AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE (3ª)

MARTEDÌ 28 SETTEMBRE 2004
199ª Seduta

Presidenza del Presidente
PROVERA

Interviene il sottosegretario di Stato per gli affari esteri Baccini.

La seduta inizia alle ore 15,45.


IN SEDE REFERENTE

(3012) Ratifica ed esecuzione dell' Accordo sulla partecipazione allo Spazio economico europeo della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca, con allegati, dichiarazioni ed atto finale, fatto a Lussemburgo il 14 ottobre 2003
(Esame e rinvio)

Introduce l’esame il senatore PIANETTA (FI) rilevando come l’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), in vigore dal 1994, estenda lo spazio di mercato interno ad Islanda, Liechtenstein e Norvegia, cioè ai Paesi appartenenti dell’European Free-Trade Area (EFTA) ad esclusione della Svizzera, che non l’ha ratificato.
A seguito della conclusione positiva dei negoziati di allargamento dell’Unione europea, in occasione del Consiglio europeo di Copenaghen del dicembre 2002, Cipro, la Repubblica ceca, l’Estonia, l’Ungheria, la Lettonia, la Lituania, Malta, la Polonia, la Repubblica slovacca e la Slovenia sono entrati a far parte dell’Accordo SEE. Si tratta di un accordo misto, cioè una fattispecie di accordo concluso in sede comunitaria che contiene anche materie di competenza interna degli Stati membri.
I Paesi dell’Area europea di libero scambio (AELS) e l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia hanno negoziato singolarmente e così hanno fatto anche i nuovi Paesi membri. I negoziati per l’allargamento dell’Accordo SEE si sono conclusi il 3 luglio 2003.
Ricorda come, secondo una prassi conforme a quella seguita per l’Accordo di adesione all’Unione europea, firmato ad Atene il 16 aprile 2003, l’Accordo in esame presenti una struttura alquanto semplice, consistendo di soli sette articoli. Esso non racchiude l’insieme delle intese raggiunte nel corso del negoziato, perché alcune di esse riguardano la Comunità e i singoli Paesi non appartenenti all’Unione europea firmatari dell’Accordo SEE (Norvegia, Islanda e Liechtenstein), intese tematicamente connesse all’Accordo stesso (ad esempio, i contributi che tali Paesi dovranno versare alla politica regionale dell’Unione europea a seguito dell’allargamento del SEE), ma che non costituiscono oggetto di ratifica da parte dei Paesi dell’Unione europea, riguardando materie di esclusiva competenza comunitaria. Venendo brevemente ad illustrare il contenuto degli articoli dell’Accordo, essi prevedono, tra l'altro, che i nuovi Stati membri, cioè la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Repubblica di Slovenia e la Repubblica slovacca, diventano Parti contraenti dell’Accordo SEE (art. 1). L’articolo 2 contiene le modifiche che si rendono necessarie sia al testo principale che ai Protocolli dell’Accordo SEE per effetto della sua estensione ai nuovi Stati membri. Si tratta principalmente di modifiche di carattere esclusivamente formale nella formulazione del testo di atti normativi comunitari.
Evidenzia quindi una modifica di carattere sostanziale, il cui contenuto ha dato da discutere nel corso dei negoziati. Essa attiene al Protocollo 38-bis dell’Accordo SEE, relativo al meccanismo finanziario dello stesso SEE, ovvero lo strumento mediante il quale Islanda, Liechtenstein e Norvegia contribuiscono alla riduzione delle disparità economiche e sociali mediante il finanziamento di sovvenzioni a favore di progetti di investimento e sviluppo in determinati settori prioritari. In considerazione dell’allargamento del SEE, e dunque dei benefici che i tre menzionati Paesi ne trarranno in termini di mercati di sbocco, il loro contributo alla riduzione delle disparità economiche, è stato elevato a 600 milioni di euro e deve essere reso disponibile per impegni in quote annue di 120 milioni di euro nel periodo compreso tra il 1º maggio 2004 e il 30 aprile 2009. In particolare, cinque sono i settori prioritari ai quali tali risorse vanno destinate: la tutela dell’ambiente, compreso l’ambiente umano, mediante, tra l’altro, la riduzione dell’inquinamento e la promozione dell’energia rinnovabile; la promozione dello sviluppo sostenibile mediante un migliore utilizzo e una migliore gestione delle risorse; la conservazione del patrimonio culturale europeo, nonché il riassetto urbano e delle infrastrutture; lo sviluppo delle risorse umane mediante, tra l’altro, la promozione dell’istruzione e della formazione, il rafforzamento della capacità amministrativa dei Governi locali e delle loro istituzioni; la sanità e l’assistenza ai minori.
L' articolo 3 definisce le modifiche all’Accordo SEE che si rendono necessarie per tenere conto dei mutamenti che l’Atto di adesione alla Unione europea ha apportato ad atti comunitari richiamati nell’Accordo SEE. L' articolo 4 stabilisce l’inserimento di ulteriori disposizioni nell’Accordo SEE originario, elencate in un apposito allegato, e sancisce il principio di prevalenza delle procedure previste dall’Accordo SEE originario rispetto alle disposizioni rilevanti ai fini dell’Accordo SEE che siano bensì citate nell’Atto di adesione del 16 aprile 2003.
All’Accordo per l’allargamento del SEE sono allegate alcune dichiarazioni, rese dalle Parti contraenti dell’Accordo, riportate nel testo dell’atto finale. Dall’attuazione dell’Accordo non derivano maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Al contrario, esso reca benefici per effetto delle maggiori risorse finanziarie disponibili in conseguenza delle erogazioni alle quali si sono impegnati Islanda, Liechtenstein e Norvegia.
Con l’ingresso dei nuovi Paesi membri nell’Unione i benefici dell’Accordo SEE diverranno ancora maggiori, in una misura ritenuta generalmente proporzionale a quella dell’estensione del mercato interno per effetto dell’allargamento.
Conclude evidenziando che gli operatori economici attivi nell’area coperta dal nuovo SEE vedranno accrescersi in misura notevole le opportunità di promuovere i propri affari, per effetto della già ricordata maggiore estensione in cui vengono garantite le libertà che caratterizzano il mercato interno; pertanto auspica una pronta ratifica dell'Accordo.

