Il senatore PIROVANO (LNP), relatore per la regione Lazio, si riporta alla relazione scritta già depositata, che sulla questione dei ricorsi fondati sulla clausola del 3 per cento recita:
“Va anzitutto rilevato che i due ricorrenti avevano proposto già dinanzi all’Ufficio elettorale regionale le loro doglianze. In quella circostanza, legittimamente fu respinto il loro punto di vista. Due sono le questioni di diritto su cui ruota la controversia interpretativa attivata dai ricorsi Intini e Merlonghi, ed ambedue vanno risolte in senso conforme alla decisione assunta presso la Corte d’appello.
Da un lato, ci si chiede se il “senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, per richiamare l’espressione propria dell’art. 12, comma primo, delle preleggi, sia univocamente nel senso di includere - tra le liste coalizzate ammesse al riparto dei seggi nelle circoscrizioni senatoriali regionali, in tutte le fattispecie previste dall'art. 17 del d. lgs. n. 533 del 1993 - sia quelle che abbiano superato la soglia di sbarramento del 3% dei voti validi espressi, sia quelle che non l’abbiano superata. Benché la memoria Luciani sostenga che vi sono elementi letterali a sostegno della posizione del senatore Mele, poi è essa stessa che incentra buona parte della sua confutazione del ricorso Intini su argomenti logico-sistematici, in tutta la varietà interpretativa di questa accezione: vi si rinvengono sia forme di interpretazione sistematica secondo l’ipotesi della costanza terminologica del legislatore (secondo cui ad una disposizione si deve attribuire il significato corrispondente agli usi linguistici del legislatore), sia forme di interpretazione teleologica o funzionale (secondo cui ad una disposizione si deve attribuire il significato suggerito dalla ratio o scopo oggettivo della disposizione stessa), sia forme di interpretazione teleologico-sistematica (secondo cui ad una disposizione si deve attribuire il significato suggerito dalla pertinente norma finale, esplicita o implicita, dell’istituto, settore, o sotto-settore a cui la disposizione appartiene). Dall’altro lato, ci si chiede se occorra che l’interpretazione letterale sia comunque non univoca, per pretendersene un collegamento al criterio “della intenzione del legislatore” (con connessi cascami ermeneutici di tipo teleologico o logico-sistematico). Infatti se l’interpretazione letterale della norma è inequivocabile, non si vede per quale ragione essa debba essere ignorata, a beneficio di una interpretazione sistematica più o meno aderente: in tal senso s’è espressa Cass. Civ., Sez. lav., 7 luglio 1998, n. 6605, secondo cui “in tema di interpretazione della legge, [...] è fondamentale canone di ermeneutica, sancito dall'art. 12 delle preleggi, che la norma giuridica deve essere interpretata innanzi tutto e principalmente dal punto di vista letterale, non potendosi al testo "attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse"; di poi, sempre che tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione, si deve ricorrere al criterio logico” (corsivo aggiunto). Il parere Luciani sostiene che per la Suprema Corte, nel caso in cui "l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo", il criterio ermeneutico logico-teleologico ben può "assumere rilievo prevalente rispetto all’interpretazione letterale" (così, Cass. Civ., Sez. I, 6 aprile 2001, n. 5128, in Mass. Giur. it., 2001, che espressamente richiama e conferma la precedente Cass. Civ., 13 aprile 1996, n. 3495); ma la statuizione della Cassazione da ultimo richiamata, in realtà, riceve precipua delimitazione ad opera di Cass. civ., Sez. III, 23 maggio 2005, n. 10874, secondo cui “non è [...] consentito all'interprete correggere la norma, nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nell'ipotesi in cui ritenga che l'effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa (Cass. 13 aprile 1996, n. 3495. Analogamente, Cass. 17 novembre 1993, n. 11359, tra le altre)”. In altri termini, “il criterio di interpretazione teleologica, previsto dall'art. 12 delle preleggi, può assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo” (Cass. civ., Sez. III, 23 maggio 2005, n. 10874, in Mass. Giur. it., 2005). Una tale incompatibilità si riscontra senz’altro nel caso di specie: il testo va letto non identificando singole espressioni ma, riportandole nel loro contesto: il singolo tratto acquista significato concettuale solo all’interno del disegno, cioè del contesto per cui un certo segno, una certa parola assume un valore specifico. L’interpretazione sistematica e logica può essere desunta direttamente dal testo della legge, anche con l’ausilio del criterio storico-ricostruttivo, per comprendere quale sia la ratio, la ragione del disegno complessivo. Tale conclusione è supportata dal tenore letterale e sistematico della legge elettorale, come modificata nel 2005: le operazioni descritte all’articolo 16 costituiscono la logica premessa delle attuazioni previste dall’articolo 17. Nel primo dei due articoli, la legge opera una delimitazione di campo, affidando all’ufficio elettorale regionale il compito di verificare i voti complessivamente ottenuti da ciascuna delle liste partecipanti, e, quando queste ultime sono tra loro collegate, calcolando una “cifra elettorale di coalizione”, che corrisponde alla somma delle cifre elettorali di tutte le liste che la compongono. Sulla base del totale generale dei voti validi espressi nella regione, l’ufficio individua poi le coalizioni o le liste isolate che hanno diritto a partecipare alla ripartizione iniziale dei seggi: quelle, cioè, che superano lo standard di rappresentatività richiesto (un quinto dei voti regionali per le coalizioni, l’8 per cento per le liste isolate o singolarmente ammesse). L’articolo 17, poi, regola l’effettiva ripartizione dei seggi senatoriali della regione, che si svolge in due fasi successive: nella prima, la ripartizione dei seggi avviene tra le coalizioni, complessivamente considerate (nell’espressione “coalizione” faccio rientrare ovviamente, per comodità espositiva, anche liste isolate o singolarmente ammesse: quelle che la dottrina definisce coalizioni “mono-lista”). Nella seconda fase, si procede alla ripartizione interna dei seggi conquistati da ciascuna coalizione, tra le liste componenti. Quando la legge delimita il campo dei partecipanti alla assegnazione iniziale dei seggi, ammette le coalizioni di liste “che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento”. Il legislatore non ritiene sufficiente, per l’ammissione di una coalizione al riparto dei seggi, solo il conseguimento del 20 per cento dei voti regionali: la ragione è che i seggi ottenuti dalla coalizione potrebbero, al limite, essere assegnati ad una soltanto delle liste che la compongono; ma, in tal caso, si richiede uno standard minimo di consenso, pari al 3 per cento. Per i seggi delle coalizioni si deve procedere, poi, alla successiva assegnazione interna: è quanto regolato, rispettivamente, al comma 3 e al comma 6 dello stesso articolo 17. La diversa formulazione letterale dei due commi non deve però far ritenere che il legislatore abbia voluto dar luogo a fattispecie che seguono logiche distinte. Nel primo caso, quello in cui è stata naturalmente raggiunta la quota di maggioranza prevista, la legge disciplina molto puntualmente la suddivisione interna dei seggi, introducendo per la prima volta il concetto di “liste ammesse”, riferito, coerentemente con la condizione precedentemente prevista per l’ammissione delle coalizioni, alle “liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale – cioè, dell’intera regione – almeno il 3 per cento dei voti validi espressi”. Nel secondo caso, il riferimento esplicito al “3 per cento” non compare, ma si prescrive che, per il calcolo del quoziente necessario alla ripartizione dei seggi, si divida il totale delle cifre elettorali delle “liste ammesse” per il numero dei seggi assegnati alla coalizione. La legge n. 270 del 2005 usa il sintagma “liste collegate” quando vuole riferirsi a tutte le liste che fanno parte della coalizione. Ma poi, nella fase successiva di riparto interno dei seggi collettivamente ottenuti dalle coalizioni, essa utilizza un’altra espressione: non liste collegate, ma “liste ammesse”; quando questo termine viene preliminarmente definito, è proprio con riferimento al raggiungimento della soglia del 3 per cento. Peraltro, “liste ammesse” è uno di quei casi semantici che richiamano un contrario: a liste ammesse corrispondono liste escluse, all’interno, appunto, di una medesima coalizione. Il raffronto tra il comma 6 ed il comma 3 dell’articolo 17 perciò evidenzia che, laddove il legislatore ha espressamente richiamato l'applicazione della soglia del 3%, ha testualmente citato "nell'ambito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui all'art, 16 comma 1, lettera b), numero 1), le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi". Di contro, la norma in esame (comma 6), ove non è ripetuto il richiamo alla detta soglia di ammissione, ha inequivocabilmente richiamato la diversa espressione "liste ammesse". Unico requisito per "l'ammissione" della lista è quindi il detto superamento della soglia. Del resto, in base ad un'interpretazione sistematica del testo dell'art. 17, comma 6, del D. Lgs. n. 533/1993, così come novellato dalla legge n. 270/2005, lo sbarramento è stato correttamente ritenuto applicabile anche nel caso di attribuzione del premio di maggioranza. L’opposta interpretazione risulta evidentemente infondata: ragionando diversamente, si darebbe vita ad evidenti ed irragionevoli sperequazioni tra le Regioni in cui una delle due coalizioni ha raggiunto il premio di maggioranza e le altre in cui tale soglia non è stata raggiunta. In definitiva, un'interpretazione costituzionalmente orientata imporrebbe di applicare rigorosamente il medesimo criterio selettivo, in presenza di identità di presupposti, a garanzia dell'uniformità del sistema elettorale che esclude pacificamente dal riparto le liste "sotto soglia" sia per la Camera, che per il Senato. S’impone quindi una pronuncia della Giunta sull’interpretazione della soglia del 3 per cento: la logica sistematica della disciplina contribuisce a chiarire il quesito di diritto in senso contrario a quanto esposto con i ricorsi Intini e Merlonghi, che vanno conseguentemente respinti.” Il senatore ZUCCHERINI (RC-SE), relatore per la regione Puglia, ricorda il precedente della legge elettorale regionale e della soglia di sbarramento in essa sempre fissata: anche la legge elettorale per il Senato è chiarissima nel premiare un bipolarismo coatto e dovunque è stata applicata in conformità con questa sua intrinseca razionalità. Per il resto, si riporta alla relazione scritta già depositata, che sulla questione dei ricorsi elettorali fondati sulla clausola del 3 per cento, recita: “Due sono le questioni di diritto su cui ruota la controversia interpretativa attivata dai ricorsi Intini e Valente. Da un lato, ci si chiede se il “senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, per richiamare l’espressione propria dell’art. 12, comma primo, delle preleggi, sia univocamente nel senso di includere - tra le liste coalizzate ammesse al riparto dei seggi nelle circoscrizioni senatoriali regionali, in tutte le fattispecie previste dall'art. 17 del d. lgs. n. 533 del 1993 - sia quelle che abbiano superato la soglia di sbarramento del 3% dei voti validi espressi, sia quelle che non l’abbiano superata. Benché la memoria Luciani sostenga che vi sono elementi letterali a sostegno della posizione del senatore Piglionica, poi è essa stessa che incentra buona parte della sua confutazione del ricorso Intini su argomenti logico-sistematici, in tutta la varietà interpretativa di questa accezione: vi si rinvengono sia forme di interpretazione sistematica secondo l’ipotesi della costanza terminologica del legislatore (secondo cui ad una disposizione si deve attribuire il significato corrispondente agli usi linguistici del legislatore), sia forme di interpretazione teleologica o funzionale (secondo cui ad una disposizione si deve attribuire il significato suggerito dalla ratio o scopo oggettivo della disposizione stessa), sia forme di interpretazione teleologico-sistematica (secondo cui ad una disposizione si deve attribuire il significato suggerito dalla pertinente norma finale, esplicita o implicita, dell’istituto, settore, o sotto-settore a cui la disposizione appartiene). Dall’altro lato, ci si chiede se occorra che l’interpretazione letterale sia comunque non univoca, per pretendersene un collegamento al criterio “della intenzione del legislatore” (con connessi cascami ermeneutici di tipo teleologico o logico-sistematico). Infatti se l’interpretazione letterale della norma è inequivocabile, non si vede per quale ragione essa debba essere ignorata, a beneficio di una interpretazione sistematica più o meno aderente: in tal senso s’è espressa Cass. Civ., Sez. lav., 7 luglio 1998, n. 6605, secondo cui “in tema di interpretazione della legge, [...] è fondamentale canone di ermeneutica, sancito dall'art. 12 delle preleggi, che la norma giuridica deve essere interpretata innanzi tutto e principalmente dal punto di vista letterale, non potendosi al testo "attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse"; di poi, sempre che tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione, si deve ricorrere al criterio logico” (corsivo aggiunto). Il parere Luciani sostiene che per la Suprema Corte, nel caso in cui "l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo", il criterio ermeneutico logico-teleologico ben può "assumere rilievo prevalente rispetto all’interpretazione letterale" (così, Cass. Civ., Sez. I, 6 aprile 2001, n. 5128, in Mass. Giur. it., 2001, che espressamente richiama e conferma la precedente Cass. Civ., 13 aprile 1996, n. 3495); ma la statuizione della Cassazione da ultimo richiamata, in realtà, riceve precipua delimitazione ad opera di Cass. civ., Sez. III, 23 maggio 2005, n. 10874, secondo cui “non è [...] consentito all'interprete correggere la norma, nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nell'ipotesi in cui ritenga che l'effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa (Cass. 13 aprile 1996, n. 3495. Analogamente, Cass. 17 novembre 1993, n. 11359, tra le altre)”. In altri termini, “il criterio di interpretazione teleologica, previsto dall'art. 12 delle preleggi, può assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo” (Cass. civ., Sez. III, 23 maggio 2005, n. 10874, in Mass. Giur. it., 2005). Una tale incompatibilità si riscontra senz’altro nel caso di specie: il testo va letto non identificando singole espressioni ma, riportandole nel loro contesto: il singolo tratto acquista significato concettuale solo all’interno del disegno, cioè del contesto per cui un certo segno, una certa parola assume un valore specifico. L’interpretazione sistematica e logica può essere desunta direttamente dal testo della legge, anche con l’ausilio del criterio storico-ricostruttivo, per comprendere quale sia la ratio, la ragione del disegno complessivo. Non può essere un caso che, in sede di redazione delle liste elettorali, tutti i competitori abbiano inteso la soglia del 3 per cento come cogente, tanto da mettere in campo accorpamenti tra soggetti politici diversi, pur di evitare il rischio di non essere rappresentati in Parlamento. Tale