza valido non sarà nostro compito rimuoverlo, ma sarà nostro compito chiedere al presidente o al direttore generale come mai quel consulente viene pagato tanto. Credo che questo rientri nei compiti della Commissione di vigilanza, a differenza di quanto ha detto il direttore generale nella precedente seduta.

Allo stesso modo, ritengo altrettanto lecito sapere - torno sempre alle dichiarazioni del direttore generale in questa sede - quanto la RAI, cioè il servizio pubblico, abbia speso per acquisire i diritti delle gare di formula uno: anche questo, secondo il direttore generale, è segreto, ma a me sembra alquanto strano che lo sia.

Sono d'accordo in gran parte con quanto ha detto il collega Vito e mi auguro che questa Commissione possa, in misura maggiore di altre volte, portare avanti un compito di vigilanza sulla RAI. La RAI è sempre stata definita da tutti un carrozzone: cerchiamo di fare in modo che non lo sia più, cerchiamo di rendere il più trasparente possibile ciò che l'azienda fa, ricordando che tutto ciò che la RAI fa è a spese dei contribuenti. Sono pertanto necessarie la massima trasparenza e la massima chiarezza, e non deve esserci alcun segreto per nessuno, tanto meno per i membri di questa Commissione.

ANTONIO FALOMI. Il collega Vito ha manifestato apprezzamento nei confronti dell'ufficio di presidenza per aver iscritto all'ordine del giorno della Commissione questo dibattito. Voglio solo ricordare che questa discussione è stata promossa su richiesta del gruppo della sinistra democratica. Non faccio questo richiamo per rivendicare un merito che credo, francamente, non interessi a nessuno, bensì per ribadire anche in questa sede qual era la finalità della nostra richiesta: quella di liberare l'attività della Commissione da possibili conflitti o tensioni e per metterla in grado di funzionare meglio.

PRESIDENTE. Era?

ANTONIO FALOMI. Era ed è, perché manteniamo questa finalità. Se vogliamo ottenere i risultati che questa Commissione deve raggiungere, è necessario che ci chiariamo quali sono i suoi poteri, in modo da lavorare speditamente e in maniera produttiva. Ci potremo trovare di fronte a problemi di ammissibilità di ordini del giorno o di determinate richieste di documentazione, ma dobbiamo trovarci nella condizione in cui la Commissione sa chiaramente quali sono i suoi poteri e quali i suoi confini. Tale è l'obiettivo di questo chiarimento.

Come dobbiamo procedere nel nostro lavoro? Il collega Vito ha parlato della necessità di concludere questa fase dei nostri lavori con un documento approvato dalla Commissione. Sono d'accordo con lui, ma anche con il presidente Storace sull'esigenza di arrivare a questa conclusione attraverso un percorso che coinvolga - come egli ha osservato - la RAI, l'IRI e anche il garante per la radiodiffusione e l'editoria, perché anch'egli ha rapporti e relazioni con questa Commissione. L'unica che eviterei fra le proposte del presidente Storace è quella di riassumere in una lettera la nostra discussione; credo, piuttosto, che si debba inviare il resoconto stenografico del nostro dibattito ai soggetti che ho ricordato, in modo da consentire loro di esprimere una valutazione. Potremmo anche procedere a specifiche audizioni.

PRESIDENTE. Si pone il problema dei Presidenti delle Camere: non possiamo ascoltarli.

ANTONIO FALOMI. Certo, è ovvio che non possiamo ascoltare i Presidenti delle Camere, però possiamo loro inviare quello che il collega Vito ha definito il documento conclusivo del nostro lavoro, che ha come obiettivo quello di cercare di far funzionare le cose nel miglior modo possibile, ferma restando la libertà di ognuno di noi di esprimere opinioni, pareri e valutazioni.

Entro nel merito dei problemi. Ho ascoltato considerazioni che, francamente, non reputo convincenti. La Commissione ha funzioni di indirizzo e di vigilanza; ma non è che queste funzioni si esercitano senza vincoli e senza confini, nel senso che, essendo la Commissione espressione della sovranità popolare, possiamo esercitarla in modo assolutamente discrezionale, ponendo indirizzi o esercitando la vigilanza su qualunque questione e in qualunque materia. Questo non rientra nei compiti della Commissione, che ha poteri di indirizzo e di vigilanza fissati da leggi dello Stato, cui anche noi, ovviamente, siamo sottoposti. Naturalmente, se queste leggi non ci piacciono, essendo parlamentari, avendo una funzione legislativa, possiamo cambiarle; ma finché esistono, debbono essere rispettate da tutti. Quindi, l'esercizio dei poteri di indirizzo e di vigilanza avviene nell'ambito delle norme di legge e del regolamento della Commissione, che da queste norme trae origine.