Il seguito dell’esame è quindi rinviato.


(3029) Ratifica ed esecuzione dell' Accordo euromediterraneo che istituisce un' Associazione tra la Comunita' europea ed i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica libanese, dall' altra, con Allegati, Protocolli, Dichiarazioni ed atto finale, fatto a Lussemburgo il 17 giugno 2002, approvato dalla Camera dei deputati
(Seguito dell'esame e rinvio)

Riprende l’esame sospeso nella seduta del 27 luglio 2004.

Prosegue la discussione generale con l’intervento della senatrice DE ZULUETA (Misto) la quale richiama l’attenzione della Commissione sulla recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dichiara il supporto dello stesso Consiglio per il libero e corretto svolgimento delle elezioni presidenziali in Libano, auspicando il ritiro delle rimanenti forze straniere dal territorio sovrano del Libano. Dato che sulla questione si profila un contrasto tra la posizione siriana e quella statunitense e francese, auspica che il Governo possa prima della conclusione del procedimento di ratifica dell’Accordo in esame, chiarire il proprio punto di vista e preannuncia la prossima presentazione di un ordine del giorno sull’argomento.

Il sottosegretario BACCINI, dichiara la piena disponibilità del Governo a riferire sulla propria posizione in merito alle vicende politiche e costituzionali che sta attraversando il Libano e che coinvolgono , tra l’altro, i rapporti di quel Paese con la Siria nel corso del seguito dei lavori relativi all’esame del disegno di legge

Il seguito dell’esame è quindi rinviato.


SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE.

Il presidente PROVERA annuncia che in allegato al presente resoconto sarà inclusa una relazione sulle risultanze della missione di una delegazione della Commissione alla 59a sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con particolare riferimento alle prospettive di riforma del Consiglio di Sicurezza.

Interviene la senatrice DE ZULUETA (Misto) rilevando come sia emersa di recente la notizia del mancato adempimento da parte dell’Italia alla corresponsione della propria quota del Fondo Globale per la lotta all’AIDS. Ricorda come tale inadempienza sortisca effetti particolarmente gravi dal momento che essa incide anche sull’ammontare dei finanziamenti al fondo corrisposti dagli Stati Uniti, il cui contributo verrà ridotto in proporzione al mancato adempimento delle risorse da parte degli altri finanziatori tra cui l’Italia.

Il Presidente prende atto di quanto evidenziato dalla senatrice De Zulueta e garantisce che la Commissione potrà in futuro farsi carico di eventuali iniziative o dibattiti sul punto.


La seduta termina alle ore 16,20.
RELAZIONE SULLA PARTECIPAZIONE DI UNA DELEGAZIONE DELLA 3ª COMMISSIONE PERMANENTE ALLA 59ª SESSIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE ( NEW YORK, 21-24 SETTEMBRE 2004).