linea di condotta non ha visto eccezioni, neppure nelle regioni “a rischio” di mancato superamento del 55 per cento da parte della coalizione favorita: ciò non può che dimostrare come tutti avessero letto la legge come fonte di esclusione – in qualsiasi caso – dei competitori che non avessero superato il 3 per cento dei voti validi a livello regionale. Tale conclusione è supportata dal tenore letterale e sistematico della legge elettorale, come modificata nel 2005: le operazioni descritte all’articolo 16 costituiscono la logica premessa delle attuazioni previste dall’articolo 17. Nel primo dei due articoli, la legge opera una delimitazione di campo, affidando all’ufficio elettorale regionale il compito di verificare i voti complessivamente ottenuti da ciascuna delle liste partecipanti, e, quando queste ultime sono tra loro collegate, calcolando una “cifra elettorale di coalizione”, che corrisponde alla somma delle cifre elettorali di tutte le liste che la compongono. Sulla base del totale generale dei voti validi espressi nella regione, l’ufficio individua poi le coalizioni o le liste isolate che hanno diritto a partecipare alla ripartizione iniziale dei seggi: quelle, cioè, che superano lo standard di rappresentatività richiesto (un quinto dei voti regionali per le coalizioni, l’8 per cento per le liste isolate o singolarmente ammesse). L’articolo 17, poi, regola l’effettiva ripartizione dei seggi senatoriali della regione, che si svolge in due fasi successive: nella prima, la ripartizione dei seggi avviene tra le coalizioni, complessivamente considerate (nell’espressione “coalizione” faccio rientrare ovviamente, per comodità espositiva, anche liste isolate o singolarmente ammesse: quelle che la dottrina definisce coalizioni “mono-lista”). Nella seconda fase, si procede alla ripartizione interna dei seggi conquistati da ciascuna coalizione, tra le liste componenti. Quando la legge delimita il campo dei partecipanti alla assegnazione iniziale dei seggi, ammette le coalizioni di liste “che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento”. Il legislatore non ritiene sufficiente, per l’ammissione di una coalizione al riparto dei seggi, solo il conseguimento del 20 per cento dei voti regionali: la ragione è che i seggi ottenuti dalla coalizione potrebbero, al limite, essere assegnati ad una soltanto delle liste che la compongono; ma, in tal caso, si richiede uno standard minimo di consenso, pari al 3 per cento. Per i seggi delle coalizioni si deve procedere, poi, alla successiva assegnazione interna: è quanto regolato, rispettivamente, al comma 3 e al comma 6 dello stesso articolo 17. La diversa formulazione letterale dei due commi non deve però far ritenere che il legislatore abbia voluto dar luogo a fattispecie che seguono logiche distinte. Nel primo caso, quello in cui è stata naturalmente raggiunta la quota di maggioranza prevista, la legge disciplina molto puntualmente la suddivisione interna dei seggi, introducendo per la prima volta il concetto di “liste ammesse”, riferito, coerentemente con la condizione precedentemente prevista per l’ammissione delle coalizioni, alle “liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale – cioè, dell’intera regione – almeno il 3 per cento dei voti validi espressi”. Nel secondo caso, il riferimento esplicito al “3 per cento” non compare, ma si prescrive che, per il calcolo del quoziente necessario alla ripartizione dei seggi, si divida il totale delle cifre elettorali delle “liste ammesse” per il numero dei seggi assegnati alla coalizione. La legge n. 270 del 2005 usa il sintagma “liste collegate” quando vuole riferirsi a tutte le liste che fanno parte della coalizione. Ma poi, nella fase successiva di riparto interno dei seggi collettivamente ottenuti dalle coalizioni, essa utilizza un’altra espressione: non liste collegate, ma “liste ammesse”; quando questo termine viene preliminarmente definito, è proprio con riferimento al raggiungimento della soglia del 3 per cento. Peraltro, “liste ammesse” è uno di quei casi semantici che richiamano un contrario: a liste ammesse corrispondono liste escluse, all’interno, appunto, di una medesima coalizione. Il raffronto tra il comma 6 ed il comma 3 dell’articolo 17 perciò evidenzia che, laddove il legislatore ha espressamente richiamato l'applicazione della soglia del 3%, ha testualmente citato "nell'ambito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui all'art, 16 comma 1, lettera b), numero 1), le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi". Di contro, la norma in esame (comma 6), ove non è ripetuto il richiamo alla detta soglia di ammissione, ha inequivocabilmente richiamato la diversa espressione "liste ammesse". Unico requisito per "l'ammissione" della lista è quindi il detto superamento della soglia. Del resto, in base ad un'interpretazione sistematica del testo dell'art. 17, comma 6, del D. Lgs. n. 533/1993, così come novellato dalla legge n. 270/2005, lo sbarramento è stato correttamente ritenuto applicabile anche nel caso di attribuzione del premio di maggioranza. L’opposta interpretazione risulta evidentemente infondata: ragionando diversamente, si darebbe vita ad evidenti ed irragionevoli sperequazioni tra le Regioni in cui una delle due coalizioni ha raggiunto il premio di maggioranza e le altre in cui tale soglia non è stata raggiunta. In definitiva, un'interpretazione costituzionalmente orientata imporrebbe di applicare rigorosamente il medesimo criterio selettivo, in presenza di identità di presupposti, a garanzia dell'uniformità del sistema elettorale che esclude pacificamente dal riparto le liste "sotto soglia" sia per la Camera, che per il Senato. Le contestazioni mosse dai ricorrenti avverso l’elezione dei Senatori eletti in tale circoscrizione ineriscono alla pretesa invalidità della procedura seguita per la ripartizione dei seggi tra le liste della coalizione che nelle circoscrizione senatoriale regionale di riferimento, abbia conseguito il maggior numero di voti validi, senza tuttavia conseguire il 55% dei seggi in sede di attribuzione provvisoria. Ebbene, ad avviso dei ricorrenti, in questo caso (disciplinato dalla fattispecie di cui all’art. 17, comma 6, d.lgs. 533/1993, come modificato dalla legge 270 del 2005) la ripartizione dei seggi tra le liste di tale coalizione, avrebbe dovuto estendersi anche alle liste che non abbiano superato la soglia di sbarramento del 3% dei voti validamente espressi, non operando in tale ipotesi la preclusione di cui al comma 3 dell’art. 17, relativa al caso in cui la coalizione di liste collegate consegua, nella circoscrizione regionale di riferimento, almeno il 55% dei voti validamente espressi. In favore della tesi sostenuta dai ricorrenti militerebbero invero le autorevoli argomentazioni proposte dai Professori Giuliano Vassalli, Fulco Lanchester, Mario Patrono (sentiti peraltro in audizione), Michele Ainis. Nei pareri resi dai suddetti Professori, la tesi sostenuta dai ricorrenti è ritenuta preferibile sulla base di diverse argomentazioni. In questa prospettiva si richiama in primo luogo l’esigenza di un’interpretazione letterale (secondo il senso “fatto palese dalle parole secondo la connessione di esse”, ex art. 12, comma 1 delle preleggi) del comma 6 del citato art. 17, ove a differenza del comma 3 manca un riferimento espresso alla soglia di sbarramento del 3%, relativamente alle liste ammesse alla ripartizione dei seggi. Ubi lex dixit voluit, ubi non dixit noluit, dunque. Nella medesima prospettiva si richiama quindi la contrarietà di un’interpretazione analogica della norma di cui al comma 3 dell’art. 17, con i principi di tassatività e stretta interpretazione, nonché con il divieto di analogia ritenuto inderogabile in materia elettorale, atteso peraltro il carattere asseritamente eccezionale della disposizione di cui al citato comma 3.. La ratio della non applicabilità della soglia di sbarramento (Sperrklausel) del 3 % in funzione preclusiva del riparto dei seggi tra le liste della coalizione ‘vincitrice’, all’ipotesi di cui al comma 6 dell’art. 17, risiederebbe quindi, secondo questa autorevole dottrina, nella obiectiva voluntas legis di non aggravare, con ulteriori soglie di preclusione, le liste coalizzate, in una fattispecie in cui è già prevista – quale fictio juris- l’eccezione del premo di maggioranza. Nonostante l’autorevolezza delle opinioni sin qui descritte e la fine argomentazione, l’interpretazione proposta non può tuttavia a nostro avviso ritenersi condivisibile, come peraltro ben hanno dimostrato i pareri resi (anche in sede di audizione) dai Proff. Massimo Luciani e Stefano Ceccanti, nonché dall’Ufficio elettorale regionale presso la Corte d’Appello di Napoli, pronunciatosi in data 18.4.2006. In favore di un’interpretazione esattamente contraria a quella sostenuta dai ricorrenti depongono, infatti, ragioni di ordine sistematico e teleologico-funzionale, nonché addirittura una corretta ermeneusi della norma di cui al comma 6 del citato art. 17, condotta in una prospettiva costituzionalmente orientata. In primo luogo infatti, lungi dal costituire espressione di un’applicazione analogica della norma di cui al comma 3 dell’art. 17, l’affermazione della doverosa esclusione dal riparto dei seggi, delle liste -collegate alla coalizione beneficiaria del premo di maggioranza- che non abbiano conseguito il 3% dei voti validamente espressi, rappresenta al contrario la sola corretta interpretazione letterale del comma 3 dell’art. 17, tale da enucleare il senso “fatto palese dalle parole secondo la connessione di esse”, ex art. 12, comma 1 delle preleggi. E’ infatti evidente che, nel non cristallino drafting della norma di cui al citato comma 6, la nozione, ivi richiamata, di ‘liste ammesse al riparto ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett.b), numero 1)’, non può avere altro significato che quello attribuitole nell’intero testo dell’art. 17, quale espressivo delle liste ammesse al riparto dei seggi in ragione del conseguimento di almeno il 3% dei suffragi, nella circoscrizione regionale di riferimento. L’identico tenore testuale delle disposizioni di cui ai commi 3 e 6 dell’art. 17 ne esprime quindi l’assoluta identità del contenuto normativo, in quanto riferito allo sbarramento del 3% sia nel caso di coalizione che abbia raggiunto il 55% dei suffragi, sia nell’ipotesi in commento, in cui la coalizione abbia cioè usufruito del premio di maggioranza. In favore di tale interpretazione – si ribadisce: letterale, tutt’altro che analogica o estensiva!- depone peraltro la ratio desumibile dall’ intentio legislatoris, come può evincersi tra l’altro dall’analisi dei lavori preparatori della legge 270 del 2005, che tale disposizione ha novellato. L’estensore di questa Relazione non disconosce peraltro il valore ermeneutico non dirimente attribuito dalla giurisprudenza ai lavori preparatori delle leggi. Tuttavia, nel caso de quo, le questioni in esame sono state affrontate e risolte ex professo dal Senato, sia in sede assemblare, sia in Prima Commissione, peraltro dal suo autorevole Presidente di allora, Sen. Pastore, di modo che da tali argomenti possono trarsi indicazioni particolarmente significative. Nella seduta del 9.11.2005 della I Commissione del Senato, in particolare, il Pres. Pastore, pur rilevando l’infelice formulazione del comma 6 dell’art. 17, ha espressamente chiarito che il riferimento ivi contenuto alla nozione di ‘liste ammesse’ può “interpretarsi in via sistematica nel senso che sono ammesse al riparto le sole liste della coalizione che abbiano superato la soglia del 3% dei voti validi espressi nella circoscrizione”. Inoltre, nella seduta assembleare del 28.11.2005, il Pres. Pastore, nell’illustrare all’Aula i lavori della I Commissione, ha chiesto (e ottenuto dal Presidente) di allegare al proprio intervento una relazione che, ad avviso dell’estensore, avrebbe dovuto servire non solo“al seguito dei lavori dell’Assemblea, ma anche in funzione dell’interpretazione della legge”; una sorta di interpretazione autentica, dunque, di tale disposizione. Ebbene, in tale relazione può leggersi espressamente che la norma de qua “non può che interpretarsi in via sistematica nel senso che sono ammesse al riparto le sole liste della coalizione che abbiano superato la soglia del 3%”, e che “a tale conclusione giunge l’interprete che sappia padroneggiare il sistema e valorizzare la reale intentio legislatoris”, in quanto ogni interpretazione diversa “stravolgerebbe il sistema della riforma elettorale (che in ogni caso esclude pacificamente dal riparto le liste “sotto soglia” sia per la Camera che per il Senato) e si porrebbe in contrasto con le evidenti finalità di contrasto della frammentazione politica, perseguite dal legislatore”. Precisandosi altresì che “ove letteralmente interpretata, non avrebbe alcun senso né alcun effetto giuridico in quanto il richiamato art. 16, comma 1, lett.b), n.1, non fa cenno a “liste ammesse al riparto” (…) bensì alle coalizioni “sopra soglia” ammesse al riparto”. E’ dunque proprio l’attributo ‘ammesse’, riferito alle liste ‘sopra soglia’, a fondare in maniera risolutiva la legittimità dell’interpretazione letterale qui proposta, che a ben vedere risulta peraltro costituzionalmente imposta e vincolante, dal momento che ogni altra lettura della norma si porrebbe in radicale contrasto con il principio di eguaglianza, sub specie della ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost. L’interpretazione proposta dai ricorrenti produrrebbe infatti un’irragionevole disparità di trattamento della fattispecie in esame rispetto a quanto disposto dal comma 3 dell’art. 17, ove opera la soglia di sbarramento del 3%. Tale disparità di trattamento non potrebbe neppure fondarsi- come invece sostenuto dai ricorrenti – sull’argomento alla cui stregua, nel caso in esame (di cui al comma 6), lo scatto del premio di maggioranza renderebbe di per sé superfluo lo sbarramento del 3%, dal momento che quest’ultimo incide unicamente sul diverso livello dei rapporti di forza all’interno della medesima coalizione, e non, invece, su quello dei rapporti di forza tra diverse coalizioni. Né la tesi qui avversata può fondarsi sul carattere asseritamente decisivo e determinante ai fini della vittoria della coalizione, che le liste sotto soglia acquisterebbero solo nel caso dell’attribuzione del premio di maggioranza, a differenza dell’ipotesi in cui la coalizione risulti vincitrice in ragione del risultato elettorale conseguito solo, per così dire, ‘con le proprie forze’. Sarebbe infatti paradossale ‘penalizzare’ le liste minori proprio quando abbiano contribuito al risultato positivo, netto e senza premio di maggioranza, della coalizione cui siano legate, e ammetterle invece al riparto dei seggi quando la vittoria della coalizione sia dovuta unicamente alla fictio juris del meccanismo premiale. Inoltre, la tesi dei ricorrenti violerebbe palesemente il principio di ragionevolezza di cui all’art. Cost., conducendo al risultato aberrante secondo cui sarebbe esclusa dal riparto dei seggi la lista che, ottenendo in una Regione i suffragi nella misura del 2, 9%, sia collegata ad una coalizione che consegua più del 55% dei voti, mentre in un’altra Regione la lista che consegua una percentuale molto minore potrebbe accedere alla rappresentanza in virtù non della forza dei propri risultati, ma della mera incertezza dei risultati inerenti il diverso profilo