FINANZE E TESORO (6a)

MERCOLEDI' 14 MAGGIO 2003
146a Seduta


Presidenza del Vice Presidente
CASTELLANI



Intervengono, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento, il direttore generale dell'Ufficio Italiano dei Cambi dottor Carlo Santini, accompagnato dal capo del servizio della Segreteria Generale del medesimo Ufficio, dottor Ermanno Natali, ed il presidente dell'Istituto nazionale per il Commercio Estero professor Beniamino Quintieri, accompagnato dalla dottoressa Maria Cristina Brunetto, funzionario della Segreteria di Presidenza e della Direzione Generale del medesimo Istituto.

La seduta inizia alle ore 15,10.


SULLA PUBBLICITA' DEI LAVORI

Il presidente CASTELLANI fa presente che è pervenuta la richiesta, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento, di attivazione dell'impianto audiovisivo, in modo da consentire la speciale forma di pubblicità ivi prevista e avverte che, ove la Commissione convenga nell'utilizzazione di tale forma di pubblicità dei lavori, il Presidente del Senato ha preannunciato il proprio assenso.
Non facendosi osservazioni, la forma di pubblicità di cui all'articolo 33, comma 4, del Regolamento, viene adottata per il prosieguo dei lavori.
PROCEDURE INFORMATIVE

Seguito dell'indagine conoscitiva sugli aspetti finanziari, monetari e creditizi connessi all'allargamento dell'Unione Europea: audizione dell'Ufficio Italiano Cambi.

Riprende l'indagine conoscitiva, sospesa ieri.

Il presidente CASTELLANI ricorda che l'indagine conoscitiva tende, in prima istanza, ad acquisire informazioni sul processo di adeguamento giuridico, economico e finanziario dei Paesi aderenti rispetto alle indicazioni fissate dalla Commissione europea, ma soprattutto a verificare le condizioni nelle quali si troveranno ad operare in tali Paesi i soggetti economici e finanziari italiani nel prossimo futuro. In particolare, l'indagine è volta ad acquisire informazioni sui processi di privatizzazione, sui sistemi creditizi e finanziari nonché l'attività delle istituzioni competenti nei settori crediti e finanziari. Dopo aver ricordato le audizioni svolte dà la parola al direttore generale dell'Ufficio Italiano dei Cambi (UIC).