Il presidente PROVERA riferisce sulla missione di una delegazione della Commissione recatasi a New York ad assistere ai lavori della 59a sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Composta, oltre che da lui, dai senatori Tonini e Pianetta, la delegazione ha assistito agli interventi avanti all'Assemblea Generale, svolgendo altresì una serie di incontri a latere con particolare riferimento alle prospettive di riforma degli organi e delle politiche delle Nazioni Unite e ad altri temi quali lo sviluppo e lo stato d'avanzamento dei Millennium development goals, l'analisi dei processi elettorali in Afghanistan ed Iraq, il processo di stabilizzazione nei Balcani. Su tali ultimi temi il Presidente non ritiene di riferire, intendendo concentrare l’attenzione sul profilo specifico e centrale dell’agenda internazionale: la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
In tale prospettiva, la delegazione ha avuto modo di incontrare, tra gli altri, Francesco Mancini e David Malone, autorevoli esponenti della “International Peace Academy”, il secondo ex ambasciatore statunitense cui si deve anche il significativo volume dal titolo “The U.N. Security Council”; Jeff Laurenti della “U.N. Foundation” esperto di diritto internazionale e politica dei fori multilaterali.
Spunti utili sono emersi anche dall’incontro con il Vice segretario generale dell’O.N.U. Luise Frechette e con i Primi consiglieri della rappresentanza permanente italiana presso le Nazioni Unite, nonché con gli stessi ambasciatori Marcello Spatafora e Aldo Mantovani.
Illustra poi le ipotesi di riforma anche in riferimento alle procedure di revisione della Carta delle Nazioni Unite: rileva che per poter intendere il quadro delle posizioni emerse durante i lavori dell’Assemblea Generale, vanno riassunte le diverse ipotesi di riforma che si profilano all’orizzonte e che paiono potersi ridurre a tre scenari distinti.
Secondo una prima ipotesi, si potrebbe determinare l’allargamento dei membri permanenti e non permanenti del Consiglio di sicurezza, in quantità numeriche variabili per entrambe le categorie, in modo da aumentare la rappresentatività dell’organo. Secondo una diversa ipotesi si potrebbe aumentare semplicemente il numero dei membri non permanenti sempre in modo da incentivare la rappresentatività del Consiglio di sicurezza, ma al contempo garantendo una rotazione su base elettiva potenziata dal numero dei seggi. In una terza prospettiva, invece, si potrebbe ipotizzare l’aumento dei seggi non permanenti, con la duplice variante di una loro elezione su base regionale di area e ipotizzandone una durata maggiore (quatto anni) rispetto a quella biennale attualmente in vigore.
Queste tre ipotesi, che hanno radici storiche e politiche assai diverse, sono tutte accomunate, in sostanza, da un punto, e cioè dal fatto che, in nessun caso, verrebbe ad essere intaccato lo status degli attuali P.5 (permanent five) e, in specie, il loro diritto di veto.
Di minore impatto, infine, ma sempre possibili in prospettiva, sono ipotesi di riforma quale quella che si limiterebbe alla sola abrogazione della norma sul divieto di rielezione dei membri non permanenti o, addirittura, soluzioni che prevedessero un termine obbligatorio entro il quale si dovrebbe comunque procedere ad una revisione del sistema del Consiglio di sicurezza (per esempio dodici anni o, tre mandati dei membri non permanenti).
Sottolinea che queste ultimi due ipotesi sono anche suscettibili di essere inserite in un quadro di riforma più ampio, come una sorta di clausole aggiuntive che modificherebbero lo scenario di ciascuna delle tre tesi principali qualora una di esse fosse presa in considerazione in via primaria.
Essendo quello che precede il quadro sostanziale delle ipotesi, dal punto di vista procedurale ricorda che, ogni proposta di riforma deve essere approvata da due terzi dell’Assemblea Generale, ratificata da due terzi dei membri delle nazioni Unite compresi i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Ciò, come ovvio, impone di considerare primariamente la posizione dei P. 5 rispetto a ciascuna proposta di riforma.
E’inoltre noto, e ricorda che la Commissione Affari esteri ha avviato già un dibattito su un atto di indirizzo del Parlamento europeo sull’argomento, che un High level panel nominato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite per predisporre una bozza di riforma dell’azione e degli organi delle Nazioni Unite, ha avuto mandato di predisporre, tra l’altro, anche una o più proposte di riforma del Consiglio di sicurezza. Tale draft verrà sottoposto all’attenzione del Segretario Generale entro la fine dell’anno e da questi presentato all’esame dell’Assemblea Generale probabilmente in veste di raccomandazione, non senza che lo stesso Segretario Generale possa dare indicazioni o indici di precedenza sull’una o l’altra delle proposte di riforma del Consiglio di sicurezza contenute nella bozza.