della competizione tra coalizioni. L’interpretazione letterale qui proposta dovrebbe pertanto ritenersi la sola ammissibile in un’ottica costituzionalmente orientata, alla luce cioè del principio di eguaglianza, sub specie della ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost.. Ma anche qualora volesse dissentirsi da tale impostazione ermeneutica, un ulteriore insuperabile argomento, di ordine teleologico-funzionale e sistematico, imporrebbe l’interpretazione proposta come la sola ammissibile. L’evoluzione legislativa che ha segnato la disciplina della materia elettorale nel nostro ordinamento, pur nella diversità delle opzioni di politica del diritto sottese a ogni singola legge di volta in volta adottata, riflette una costante regolarità che consente di accomunare le varie formule e discipline previste: la reciproca indipendenza e la diversa ratio, che consente di distinguere, anche sotto il profilo teleologico e funzionale, tra premio di maggioranza e soglia di sbarramento. Se il premio di maggioranza costituisce infatti opzione eventuale – inerente i rapporti tra le varie coalizioni – lo sbarramento percentuale – incidendo sui rapporti di forza all’interno delle coalizioni - non è mai eventuale ma sempre automatico, e del tutto indipendente dall’assegnazione del premio (vds., a fortiori, la disciplina delle competizioni elettorali negli enti ad autonomia territoriale, di cui al d.lgs. 267/2000 e succ. mod.). Tale caratteristica di reciproca indipendenza tra i due sistemi sottende infatti la volontà del legislatore di perseguire la stabilità di governo e di indirizzo politico- ad ogni livello della rappresentanza- relativamente alla formula elettorale, attraverso due dispositivi autonomi e non interferenti tra loro: la correzione verso l’alto della formula proporzionale (ovvero il premio eventuale) mira a determinare una maggioranza significativa in termini di seggi, mentre la correzione verso il basso (le soglie di sbarramento) mira ad evitare un’eccessiva frammentazione dell’assemblea elettiva. Pur convergendo nel medesimo fine di garantire maggiore stabilità, tali correttivi assumono nella costruzione normativa un valore di assoluta indipendenza reciproca: così nella legge 270/2005, il premio eventuale modifica solo i seggi ripartiti tra le coalizioni, mentre la soglia del 3% incide al loro interno. E’ quindi evidente che un’interpretazione sistematica e teleologica della norma di cui al comma 6 non può avere l’effetto di instaurare, contra legem, un rapporto di reciproca implicazione tra premio eventuale e sbarramento, ritenendo che solo ove (come nel caso di cui al comma 3) non operi il primo si applichi il secondo, mentre ove operi il primo (è il caso di cui al comma 6) non si applichi il secondo. Tale interpretazione contrasterebbe con la ratio unitaria sottesa al sistema elettorale nel suo complesso, dimostrando a fortiori la correttezza della lettura proposta del comma 6, quale norma volta a ribadire l’operatività della soglia di sbarramento del 3% anche in relazione alle liste collegate alla coalizione che nelle circoscrizioni regionali benefici del premio di maggioranza, per non aver raggiunto il 55% dei suffragi Per tali motivi, il sottoscritto propone a Codesta Giunta di deliberare nel senso della validità dell’elezione del 9-10 aprile 2006 nella circoscrizione senatoriale regionale della Puglia. S’impone quindi una pronuncia della Giunta sull’interpretazione della soglia del 3 per cento: la logica sistematica della disciplina contribuisce a chiarire il quesito di diritto in senso contrario a quanto esposto con i ricorsi Intini e Valente, che vanno conseguentemente respinti.” Dopo che il senatore Antonio BOCCIA (PD-Ulivo) ha richiesto lumi in ordine alla proposta subordinata avanzata dal relatore Manzione, è dichiarata aperta la discussione generale congiunta, che si limiterà ai ricorsi aventi ad oggetto la medesima questione di diritto, cioè quella fondata sulla clausola del 3 per cento. Il senatore DI LELLO FINUOLI (RC-SE), espresso apprezzamento per la sostituzione del senatore Izzo in ossequio al principio nemo iudex in re sua, nega che esistano disegni politici nella condotta con cui la Giunta si approssima alla decisione da assumere: per quanto riguarda i componenti del suo Gruppo, si è scevri da condizionamenti di partito o di maggioranza. Non si può però omettere di considerare che le Corti d’appello non hanno esitato a sposare l’interpretazione attaccata dai ricorsi, la quale si ispira ad una norma generale che rimonta all’articolo 1 della legge e che non è derogata altrove. Il principio delle coalizioni di lista è bilanciato da quello volto ad evitare la frammentazione, per cui la lista ammessa al riparto deve conseguire almeno il 3 per cento dei voti validi espressi nella Regione. Pertanto i ricorsi vanno respinti. Il senatore PASTORE (FI) si dichiara disponibile a valutare gli argomenti proposti nei ricorsi, ma non ravvisa alcun elemento di fondamento nella prospettazione da essi offerta: quando fu respinto l’emendamento Mancino, il voto contrario del Senato era motivato non soltanto dalla tempistica accelerata dell’esame, ma anche dalla sufficienza dei mezzi ermeneutici a disposizione dell’interprete per risolvere una possibile antinomia. Il Comitato inquirente ha consentito di accedere ai pareri di esperti qualificati, ma è evidente che il tenore dell’articolo 17 comma 6 non era tale da poter consentire un’interpretazione scevra dal sistema rappresentato dalla legge: ciò si desume dal riferimento alle liste ammesse al riparto, che non possono essere altro che quelle che hanno superato la soglia di sbarramento (secondo quanto previsto, con formula diversa, al comma 3). Si è trattato della base legale con cui si è svolta la competizione elettorale ed in sede applicativa la magistratura non ha riscontrato dubbi sul fatto che andasse interpretata in tal modo; in caso contrario si sarebbe avuta una proliferazione delle piccole liste in fase di presentazione dei simboli, cosa che non a caso non si è verificata. Il senatore D'ONOFRIO (UDC) giudica opinabile un’equiparazione interpretativa tra Camera e Senato: il premio di maggioranza laddove è nazionale ha per scopo la salvaguardia della governabilità, mentre laddove è regionale deve tendere ad un diverso scopo. Anche il nesso di implicazione necessaria con la clausola di sbarramento, che tende a ridurre la frammentazione partitica, è diverso tra i due rami del Parlamento, tant’è vero che la legge maggioritaria del 1953 non la conteneva (ed introduceva solo un premio di maggioranza nazionale). E’ quindi ragionevole ritenere che la clausola di sbarramento consegua un obiettivo specifico proprio al Senato: ma la carenza di tale previsione – resa evidente dal fatto che la lettera della norma non la contempla, né ci si può appellare al sintagma “liste ammesse” per trarre una tale stravolgente conclusione – pone un problema di ragionevolezza che andrebbe sottoposto al giudice competente, laddove fosse possibile, eventualmente con la procedura di cui alla proposta subordinata del relatore Manzione, al quale chiede di dettagliarla ulteriormente. Il senatore STRACQUADANIO (DCA-PRI-MPA) denuncia, nella ricorrente polemica del relatore Manzione contro l’opposizione e contro i componenti della Giunta, la falsificazione dei moventi con cui correttamente ci si è mossi: l’esame congiunto rispondeva non a convenienze politiche ma all’esigenza di evitare una dissociazione tra i voti delle singole regioni. La spiegazione del non accoglimento dell’emendamento Mancino riposa nel fatto che esso non era necessario a conseguire ciò che già era previsto: il legislatore pensava al principio posto in esplicito nel comma 3 come ordito sistematico applicabile anche al comma 6 dell’articolo 17 della legge elettorale per il Senato. Non vi è stato quindi alcun elemento additivo nell’interpretazione univocamente resa da tutte le Corti d’appello, per cui sia la subordinata del relatore per il Piemonte, sia i ricorsi proposti vanno decisamente respinti. Il senatore MANZIONE (Misto-UD-Consum) ravvisa, nell’intervento del senatore Pastore, l'affermazione che un’antinomia vi era e che essa richiede atti interpretativi, laddove la lettera delle norme è invece univoca. Quanto all’attività svolta dalle Corti d’appello, lo scenario è assai meno scontato di quanto può apparire dagli esiti. Nel corso dell’audizione svolta dal Comitato nella seduta del 13 dicembre 2006 il dottor Mario Quaini, presidente dell'Ufficio elettorale della regione Piemonte, ha dichiarato che “c’è stato nell’ambito del nostro Ufficio elettorale una discussione, che è durata abbastanza; ci sono state inizialmente anche delle perplessità perché, appunto, come si sa adesso (non dico niente di nuovo), il testo normativo dà adito a delle perplessità interpretative … Escludo quindi che sia seguito questo orientamento, questa interpretazione, solo perché il modello era predisposto in quel modo. Noi eravamo già pronti a modificarlo e adattarlo a diversa interpretazione che sarebbe stata data”. Ciò nondimeno, il medesimo magistrato ammetteva che “noi ci siamo sentiti anche con gli uffici elettorali di Roma e di Milano, se non sbaglio, e abbiamo poi insieme verificato e insieme abbiamo detto che secondo noi l’interpretazione era quella di richiedere per tutti la soglia del 3 per cento”. L'ufficio elettorale regionale per il Lazio assunse in data 19 aprile 2006 dichiarazione di non luogo a provvedere sulle istanze avanzate dalle liste identificate come "Rosa nel pugno" e "Italia dei valori; a supporto di tale decisione, invocava pubblicistica cartacea o telematica delle due Camere falsandone il contesto od i presupposti (come già dimostrato dall’onorevole Crema nell’interrogazione 3-00091), tanto che nella citata seduta del Comitato inquirente il relatore ha sostenuto che “per atti parlamentari vanno intesi solo quelli inerenti alle discussioni in cui fu poi approvata la legge, e non atti di provenienza delle due Camere”. L’Ufficio elettorale regionale della Campania, costituito presso la Corte d’appello di Napoli, nel verbale delle operazioni modello n. 65 E.P. dà conto di 15 riunioni, per il completamento delle operazioni di proclamazione, e tace sullo svolgimento di una sedicesima riunione, salva l’apparente anomalia del fatto che il 18 aprile 2006 l’Ufficio si riunì alle ore 16 invece che alle usuali ore 15; a quell’ora, in realtà - conclusesi nella mattinata le operazioni di controllo degli scrutini degli uffici sezionali, e quindi nell’apprestarsi a procedere ai calcoli di cui agli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 533 del 1993 - l’Ufficio elettorale regionale si riunì in composizione plenaria nel Nuovo palazzo di giustizia di piazza Cenni, senza la presenza di alcun rappresentante di lista o soggetto titolato dalla procedura elettorale, su convocazione del suo Presidente diramata il 15 aprile precedente e recante le parole: “Al fine di deliberare in merito a molteplici note pervenute presso la segreteria dell’intestato Ufficio in ordine ai criteri di ripartizione dei seggi per il Senato della Repubblica”. I soggetti autori delle “note (...) pervenute presso la segreteria” dell’Ufficio regionale erano interessati in via diretta al riparto dei seggi senatoriali campani, e le loro doglianze reagivano a quella che era presentata come una decisione assunta al Ministero dell’interno che avrebbe danneggiato le loro ragioni. Eppure la formula finale dell’atto deliberato in quella sede fu: “Tanto illustrato, esprime il convincimento che l’assegnazione e la ripartizione dei seggi all’interno delle coalizioni che abbiano ottenuto il maggior numero dei voti ma non raggiunto il 55 per cento dei seggi assegnati alla Regione debba avvenire escludendo dal riparto le liste che non abbiano superato la soglia di sbarramento del 3 per cento”. In presenza di “note (...) pervenute presso la segreteria” dell’Ufficio regionale, in alcune delle quali “viene illustrata una linea interpretativa dei criteri” di riparto dei seggi, quella dell’Ufficio elettorale regionale appare a tutti gli effetti una pre-determinazione inaudita altera parte, enunciandola sotto la veste meno impegnativa possibile (espressione di “convincimento”) per negare alle parti una pronuncia formale ricorribile dinanzi alla Camera competente in sede di verifica dei poteri. Ulteriore elemento di sospetto riposa nel fatto che la decisione di compilazione dei paragrafi da 12 a 14 del modello 65 E.P., che contengono il riparto dei seggi tra le altre coalizioni di liste ammesse a riparto, sia stata verbalizzata il giorno dopo non da tutti e nove i magistrati presenti alla decisione del 18 aprile, ma solo con una composizione ristretta dell’Ufficio, alla quale non hanno preso parte né il presidente dell’Ufficio dottor Gaetano Annunziata, né il cancelliere della Corte d’appello Renato Gnerre. Erano bensì presenti, nei due ruoli decisivi di Presidente e di segretario, il dottor Vincenzo Trione ed il funzionario di cancelleria Luciano Scotti, ma di nessuno dei due si dà notizia alcuna nel modello 65 E.P. e nel caso di Trione egli non compare neppure tra i componenti del Collegio. Le strategie carsiche dell’Ufficio elettorale presso la Corte d’appello di Napoli possono spiegare affidamenti offerti e poi ritirati anche sulla questione del conteggio, al numeratore della frazione da cui deriva il quoziente, di tutte le liste appartenenti alla medesima coalizione; si tratta di una fattispecie che valorizza le liste incapienti, ma che hanno superato il 3 per cento, la cui specificità non è stata colta appieno nella presente discussione. Quanto alla questione di costituzionalità, la relazione per il Piemonte articola esplicitamente procedure e motivazioni, ricordando i precedenti specifici in cui la Giunta ha ritenuto attivabile tale strumento e quelli della Corte costituzionale quando ha riconosciuto qualifica di giudice a quo ad organi politici investiti della verifica dei poteri. Controbatte in dissenso il senatore GIULIANO (FI). E’ dichiarata chiusa la discussione generale congiunta. La Presidenza avverte che assoggetterà l’esercizio dei poteri d’impulso d’ufficio - che la Giunta dovesse ritenere necessario attivare in riferimento alle altre regioni in conseguenza dell’accoglimento di una determinata proposta in una regione - alla valutazione del relatore competente per ciascuna di tali regioni. Previa rinuncia alla replica del relatore per l’Emilia Romagna, si procede alla votazione sulla sua proposta di reiezione in ordine al ricorso Zobbi. Il senatore MANZIONE (Misto-UD-Consum) denuncia che la relazione depositata e fatta propria dal senatore Giuliano reca tutta una parte (a partire dalle parole “per mero tuziorismo” e fino alle parole “che per il Senato”) che rappresenta il plastico tentativo di ingerenza di un relatore in conflitto di interessi sulle altre Regioni: non vi era alcun motivo di argomentare in ordine ai ricorsi sul 3 per cento, per il senatore Izzo, visto che nella sua Regione il presupposto di diritto incontestato era il comma 3 dell’articolo 17, che gli stessi ricorrenti Intini ed altri ammettono essere fonte di una soglia di sbarramento nelle Regioni in cui non è scattato il premio di maggioranza. Ma il precedente relatore aveva interesse a precostituire un giudizio e, pertanto, scelse di farlo rientrare nella sua relazione pur non essendovene assolutamente bisogno. Tale