Dobbiamo fare i conti con una situazione legislativa che è andata evolvendosi nel corso degli anni, creando non pochi problemi interpretativi di alcune norme. Ma si è andata evolvendo secondo un indirizzo generale - come ha osservato il collega Passigli - che io condivido e che credo debba ispirare anche l'eventuale interpretazione di tali norme. L'indirizzo generale lungo il quale si sono mosse le norme riguardanti le funzioni di questa Commissione si è mosso nel senso di toglierle i poteri di intervento nella gestione del servizio pubblico radiotelevisivo, in questo ammaestrati dalla devastante esperienza del passato: tale esperienza, infatti, non solo prevedeva un potere di nomina del consiglio di amministrazione da parte della Commissione - prima parziale e poi esclusivo (si era arrivati all'assurdo di un consiglio di 16 membri) - ma aveva anche come conseguenza, proprio perché tendeva a costruire un consiglio di amministrazione che rappresentasse tutte le componenti o sottocomponenti politiche, di implicare, giustificando questo potere, un intervento di tipo gestionale nell'attività del servizio pubblico radiotelevisivo, e non, invece, un intervento di indirizzo e di vigilanza.

Ho osservato quanto sopra perché anche alcune iniziative assunte nel corso di questa fase dei nostri lavori in realtà aprono questo problema. Personalmente, per esempio, ritengo irricevibile l'ordine del giorno sulla radiofonia, perché chiede di sospendere atti di tipo gestionale e interviene su materie di tipo gestionale che non sono di competenza di questa Commissione. Su queste questioni, colleghi, dobbiamo intenderci: ritengo che la legislazione abbia giustamente teso a far fuoriuscire la RAI. Poi, che non ci sia riuscita... Io sono stato, ahimè, sfortunato presentatore di una proposta di legge di riforma della composizione del consiglio di amministrazione della RAI, prima che si procedesse alle nomine secondo il vecchio meccanismo, tuttora vigente. Si voleva giustamente sottolineare il ruolo del Parlamento, anche in considerazione di quanto la Corte costituzionale ha affermato sul dovere del servizio pubblico di garantire il pluralismo interno, dovere che invece non sussiste per le imprese private che operano nel settore radiotelevisivo. Quindi, qui non si mette in discussione il ruolo del Parlamento: è stata messa in discussione dalla legislazione, nel corso degli anni, la funzione di intervento, di interferenza nell'attività di un'azienda - perché comunque rimane un'azienda che opera in un mercato - di tipo gestionale. Questo per me rimane un indirizzo importante.

Badate, colleghi, che anche la stessa legge in discussione al Senato per istituire una authority di garanzia sulla comunicazione non fa venire meno il legame con il Parlamento; tant'è che si prevede che sia nominata dal Parlamento della Repubblica, e quindi si mantiene una funzione di quest'ultimo nei confronti dell'intero sistema della comunicazione e, di conseguenza, anche del servizio pubblico radiotelevisivo.

PRESIDENTE. Non le sfuggirà il problema del controllo, però.

ANTONIO FALOMI. Certo, ferma restando la funzione del Parlamento, che la esercita attraverso questa Commissione, che ovviamente si deve pronunciare: sono d'accordo con il presidente che dobbiamo riattivare un istituto che si è perso, quello delle relazioni al Parlamento da parte di questa Commissione. Evidentemente, erano troppo impegnati a occuparsi degli affari interni gestionali della RAI per produrre queste relazioni, dato che non so a quale anno risalga l'ultima.

PRESIDENTE. Al 1989.

ANTONIO FALOMI. Sicuramente risale a diversi anni fa. Credo che questo indirizzo generale sia condivisibile, essendo sancito dalle leggi.

La legislazione più recente, abrogando esplicitamente o implicitamente una serie di norme che consentiva un intervento gestionale della Commissione, ne ha esaltato le funzioni di indirizzo e di vigilanza, funzioni che non devono essere esercitate, ripeto, in modo indiscriminato e illimitato, ma che sono in rapporto con le finalità del servizio pubblico, cioè con i compiti propri di questa Commissione, quindi quello di fare riferimento alle finalità e ai principi del servizio pubblico. E' in rapporto a questi che si esercitano le funzioni di indirizzo e di vigilanza.

Ripeto che la legislazione ha fortemente stemperato la facoltà di ingerenza della Commissione, sottraendole il potere di nomina e, conseguentemente, tutte le indirette funzioni di vigilanza e di controllo collegate agli aspetti gestionali. Inoltre, ha introdotto anche alcune previsioni. Ricordo la polemica relativa ad un emendamento del Governo Berlusconi al decreto salva RAI, che ha introdotto uno spostamento di funzioni e di poteri dalla Commissione di vigilanza al ministero competente. In sostanza, si è introdotto il principio di demandare al Ministero delle poste, di concerto con il Ministero del tesoro, l'approvazione di uno strumento gestionale come il piano triennale di ristrutturazione aziendale, prevedendo l'intervento parlamentare non tramite la Commissione bicamerale, ma per mezzo dei Presidenti dei due rami del Parlamento, solo nel caso in cui il piano sia respinto dagli organi governativi. Quindi, si introduce un potere di non approvazione da parte del Governo, un intervento dei Presidenti delle Camere nel caso in cui scatti questo potere, e quindi uno spostamento del potere di intervento in materia gestionale dalla Commissione di vigilanza al ministero competente. Addirittura, non è neanche previsto l'obbligo di comunicazione alla Commissione dello strumento di risanamento approvato da parte del servizio pubblico radiotelevisivo. Dobbiamo chiarirci le idee su questo punto perché anche la contestazione che prima muovevo ad alcune iniziative del presidente ovviamente non deriva dal fatto che questi si chiami Storace né dalla circostanza che sia un esponente dell'opposizione, cosa dimostrata dal fatto - peraltro ribadito da molti - che, attraverso l'astensione, il mio gruppo ha contribuito all'elezione del collega Storace sulla base di un ragionamento politico generale, di cui ribadiamo la validità. Chiaramente le contestazioni nascevano dall'insorgere di nodi interpretativi i quali, se non chiariti, possono produrre turbamento e conflitto non solo all'interno della Commissione, ma anche nella stessa azienda.