In via generale, è opinione comune che la prossima settimana ministeriale dell’Assemblea generale, la 60a, potrebbe essere chiamata ad esprimersi su una precisa proposta di riforma, con la possibilità che, nel corso dell’anno, l’Assemblea stessa si esprima con un indirizzo sull’argomento che preluda al definitivo esame nell'autunno del 2005.
Per concludere sul punto evidenzia l’importanza che ciascuna proposta riesca ad intercettare la formula (o una di quelle) che provenga dai lavori del panel. Di qui l’importanza delle previsioni, delle indiscrezioni e finanche delle pressioni politiche, sulla scelta da questi operata in punto di revisione della composizione del Consiglio di sicurezza.
Osserva quindi che dai lavori di New York si ricava l’impressione di un’attenzione tutta polarizzata sulla futura composizione del Consiglio di sicurezza con il risultato immediato di distogliere dall’analisi di molte altre e decisive tematiche relative alla riforma delle Nazioni Unite, tra le quali cita solo a titolo esemplificativo: la stessa mission delle Nazioni Unite rispetto al peace keeping, al peace enforcment, all’azione preventiva e al nodo cruciale dell’ingerenza umanitaria; il potenziamento dei poteri dell' Assemblea generale; la pubblicità del processo decisionale dei vari organi come delle stesse operazioni di spesa. Colpisce l’attenzione, altresì, il tentativo diretto od indiretto di intercettare le conclusioni del panel che, secondo indiscrezioni trapelate in estate, sembrava fortemente orientato (14 voti favorevoli e 2 contrari), sull’ipotesi di una riforma in senso regionale con aumento dei soli seggi non permanenti a rotazione e con una durata maggiore di quella biennale degli attuali membri non permanenti. E' l’ipotesi di creare una sorta di tertium genus, ribattezzato impropriamente “semipermanente”.
Fermo rimane, tra l’altro, il dubbio sulla possibile rielezione di tali membri “semipermanenti” che, come è evidente, è elemento cruciale per cogliere la portata geopolitica di questa ipotetica proposta di riforma.
Da alcuni colloqui avuti a New York, trapelava, comunque la sensazione che il Panel stesse mutando avviso sul punto, in particolare senza che si potesse escludere una proposta aperta a più opzioni. In questo contesto generale si colloca l’insieme delle posizioni emerse dagli assessments pronunciati in Assemblea.
Procede quindi ad illustrare lo stato degli equilibri emersi dagli “assessments” dell’Assemblea.
In seguito agli interventi di quello che è stato ribattezzato "il gruppo dei quattro", fin dal primo giorno della settimana ministeriale è divenuto evidente che Giappone, Germania, Brasile ed India mantenevano e rinforzavano la loro intenzione di ottenere seggi permanenti in Consiglio di sicurezza, dando vita ad una sorte di asse quadrilaterale i cui sostenitori negli interventi di Assemblea, erano facilmente identificabili sulla base di un esplicito sostegno alla creazione di nuovi membri permanenti e non permanenti.
Si tratta, in sostanza, di una posizione contigua a quella del “quick fix” e cioè, appunto, volta a rinsaldare la categoria dei membri permanenti. Tale posizione è però più articolata e, merita un breve riferimento ai problemi di strategia e tattica negoziale che pare comportare.
La posizione brasiliana, esposta in un assessment complesso, perché caratterizzato anche dalla rivendicazione della centralità dei problemi relativi allo sviluppo e della lotta alla povertà ed alla fame, costituisce la rivendicazione della preminenza politica del Brasile nel continente sud-americano, mantenendo saldo il ruolo della Presidenza Lula nella funzione di traino del gruppo dei G 20, l’alleanza consolidatasi in sede WTO e dimostratasi stabile anche nel medio periodo. La posizione brasiliana sul punto della riforma del Consiglio di sicurezza si sostanzia nell’affermazione per cui “proposte di riforma che non prevedano un incremento dei membri permanenti sono manifestamente insufficienti”. Ancor più netta, la posizione giapponese esposta dal primo ministro Koizumi sostiene la necessità “di espandere il Consiglio di sicurezza sia nella categoria dei non permanenti che in quella dei membri permanenti.” Il Giappone avanza esplicitamente la propria candidatura sulla base della propria partecipazione attiva nell’offrire risorse per le operazioni di peace keeping e negli sforzi di ricostruzione. Si tratta di un forte richiamo al proprio ruolo di centralità sia in Medio oriente che nell’est Asiatico; non a caso l’assessment cita il contributo giapponese in Iraq e in Timor Est.