conflitto si riverbera nella proposta in votazione, in quanto il senatore Giuliano ha scelto di far propria quella relazione nella sua integralità. Sulla parte residua della relazione, dichiara la propria astensione. La Giunta, con l’astensione dei senatori Manzione e Negri, approva a maggioranza la proposta del relatore per l’Emilia Romagna di respingere il ricorso Zobbi. Previa rinuncia alla replica del facente funzioni relatore per la Liguria, si procede alla votazione sulla sua proposta di reiezione in ordine al ricorso Badano. Il senatore MANZIONE (Misto-UD-Consum) lamenta che il senatore Ripamonti ha scelto di respingere nel merito un ricorso tardivo, cosa che non potrà non costituire precedente anche per il futuro; pertanto dichiara che si asterrà, non concordando con l’argomento ribadito dal Presidente secondo cui l’esposto avanzato in sede di Ufficio elettorale regionale evita la decadenza anche se coltivato in ritardo dinanzi alla Giunta del Senato. La Giunta, con l’astensione del senatore Manzione, approva a maggioranza la proposta del relatore per la Liguria di respingere il ricorso Badano. Previa rinuncia alla replica del relatore per la Campania, si procede alla votazione sulla sua proposta di reiezione in ordine ai ricorsi Pionati/Marotta, Intini e Conte. Il Presidente NANIA dichiara di non poter ammettere votazioni per parti separate all’interno della medesima regione, tra posizioni soggettive che versino in identico presupposto di legge invocata nel ricorso; respinge pertanto una richiesta in tal senso avanzata dal senatore MANZIONE (Misto-UD-Consum) . La Giunta, con l’astensione del senatore D’Onofrio e con il voto contrario del senatore Manzione, approva a maggioranza la proposta del relatore per la Campania di respingere i ricorsi Pionati/Marotta, Intini e Conte. Previa rinuncia alla replica del relatore per il Lazio, si procede alla votazione sulla sua proposta di reiezione in ordine ai ricorsi Intini e Merlonghi. Il senatore Antonio BOCCIA (PD-Ulivo) concorda con il senatore Di Lello Finuoli sull’interpretazione del sistema normativo in cui si iscrive il comma 6 dell’articolo 17; conviene con i senatori Stracquadanio e Pastore sull’esistenza di un patto con gli elettori stretto nel presupposto dell’esistenza della soglia di sbarramento; ritiene che l’emendamento Mancino dimostri, unitamente alla relazione Pastore, che al momento del voto il Senato espresse l'unanime convincimento, già da lui riscontrato come deputato durante la prima lettura alla Camera che andasse introdotto lo sbarramento per tutte le Regioni; ritiene ardita la configurazione di una questione di costituzionalità sollevata da un’Assemblea parlamentare che, più utilmente, potrebbe con minore dispendio approvare una legge di interpretazione autentica. Per questi motivi dichiara voto favorevole alla proposta del relatore Pirovano. Il senatore MANZIONE (Misto-UD-Consum) si dichiara deluso dalla commistione tra funzione giurisdizionale e funzione legislativa in cui va degradando il dibattito di Giunta, che meriterebbe di mantenersi all’elevato livello dei lavori svolti invano dal Comitato inquirente: la proposta del relatore per il Lazio, nonostante tutti i tentativi, si rivela frutto di un accordo politico nel quale l’abbraccio tra i due schieramenti rasenta il placcaggio a vista reciproco. Essa pertanto merita voto contrario. Il PRESIDENTE replica dichiarando che l’orientamento già espresso dalla Giunta nelle precedenti votazioni dimostra come la ricostruzione offerta dai relatori si fondi su un dato letterale. La Giunta, con l’astensione del senatore D’Onofrio e con il voto contrario del senatore Manzione, approva a maggioranza la proposta del relatore per il Lazio di respingere i ricorsi Intini e Merlonghi. Previa replica del relatore per la Puglia, senatore ZUCCHERINI (RC-SE), secondo cui chi chiede riconoscimento di onestà intellettuale non può negarla agli altri (ignorando la prova del nove rappresentata dal fatto che vi sono partiti che si sono coalizzati proprio in previsione del voto), si procede alla votazione sulla sua proposta di reiezione in ordine ai ricorsi Intini e Valente. La Giunta, con il voto contrario del senatore Manzione, approva a maggioranza la proposta del relatore per la Puglia di respingere i ricorsi Intini e Valente. Previa replica del relatore per il Piemonte, senatore MANZIONE (Misto-UD-Consum), secondo cui la coerenza dopo un anno e mezzo di lavoro dovrebbe essere titolo sufficiente per ascrivere onestà intellettuale (nulla deponendo, invece, la mera acquiescenza a disegni politici trasversalisti che disattendono le legittime pretese dei ricorrenti), si procede alla votazione della sua proposta di accoglimento del ricorso Intini/Piemonte, prima della quale sarà votata la proposta subordinata, di sollevare questione di costituzionalità sull’articolo 17 comma 6 del decreto legislativo n. 533 del 1993. Avverte infine che ha depositato agli atti della Giunta la relazione in ordine al ricorso dell’onorevole Cambursano in Piemonte, per pronunciarsi sul quale il termine finale è il 23 gennaio 2009. Il senatore CASSON (PD-Ulivo), il senatore PASTORE (FI), il senatore DI LELLO FINUOLI (RC-SE) ed il senatore STRACQUADANIO (DCA-PRI-MPA) dichiarano voto contrario alla proposta subordinata del relatore Manzione, dissentendo dalla perspicuità dei precedenti, dalla rilevanza della questione, dalla addotta impossibilità di procedere ad interpretazione secundum Constitutionem; essi, unitamente al Presidente NANIA, ritengono paradossale recidere il nesso di continuità giuridica tra il Senato che applica la norma e il Senato che l’approvò, oltre a configurare una cessione di sovranità nei confronti di altro potere dello Stato. La Giunta, con i voti favorevoli dei soli senatori Manzione e D’Onofrio, respinge la proposta subordinata contenuta nella relazione per il Piemonte in ordine alla questione di costituzionalità sull’articolo 17 comma 6. La Giunta, con il voto favorevole del senatore Manzione, respinge a maggioranza la proposta, contenuta in via principale nella relazione per il Piemonte, di contestare il seggio del senatore Turigliatto, la cui elezione si intende automaticamente dichiarata valida. Il Presidente procede alla nomina di altro relatore per il Piemonte (scelto nella maggioranza espressa dal voto), nella persona del senatore Augello. Il Presidente NANIA avverte altresì che si procederà in altra seduta alla discussione, replica e votazione sulle parti delle relazioni (già illustrate) non attinenti alla soglia di sbarramento. Si tratterà di una discussione e votazione separata, regione per regione: nell’ordine saranno poste ai voti le proposte di convalida dei senatori dell’Emilia Romagna, della Liguria, della Campania, del Lazio e della Puglia. In ossequio alle determinazioni dell’Ufficio di Presidenza integrato, infine, saranno poste all’ordine del giorno le relazioni concernenti le rimanenti Regioni. La seduta termina alle ore 19.
ALLEGATO 1
. La stessa Corte, con la sentenza n. 476 del 2002, affermò che “l’imperativo di razionalità della legge impone che la ratio degli interventi sia perseguita integralmente: se ciò non avviene, la previsione legislativa ingiustificatamente mancante determina una discriminazione vietata dall’art. 3 della Costituzione”. Ciò che a questo Relatore preme ora di far presente è, invece, che nessuna lettura "costituzionalmente orientata" può darsi della norma in questione, per l'elementare motivo che non si ravvisano altre letture di essa, che non quella seguente: nessuna clausola di sbarramento è in concreto prevista, per escludere dal riparto infracoalizionale dei seggi - nelle regioni in cui è stato attribuito il premio di maggioranza - le liste che abbiano conseguito meno del 3 per cento dei voti validi. 4. Al comma 6 dell'art. 17 della legge elettorale per il Senato si prevede che per procedere al riparto dei seggi si divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali "delle liste ammesse al riparto ai sensi dell'art. 16, comma 1, lettera b) n. 1), per il numero dei seggi" spettanti alla relativa coalizione. Poiché si tratta della medesima locuzione prevista al comma 3 per l'ipotesi di regione in cui è stato raggiunto il 55%, nel parere del professor Luciani si legge che "tale qualificazione non può avere altro senso che quello di confermare la volontà di assegnare i seggi alle sole liste che abbiano superato il 3% dei voti validi" (pag. 5). Al comma 3, però, la formulazione che fa scaturire la clausola di sbarramento non è nel rinvio all'art. 16, ma nella previsione secondo cui, nell'ambito di ciascuna di tali coalizioni di liste, l'ufficio elettorale regionale individua "le liste che abbiano conseguito su un piano circoscrizionale almeno il 3% dei voti validi espressi": si potrebbe quindi sostenere che quando il periodo successivo del comma 3 recita "procede quindi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto, tra le liste ammesse, dei seggi", per "liste ammesse" si intenda quelle di cui al precedente periodo del comma 3 dell'art. 17, e non già quelle di cui al rinvio all'art. 16. Già il professor Vassalli, nel corso della sua audizione dinanzi al Comitato inquirente, fece presente che l’incipit delle due previsioni è esattamente speculare: “Nel caso in cui la verifica di cui al comma 2 abbia dato esito positivo” al comma 3, e “Nel caso in cui la verifica di cui al comma 2 abbia dato esito negativo”, al comma 4. Se la medesima terminologia designa fattispecie diverse, è per difetto di redazione, perché i due percorsi si escludono proprio a partire dall’incipit; sarebbe arbitrario desumere dall’uno dei due percorsi una linea interpretativa per l’altro, che comporta un presupposto contrario al precedente. Le operazioni descritte all’articolo 16, invero, costituiscono la logica premessa delle attuazioni previste dall’articolo 17. Nel primo dei due articoli si tratta delle “individuazioni” di spettanza dell’Ufficio elettorale regionale, alla luce della determinazione della “cifra elettorale circoscrizionale di ogni lista” e “di ciascuna coalizione di liste”; nel secondo dei due articoli si operano due operazioni di attribuzione dei seggi, una provvisoria ed una definitiva, inframezzate dalla verifica “se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell'àmbito della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all'unità superiore”. L’articolo 16 della legge opera quindi una delimitazione di campo, affidando all’ufficio elettorale regionale il compito di verificare i voti complessivamente ottenuti da ciascuna delle liste partecipanti, e, quando queste ultime sono tra loro collegate, calcolando una “cifra elettorale di coalizione”, che corrisponde alla somma delle cifre elettorali di tutte le liste che la compongono. Sulla base del totale generale dei voti validi espressi nella regione, l’ufficio individua poi le coalizioni o le liste isolate che hanno diritto a partecipare alla ripartizione iniziale dei seggi: quelle, cioè, che superano lo standard di rappresentatività richiesto, pari ad un quinto dei voti regionali per le coalizioni (che per comodità si possono definire plurilista: articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1)), ovvero all’8 per cento per le liste isolate o singolarmente ammesse (che per comodità si possono definire “coalizioni monolista”, sia che lo fossero ex ante, sia che lo siano divenute ex post in ragione della soddisfazione singulatim del requisito di legge: articolo 16, comma 1, lettera b), numero 2)). L’articolo 17, poi, regola l’effettiva ripartizione dei seggi senatoriali della regione, che si svolge – come s’è detto – in due fasi successive: nella prima, la ripartizione dei seggi avviene tra le coalizioni, complessivamente considerate (nell’espressione “coalizione” si fa rientrare ovviamente, per comodità espositiva, quelle che si sono definite coalizioni “monolista”). Nella seconda fase, si procede alla ripartizione interna dei seggi conquistati da ciascuna coalizione, tra le liste componenti. La competizione tra le coalizioni ammesse al riparto iniziale dei seggi può concludersi con il conseguimento naturale della quota maggioritaria del 55 per cento dei seggi (e, addirittura, con il suo superamento) o con l’assegnazione garantita del numero di seggi necessario per raggiungere d’ufficio tale quota, in favore della coalizione più votata. Il comma 2 dell’articolo 17 fa riferimento alla prima ipotesi; il comma 4, alla seconda. Per i seggi delle coalizioni si deve procedere alla successiva assegnazione interna: è quanto regolato, rispettivamente, al comma 3 e ai commi 5 e 6 dello stesso articolo 17. Qui nascono i problemi, ingenerati dall’indubbiamente cattiva fattura della legge. Il comma 3 non deve affrontare il problema (che sarà poi del comma 5 per il caso speculare) di chi nell’attribuzione definitiva è destinato a “cedere” al vincitore seggi provvisoriamente assegnati: ecco perché si preoccupa di rendere definitiva l’assegnazione “provvisoria” e, nel farlo, introduce per le coalizioni plurilista una variante che non poteva che essere esplicita, pena l’automatica trasposizione dei conteggi di cui al comma 1 nell’assegnazione definitiva (cosa che avviene invece per le coalizioni monolista, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 3). In particolare, la variante prescelta è quella di introdurre un’esplicita soglia di sbarramento del tre per cento dei voti validi espressi a livello circoscrizionale: essa, pleonastica per le coalizioni monolista (che come s’è visto devono ottenere l’8 per cento) diviene un requisito ulteriore per l’accesso al riparto per le liste appartenenti alle coalizioni plurilista individuate ai sensi dell’articolo 16. Quivi per essere ammesse come coalizioni alle operazioni di cui all’articolo 17 era necessario che al loro interno vi fosse almeno una lista che superasse il 3 per cento; qui perché al loro interno le liste siano ammesse al riparto, è necessario che ciascuna di esse abbia superato il 3 per cento, pena l’eliminazione dal riparto della lista sotto-soglia con conseguente dilatazione delle possibilità delle altre nel riparto delle spoglie (sia della coalizione vincente, che di quella o di quelle perdenti). Ecco perché, dopo quell’esplicita variante, la formulazione legislativa del comma 3 si arricchisce di un sintagma, “liste ammesse”, che chiaramente presuppone l’esistenza di quella variante, cioè della clausola esplicita di sbarramento. Se il legislatore avesse voluto affermare questo sintagma come definizione uniforme, per tutti i casi disciplinati dalla norma, avrebbe potuto farlo al di fuori della summa divisio contenuta al suo interno, tra casi di coalizioni superiori od inferiori al 55 per cento; ovvero, in alternativa, avrebbe dovuto ripetere la clausola di sbarramento per ambedue le fattispecie. Ciò non è avvenuto. Nel secondo caso, quello in cui non è stata naturalmente raggiunta la quota di maggioranza prevista, scatta il premio di maggioranza che porta automaticamente al 55 per cento dei seggi la coalizione vincente, ai sensi del comma 4. Una volta attribuito il premio, diventa necessario individuare chi ne debba pagare, specularmente, i costi, e in quale rispettiva misura, nel caso le coalizioni perdenti siano più di una: è il problema che affronta il comma 5, mentre il comma 6 procede – per tutte le coalizioni sia vincenti che perdenti – a disciplinare il riparto