Come osservava prima il collega Semenzato, neanch'io considero sufficiente la replica del presidente in ordine alle iniziative da lui assunte; infatti, se ammettiamo che i poteri conoscitivi, che peraltro non a caso sono disciplinati dal regolamento, si possono esercitare nella forma indicata dal presidente, il quale ha sostenuto la sua disponibilità ad informarsi presso le strutture della RAI, dai componenti del consiglio di amministrazione ai singoli dirigenti, per acquisire notizie che servano al lavoro della Commissione...

PRESIDENTE. Non ho detto solo questo; non vorrei che venisse sancito il divieto per il presidente di parlare con chi glielo chiede!

ANTONIO FALOMI. Sono stato molto attento alle parole che lei ha usato. A questo punto, appartiene non solo al presidente, ma a chiunque altro, a tutta la Commissione il diritto di parlare all'interno della RAI con chi si vuole, ma credo che, anche dal punto di vista dell'ordinato svolgimento dell'attività aziendale, questo non sia un modo di procedere molto corretto, perché comporta l'impegno di molta gente all'interno della RAI in un'attività conoscitiva del tutto non regolamentata.

In base al suo regolamento, se la Commissione vuole sviluppare un'attività conoscitiva, può farlo con estrema chiarezza. Infatti è previsto che per l'adempimento dei suoi compiti (i suoi, non altri) la Commissione possa invitare il presidente, gli amministratori ed il direttore generale della RAI, nonché i dirigenti della società concessionaria e, nel rispetto dei principi regolatori delle indagini conoscitive della Camera e del Senato, quanti altri ritenga utili. Può altresì chiedere alla concessionaria l'effettuazione di studi. Pertanto, l'acquisizione delle informazioni, stando al regolamento, non è mediata dal presidente, ma è la Commissione a chiamare chi ritenga opportuno per sviluppare la sua attività.

A proposito delle critiche da me mosse al presidente in relazione ad una lettera che richiamava i problemi posti nei loro interventi da vari commissari, è vero che il comma 3 dell'articolo 17 prevede che i membri della Commissione possano richiedere al presidente di disporre per l'acquisizione di atti e documenti della società concessionaria, ma tale intervento viene consentito nell'ambito dell'esercizio dei poteri propri della Commissione. Se qualcuno chiede notizie su materie che non sono di competenza della Commissione, il presidente non si può fare portavoce di una richiesta proveniente da un commissario, il quale può presentarla in altra sede. Per esempio, ritengo che la sede più corretta per porre il problema della pubblicità occulta sia non questa Commissione ma il Garante per l'editoria, che può essere attivato da ognuno di noi con documentazioni precise. Ecco il motivo per il quale su simili questioni dobbiamo intenderci, altrimenti vedo il nostro lavoro futuro come faticoso e soggetto a continue polemiche, che francamente nessuno di noi ha voglia di sollevare.

Siamo di fronte a poteri ben definiti e delimitati; possono non piacerci: benissimo, siamo parlamentari e possiamo modificarli, ma fino ad ora ci muoviamo all'interno di essi. Se così non fosse, finiremmo per passare il nostro tempo a discutere di contenziosi e di competenze non producendo ciò che invece dovremmo, non esercitando cioè quella che, a mio avviso, è una competenza primaria di questa Commissione (cui anche i poteri d'indagine e conoscitivi sono subordinati), cioè il potere di direttiva ovviamente sulle questioni che la legge assegna a questa Commissione. Per esempio, il piano editoriale rappresenta a mio giudizio un punto importantissimo, anche se normalmente nei lavori di questa Commissione gli indirizzi editoriali sono stati sottovalutati. Bisogna quindi evitare che, per fare polemica politica, si finisca per far venir meno la funzione fondamentale di questa Commissione alla quale, invece, noi teniamo molto.

PRESIDENTE. Per chiudere questa polemica, desidererei che prima o poi qualcuno mi chiarisse quali siano i limiti del presidente quando vuole acquisire un bagaglio di esperienze. Affermando che queste ultime possono essere utili alla Commissione, faccio un riferimento ben preciso alle modalità di svolgimento delle riunioni dell'ufficio di presidenza. Vi sarà qualcuno che, all'interno di tale ufficio, avrà la titolarità per porre determinate questioni, sulle quali l'ufficio di presidenza stesso deciderà se andare avanti o meno! Anche il presidente ritengo abbia questa facoltà. Non sono andato all'interno della RAI, senatore Falomi, ho fatto altro: mi sono limitato a parlare con persone disponibili a farlo e penso che questo sia un diritto di ogni persona, ancora prima che del presidente. Poi, se troverete altri interlocutori, ciò costituirà un guadagno - non una perdita - per la Commissione.