La rivendicazione di un nuovo ruolo si basa, in sostanza, sul contributo economico nella cooperazione allo sviluppo, sulla necessità di una maggiore rappresentatività e sulla partecipazione giapponese alle operazioni delle Nazioni Unite sia nel mantenimento della pace che nel Nation Building.
Inoltre, l’intervento di Joscha Fischer, probabilmente il più articolato dei quattro aspiranti al seggio permanente, riflette la difficoltà della posizione tedesca stretta tra la propria tradizionale politica europeista e l’emergere di una battaglia di interesse nazionale per il seggio permanente in evidente contrasto sia con la prospettiva dell’integrazione europea in sede O.n.u. e di Consiglio di sicurezza, sia anche con la necessità, avvertita trasversalmente, di riequilibrare la partecipazione in Consiglio in favore delle zone del mondo meno rappresentate.
Di qui un ampio riferimento all'allargamento dell'Unione Europea ed un’attenzione più marcata anche all’opportunità di rilanciare ruolo, centralità ed efficienza dell’Ecosoc. Per sostenere l'opportunità di un aumento dei seggi permanenti e non permanenti in Consiglio di sicurezza, la Germania ha invocato l’opportunità di un incremento di rappresentatività, giungendo ad affermare testualmente la necessità di rappresentare tutte le regioni del sud del mondo tra i membri permanenti del Consiglio. Appare evidente, nell’ottica tedesca, la necessità di un ampliamento massiccio dei membri permanenti del Consiglio in modo da poter giustificare anche la propria candidatura senza ingenerare un ancor più marcato squilibrio nella rappresentanza globale delle regioni del globo.
Il quarto aspirante, l’India, ha a sua volta avanzato esplicitamente la propria candidatura invocando l’argomento per cui “una schiacciante maggioranza della popolazione mondiale non può essere esclusa da un’istituzione che legifera su un crescente numero di questioni con un sempre maggiore impatto”. Di qui la proposta : “l’espansione del consiglio di sicurezza nella categoria dei permanenti e non permanenti e l’inclusione di paesi come l’India tra i membri permanenti sarebbe il primo passo per trasformare le Nazioni Unite in soggetto realmente rappresentativo”.
Le posizioni dei quattro membri sembrano convergere sul tema del bisogno di una maggiore rappresentatività, non senza sfumature rispetto al problematico allargamento al continente africano ed alla implicita ma spinosa questione di una rappresentanza del mondo arabo. E’questo, probabilmente, il punto più critico della strategia negoziale del “club dei quattro” in seno all’Assemblea generale, ferma restando la contraddittorietà e difficoltà della posizione tedesca. Del resto, rileva che il riferimento nitido ai lavori del panel, appare particolarmente nell’assessment tedesco, in cui si dichiara di “guardare innanzi con grande interesse al rapporto del panel ed al successivo dibattito” che ne scaturirà. E’questo il segno di una prospettiva negoziale più complessa, articolata e difficile per la Germania, almeno rispetto alle veementi rivendicazioni dell' India e soprattutto del Giappone.
In termini di prospettiva, da molti dei colloqui è emerso chiaramente un fattore e cioè che, qualora dai lavori dell’High level panel emergesse una soluzione a opzione multipla comprendente, tra le altre, quella di un allargamento dei membri permanenti, i quattro aspiranti avrebbero certo un maggior gioco nell’indebolire la stessa credibilità ed utilizzabilità del rapporto del panel, comunque interpretabile come un lavoro di "tecnici", commissionato dal Segretariato generale; d’altra parte, essi potrebbero anche far leva su quella delle due (o più) soluzioni a loro congeniale.
E’ peraltro evidente che un processo di graduale delegittimazione implicita dei lavori del panel porterebbe chiaramente il negoziato verso una duplice alternativa: o una modifica con allargamento dei seggi permanenti; oppure un blocco totale del processo riformatore. Sulle conseguenze di quest’ultimo esito, per la verità, non è lecito essere ottimisti nel lungo periodo, perché esso, a giudizio di molti osservatori sentiti, porterebbe ad un’ulteriore impennata del malcontento e dello scetticismo sull’efficienza dell’organo e, in generale, sulla stessa credibilità delle Nazioni Unite.
Proprio dalla speranza di una convergenza della posizione italiana con quella del Panel, eventualmente fatta propria dal Segretario generale, si deve partire per illustrare le caratteristiche dell’assessment italiano per poi trarre delle conclusioni sul ruolo rivestito dal Governo nel negoziato in svolgimento.