tra le liste appartenenti alle coalizioni plurilista (per quelle monolista la disciplina del comma 5 è esaustiva anche dell’attribuzione dei seggi, per cui non si rende necessario ripetere la previsione di cui all’ultimo periodo del comma 3). In questo caso, il riferimento al “3 per cento” non compare, mentre si prescrive che, per il calcolo del quoziente necessario alla ripartizione dei seggi, si divida il totale delle cifre elettorali delle “liste ammesse al riparto ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1)” per il numero dei seggi assegnati alla coalizione. Chi del sintagma in questione dà una lettura “discorsiva” adduce che, affermato una volta nell’articolo per una fattispecie, esso non può che avere lo stesso contenuto altrove, anche se si tratta di fattispecie alternativa rispetto alla prima. Ma le due fattispecie non sono affatto differenziate nel segno del vel, quanto piuttosto in quello dell’aut. La premessa metodologica, l’espressione definitoria uniforme, poteva essere recata solo al di fuori dell’alternativa, nel comma 1: non così è invece nei casi retti rispettivamente dai commi 3 e 4. Chi deve ammettere che la clausola di sbarramento del tre per cento c’è nel primo caso e non è ripetuta nel secondo, deve o propugnare un’insostenibile natura definitoria uniforme del sintagma “liste ammesse”, oppure deve affermare che al comma 6 si “sia inteso in qualche modo - forse ellitticamente - fare rinvio all’articolo 16, comma 1, lettera b), n. 1, proprio perché solo lì dentro, solo nel n. 1, si parlava di liste che avessero ottenuto almeno il 3 per cento” In tal senso il professor Luciani, nella sua audizione.. Ma anche questa seconda lettura è insostenibile Oltre a sottovalutare il dato dell’esaustività del comma 5 per le coalizioni monolista di cui al n. 2, per cui al comma 6 occorreva individuare in qualche modo il caso residuo, e ciò non poteva che essere fatto col riferimento al solo n. 1.. La presenza di almeno una lista con il 3 per cento è richiesta anche dall’articolo 16, quando fissa le condizioni preliminari di ammissione delle coalizioni, ma non è vera la reciproca: non è scritto in nessun luogo della legge che la singola lista, per essere ammessa al riparto, debba versare nelle condizioni di quell’unica che legittima la coalizione plurilista ad accedere all’assegnazione provvisoria. Tanto è vero ciò, che per prevederlo nelle regioni a coalizione vincente superiore al 55 per cento, il legislatore l’ha dovuto scrivere espressamente (e non l’ha ripetuto per le altre). Non pare quindi esservi dubbio che il riferimento alle “liste ammesse” ai sensi dell’art. 16, comma 1, lettera b), numero 1 ha esattamente il significato di “ammettere” al riparto anche liste che abbiano ottenuto un consenso inferiore al 3% purché esse siano collegate in coalizione almeno ad una lista, che quel 3% abbia conseguito. Né è di ostacolo l’apparente ambiguità consistente nel fatto che il soggetto grammaticale dell’art. 17, comma 6, sono le “liste ammesse” e quello del comma 1, lettera b), numero 1 dell’art. 16 sono le “coalizioni di liste”. Com’è, infatti, evidente nell’impianto legislativo le “coalizioni” – soprattutto quelle di cui al comma 6, chiaramente limitato alle plurilista – non sono altro che “aggregazioni di liste”, raggruppamenti strumentalmente rivolti a consentire il collegamento tra liste proprio al fine che queste siano più facilmente “ammesse” al riparto dei seggi ed al raggiungimento della maggioranza necessaria per l’ottenimento del premio. Trattando di “liste ammesse”, dunque, l’art. 17, comma 6, non fa altro che utilizzare un’espressione ellittica e sintetica al posto della più farraginosa perifrasi “liste ammesse [per il tramite della coalizione ammessa] ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. b) n. 1”. L’ammissione al riparto, in altri termini, è frutto dell’accesso della relativa coalizione alle procedure di cui al comma 1 dell’articolo 17, ai sensi del quale si divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali di ciascuna coalizione di liste o singola lista di cui all'articolo 16, comma 1, lettera b), per il numero dei seggi da attribuire nella regione, ottenendo così il quoziente elettorale circoscrizionale. Al fine di giungere all’opposta conclusione secondo cui, per accedere al riparto dei seggi, tutte le liste di cui al quesito in oggetto debbano aver superato una soglia del 3 %, sarebbe necessario estendere a tale ipotesi l’eccezionale previsione stabilita per il diverso caso della ripartizione dei seggi nell’ipotesi in cui non sia “scattato” il premio di maggioranza: ciò configura una violazione del mentovato criterio interpretativo di cui all’articolo 14 delle preleggi e, pertanto, va respinto sia in via di principio, sia per le modalità con cui è avvenuto nel caso di specie. In materia coperta da riserva di legge, si è proceduto infatti ad un’eterointegrazione della norma ad opera di atti amministrativi più o meno espliciti dell’Amministrazione dell’interno, che ha orientato le scelte dell’Ufficio incaricato dell’applicazione della norma secondo criteri che rifuggono da un corretto supporto ermeneutico, per influire sulla decisione finale che ha portato alle proclamazioni dei senatori eletti In tal senso sono apparse particolarmente convincenti le considerazioni espresse, nel corso della sua audizione, dal professor Lanchester.. Sul punto, è particolarmente significativo che un autorevole accademico oggi chiamato a rivestire la carica di Ministro dell’interno – il professor Giuliano Amato – abbia scelto una sede formale (l’Assemblea della Camera dei deputati, in risposta all’interrogazione 3-00091, in un intervento in cui ha espresso a titolo personale la convinzione che in materia di diritti elettorali non si possano dare interpretazioni che si distanzino da quella letterale) per precisare che il modulo predisposto dal Ministero dell'interno MOD. 65 (E.P.) era costruito in modo da presupporre una particolare interpretazione della legge elettorale: quella secondo cui la legge prevedeva l’ammissione al riparto dei seggi delle sole liste che avevano ottenuto almeno il 3% dei voti validi espressi sul piano regionale. Ciò coincide con quanto sostenuto nel verbale delle operazioni dell’Ufficio elettorale regionale per il Piemonte, alla citata pagina 19; effettivamente, il § 10 prescrive che l’Ufficio elettorale regionale proceda “ad individuare, nell’ambito di ciascuna coalizione ammessa al riparto dei seggi, le liste tra le quali ripartire i seggi assegnati” e, nel farlo, che esso calcoli a quanto corrisponda il 3% dei voti espressi sul piano circoscrizionale, per poi accertare che ammesse al riparto sono solo le liste che hanno superato tale soglia “Per la coalizione avente come capo Prodi Romano ammesse al riparto dei seggi sono le seguenti: 1) Lista avente il contrassegno Democrazia è Libertà-La Margherita cifra elettorale circoscrizionale 315.191 2) Lista avente il contrassegno Insieme per l’Unione cifra elettorale circoscrizionale 118.974 Lista avente il contrassegno Democratici di Sinistra cifra elettorale circoscrizionale 453.524 Lista avente il contrassegno Partito della Rifondazione comunista cifra elettorale circoscrizionale 216.804 Lista avente il contrassegno Di Pietro Italia dei Valori cifra elettorale circoscrizionale 88.244”.. Nulla si dice, in questo paragrafo, in ordine al fatto che questo riparto sia prescritto dalla relativa disposizione Intitolato: “Individuazione, nell’ambito di ciascuna coalizione di liste ammesse al riparto, delle liste tra le quali ripartire i seggi assegnati in sede di riparto regionale (articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, e successive modificazioni)”: corsivo aggiunto. solo per le regioni in cui sia stato superato il 55 per cento, e questo non era il caso del Piemonte, il cui Ufficio elettorale fu quindi “orientato” dalla tecnica prescelta dal redattore del verbale a considerare analoghi i casi del superamento della soglia del 55 per cento e di non superamento della medesima, benché essi fossero espressamente contrapposti nella norma. 5. Eppure, paradossalmente, la considerazione svolta nell’atto di sindacato ispettivo sopra richiamato non è probante proprio in relazione alla questione delle “liste ammesse al riparto”, perché su questo punto al § 13 (pagina 27) il verbale seguiva la scansione della legge elettorale vigente, nel suo tenore letterale proprio come ricostruito nella presente Relazione. Il paragrafo 13 prevede - ai sensi dell’articolo 17, comma 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, e successive modificazioni - il riparto dei restanti seggi “tra le altre coalizioni di liste e singole liste ammesse al riparto di cui al paragrafo 7”: in tale paragrafo si elencano semplicemente i requisiti di cui all’art. 16, comma 1, lett. b), per cui lo stesso verbale smentisce la tesi secondo cui esiste una sola “ammissione”, e cioè quella delle liste. Di ammissioni ve ne sono ben due: quella delle coalizioni e quella delle liste, ed il rapporto tra le due è regolato all’articolo 17 rispettivamente dal comma 1 e dai commi 3 (per le regioni sopra soglia del 55%) e 5-6 (per le regioni sotto soglia del 55%). Un analogo problema già si pose durante la delicata controversia interpretativa che si svolse subito dopo l’entrata in vigore della legge 23 febbraio 1995, n. 43, che modificò il sistema elettorale previsto per i Consigli regionali dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108. L’articolo 7 della legge n. 43 del 1995 introduceva una soglia di sbarramento per le liste (provinciali) che non avessero raggiunto almeno il 3% dei voti validi nell’intera regione (salvo specificare successivamente che qualora tali liste fossero collegate ad una lista regionale che avesse superato il 5%, allora esse sarebbero state computate ai fini della distribuzione dei seggi). Il problema interpretativo sorgeva perché tale previsione non era stata coordinata, dalla legge del 1995, con quella dell’articolo 15, comma 3, lettera b) della legge n. 108 del 1968, secondo cui spetta agli uffici centrali circoscrizionali procedere “al riparto dei seggi tra le liste in base alla cifra elettorale di ciascuna lista. A tal fine divide il totale delle cifre elettorali di tutte le liste per il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione più uno, ottenendo così il quoziente elettorale circoscrizionale” (corsivo aggiunto). Si trattava quindi di stabilire se il criterio di determinazione del quoziente elettorale, previsto dalla legge del 1968, fosse compatibile con la logica del nuovo sistema elettorale per i Consigli regionali: esso prevede un criterio proporzionale di elezione di 4/5 dei consiglieri sulla base di liste provinciali concorrenti, mentre per il restante quinto opera un sistema maggioritario sulla base di liste regionali concorrenti collegate con almeno un gruppo di liste provinciali. In particolare, per i 4/5 opera un rinvio alle “disposizioni contenute nella legge 17 febbraio 1968, n. 108 e successive modificazioni”, prevedendo poi, per la distribuzione dei seggi, il citato sbarramento del 3%,; per il restante 1/5 vi è l’attribuzione di un premio di maggioranza che consente di conseguire almeno il 55% dei seggi del collegio. Nel quadro del rinvio alla legge del 1968, non creano problemi né la determinazione della cifra elettorale di ciascuna lista provinciale (data dalla somma dei voti di lista validi) né il riparto dei seggi tra le liste in base alla cifra elettorale di ciascuna lista: a tal fine l’ufficio come s’è detto divide il totale delle cifre elettorali di tutte le liste per il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione più uno, ottenendo così il quoziente elettorale circoscrizionale; attribuisce quindi ad ogni lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale risulti contenuto nella cifra elettorale di ciascuna lista. Il problema è la disciplina dell’incapienza: se, con il quoziente calcolato come sopra, il numero dei seggi da attribuire in complesso alle liste supera quello dei seggi assegnati alla circoscrizione, le operazioni si ripetono con un nuovo quoziente ottenuto diminuendo di una unità il divisore; i seggi che rimangono non assegnati vengono attribuiti al collegio unico regionale. Orbene, visto che l’articolo 17 cit. della legge n. 43 del 1995 non era redatto secondo la tecnica della novellazione, nel prescrivere che “non sono ammesse all'assegnazione dei seggi” le liste sotto soglia esso si riferiva senz’altro alla fase del riparto dei seggi, ma restava aperto il dubbio se, nel silenzio della legge (anzi, nell’opposta dizione della legge del 1968: “tutte le liste”), esso si estendesse anche alle operazioni di computo suddette. Nella fattispecie, se anche al numeratore della frazione destinata ad esprimere il quoziente per i calcoli rientravano le cifre elettorali di tutte le liste (anche quelle destinate comunque a non ricevere seggi perché sotto soglia), i conteggi differivano e potevano locupletare una lista sopra soglia invece di un’altra. In una prima fase, il Consiglio di Stato Decisioni della Sezione V, nn. 875 del 6 agosto 1996, 453 del 18 aprile 1996, 309 del 26 marzo 1996 e 48 del 13 gennaio 1996., confermando varie decisioni di primo grado Tra le altre, TAR Lazio, sezione I-ter, 26 febbraio 1996, n. 286., aveva interpretato la disciplina delle due leggi prevedendo che il quoziente elettorale circoscrizionale si computasse dividendo il totale delle cifre elettorali di tutte le liste; soltanto dopo aver ottenuto il quoziente, infatti, l’ufficio centrale circoscrizionale procede alla ripartizione dei seggi, e solo successivamente alla determinazione dei seggi residui, rimasti da attribuire in sede di Collegio unico regionale (fase nella quale soltanto si applica la soglia di sbarramento). Tale linea interpretativa teneva conto del fatto che la determinazione della cifra elettorale di ciascuna lista, ai fini del calcolo dei quozienti, costituisce “un’operazione logicamente e giuridicamente anteriore – e quindi autonoma – rispetto all’assegnazione dei seggi”. Ne derivava che, mentre l’articolo 7 della legge del 1995 esclude dal riparto dei seggi assegnati alla quota proporzionale le liste che non abbiano raggiunto il 3% dei voti validi nell’intera regione, la disciplina della fase di determinazione dei quozienti elettorali comportava l’inclusione, nel numeratore della frazione che dava luogo al quoziente, delle cifre elettorali di tutte le liste. Tali decisioni della V sezione respingevano anche l’argomento secondo cui la legge – così interpretata – avrebbe portato ad un aumento del numero dei seggi tale da far superare l’esatta percentuale del 55% dei seggi alla lista con la maggiore cifra elettorale, in violazione della disciplina sul premio di maggioranza: la lettera della norma in esame “è chiarissima nel riferire ai seggi e non alla percentuale l’arrotondamento” all’unità inferiore previsto dall’articolo 3, secondo comma, n. 7 della legge n. 43 del 1995. La prima inversione di tendenza, in sede politico-legislativa, ebbe origine proprio da questo punto: un’interpretazione autentica contenuta nell’articolo 5, comma 7 della legge 15 maggio 1997 n. 127, affermò che le parole: «qualora tale seconda verifica dia esito negativo, assegna alla lista regionale una quota aggiuntiva di seggi che, tenuti fermi i seggi attribuiti ai sensi dei numeri 4) e 5) e quelli