Spero, quindi, che questa polemica si possa considerare chiusa. Per quanto concerne, ad esempio, la pubblicità occulta ho colto alcune interessanti osservazioni del collega Falomi, ma ricordo che è stato l'ufficio di presidenza a stabilire l'audizione del direttore generale, il che significa che non vi è stata alcuna violazione. Sono intervenuto su tale materia tenendo conto di un'iniziativa parlamentare dell'onorevole Giulietti, che a tutti noi è noto anche per la sua collocazione politica...

ANTONIO FALOMI. Non a caso non l'ha sollevata in questa sede.

PRESIDENTE. Il presidente ha ritenuto di dover sollevare la questione, era una sua facoltà; l'ufficio di presidenza avrebbe potuto decidere di non affrontarla, ma non lo ha fatto, e questo è un dato collegiale. Ovviamente la Commissione potrebbe anche stabilire indirizzi generali in tema di pubblicità: abbiamo altresì la necessità di intuire se gli accordi che la RAI ha stipulato con determinati enti rientrino in una fattispecie per la quale è previsto il parere obbligatorio della Commissione. Questo ho chiesto nella lettera che l'ufficio di presidenza ha concordato dovessi mandare.

Ovviamente su simili questioni il dibattito è aperto, ma non per questo bisogna ergersi a censori di deteminate attività quando queste servano a porre la Commissione nelle condizioni di discutere di un tema, cosa che essa liberamente fa. Io ho un potere d'iniziativa che penso non possa essermi precluso, così come un medesimo potere appartiene a qualsiasi componente l'ufficio di presidenza; non è mai accaduto che uno di questi abbia posto un problema ed il presidente abbia detto che non lo si poteva affrontare: questo è un fatto che nessuno può addebitarmi.

GIANCARLO LOMBARDI. Condivido anch'io ciò che ha detto il collega Monticone e cioè che il fatto di aver presentato un documento organico ed il tenore di esso sia senz'altro apprezzabile; di conseguenza, ringrazio il presidente per averlo presentato. Nel documento viene giustamente esplicitato che alcuni problemi appaiono chiari, ancorché disattesi nel recente passato (è stato citato come fatto importante quello delle relazioni al Parlamento), però mi pare che alcuni degli argomenti contenuti nella relazione debbano essere oggetto di qualche riflessione supplementare; in particolare, mi sembra che ciò valga per i punti 2.5 e 3, che si prestano o a opzioni in senso più o meno ampio o a qualche definizione. Un chiarimento su questi due punti potrebbe consentirci di giungere a quel documento che mi sembra trovi l'accordo generale e che avrebbe già una sua utilità anche se restasse semplicemente un documento interno, quasi si trattasse di una sorta di conclusione del lavoro della Commissione, soprattutto se arricchito da un riferimento alla funzione del presidente, anche alla luce della discussione oggi svoltasi, che sostanzialmente non potrà essere lontana da ciò che è previsto nel regolamento.

Quanto ai poteri del presidente, colgo la volontà esplicitamente manifestata dall'onorevole Storace di rivendicare una libertà d'azione e di movimento che serva a far funzionare meglio la Commissione; ovviamente le sfumature sono sempre interpretabili dal punto di vista soggettivo, ma è importante che sia questa l'indicazione data. Se mi è consentito un piccolo consiglio, vorrei far presente che se io, Giancarlo Lombardi, componente di questa Commissione, pranzo o ceno con qualcuno della RAI è cosa diversa che se lo fa il presidente della Commissione. Invece, la valutazione della delicatezza di un determinato colloquio non può che ricadere nell'ambito della discrezionalità del presidente.

PRESIDENTE. Le ricordo che qui è stato detto che io avrei "convocato", ma io non ho convocato nessuno.

GIANCARLO LOMBARDI. Ho condiviso, anche se solo concettualmente, l'intervento del collega Folloni perché, se egli aveva esordito osservando che con simili discussioni si rischia di annullare il lavoro della Commissione, con il suo intervento lo si annulla del tutto, visto che ha sostenuto che la Commissione, così com'è, non sa cosa deve fare e non ha definizioni né di spazi né di contenuti. Se così fosse, non ci resterebbe che sospendere da questo momento l'attività della Commissione, aspettare che qualcuno ci chiarisca le idee e solo allora riprendere a lavorare.