Prosegue quindi ad esporre i contenuti fondamentali della posizione italiana. Nell’intervento del Ministro degli affari esteri, molta insistenza ed importanza è stata attribuita alla necessità che si pervenga ad una riforma che non crei divisioni od insoddisfazioni nella membership, a pena di una crisi di credibilità e di legittimazione; nell’ottica di una più ampia capacità di inclusione, effettività, partecipazione democratica e rappresentatività geografica, a partire dai Paesi in via di sviluppo, l’Italia ha dunque proposto di stabilire nuovi seggi non permanenti, periodicamente eletti e quindi in grado di rispondere al generale bisogno di accountability nei confronti dell’intera membership delle Nazioni Unite.
Dopo aver criticato i tentativi di introdurre nuovi membri permanenti in Consiglio, il Ministro ha chiarito che importanti aree del mondo verrebbero lasciate prive di rappresentanza se si accedesse alla tesi sostenuta dai quattro aspiranti e ha poi precisato che, in tal caso, non vi sarebbe spazio per il mondo arabo ed islamico; un lusso, questo, che la comunità internazionale non pare potersi permettere. Ha quindi concluso sul punto, chiarendo che: “d’altra parte, se emergesse un largo consenso - e con pieno rispetto per la sovrana eguaglianza di tutti i membri delle Nazioni Unite – noi siamo dell’idea di contemplare una rotazione più frequente o periodi (di rotazione) più lunghi per quei paesi che forniscono un maggiore contributo agli obiettivi delle Nazioni Unite. Se le riflessioni dell’ “High level panel fossero indirizzate ad un approccio così innovativo e netto, noi ne supporteremmo con vigore l’adozione”.
Passa quindi a chiarire che, in questa lineare enunciazione dei propositi, critica nei confronti delle aspirazioni del club dei quattro, il Ministro ha sostenuto l’importanza del ruolo dell’Europa allargata rispetto agli obiettivi delle Nazioni Unite, citando la prossima firma della Costituzione europea. Proprio in vista del graduale processo che consentirà all’Unione Europea di parlare con una sola e più influente voce, il Ministro Frattini ha quindi espresso la necessità di proseguire questo percorso e di non manomettere il raggiungimento di tale risultato.
In generale, la posizione italiana, assai sfumata ma anche chiara, precisa e propositiva, sembra a suo giudizio richiamarsi ad una collocazione europeista e di lungo respiro, proprio perché guarda al futuro del processo di integrazione; al contempo essa fa leva sulle contraddizioni evidenziate nella posizione nazionalistica tedesca e, su base globale, mantiene una particolare attenzione alle necessità di rappresentanza sia dei Paesi in via di sviluppo, sia specificamente dell’Africa e del mondo arabo. L’oratore ritiene si tratti di una posizione matura e complessa che ha anche il pregio del realismo e del pragmatismo dal momento che, assai probabilmente, dovrebbe identificarsi almeno con l’iniziale proposito cui sembrava essere pervenuto il panel, quello, cioè di una terza categoria di seggi elettivi, di maggiore durata rispetto agli attuali non permanenti e rappresentativi di aree e realtà geografiche. Il pregio di questa posizione sta anche nella flessibilità che essa sottende, dal momento che la proposta primaria, quella dell’aumento dei seggi non permanenti, contiene in sé anche una sorta di fall back position estremamente valida, articolata e realistica quale quella dell’istituzione di una terza specie di seggi che si è appena illustrata.
Limitandosi a riferire di impressioni emerse nel corso dei colloqui informali, nonché di ulteriori spunti nel corso dei lavori di Assemblea, osserva che l’importanza del ruolo italiano consiste non solo nella capacità di interdizione nei confronti dei quattro Paesi candidati al seggio permanente, ma anche nella sua capacità di condensare un fronte compatto che intenda opporsi all’irrazionalità della proposta di allargamento del numero dei seggi permanenti. E’apparso subito evidente che questo ipotetico fronte, nel quadro dei 191, vede accomunate le esigenze di Paesi quali Messico, Argentina, Egitto e Pakistan i quali, nelle rispettive aree, si troverebbero a veder minacciate le proprie speranze di partecipazione su base elettiva e non permanente al Consiglio di sicurezza, dalle velleità di inserimento in via definitiva - e scarsamente rappresentativa - dei quattro.
Afferma quindi, che gli esiti del negoziato estremamente complesso pesano ancora delle incognite rilevanti: in particolare cita la proposta finale che uscirà dai lavori del Panel e, non ultimo, le conseguenze che potranno scaturire anche dalle proposte di riforma della Carta in parti diverse da quella relativa al Consiglio di sicurezza: è questo il caso della stessa mission dell’organizzazione e, soprattutto, delle politiche e degli strumenti cui essa dovrà poter fare ricorso per affrontare le complesse sfide del nuovo secolo.