attribuiti in ambito provinciale, consenta di raggiungere il 55 per cento del totale dei seggi del consiglio nella composizione così integrata con arrotondamento all'unità inferiore» devono interpretarsi nel senso che tale arrotondamento è da riferirsi ai decimali da rapportarsi alla percentuale complessiva e non al numero dei seggi, che devono pertanto comunque raggiungere o superare il 55 per cento del totale dei seggi del consiglio nella composizione così integrata. Indi, a capovolgere definitivamente la vecchia tesi, giunse l’Adunanza plenaria, con decisione del 10 luglio 1997 n. 13, dichiarando che per l’assegnazione dei seggi di quota proporzionale, nel Collegio unico regionale, vale il principio della non computabilità dei voti validi delle liste che non abbiano superato lo sbarramento del 3%. L’Adunanza plenaria rilevò che consentire ai voti validi delle liste escluse dall’assegnazione di seggi di concorrere alla determinazione dei quozienti, significherebbe alterare la ripartizione dei seggi. Occorre invece tener conto dell’effettiva portata della norma alla luce di una necessaria interpretazione logico-sistematica, ispirata alla specifica funzione cui la norma stessa – nel porre un preciso meccanismo di determinazione del quoziente elettorale – è inequivocabilmente destinata. Il computo dei voti attribuiti alle liste rimaste al di sotto della soglia di sbarramento implicherebbe una sorta di riutilizzazione dei voti stessi, che non sono utili per i diretti destinatari; tali voti, come messo in luce nella decisione citata, se si accogliesse la prospettazione dei ricorrenti verrebbero ad incidere, in maniera indiretta e, per così dire, involontaria, nella ripartizione dei seggi tra gli altri schieramenti rimasti in lizza, diversi rispetto a quelli cui i voti stessi erano stati destinati Si sono uniformate a tale decisione le sentenze: Consiglio di Stato, Sez. V, 24/03/1998 n. 358; Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. I-ter, 19 luglio 2000 n. 6094; Consiglio di Stato, Sez. V, nn. 5513 e 5514; Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sede di Catanzaro, Sezione Prima, 15-21 luglio 2005, n. 1342; Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Seconda, 16 febbraio 2006, n. 2298. La reiezione delle eccezioni di costituzionalità, sollevate in tale materia, è stata disposta dalle sentenze Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione Prima, 6 novembre 2001, n. 1588/01 e Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Seconda, 16 febbraio 2006, n. 2136/06.. Quando la norma, contenuta nell'art. 7 della legge n. 43 del 1995, statuì che "non sono ammesse all'assegnazione dei seggi le liste provinciali il cui gruppo abbia ottenuto, nell'intera regione, meno del 3% dei voti validi", in dottrina vi fu chi sostenne la possibilità di intendere tale "assegnazione" non soltanto "come l'atto conclusivo del procedimento elettorale, ossia come il risultato del momento di attribuzione dei seggi, ma, in un senso che pare anche tecnicamente più corretto, come l'intero procedimento che, applicando il meccanismo complesso previsto dalla legge elettorale, consente la traduzione dei voti in seggi" Francesco Rimoli, Elezioni regionali e giudice amministrativo: un esercizio di ermeneutica svolto sul quaderno della politica, in Giurisprudenza costituzionale, 1996, p. 3877. Benché quindi la clausola di sbarramento fosse esplicita solo per il procedimento “a valle”, secondo tale autore l'attribuzione di valenza semantica diversa e più comprensiva al concetto di "assegnazione" dei seggi avrebbe consentito di concepirlo tout court come procedimento e non solo come atto conclusivo dello stesso: in quel caso, essendovi la norma esplicita di esclusione dal computo per l'ammissione delle liste sotto soglia, secondo l'autore in questione si sarebbe potuta "superare l'impasse generata dall'applicazione dell'analogia in senso proprio", perché non di analogia si sarebbe trattato, ma di interpretazione che traeva spunto dalla lettera della norma. Da tutto il ragionamento svolto in quella circostanza consegue che, per dare all’assegnazione valore di concetto unitario, occorre disporre di un dato testuale suscettibile di estenderlo dal riparto alla determinazione del quoziente: questo dato nel caso all’esame della Giunta manca, per cui, non essendovi la soglia di sbarramento nella lettera della norma nel comma 6 (a differenza del comma 3 dell'art. 17), i voti coalizionali entrano tutti nel calcolo del numeratore della frazione che porta al quoziente; aver mancato di effettuare tale calcolo è particolarmente odioso per chi, pur avendo superato il 3%, si è trovato incapiente in sede di riparto dei seggi infracoalizionali per il diverso tipo di calcolo, effettuato “depurando” dal numeratore le cifre delle liste inferiori al 3 per cento. Esula certo dal caso specifico della regione Piemonte chiedersi se l’Ufficio avrebbe potuto, per conciliare le due prescrizioni, considerare le liste sotto soglia ai fini dell’individuazione del quoziente, ma non ai fini del riparto; si tratta di un problema che non altera le conclusioni del Relatore (contestando il ricorso Intini sia l’esclusione “a monte” del calcolo – per il conteggio del quoziente – sia “a valle” dello stesso, avendo la lista da lui guidata totalizzato un risultato inferiore al 3% dei voti validi), ma la cui disamina – in comparazione col precedente del CUR – può contribuire a far luce sulla praticabilità di un possibile percorso alternativo nella lettura della norma. Comunque, riprendendo il percorso dettato dal modello di verbale, una volta che vi è stata l’individuazione di una coalizione di liste o singola lista, come “ammesse al riparto”, ne discende che ad essa spettano i 9 seggi che l’Ufficio elettorale per il Piemonte assegna, nell’unica parte compilata del § 13. Ad essa - e nella consistenza dei voti che di essa è dichiarata, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. b), n. 1, nel paragrafo 7 - andava riferito il successivo conteggio di spettanza dell’Ufficio: dividere il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle coalizioni di liste e singole liste ammesse, di cui al paragrafo 7, per il numero dei seggi restanti, ottenendo il quoziente con cui operare il successivo riparto. Invece, l’Ufficio elettorale regionale ha preferito lasciare non compilata tale parte del paragrafo, e ricavare un diverso quoziente dal prospetto IV previsto dal § 14 (che si richiama alle liste ammesse di cui al paragrafo 10) del medesimo verbale. Tale scelta va censurata, perché è all’origine di una proclamazione erronea, effettuata in aperta contraddizione con il tenore letterale della norma da applicare; anche se, occorre ribadirlo, per la regione Piemonte tale errore sulla determinazione dell’esatto quoziente elettorale non determina sostanzialmente alcuna variazione nell’assegnazione dei seggi già convalidati. 6. La conclusione cui è addivenuto il Relatore, e sulla quale egli richiede che la Giunta convenga, è quella della totale aderenza alla lettera della legge, non trovandosi al cospetto di una norma palesemente inapplicabile. Ne consegue la necessità di aprire la fase di contestazione dell’elezione all’unico seggio del Piemonte escluso dalla convalida decisa l’11 ottobre 2006. Qualora però la maggioranza della Giunta dovesse ritenerlo, si potrebbe dar corso all’ultimo possibile margine di valutazione che residua ad un organo di natura giurisdizionale in sede di applicazione della legge: se cioè la disciplina legislativa così ricostruita resista ad uno scrutinio di ragionevolezza, e nel dubbio valutare se sollevare d’ufficio Sulla possibilità di sollevare d’ufficio dubbi di costituzionalità della norma che la Giunta è chiamata ad applicare, cfr. l’intervento del senatore Gianquinto nella seduta della Giunta delle elezioni del 27 febbraio 1969: il dato interessante anche ai fini del § 5 perché, in quella circostanza, il senatore dichiarò che la norma in questione (l’allora articolo 19 comma secondo della legge elettorale per il Senato, secondo cui la cifra elettorale di ogni Gruppo di candidati era data dal totale dei voti validi ottenuti dai candidati del Gruppo stesso, presentatisi nei collegi nei quali nessun candidato aveva ottenuto un numero di voti validi non inferiore al 65 per cento dei votanti) “rende inutilizzabili un certo numero di voti validi” e ciò contrastava, a suo avviso, “con i principi costituzionali relativi alla eguaglianza del voto di tutti i cittadini” (verbale n. 17). questione di costituzionalità innanzi alla Corte costituzionale. A tal proposito, giova ricordare la Giunta ha già affrontato e risolto - con il Documento n. XXXI della IV legislatura (Relazione sulla elezione contestata nella Regione della Lombardia – senatore Bruno Amoletti) Atti parl. Sen., IV Leg., doc. n. 31, 17-23: la relazione terminava con un dispositivo in cui si proponeva l’annullamento della elezione «ritenuta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa dell’on. Amoletti» in ordine all’art. 19, comma 3 l. 6 febbraio 1948, n. 29 e agli art. 48-53 t.u. n. 361, cit. in relazione agli art. 3, 48, 51 e 57 Cost.. Le conclusioni furono approvate dall’Assemblea del Senato (cfr. Atti parl. Sen. 10 marzo 1964, 5406) e trovarono conforto nella relazione sull’elezione contestata del senatore Stefanelli (Atti parl. Sen., V Leg., Doc. III, n. 3, 8 ss.), non discussa in Assemblea. Di contrario avviso si mostrò la Giunta della Camera nella seduta del 30 gennaio 1964 (cfr. il resoconto sommario della Camera 30 gennaio 1964, 8, cui fa riferimento anche la relazione sul senatore Amoletti, confutandone gli assunti): la giunta respingeva una serie di reclami in terna di collegio unico nazionale considerando tra l’altro «che l’eventuale rinvio da parte della Camera alla Corte costituzionale dell’art. 83 t.u. n. 361, cit., ai fini del giudizio di costituzionalità, è da escludersi in base ai principi generali sull’autonomia degli organi costituzionali e sulle loro competenze». Come fa notare Elia, voce Elezioni politiche (contenzioso), in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Milano, 1965, 789, n. 264, nella conseguente relazione Basile (Atti parl. Dep., IV Leg., doc. IX, n. 2, 3) la presa di posizione della Camera apparve meno decisa di quella assunta nella seduta del 30 gennaio 1964: si afferma, tra l’altro che «non sarebbe stato ammissibile nè corretto affrontare e promuovere, da parte di un organo parlamentare, alcuna procedura per interessare formalmente del problema la Corte costituzionale. D’altra parte la giunta ha osservato che la difesa non ha fatto della questione di legittimità costituzionale una richiesta formale e preliminare, ma una tesi di merito, discussa in via subordinata». Su questa posizione di maggior cautela pare attestarsi anche un precedente del Senato della V legislatura, la relazione della Giunta sulla elezione contestata del sen. La Rosa (cfr. Atti parl. Sen., V leg., doc. III, n. 1, p. 4), dove si legge testualmente: «Poiché, come si è detto, la sollevata questione di illegittimità costituzionale è apparsa alla Giunta manifestamente e palesemente infondata nel merito, non appare necessario, neppure in questa sede, affrontare ex professo i suddetti problemi: in tal modo tutte le implicate questioni restano impregiudicate, senza costituire, in alcun modo, precedente. Pertanto, ove fosse sollevata in futuro una questione di illegittimità costituzionale che, in astratto, offrisse qualche elemento di fondatezza, in quella occasione la Giunta delle elezioni affronterà funditus le varie questioni attinenti alla proponibilità di questioni di legittimità costituzionale nelle varie fasi del procedimento elettorale politico. Le suddette precisazioni sono state fatte principalmente allo scopo di evitare che il silenzio al riguardo potesse far ritenere - anche sulla base del dispositivo adottato dalla Giunta - che siano pacifiche determinate tesi (circa la natura delle attività svolte dalle Camere in sede di contenzioso elettorale politico), le quali suscitano invece varie perplessità». Si tratta di un precedente citato da ultimo nella relazione sulla verifica delle elezioni senatoriali del 26-27 giugno 1983 nella regione Lazio (che si conclude con le parole “le sollevate eccezioni di illegittimità costituzionale non sembrano sostenute da alcun apprezzabile argomento, di modo che non appare necessario affrontare ex professo la questione della legittimazione della Giunta a provocare l’intervento della Corte costituzionale: questione che rimane impregiudicata, e di cui la Giunta dovrà eventualmente occuparsi in futuro”), che fu presentata il 15 febbraio 1984 dal relatore Di Lembo e fu approvata il 12 giugno 1985 dalla Giunta delle elezioni del Senato (Atti parl. Senato, IX leg., seduta della Giunta del 12 giugno 1985). il seguente problema di carattere generale: una questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge può essere rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso del giudizio relativo ad una elezione contestata? A tale problema la Giunta ritenne di dare una soluzione positiva per i motivi che di seguito si riportano integralmente.