Molto gentilmente, all'atto della nostra designazione come membri di questa Commissione, da parte degli uffici ci sono stati fatti pervenire tutti i documenti contenenti i compiti ad essa attribuiti. Si parla di spazi di discrezionalità, ma, visto che si continua a declamare l'importanza di avvicinarci al paese reale, non credo che a questo proposito sia inutile ricordare che nel corso del tempo ho avuto modo di conoscere i rapporti tra la Commissione e due consigli di amministrazione diversi e, in particolare, con due direttori generali, guarda caso nominati da maggioranze diverse: da un lato Gianni Locatelli e Demattè, dall'altro Letizia Moratti ed il suo direttore generale. Il sentimento che caratterizzava i due direttori generali ed i consigli di amministrazione nei riguardi della Commissione in quelle fasi era quello di una Commissione che sostanzialmente rompeva le scatole - per usare un'espressione non elegante - andando a rivedere sistematicamente le bucce. Vorrei invitare i colleghi a riflettere (condivido a questo proposito le osservazioni del collega Falomi) sul fatto che nostra funzione non è quella di impedire alla RAI, chiunque ne sia il presidente o il direttore generale, di funzionare ma sostanzialmente quella di stabilire indirizzi, di vigilare perché questi ultimi siano attuati e di farlo con l'intelligenza e l'autorevolezza che, con buona pace del collega Folloni, ci derivano non dalla possibilità di irrogare sanzioni, ma dal fatto che siamo la rappresentanza massima dello Stato italiano e quindi del popolo italiano, tant'è vero che, come giustamente il presidente ha ricordato, abbiamo il diritto di presentare al Parlamento relazioni nelle quali possiamo avvertire che, per esempio, a nostro avviso, la RAI non sta assolvendo le proprie funzioni nel modo in cui dovrebbe per ragioni che possono essere di carattere gestionale o - peggio ancora - contenutistico. Credo che oggi la Commissione, anziché continuare a masturbarsi su quali siano o non siano i suoi poteri, quali i limiti, quali le sanzioni che può erogare, dovrebbe incominciare ad esercitare questa funzione con un contenuto forte, stabilendo se abbia o non abbia indirizzi da dare, perché poi, il dubbio che sorge, è che parliamo tanto perché, in realtà, non siamo in grado di dare indirizzi veri. Allora, entriamo nel merito, definendo quali siano gli ambiti di indirizzo che ci preme dare.

Non escludo affatto, senatore Servello, che possa venire il momento in cui, di fronte ad una evidente disattenzione da parte del consiglio, la nostra reazione sarà durissima, come lei giustamente afferma con riferimento a taluni casi che, magari, lei conosce ed io no, o, come dice Folloni, dovremo vedere quale sia il tipo di sanzione possibile da erogare. Ho l'impressione, però, che, almeno a tutt'oggi, si sia molto poco esercitata questa azione e non possiamo parlare di disobbedienza della RAI a fronte di indirizzi chiari da noi dati; tanto è vero che anche per alcuni problemi delicati ed importanti che oggi il presidente ha portato all'attenzione di tutti noi - in particolare il problema della pubblicità occulta, al quale segue quello della radiofonia e poi ancora altri - non mi sembra che siamo in presenza di indicazioni molto chiare o di atteggiamenti scorretti. Laddove, ripeto, questo invece avvenga, ecco che nasce il problema del nostro intervento.

Dunque, trovo emblematico, in termini positivi, il modo in cui il presidente, la presidenza e l'intera Commissione hanno affrontato il problema delle tribune politiche: ad un certo momento il problema è stato individuato, è stata individuata una possibilità di indirizzo da parte nostra, è stata ascoltata, con un'audizione, la responsabile. Laddove definissimo con maggiore chiarezza l'indirizzo che vogliamo dare e che abbiamo lasciato momentaneamente sospeso alla conclusione della precedente riunione, questo rappresenterebbe veramente il modo in cui procedere. E come questo caso ve ne sono altri. Sono stati toccati, anche dal senatore Passigli, alcuni problemi di grande importanza politico-strategica sul futuro della RAI; nell'audizione del presidente e del direttore generale io ho citato il problema dell'educazione in senso lato, compreso il rapporto con il mondo della scuola e quant'altro, che non è solo education. Sono tutti problemi forti, sui quali noi effettivamente possiamo dare un'indicazione.

In conclusione, a mio avviso, il presupposto esiste. Il documento presentato dal presidente è buono per lavorarci sopra; vanno sciolti quei dubbi che ancora potrebbero esistere e potrebbe nascerne un documento conclusivo arricchito anche da qualche annotazione sul problema della presidenza, se lo si ritiene opportuno. Se sarà necessario inviarlo ai Presidenti di Camera e Senato, lo faremo; se non sarà necessario resterà un documento interno, punto di riferimento per noi, e domani saremo pronti - se Dio vuole - a dare indirizzi e a vigilare.

PRESIDENTE. Desidero precisare che il mandato dell'ufficio di presidenza, arricchito dall'integrazione del senatore Falomi, è quello di inviare comunque lo stenografico dell'odierna seduta ai vertici delle Camere, della RAI, dell'IRI ed al garante.

ANTONIO FALOMI. Chiedendo una loro opinione.

PRESIDENTE. Esattamente, ai fini di acquisire una loro valutazione.

ENRICO JACCHIA. Io mi limiterò ad indicare, telegraficamente, alcuni punti molto precisi. Sul punto di ascoltare la Commissione senza pervenire ad alcun documento conclusivo mi pare vi sia accordo, nel senso che sia il presidente Storace sia il collega Falomi hanno rinviato al termine di un cammino; quindi questo è un punto acquisito.