Dai lavori dell’Assemblea però sono emersi, a suo giudizio, anche dei fattori preoccupanti. Nell’ottica del raggiungimento dei due terzi dei voti necessari all’approvazione di eventuali proposte di riforma in Assemblea generale, alcuni Paesi, tradizionali alleati italiani, sono parsi lontani dalle posizioni contrarie all'aumento dei seggi permanenti: cita l’Albania che sembra orientata a sostenere l’incremento dei membri permanenti e non permanenti così come la Romania.
Elevato è il numero degli incerti o non schierati, ma la strategia dei quattro aspiranti per far confluire nel proprio campo il più elevato numero di Paesi membri, è sembrata sortire i suoi frutti. Sul fronte della proposta dell’ High level panel, ribadisce che il rischio di una proposta affievolita perché consistente in una rosa di ipotesi alternative appare certamente favorevole alle aspirazioni di India, Giappone, Brasile e Germania e che tale rischio vi sia, lo hanno confermato anche i colloqui con osservatori imparziali ma vicini ai membri del panel, come lo stesso David Malone.
E’proprio su questo punto che emerge l’importanza del ruolo del Segretario generale delle Nazioni Unite, perché ogni possibilità di giungere realisticamente ad una riforma del Consiglio di sicurezza passa indefettibilmente per la forza della proposta che egli, dopo aver ricevuto una prima bozza dal panel, saprà presentare all’Assemblea con il proprio endorsment.
Appare chiaro che poi ogni battuta d’arresto nel processo di legittimazione e nella forza propositiva dell’iniziativa del panel e del Segretario generale tenderà a favorire eventuali soluzioni di forza e, tra tutte, quella di una riforma del Consiglio che intervenga a modificare la Carta delle Nazioni Unite senza investire le altre sue parti. E’qui, del resto che origina l’ulteriore nodo negoziale di cui non si può non tener conto e, cioè, la posizione dei c. d. Permanent 5: Cina, Federazione russa, Stati Uniti, Francia e Regno Unito.
Si sofferma quindi sulle posizioni emerse dagli assessments di alcuni degli attuali membri permanenti. Entrambi gli interventi di Jack Straw e di Michel Barnier, rispettivamente per Regno Unito e Francia, hanno evidenziato una forte vicinanza alla posizione tedesca. In particolare, il primo ha motivato la propria condivisione di ciascuna delle ragioni di inclusione dei quattro aspiranti ad un seggio permanente. A Germania e Giappone, poiché insieme contribuiscono al 28 per cento del budget delle Nazioni Unite; all'India che rappresenta un sesto dell'intera popolazione mondiale; al Brasile per la storica ragione che questo Paese aveva già sfiorato l'inserimento tra i membri permanenti nel 1945.
Più in generale, la posizione inglese si fonda sull'assunto che l'allargamento del Consiglio di sicurezza e, più in generale, sull'affermazione per cui i mutamenti istituzionali non possono costituire la panacea di tutti i mali. L'attenzione va invece rivolta, secondo il Regno Unito, all'esigenza di una più rapida ed approfondita capacità di fronteggiare le minacce attuali. Inoltre, il Ministro Straw ha fatto riferimento alla necessità di sviluppare un nuovo consenso con "l'espansione degli obiettivi dell'azione collettiva".
Ancora più netta è stata la posizione francese, improntata alla chiara condivisione delle aspettative tedesche, indiane, brasiliane e giapponesi. Michel Barnier ha anche sostenuto l'opportunità che a questi nuovi membri permanenti sia unito anche un rappresentante del mondo africano. Evidente è dunque il sostegno dei due Paesi europei detentori di un seggio permanente alle aspirazioni dei quattro candidati per l'allargamento del numero dei seggi permanenti in loro favore.
Elementi più complessi emergono dalla disamina della posizione statunitense che appare più attendista anche nella prospettiva dell'imminente chiusura delle campagne elettorali presidenziali del 2004. Infatti, la posizione repubblicana rimane attestata alle dichiarazioni precedenti allo svolgimento dei lavori dell’Assemblea Generale, quando, in seguito al Vertice di Sea Island, era parso che gli Stati Uniti non si opponessero alle aspirazioni di Germania e Giappone e, si deve credere, data l’interdipendenza sempre più stretta della candidatura di queste con quelle di India e Brasile, con l’intera pacchetto di inclusione, tra i membri permanenti, del gruppo dei quattro.
L’intervento di G. W. Bush avanti all’Assemblea Generale non è parso, del resto, apportare decise e chiare correzioni di rotta nell’indirizzo sviluppato dall’Amministrazione statunitense. Si tratta, in sostanza, di un attendismo possibilista.