IZZO. No, io credo che no, credo che no, professore. Fu applicata dalle 26 Corte di appello per tutte le coalizioni, sia quelle vincenti, sia quelle perdenti. PATRONO. Allora, se questo è il dato di fatto ... IZZO. La realtà è assolutamente quella che le ho detto, mi creda. PRESIDENTE. Professore, confermo quello che diceva il collega Izzo; in effetti l'interpretazione - ad opera di tutti gli Uffici regionali presso le Corti di appello che hanno proclamato i senatori, nelle regioni in cui è scattato il premio di maggioranza (Campania, Liguria, Lazio, Marche, Puglia e, naturalmente, Piemonte) - è stata unanime e conforme, sia per la coalizione vincente che per quella perdente, come risulta dagli atti che abbiamo ... PATRONO. Mi aveva molto sorpreso questo dato di fatto che mi era stato dato e che sarebbe stato inspiegabile sulla base di una stessa formula. PRESIDENTE. Ci fa piacere che ci sia questo recupero di conoscenza. Ma lei era partito da questa premessa per andare avanti...? PATRONO. No, no, no. Cade questo argomento di fatto, però rimane il fatto che noi abbiamo un calcolo provvisorio del quoziente, diciamo, circoscrizionale e un calcolo provvisorio dei seggi spettanti a ciascuna coalizione che ha superato il 20 per cento dei voti validamente espressi più anche le liste che hanno superato... Il calcolo è di questo tipo: la somma globale in ogni Regione dei voti presi dalle coalizioni che hanno superato la soglia per conquistare seggi globali, si divide per il numero dei seggi spettanti a ciascuna Regione e ne viene il quoziente circoscrizionale; poi si prende per ciascuna coalizione che ha superato il 20 per cento il totale dei voti delle liste interne a questa coalizione, si divide per il quoziente circoscrizionale e si ottiene provvisoriamente il numero dei seggi di ciascuna coalizione che ha conquistato seggi. A questo punto devo dire che è diverso il calcolo che viene fatto - il modo di calcolare le modalità di calcolo - per quanto riguarda il coefficiente di coalizione nel comma 3 dell'articolo 17 e nel comma 6 dell'articolo 17, cioè relativamente alle due ipotesi che io ho detto diverse. Per quanto riguarda il calcolo del coefficiente di coalizione del comma 3, bisogna dire che questo calcolo per il quoziente di coalizione si differenzia - ha una modalità di calcolo completamente diversa - dalla modalità di calcolo seguita per calcolare il coefficiente circoscrizionale: ciò nel senso che si devono scorporare i voti per ciascuna coalizione che non raggiungono il 3 per cento e allora per ciascuna coalizione si prende la somma dei voti meno il 3 per cento, si divide per il numero dei seggi provvisoriamente attribuiti a quella coalizione e si ha il calcolo del quoziente di coalizione, dopodiché si calcolano i voti delle sole liste ammesse, perché hanno superato lo sbarramento del 3 per cento, si divide per il quoziente di coalizione e quindi si ottiene per ogni lista il numero dei seggi. Quindi, altro è il calcolo per il quoziente circoscrizionale – che calcola tutti i voti ottenuti da ciascuna coalizione e calcola tutti i voti perché si determini il numero dei seggi progressivamente attribuiti alle coalizioni ammesse e tutti i voti della coalizione – ed altro è, nel comma 3 dell'articolo 17, il calcolo: qui le modalità di calcolo sono completamente diverse. Viceversa nel comma 6 che riguarda la coalizione vincente che non raggiunge il 55 per cento dei seggi, il calcolo - le modalità per calcolare il quoziente di coalizione - è esattamente lo stesso della totalità dei seggi. Noi qui vediamo che, per esempio, al comma 6 divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista: non parla come all'articolo 3, divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista ammessa al riparto; parla di ciascuna lista, attenzione!, per ogni coalizione ciascuna lista. Questo ragionamento può essere, diciamo, revocato in dubbio solo ad un patto, cioè al patto di considerare che nel comma 6 – le parole “a tal fine per ciascuna coalizione di liste” e qui poi “liste ammesse al riparto ai sensi, ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera b)” – lo si legga alternativamente in una delle letture che sono state proposte. O, come dice il professor Luciani, il riferimento all'articolo 16 c’è perché nell'articolo 16 è prevista la soglia di sbarramento del 3 per cento: lui dice così, c'è questa indicazione del 3 per cento, questo riferimento all'articolo 16 si riferisce allo sbarramento del 3 per cento. Che io sappia il contenuto di una norma che rinvia ad un'altra norma assume il contenuto della norma a cui si rinvia. L'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1 indica, se lo leggiamo tutto, le coalizioni che andranno ad acquistare seggi e quindi le “liste ammesse” non sono altro che le liste ammesse in quanto fanno parte di una coalizione che acquista seggi. Oppure si può dire, come dice Ceccanti: per me interprete questa formula – che si riferisce alle liste ammesse ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1 – si legge come se il riferimento all'articolo 16 comma 1, lettera b), numero 1 non ci fosse, ma come se ci fosse invece riferimento allo sbarramento infracoalizionale al 3 per cento. Oppure anche si dice questo riferimento è incongruo: bisognerebbe leggerlo come se ci fosse un rinvio al comma 3 dell'articolo 17. O addirittura, in pratica – che è poi ciò che tutte queste letture vogliono dire – noi leggiamo il comma 6 dell'articolo 17 come se non ci fosse per tutta una sua parte: del resto negli atti parlamentari, il senatore Passigli, insieme al senatore Manzella, mi pare anche il senatore Villone, ed altri, fecero un emendamento, prima in prima Commissione, che non fu discusso e poi lo reiterarono in Assemblea, in cui chiedevano semplicemente l'abrogazione del comma 6. Ora tutto questo sforzo di non leggere la disposizione per come è stata scritta dal legislatore (e per leggervi, invece, cose che il legislatore non vi ha scritto) la si può spiegare soltanto a una condizione: a patto di ritenere che le due situazioni a cui si riferiscono i due commi di cui stiamo parlando siano situazioni simili, di cui una è perfettamente regolata, mentre l'altra per un errore non è stata compiutamente regolata; perciò l'interprete deve sforzarsi fino all'inverosimile per porre riparo ad un errore, alla fretta, alla dimenticanza, alla svista del legislatore. Ma, come ho cercato di dimostrare, rispondendo alla prima domanda, non si è trattato di una svista, di una dimenticanza, di una fretta: si è trattato del fatto che il legislatore ha voluto regolare due situazioni diverse in due modi diversi. Vedete, gli atti parlamentari in una legge di questo tipo, contrariamente a quello che si ritiene da parte di alcuni, hanno secondo me una grande importanza perché si tratta di una legge, la legge elettorale, poco suscettibile di interpretazione evolutiva. Quindi gli atti parlamentari sono molto importanti. Si è detto anche da molti che gli atti parlamentari - rispetto alla 270 del 2005 - sono atti, diciamo, confusi di cui non è facile la lettura; effettivamente la legge è stata approvata ed è stata discussa nell'ultimo periodo della legislatura; il dibattito è stato, diciamo, abbreviato e così via. Secondo me, per quanto riguarda la parte degli atti parlamentari che si riferiscono all'articolo 17 di cui stiamo parlando, essi sono invece molto chiari. E la chiarezza dipende da questo: ci sono stati - a partire dal senatore Turroni dei Verdi - una serie di Senatori (e molto autorevolmente il presidente Pastore), i quali hanno manifestato l'opinione che le due differenti regolazioni che erano dettate - al comma 3 e al comma 6 - recavano differenze che andavano eliminate. Per essi, il comma 6 andava regolato come il comma 3, per eguagliare la ratio delle due situazioni ritenute da questi illustri Senatori come situazioni simili. Quindi questo tentativo c'è stato: è stato detto ed è stato ripetuto sia in prima Commissione che in Assemblea. Sono stati presentati sia in prima Commissione, sia in Assemblea tutta una serie di emendamenti; in prima Commissione ricordo l'emendamento Mancino e altri, se non erro, l'emendamento anche Passigli-Manzella eccetera che nascevano tutti da questa cosa: anche se tra di loro erano diversi, perché l'emendamento Mancino prevedeva appunto di cambiare la formula, di togliere in riferimento all'articolo 16 ... Quindi ci sono stati tutta una serie di Senatori che hanno evidenziato il fatto che c'erano due regolazioni diverse per due situazioni che si ritenevano simili. Hanno anche proposto degli emendamenti; questi emendamenti sono stati votati; non in prima Commissione, perché non ci fu tempo. In prima Commissione, credo che furono votati 48 emendamenti su .... PRESIDENTE. .... non si conclusero i lavori, tanto è vero che in Aula il provvedimento era senza relatore. PATRONO. Esatto. Si andò perciò in Aula e il presidente della Commissione, senatore Pastore, tenne un intervento che egli stesso definì una «relazione ombra» in cui tra l'altro reiterò questa sua opinione. Gli altri che avevano questa posizione - cioè ci sono due regolazioni, queste due regolazioni però riguardano situazioni simili allora queste due regolazioni vanno equiparate, la seconda alla prima - proponevano degli emendamenti; invece il senatore Pastore disse: per me basta un interprete, un buon interprete il quale provvederà semplicemente a questa incongruenza. Allora si può dire che quando la maggioranza bocciò quegli emendamenti che volevano cambiare la formulazione di questi articoli: in realtà li bocciò perché seguiva l'opinione molto autorevole del senatore Pastore di Forza Italia, che allora era della maggioranza; la maggioranza abbia bocciato questi emendamenti perché riteneva che in effetti sulla base di una interpretazione si potesse arrivare ad una applicazione. Ma non è così, perché ricordo che in Assemblea - e non alla fine, ma durante la discussione - sugli emendamenti fu fatto osservare dal senatore Petrini al senatore Pastore che nella questione che ci interessa in via interpretativa se c'era un'incongruenza in via interpretativa, questa incongruenza non si poteva sanare: questo il senatore Petrini ed altri lo ripresero più volte, perché così risulta negli atti parlamentari. Quindi la maggioranza, quando andò a bocciare quegli emendamenti, sapeva che c'erano due regolazioni diverse: alcuni ritenevano che queste due regolazioni diverse dovessero essere eguagliate. L’Assemblea votò e bocciò gli emendamenti sapendo anche che non si poteva provvedere in via interpretativa, ma perché bocciò gli emendamenti e confermò le due regolazioni? Perché - ripeto! - il legislatore riteneva che le due situazioni non fossero due situazioni assimilabili, ma che fossero due situazioni diverse che proponevano problemi di rappresentatività di tipo diverso: la soglia infracoalizionale del 3 per cento poteva essere sostenuta, infatti fu ammessa, per una coalizione vincente che raggiungesse o superasse il 55 per cento, ma si ritenne che non potesse ammessa per una coalizione vincente che non raggiungesse il 55 per cento dei seggi e che poteva avere una percentuale di voti molto inferiore al 55 per cento. Altrimenti essa avrebbe dovuto, sul piano della rappresentatività, subire due pesi: un premio di maggioranza notevole rispetto ai voti che potevano essere pochi, e in più la decurtazione delle liste che all'interno non avessero raggiunto il 3 per cento. Questa è stata la scelta fatta dal legislatore in modo chiaro, non so se rendo l'idea. Ora io voglio dire una cosa e qui mi rimetto alla prima parte della prima domanda: la ratio. Leggendo alcune memorie che sono agli atti della Giunta - e leggendo anche il testo di alcune audizioni - ho l'impressione che mentre, di regola, alla ratio l'interprete arriva dopo una interpretazione compiuta e minuziosa dell'atto legislativo - quindi dopo l'interpretazione letterale, dopo la lettura attenta degli atti parlamentari, c’è l'interpretazione logica, cioè l'interpretazione intesa a mettere le disposizioni dall'atto legislativo in un rapporto di coerenza reciproca (e alla fine, specialmente se queste interpretazioni coincidono, collimano l'interprete è in grado di individuare lo scopo della legge) - invece, secondo me, dal punto di vista logico, si è fatta un'operazione esattamente inversa: si è partiti dalla ratio legis assunta dall'interprete in modo aprioristico, sommario e cioè si è detto qual è la ratio legis di questa legge (il fatto che si vuole assicurare la governabilità, contrastare la frammentazione dei partiti, questo è previsto per la Camera nell'ipotesi di una coalizione vincente che raggiunge i 340 seggi, nel caso di una coalizione vincente che però non raggiunge i 340 seggi, nel caso al Senato in cui una coalizione raggiunge o superi il 55 per cento dei seggi, non è allo stesso modo prevista però per un errore del legislatore) e allora ecco che questa ratio legis dalla quale siamo partiti si impone all'interprete. La ratio lo costringerebbe a fare tutta una serie di operazioni: si arriva a ritenere assimilabili le due situazioni che non sono assimilabili; si arriva a ritenere che vi sia una situazione non è regolata in modo compiuto dal legislatore; si arriva a ritenere che si possa applicare estensivamente – se mai fosse possibile una interpretazione estensiva o analogica in materia di restrizione al diritto fondamentale di elettorato passivo e attivo, in questo caso è passivo – una situazione diversa; si va a vedere negli atti parlamentari. le cui risultanze però vengono lette alla rovescia, come se negli atti parlamentari ci fosse scritto che ci fu una dimenticanza. Non è vero, non c'è scritta una dimenticanza, non c'è scritto da nessuna parte. Alcuni Senatori hanno ritenuto le due situazioni che dovessero considerarsi assimilabili; la maggioranza ha invece ritenuto di dover confermare una regolamentazione diversa per situazioni diverse e sono le diverse per le ragioni che vi ho detto. Si è costretti, andando all'interpretazione, a leggere una formula che non è scritta! Il legislatore ne ha scritta un'altra: eppure non vogliamo leggere l'interpretazione scritta dal legislatore, ma vogliamo leggere una cosa che non c'è scritta! Tutto perché la ratio della governabilità, della non frammentazione - che poi sono due lati di una stessa medaglia - dovrebbe imporre anche nel caso che a noi preme una certa lettura; essa obbliga, obbligherebbe il legislatore. Ma non è vero! Queste esigenze di governabilità, di non frammentazione, eccetera sono graduate; il contrasto alla frammentazione dei partiti politici non è così evidente. Esso c'è ma è graduato in un certo modo; altrimenti non si capirebbe perché alla Camera è stato approvato il cosiddetto emendamento alla soglia De Michelis, per cui alla Camera viene salvata anche la vista che ha è inferiore al 2 per cento, ma che più si avvicina al 2 per cento. Se si fosse voluto fare fino in fondo un'azione di contrasto contro la frammentazione del sistema politico, allora nel calcolo già del quoziente circoscrizionale si dovevano eliminare i partiti che fossero andati al di sotto della soglia del 2 per cento alla Camera - o del 3 per cento al Senato - e invece non si è potuto fare. Tutte queste, voglio cioè dire, sono gradazioni: ecco allora che si è voluto - anche nel caso della coalizione vincente al Senato che non raggiunge il 55 per cento dei seggi - dire va bene, diamo il premio di maggioranza che quindi crea dei problemi tra voti ottenuti e seggi ottenuti, non però anche la soglia di sbarramento al 3 per cento per quanto riguarda il riparto interno dei seggi all'interno delle coalizioni. Solo così ritorna tutto: l'interpretazione letterale, per cui il testo delle disposizioni si possono leggere così come sono scritte; i lavori preparatori, che dicono chiaramente una cosa coerente a quello che ho detto; l'interpretazione logica delle disposizioni per cui le situazioni sono diverse, e quindi hanno giustamente una regolamentazione diversa, non so se rendo l'idea. Se noi invece ci vogliamo far prendere da una ratio legis aprioristica - e obbligare l'interprete ad una interpretazione conforme fino all'inverosimile del testo legislativo rispetto ad una ratio presa aprioristicamente - allora bisogna rovesciare tutto, come in effetti è stato rovesciato tutto, secondo me. Io credo che della terza domanda più o meno abbiamo parlato molto, trattando delle liste ammesse al riparto; quindi tutto quello che dovevamo dire lo abbiamo detto. PRESIDENTE. Va bene, professore. La ringrazio. Ricordo ai colleghi che adesso è possibile porre domande al professore Patrono. Ricordo che ai senso dell'articolo 13 del nostro Regolamento di verifica dei poteri il ricorrente Intini ha fatto avere delle domande, che ha diritto siano lette per ultime. Cedo prima la parola ai colleghi per vedere se ci sono delle loro osservazioni che si traducono in domande.