Mi pare, altresì, che sia chiaramente emerso dalla discussione il punto fondamentale - sollevato da Falomi - che ci si debba chiarire sui poteri della Commissione e sui confini che questi hanno, nonché che si debba ridefinire il reale significato del potere di vigilanza rispetto a quello di indirizzo. E' stato detto da diversi colleghi che, sicuramente, quello di indirizzo è divenuto meno intenso; se è vero, è molto importante e la discussione in merito non è ancora stata conclusa.

E' stato poi chiesto se il prodotto editoriale debba essere orientato dalla Commissione. Direi che, di nuovo, c'è un potenziamento del compito di vigilanza ed una diminuzione - direi un affievolimento - del potere di indirizzo. Anche su questo tema sono intervenuti tutti ma io - forse la mia comprensione è insufficiente - non ho ancora un'idea chiara di quale sia l'orientamento maggioritario.

C'è un punto chiave: si è detto che i poteri non devono arrivare ad atti di tipo gestionale. Questo è molto importante, è al limite della decisione dei poteri di indirizzo e di vigilanza della Commissione, ma non l'abbiamo risolto.

Passo ad altri due punti molto brevi ma importanti, perché coinvolgono la Commissione e il suo presidente: gli incontri e la richiesta di atti. Dopo una abbastanza superficiale esegesi dell'articolo 17 del regolamento, mi pare di poter dire che esso non sia estremamente chiaro; tanto è vero che nella relazione del presidente si dice che "gli attuali articoli 17 e 18 del regolamento interno indicano una serie di possibilità per la Commissione di richiedere notizie e documenti, indagini e studi alla RAI, effettuare visite nelle sue sedi, ascoltarne nelle sue sedi senza particolari formalità i dirigenti ed i vertici". Dunque, si fa riferimento ad incontri senza particolari formalità...

PRESIDENTE. Si parla di incontri privati del presidente.

ENRICO JACCHIA. Sì, ma questo a me sembra un punto chiave.

L'altro punto fondamentale che ritengo dovremmo trattare, e che è stato sollevato dal collega Falomi alla fine del suo intervento, è quello del piano editoriale. Credo che se ci mettessimo d'accordo su quello che deve essere il piano editoriale, su come riceverlo e seguirlo, faremmo un passo in avanti enorme.

Penso che anche la lettera del presidente Siciliano richieda un'esegesi (io non so scrivere in modo così difficile): "Le linee editoriali che abbiamo presentato e poi illustrato hanno senz'altro un carattere fondante - caspita! vorrei che mi traducesse in un'altra lingua cosa vuol dire - e formale (...) Secondo l'impegno preso, la RAI invierà alla Commissione il complesso dei piani attuativi non appena conclusa la procedura". In conclusione - l'ho detto l'altro giorno e Lombardi, che è ingegnere, appoggiava - se il piano editoriale fosse come sono i piani... Mi limito ad un ricordo: il PPBS, Planning program budgeting system - quello introdotto da McNamara venticinque anni fa nell'amministrazione americana - significa che si fa un planning, poi si fa più in dettaglio un programma, poi si procede al budgeting, indicando esattamente le spese per ogni punto...

FRANCESCO SERVELLO. McNamara lo mandarono a casa!

ENRICO JACCHIA. Cari colleghi, questo è molto superficiale da parte vostra, perché McNamara l'avranno pure mandato a casa, ma tutti sanno che questo è il sistema oggi adottato dall'amministrazione americana. Adottatelo anche nel vostro partito e forse sarebbe un po' meglio! (Commenti del senatore Servello).

Comunque, riguardo al piano editoriale la relazione precisa (su questo forse siamo tutti d'accordo, e allora potremo andare molto avanti) che esso è seguito: primo, da una relazione periodica della sua attuazione, che ci permetta di valutarne le potenzialità; secondo, da un appuntamento bimestrale con i vertici della RAI, il che dal punto di vista del controllo della programmazione è estremamente importante; terzo, dalla individuazione di alcuni contenuti tipici della relazione (e qui entriamo proprio nel program e nel budgeting), i quali dovranno essere necessariamente contenuti in ogni edizione successiva. Bene, non per avere una mentalità di analisi dei sistemi, che comunque è quella del mondo moderno, ma se veramente ottenessimo - e mi pare che su questo ci sia un largo accordo - un piano editoriale fatto in questo modo, rivedendolo ogni due mesi e contenendo esso regolarmente ogni due mesi i punti che ci interessano, credo che, a parte i discorsi sui massimi sistemi e sul sesso degli angeli, avremmo uno strumento su cui lavorare. E con questo concludo.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda la relazione bimestrale, c'è il problema che la RAI non ci ha ancora mandato quella relativa ai mesi luglio e agosto. Penso che potrò sollecitarla senza ascoltare alcuno.

ALDO MASULLO. Io intervengo alla fine della seduta...

PRESIDENTE. ... per tirare le conclusioni del dibattito.

ALDO MASULLO. No, non perché pretenda di concludere, cosa che non mi spetta, ma perché essendo sostanzialmente inesperto della vita di questa Commissione sto cercando di ambientarmi. Dalle cose che ho udite sinora mi sono fatto un piccolo convincimento e sono stato sollecitato a svolgere questo brevissimo intervento.