E’invece dalla lucida analisi di Jeff Laurenti, a quanto risulta vicino all’area democratica che è andata perfezionando il programma del candidato J. Kerry, che è emersa la tendenziale conferma della linea di pensiero già adombrata dall’Amministrazione Clinton, su una ipotetica riforma del Consiglio di sicurezza.
Ancora meno chiari e significativi appaiono gli orientamenti espressi dalla Federazione Russa, mentre, l'intervento della Cina era calendarizzato nella seconda settimana dei lavori dell'Assemblea generale. Rimane da tenere in conto l’intervento del Segretario Generale Kofi Annan, che, autore delle nomine dei membri dell’High level panel, sembra intenzionato a valutare la fattibilità di un tentativo di riforma sistematica dell’intera organizzazione alla vigilia del suo ultimo biennio di mandato.
L’assessment del Segretario Generale, fortemente improntato al richiamo di tutti gli Stati membri a rendere effettiva la rule of law e cioè l’imperio della legge nell’intero ordinamento e nelle relazioni internazionali, si è caratterizzato per il chiaro riferimento all’High level panel come punto di partenza da cui muovere alla fine dell’anno in corso, per redigere una riforma del Consiglio di sicurezza, della mission e delle politiche dell’O.N.U. Il ruolo rivestito da Kofi Annan rimane, decisivo stante la sua posizione di tramite tra i lavori del panel e l’esame che ne farà l’Assemblea generale.
Appare chiaro che il Segretario generale offrirà il proprio endorsment ad un processo di riforma che sia, non solo funzionale a migliorare efficienza e rappresentatività del Consiglio, ma che mantenga anche, pragmaticamente e realisticamente, concrete possibilità di incontrare il favore di una grande parte dei 191 membri.
Con la delicatezza del suo ruolo e la difficoltà delle decisioni che lo attendono, si intende però anche la sua consapevolezza che il pacchetto di proposte provenienti dall’High level panel andrà valutato anche nel suo complesso e non solo sul singolo profilo delle proposte di revisione della composizione del Consiglio. E’questo un elemento che a molti osservatori appare, e sin da ora, decisivo per sfaldare alleanze e convergenze e crearne di nuove.
La contrapposizione tra il gruppo dei quattro aspiranti e i sostenitori dell’allargamento dei membri permanenti del consiglio da una parte, ed il gruppo dei “like minded” assestati sulle direttrici della proposta italiana dall'altra, sembra dunque ancora suscettibile di essere sciolta alla luce di nuovi ed ancora non noti elementi.
Non potendo soffermarsi per ovvie ragioni sull’esito di incontri rilevanti quali quello del Ministro Frattini con i c.d. Paesi “like minded” e con il Segretario generale di cui lo stesso Ministro potrà forse dare conto direttamente od indirettamente, l’oratore, ribadisce la sua piena condivisione della proposta di riforma italiana, caratterizzata da un’indubbia capacità innovativa e positiva, coerente con gli indirizzi storici e tradizionali della politica estera italiana; sottolinea, quindi, che la sfida negoziale dei prossimi mesi appare legata a variabili che non possono né devono essere sottovalutate. E’infatti anche dalla coerenza della politica di aiuto pubblico allo sviluppo che l’Italia saprà darsi, che il sistema Paese trarrà un indubbio patrimonio di credibilità internazionale.
Ciò vale sia per l’efficienza e la capacità dell’aiuto allo sviluppo canalizzato nei fori multilaterali, sia di quello di segno bilaterale. Oltre a questa esigenza, del resto, sovente ribadita nel corso dei lavori di questa Commissione, rimane fuor di dubbio l’importanza del ruolo italiano nel complesso e rischioso processo di mantenimento della pace nelle zone calde del mondo, così come la storica collocazione di rilievo tra i Paesi che maggiormente contribuiscono alle risorse ed alle politiche delle Nazioni Unite.
Nella prospettiva dei prossimi mesi è evidente la necessità di proseguire celermente nell’esame delle proposte di riforma dell’intero sistema della cooperazione allo sviluppo. A suo parere, infatti, sempre più forte appare la necessità che l’Italia si doti di uno strumento di azione efficace ed efficiente sia nel contesto multilaterale che in quello delle relazioni bilaterali. Disporre di una disciplina nuova potrà condurre, anche nel medio periodo, a rinsaldare la credibilità e la forza del sistema paese nel quadro di trattative complesse in cui la capacità di impegno e di incidere sulle grandi questioni nell’agenda internazionale diverranno elementi di preminente rilievo come emerso a volte in modo fin troppo esplicito dai lavori della delegazione a New York.