Il collega Zuccherini chiede la parola; prego. ZUCCHERINI. Una sola domanda: non so se al professore è chiaro che non possono essere assimilati il modello elettorale della Camera a quello del Senato, almeno per quello che ho inteso della sua spiegazione, per quanto fluente. È chiaro che lo sbarramento alla Camera è uno sbarramento nazionale e l'altro è uno sbarramento regionale? Quindi è evidente che, diciamo, le percentuali, sono, appunto, quantità di voto numericamente differenti: essendo stati assimilati all'audizione mi pareva che non fosse chiaro. PATRONO. Io non ho assimilato... IZZO. Il professore può anche rispondere subito, per cercare di parare il dubbio che pone il collega Zuccherini, e poi dopo facciamo altre domande. PATRONO. Grazie. Non mi pare nella mia esposizione di avere fatto alcun paragone tra Camera e Senato, se non riferendo il paragone semmai che è stato fatto da altri; soprattutto non è stato fatto nessun confronto tra il 2 per cento e il 3 per cento. Per la verità, negli atti parlamentari, ho letto che qualcuno, un Senatore o una Senatrice non ricordo bene, ha fatto un paragone tra il 2 per cento e il 3 per cento, che forse sarebbe stato comodo anche a me; ha detto - questo Senatore o questa Senatrice, mi scuso del fatto di non ricordare esattamente di chi si trattasse - che essendo al Senato i seggi da attribuire la metà che alla Camera, il 2 per cento dello sbarramento alla Camera dovesse essere più o meno al Senato del 6 per cento; cioè, scusate, che lo sbarramentodel 3 per cento al Senato dovesse corrispondere ad uno sbarramento del 6 per cento alla Camera. Questo paragone mi avrebbe giovato, perché mi avrebbe consentito di dire che al Senato - e su base regionale - il 6 per cento è molto alto: prevedere per una coalizione vincente che non raggiunge il 55 per cento dei seggi – e che può avere magari anche il 40 per cento (se non meno) dei voti validamente espressi, che poi, però, con il premio di maggioranza, sarebbero arrivati ai seggi corrispondenti al 55 per cento dei voti – la possibilità di togliere dal 40 per cento le liste, i voti ottenuti dalle liste che non raggiungono il 3 per cento, è un peso in più che il legislatore non ha voluto Ma non ho voluto fare quel paragone, perché mi è chiarissimo che la situazione della Camera è diversa: agire su base nazionale o su base regionale è cosa diversa; i votanti sono diversi, voglio dire che la quantità di elettori, il numero di elettori per la Camera dei Deputati e il numero di elettori del Senato sono diversi. Per una serie di ragioni è difficile fare questi paragoni; a meno che uno statistico-matematico mi dica altrimenti, aveva ragione il presidente Pastore quando - in risposta a questa osservazione che io vi riferivo - disse: mah, è difficile fare questi calcoli Quindi io, pur conoscendo questa osservazione, non vi ho voluto, diciamo, accedere. PRESIDENTE. Grazie professore. Collega Izzo, prego. IZZO. Premetto che mi sono riservato soltanto di partecipare all'ultima audizione e che per scelta io non ho partecipato, o meglio, non ho auscultato le altre audizioni (Il professor Patrono si porta la mano all’orecchio). Credo che vada pure bene questo, ma se lei preferisce altro termine se lo scelga ... PATRONO. Scherzavo. IZZO. No, per carità, ci mancherebbe. Scelga lei il termine che meglio fa capire quello che io volevo dire, visto che nella sua lezione ha parlato di interpretazione e da un’ora sta cercando di interpretare tutta quella che era la volontà del legislatore in riferimento a quello che il problema che ci affligge; un problema per il quale stiamo cercando di addottrinarci, per avere una capacità di intervento in maniera serena e determinata, ma assolutamente in rispetto a quella che era la volontà del legislatore. Io credo che nel suo ragionamento, professore, lei si sia lasciato condizionare - mi consenta anche questo intervento di tipo interpretativo da parte mia, ma ho visto che l'ha fatto anche lei per quanto riguardava la legge – da un assunto: tutto il suo ragionamento è stato imperniato sulla coalizione vincente. Tant'è che lei un attimo prima diceva: per la coalizione perdente hanno fatto un altro ragionamento. Quindi si è lasciato condizionare dalla coalizione vincente e non ha cercato di approfondire invece quello che era lo spirito; qui ecco la mia domanda: su quella che è una applicazione della norma, non c'è riferimento alla coalizione vincente, ma il riferimento a quella che è la distribuzione dei seggi. Credo che da quella osservazione probabilmente - se io non fossi intervenuto per chiarirle che le 26 Corti di appello si sono regolate sia per la coalizione vincente che quella perdente - probabilmente sarebbe venuto fuori un ragionamento che avrebbe condizionato il suo intervento. Essendo intervenuto - e avendola corretta - non abbiamo avuto la esposizione reale di quello che lei si era posto nella mente di esplicitare, perché chiaramente è arrivato ad altre conclusioni. Arrivo alla mia domanda e chiudo, professore, perché sennò questo diventa un intervento polemico e assolutamente non è la mia intenzione; io cerco di apprendere da quello che è la sua scienza e conoscenza del problema. Sulle liste ammesse, mi pare, di non aver appreso alcunché del suo ragionamento; cioè quando il comma 6 parla delle liste ammesse, lei si è avviato, però mi pare, che non ci abbia chiarito questo aspetto. Le sarei grato se cortesemente, sia pure in maniera molto sintetica, potesse spiegarci questo. Se poi può ricordare, nella sua esposizione (e ho chiuso con queste due domande) che vi è agli atti una relazione; lei invece ha ricordato un po' tutti gli interventi - di Passigli, Mancino, i vari emendamenti in Aula - credo anche gli emendamenti che non furono nemmeno illustrati (non si votò nemmeno con dichiarazioni di voto; furono emendamenti votati tutti quanti in prosieguo, furono votati tutti in prosieguo, professore! Questo è un altro aspetto che mi ha lasciato un attimo perplesso). Ma della volontà del Parlamento – perché, quando è votato, è volontà del Parlamento, non di una maggioranza – che mi dice, professore? PATRONO. La ringrazio delle domande. PRESIDENTE. Professore, mi scusi un attimo. Quando lei si è posto, in sede di argomentazione iniziale, la domanda se lo stesso tipo di atteggiamento ci fosse stato nei confronti delle coalizioni vincenti e delle coalizioni perdenti in ogni ufficio elettorale regionale, io non l’ho interrotta per offrire la precisazione che invece ha dato il senatore Izzo con la sua interruzione. Non l’ho fatto solo perché l’ordine della discussione – di cui porto la responsabilità – include la sua aderenza all’ordine del giorno: è evidente che essendo il relatore della regione Piemonte – ed essendo sul Piemonte incentrato il lavoro di questo Comitato inquirente – io non posso che conoscere il dato della regione Piemonte; del resto, anche come componenti della Giunta abbiamo conosciuto e deliberato solo su due Regioni: Piemonte e Valle d'Aosta. Approfitto per completare il lavoro con le due domande che propone il ricorrente, in modo che lei dia una risposta poi esaustiva su tutto. Le domande che ci ha fatto pervenire nei termini il ricorrente, e che non facendosi osservazioni do per ammesse, sono queste. Prima: esiste un orientamento della Corte costituzionale sfavorevole all'interpretazione analogica o estensiva in materia di diritti costituzionali ed in particolare di elettorato passivo? Seconda: è possibile desumere dai lavori preparatori della legge n. 270 del 2005 argomenti contrari al tenore letterale della disposizione dell'articolo 17 comma 3 e seguenti della legge in questione? Vorrei che lei rispondesse alle domande che ha formulato il collega Izzo e alle domande che provengono invece dal ricorrente. Grazie. PATRONO. Ringrazio il senatore Izzo perché mi consente di completare il mio ragionamento. Comincio dalla relazione del presidente Pastore. Che io sappia il presidente Pastore non ha compiuto una relazione vera e propria, ma come lui stesso ha detto, ha compiuto una «relazione ombra» ... PRESIDENTE. Professore mi scusi in modo che poi gli interpreti che verranno potranno avere materiale preciso e non ulteriormente interpretabile. Chiariamolo perché resti agli atti. I lavori della Commissione non vengono completati; il Regolamento del Senato prevede che in questo caso il provvedimento richiamato dalla calendarizzazione in Conferenza dei capigruppo viene comunque in Aula: Vi arriva senza il relatore; è evidente che un minimo di funzioni vengono assicurate e svolte dal Presidente della Commissione, essenzialmente per dar conto degli sviluppi procedurali che hanno ostato al completamento dei lavori in referente. In quel caso il collega Andrea Pastore non parlava da relatore, ma svolgeva una funzione che comunque diversa da quella del relatore, in quanto Presidente della Ia Commissione. Prego. PATRONO. Il presidente Pastore, proprio per le ragioni che ha riferito il presidente Manzione, non ha fatto una vera e propria relazione perché non la poteva fare, ma ha fatto una «relazione ombra» (peraltro completata dal fatto che agli atti parlamentari il presidente Pastore ha fatto poi allegare una sua relazione più ampia in cui ha dato conto di molte cose). Io lo stimo moltissimo perché so l'impegno che il presidente Pastore ha messo nel dirigere la Ia Commissione, anche in Assemblea, e per la sua autorevolezza; lo stimo anche per il fatto, me lo consenta, che il presidente Pastore ad un certo punto dei suoi interventi - non ricordo se in 1a Commissione o in Assemblea - di non essere un professore di università, di non essere cattedratico, ma di essere un allievo, disse, del grande Vezio Crisafulli. E Vezio Crisafulli era un grandissimo professore di diritto costituzionale del quale anch'io, immodestamente, sono stato allievo; se non ho imparato a sufficienza da lui la colpa è solo mia. E quindi questo, oltre che fatto apprezzare, mi ha reso Pastore immediatamente anche simpatico. Però il presidente Pastore non parlava a nome del Parlamento. Il presidente Pastore parlava come autorevole Presidente della 1a Commissione; a proposito, peraltro, noi stiamo parlando qui dell'articolo 4 della futura legge n. 270 (che contiene poi l'articolo 17 tutto questo del quale noi stiamo parlando), che in 1a Commissione non si arrivò a discutere e a votare, neppure in riferimento ai vari suoi emendamenti, perché ci si fermò molto prima. Quindi egli non poteva parlare a nome del Parlamento; egli esprimeva la sua autorevolissima, ma personale opinione. Non se se rendo l'idea. Ho detto di alcuni autorevoli Senatori i quali hanno sostenuto la loro personale posizione, secondo cui c'erano due situazioni assimilabili trattate in modo diseguale: essi ritenevano invece che il trattamento di queste due situazioni dovesse essere uguale, cioè dovesse essere anche per le coalizioni che non raggiungessero il 55 per cento dei seggi la stessa. Per quanto riguarda il fatto delle liste delle coalizioni vincenti che non raggiungono il 55 per cento dei seggi e delle coalizioni perdenti, ritengo che i miei argomenti siano validi sia per l'una che per l'altra, molto semplicemente: il mio ragionamento è valido nel senso che - se l'articolo dice ciò che dice - lo dice sia per le coalizioni vincenti, che non raggiungono il 55 per cento dei voti, sia per le coalizioni perdenti. Per quanto riguarda l'ultimo problema che lei, senatore Izzo, poneva - e cioè per quanto riguarda la formula liste ammesse - io vedo che qui nel comma 6 la formula liste ammesse è citato solo una volta ed è citato in riferimento alla o alle coalizioni di liste che partecipano e conquistano seggi: c'è un riferimento esplicito “ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera b), n. 1” che c'è scritto, il legislatore l'ha scritto e secondo me lo ha voluto scrivere e tenere fermo, bocciando gli emendamenti specificamente rivolti ad eliminare queste parole. “Liste ammesse” sono le liste comprese nelle coalizioni che conquistano voti ai sensi dell'articolo citato: se il legislatore ha voluto tenere fermo a questa regolamentazione perché, come ripeto, in questo caso, ci sarebbero stati problemi di rappresentatività per le coalizioni vincenti, perché è lì che vale in modo particolare il problema della rappresentatività. È il problema del rapporto tra voti ottenuti e seggi ottenuti perché è lì che scatta il premio di maggioranza che sposta: se al premio di maggioranza ci andiamo anche ad aggiungere il 3 per cento la rappresentatività che fine fa? Quando una coalizione vincente – come già Mancino si era da politico espertissimo ed intelligentissimo, mi consenta di dirlo, si era rappresentato – non raggiunge o raggiunge appena il 40 per cento, c’è stato chi aveva dubbi sul darle il premio di maggioranza: per costoro sarebbe stato bene prevedere una soglia per il premio di maggioranza perché altrimenti che cosa facciamo? Quaranta per cento di voti, 55 per cento di seggi? È una cosa pesante e in più ci mettiamo anche il fatto che tra i voti ci togliamo i voti ottenuti dalle liste che non raggiungono il 3 per cento: diventava una cosa che può essere in termini di rapporto voti-seggi (quindi in relazione al problema della rappresentatività) una cosa molto pesante. Ecco perché il legislatore – che ha voluto regolare in questo modo la questione del premio – non si è sentito invece di regolare l’altra, diversa questione della soglia nella maniera in cui alcuni illustri ed autorevoli Senatori consigliavano. Mi pare che dei lavori preparatori più o meno ne abbiamo parlato. Resta il quesito della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di elettorato passivo. Esiste un costantissimo - tranne una piccola riserva che ora vi farò, per completezza - un costantissimo orientamento della Corte costituzionale il quale orientamento va da una prima sentenza importante che, se non ricordo male è del 1972, la n. 166 del '72, e arriva fino al 2006: costantissima tra il 1972 e il 2006 (tranne una sola sentenza completamente isolata nel corso della giurisprudenza, tanto che è stata studiata per la sua anomalia: mi pare sia del '96, mi pare che fosse relatore il professor Onida). Snodandosi all'interno di una serie di sentenze nutritissime, la giurisprudenza costantissima della Corte ha detto che il diritto di elettorato passivo è un diritto fondamentale, è uno dei diritti fondamentali ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, i quali non sopportano altre restrizioni se non tassative, necessarie, proporzionate. Le norme che prevedono queste restrizioni ad un diritto fondamentale - come sarebbe questa, di applicare la soglia del 3 per cento dove non c'è scritto - sono norme soggette a interpretazione restrittiva: la Corte costituzionale ha ripetuto sempre che in materia di norme che pongono restrizioni all'elettorato passivo, l'interpretazione estensiva (ed il ricorso all'analogia, ammesso che tra le due figure vi sia una qualche differenza, cosa che non è ben chiara) non è consentita. È una giurisprudenza talmente costante, che è stata ripetuta (non solo nella soluzione di tutti i casi numerosissimi relativi alla ineleggibilità, incompatibilità ai vari casi, alle varie cause, alle varie rimozioni di cause di illegittimità, ma anche) come princìpio più generale in materia di norme che pongono restrizioni all'elettorato passivo. PRESIDENTE. Grazie professore. Ringrazio lei per l'audizione, ringrazio moltissimo i colleghi perché questa è stata un'audizione nella quale c'è stata la possibilità di affrontare una vasta serie di argomenti; in qualche modo tutto il bagaglio di audizioni precedenti è servito per poter approfondire degli aspetti. Ricordo ai colleghi che sulla base della votazione consumata dalla Giunta l’11 ottobre scorso resta al Comitato inquirente un ultimo adempimento: quello di convocare in audizione il Presidente dell'Ufficio elettorale regionale del Piemonte ed il Segretario responsabile della stesura del modello 65 elezioni politiche. Non facendosi osservazioni, tale adempimento che verrà consumato mercoledì 13 dicembre alle ore 14, dopodiché il Comitato inquirente avrà ultimato i compiti che la Giunta gli ha affidato.