Mi sembra che sia emersa dal discorso di tutti i colleghi la sottolineatura della profonda evoluzione della normativa in materia di vigilanza da parte della nostra Commissione rispetto alla RAI e che sia stato sottolineato il progressivo passaggio da una vigilanza che finiva per toccare gli aspetti gestionali ad una vigilanza che, viceversa, si restringe al puro e semplice, ma estremamente importante, problema dell'indirizzo. Ora, io credo che questo - come, del resto, è stato sottolineato da vari colleghi - sia un fatto molto utile, vantaggioso, perché, tra l'altro, credo che noi parlamentari, al di là dei nostri compiti strettamente formalizzati, dovremmo essere coraggiosi nel rappresentare lo stato d'animo dei cittadini. E lo stato d'animo dei cittadini, in tutti i decenni trascorsi, è stato sempre caratterizzato dall'idea - non ancora fugata - che la RAI sia sostanzialmente un sistema di lottizzazione dei partiti. E' evidente che la presenza incisiva dei poteri della Commissione nella vita gestionale non faceva che avvalorare questa impressione.

FRANCESCO SERVELLO. I presunti poteri. Solo quello di nomina.

ANTONIO FALOMI. Hai detto niente!

ALDO MASULLO. Comunque, così era percepito. Io mi limito a registrare la percezione diffusa.

Viceversa, quando siamo liberati da questo potere temporale, possiamo esercitare meglio il potere morale che spetta essenzialmente ad una Commissione come questa. In relazione a ciò vorrei con molto rispetto, presidente, esprimerle la mia personale maniera di vedere la preoccupazione dei colleghi a proposito delle sue iniziative di informazione presso i vari soggetti della RAI. Non le sembra che questa azione di intervento personale, sia pure a sacrosanto obiettivo di informazione, possa in qualche modo essere percepita e dai soggetti destinatari e dall'opinione pubblica come uno strumento, sia pure involontario, di costruzione di un'interferenza che, essendo autorevole, diventa interferenza sulla vita interna, sugli assetti interni, sullo stesso destino delle persone all'interno della RAI? Non è che questo sia il suo proposito - per carità! - ma c'è questo pericolo.

Allora, il problema che noi come Commissione abbiamo, e che lei come rappresentante della Commissione incarna in prima persona, è quello di rendere estremamente trasparenti, chiari e tali da non dare luogo ad alcun sospetto nell'opinione pubblica i rapporti tra la Commissione e la RAI, o tra qualche membro della Commissione, tra il presidente della Commissione e la RAI. I nostri debbono essere rapporti di carattere puramente istituzionale. Lei afferma che quando assume certe iniziative le assume in quanto presidente; però quando io vado a stabilire un colloquio diretto, personale, non previsto nell'ambito della volontà collegiale della Commissione con questo o con quell'esponente della RAI, inevitabilmente faccio nascere il sospetto o l'impressione che vi sia un interessamento personale.

PRESIDENTE. Le posso fare una domanda?

ALDO MASULLO. Prego.

PRESIDENTE. I Presidenti delle Camere o i presidenti delle Commissioni possono incontrare chiunque desiderino? Io sto qui dalla mattina alla sera e il fatto che non possa incontrare chiunque io desideri davvero a me pare una censura. Cerco di dirlo con lo stesso garbo con il quale lei ha posto il problema, ma francamente rimango trasecolato dall'ipotesi di dover rendere conto di incontri che sono assolutamente informali, che riguardano la persona del presidente di questa Commissione che cerca di fare al meglio il suo lavoro.

ALDO MASULLO. Le faccio un esempio. Se io, presidente di una qualsiasi commissione di concorso universitario, al di fuori dell'attività collegiale della commissione e con la massima buona fede chiamo un collega di cui ho fiducia e gli chiedo illuminazioni sull'attività di questo o di quel concorrente, sembrerebbe che svolgessi un'attività sostanzialmente senza alcuna rilevanza, e invece no.

FRANCESCO SERVELLO. Si tratta di un concorso, che ha delle regole!

ALDO MASULLO. Io dico cosa divide l'attività formale, che deve essere capace di versamento formalmente legalizzato, da un'attività informale che ognuno di noi si può consentire come individuo ma non come membro di un organo collegiale, tanto più parlamentare. Credo che se anche io, come membro della Commissione di vigilanza, spendessi questa mia qualità per chiamare un funzionario o un dirigente della RAI per chiedergli notizie, farei qualcosa di non perfettamente corretto.

FRANCESCO SERVELLO. Lo può fare, anche come semplice deputato.

PIERO MELOGRANI. A questo punto tutti i professori universitari starebbero in galera.

ALDO MASULLO. Sappiamo quanti inconvenienti produce il rapporto privato al di fuori dell'istituzione nella quale si è incardinati.

Non voglio comunque enfatizzare il mio intervento, limitandomi a rilevare che se una preoccupazione anima tutti noi è quella di evitare che determinati interventi, iniziative ed azioni possano suscitare, in una opinione pubblica fortemente caricata di tensione riguardo a questi problemi, il sospetto di rapporti che ancora una volta possono apparire di carattere sostanzialmente protettivo nei riguardi di questa o quella persona da parte di questa o quella autorità istituzionale.

Concludo sottolineando che il vero problema della Commissione non è tanto di stare ad esaminare quali siano i suoi poteri di intervento qui o là, quanto piuttosto di assecondare la sua vocazione istituzionale, che è quella di controllare, nel senso non fiscale ma morale del termine, l'indirizzo di questo strumento di servizio pubblico che è pagato in gran parte con i soldi degli utenti cittadini, e controllare in senso non fiscale significa riuscire a stimolare la RAI in una direzione culturale che sia adeguata ai bisogni dei cittadini italiani. Il vero problema è quello di esaminare il piano editoriale e le relazioni bimestrali, anziché attardarci molto in queste discussioni, fermo restando che il nostro comportamento deve essere il più cauto possibile.

Ad evitare qualsiasi sospetto di interferenza, dobbiamo impegnarci con molta serietà, per il poco tempo che ognuno di noi può dedicare ai lavori della Commissione per i vari impegni di carattere legislativo che abbiamo, in un'azione di largo respiro. In quanto rappresentanti della nazione italiana, dovremmo essere capaci di esprimere, nella nostra considerazione critica collettiva, i bisogni reali della gente, che non sono solo quelli che la gente crede di avere ma anche quelli che possono essere interpretati attraverso una lettura attenta del mondo civile nel quale viviamo. Dobbiamo quindi riuscire noi a stimolare la RAI a fare quello che spesso non ha fatto o quello che spesso ancora non fa. E' questo il potere più vero, un potere che non si può misurare con il bilancino delle norme, ma è viceversa un potere di carattere morale e quindi politico in senso alto.

PRESIDENTE. A conclusione del nostro dibattito una sola notazione sull'argomento che ne è stato al centro. E' proprio per le questioni di metodo che lei ha introdotto, senatore Masullo, che io sto avendo degli incontri. Poiché immagino che in futuro la Commissione sarà impegnata soprattutto sul piano degli indirizzi, oltre che della vigilanza, tento di acquisire conoscenze per relazioni di base che poi offrirò alla Commissione perché su di essi si pronunci.

Se avessi adottato in questa vicenda lo stesso metodo che è stato usato da altri (il mio riferimento è generico e non specifico a membri di questa Commissione), avrei per esempio potuto denunciare alcune vicende di cui sono venuto a conoscenza. Da autorevoli parlamentari non solo del mio partito o del mio schieramento politico, ma anche della sinistra, mi è stato posto il problema relativo al caso di Oliviero Beha e di Radio Zorro. Ho scritto al presidente della RAI per chiedere chiarimenti su un problema che personalmente ritenevo importante, ma poi ho saputo che ci sono stati autorevolissimi esponenti che siedono anche in questa Commissione (di cui non farò i nomi) che hanno interloquito con il presidente della RAI per chiedergli di far fare un programma. Le interferenze sono quelle! Se avessi voluto seguire lo stesso metodo, su questa vicenda avrei scatenato polemiche a non finire. Cerchiamo allora, cari colleghi, di avere ognuno il rispetto degli altri. Io ho molto rispetto di questa Commissione, ma si consenta, in qualità di presidente, di acquisire il bagaglio di conoscenze che ritengo utile.

Nessun dirigente della RAI è stato da me convocato, questo sia ben chiaro. Mi sono limitato a parlare con persone di cui non conosco l'orientamento politico per chiedere loro come possiamo aiutare la RAI a diventare servizio pubblico; e questa è la mia visione di parte, perché io ritengo che la RAI debba finalmente svolgere un servizio pubblico. Quindi, continuerò ad incontrare persone senza che questo suoni interferenza nel loro lavoro.

ANTONIO FALOMI. E' la finalità dell'incontro che contesto. Ognuno di noi può infatti parlare con qualunque dipendente della RAI, dirigente o usciere che sia, per acquisire conoscenze personali sull'andamento dell'azienda. Rimane tuttavia aperto il problema che sollevava il collega Masullo che quando è il presidente che chiede ad un dirigente della RAI il rapporto che si instaura è del tutto particolare, in quanto il presidente ha una peculiare autorevolezza.

Il punto è che tu, presidente, parli di acquisizione di conoscenze che servono per il lavoro della Commissione. Non può essere questa la funzione del presidente, nel senso che la Commissione acquisisce conoscenze per il proprio lavoro attraverso gli strumenti che le attribuisce il regolamento, come le audizioni conoscitive...

PRESIDENTE. Il presidente deve portare in questa Commissione il suo bagaglio di esperienze che acquisisce attraverso incontri. A me sembra una discussione oziosa.

ANTONIO FALOMI. Non è affatto una discussione oziosa. Ripeto, non può essere un'iniziativa del presidente quella di incontrare persone perché questo serve per il lavoro della Commissione. Il lavoro della Commissione lo stabilisce la Commissione; se poi il presidente vuole formarsi un'idea su come vanno le cose all'interno della RAI, può parlare con chi crede, ma lo fa a titolo personale e non come presidente.

PRESIDENTE. Spero che ci credano. Devo parlare con le persone senza sentire il bisogno di precisare che non sto parlando come presidente.

Ringrazio tutti i colleghi per i qualificati interventi che hanno svolto e dichiaro conclusa la discussione su questo punto all'ordine del giorno.

La seduta termina alle 13,10.

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