Il dottor SANTINI dopo aver ringraziato la Commissione finanze e tesoro per l'invito a partecipare all'indagine conoscitiva, esprime l'apprezzamento dell'UIC per l'allargamento dell'Unione Europea a dieci nuovi Paesi.
Al fine di contribuire nel modo più specifico possibile all'indagine conoscitiva in titolo si sofferma ad illustrare le problematiche attinenti ai settori di competenza specifica dell'UIC, in particolare l'attività di contrasto al riciclaggio finanziario e di rilevazione statistica dei rapporti internazionali.
In relazione al primo punto rileva come l'adesione di dieci Paesi all'Unione Europea costituisca un'opportunità per la prevenzione e il contrasto sul piano finanziario del riciclaggio e delle altre forme di criminalità economica, poiché dall'allargamento deriva l'ampliamento dell'ambito nel quale si applicano in maniera omogenea le discipline di controllo, nel quale si sviluppano il coordinamento e la collaborazione transnazionale accrescendo, di conseguenza, la capacità di prevenire e rilevare fenomeni illeciti. In particolare, le disposizioni comunitarie in materia di antiriciclaggio diverranno un comune patrimonio di regole.
Non nasconde tuttavia la preoccupazione che l'estensione del mercato interno, dei principi e delle regole della libera circolazione possa agevolare anche i traffici illegali: tale rischio potrà essere contenuto assicurando che l'intensità dei presidi e dei controlli previsti dal regime comunitario non sia indebolita in conseguenza dell'applicazione di essi su più larga scala.
Rileva poi che i nuovi Stati membri sono già caratterizzati da una sufficiente uniformità regolamentare rispetto agli standard antiriciclaggio internazionali, assicurata dall'azione di incentivo svolta negli anni recenti dall'Unione Europea nonché da singoli Stati membri e dall'applicazione dei principali provvedimenti di rilievo internazionale, tra cui le Raccomandazioni del GAFI. Molti dei nuovi Paesi membri partecipano da tempo alle attività antiriciclaggio sul piano internazionale, sono membri del Consiglio d'Europa e sono coinvolti nelle iniziative di questo in materia di contrasto del riciclaggio.
Ricorda poi che l'UIC ha partecipato a numerose iniziative di assistenza tecnica rivolte agli Stati interessati, anche nella prospettiva della loro adesione all'Unione Europea, e che i programmi di "gemellaggio" svolti sotto l'egida dell'Unione hanno avuto effetti positivi sotto i profili dell'omogeneità degli ordinamenti e delle pratiche operative nonché della propensione alla collaborazione reciproca. In molti casi, la collaborazione ha portato alla definizione di protocolli d'intesa, quali quelli già formalizzati dall'Ufficio con le Unità di Informazione Finanziaria di Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Lettonia, mentre sono in corso di predisposizione intese con le autorità della Polonia e di Malta.
Sottolinea il rilievo dell'avvio, all'interno dell'Unione Europea, del progetto FIUNET, volto alla costituzione di una rete telematica in grado di consentire flussi di informazioni riguardanti operazioni sospette, ed auspica l'estensione di tale sistema a tutti i Paesi membri dell'Unione, attuali e futuri.
Ritiene che il definitivo adeguamento dal punto di vista sostanziale, ai parametri antiriciclaggio dell'acquis comunitario, già in corso negli Stati membri, non conseguirà automaticamente al mero recepimento formale delle misure regolamentari. Giudica infatti essenziale l'affermarsi di principi e di pratiche favorevoli all'esplicazione di una collaborazione attiva tra le diverse autorità coinvolte nel contrasto di fenomeni di criminalità economica, con particolare riferimento alla segnalazione dei casi sospetti e allo scambio di informazioni.
Reputa, comunque, che la situazione attuale consenta un cauto ottimismo, anche in considerazione del fatto che in sede di Comitato di Contatto costituito presso la Commissione Europea per l'esame delle principali questioni antiriciclaggio di rilievo comunitario, riunitosi lo scorso 25 aprile, i Paesi in via di adesione all'Unione, hanno manifestato la più ampia volontà di confronto e collaborazione.
L'oratore passa quindi ad analizzare i profili della rilevazione statistica dei rapporti internazionali effettuata dall'UIC, ricordando preliminarmente che, per un'analisi approfondita dei rapporti economici dell'Italia e degli altri Paesi oggi membri dell'Unione Europea con i Paesi in via di adesione, delle loro posizioni finanziarie relative attuali, e delle prospettive future, occorrerebbe una base empirica più dettagliata di quella oggi disponibile e soprattutto più omogenea a livello europeo. Le rilevazioni di dati statistici, infatti, producono risultati tra loro comparabili, solo se effettuate sulla base di normative tra loro armonizzate.
Sottolinea quindi il contributo in proposito fornito dall'UIC, sia a livello multilaterale che a livello bilaterale. Ricorda che tra i capitoli dell'acquis comunitario vi è uno specifico capitolo statistico e che dall'ultimo Rapporto della Commissione in materia, emerge un significativo ottimismo tecnico circa i progressi compiuti dalle autorità statistiche dei Paesi in via di adesione, pur restando alcune preoccupazioni concernenti la disponibilità di informazioni e la possibilità di ricostruire serie storiche, nonché la ricerca di metodi adeguati per l'integrazione dei dati dei nuovi Paesi nel quadro generale dell'Unione Europea.
Rileva come anche nel campo delle statistiche sia stato adottato il principio della sussidiarietà, e come molte soluzioni siano state raggiunte tenendo conto delle specificità nazionali, ove non ne risultasse inficiato il quadro complessivo finale.
Ritiene che un problema per i Paesi in via di adesione, che potrebbe portare ad un ritardo nell'adeguamento, sia quello per cui essi devono recepire in modo passivo le scelte e le decisioni, definite in parte anche con provvedimenti normativi, delle autorità e dei Paesi membri dell'Unione, scelte e decisioni cui non hanno potuto partecipare.
Esprime soddisfazione per la presenza dell'UIC, a livello multilaterale, in tutte le sedi statistiche europee e per il contributo di quest'ultimo all'obiettivo di giungere alla definizione di regolamenti e direttive di ordine tecnico-statistico con il più elevato grado di armonizzazione, mentre le attività di collaborazione e di assistenza tecnica sono state sia di tipo informale, come nel caso della Slovenia, sia di tipo formale, come nel caso della Polonia.
L'oratore passa quindi ad esporre analiticamente le informazioni relative ai rapporti economici intercorrenti tra l'Italia e i Paesi in via di adesione, con particolare riferimento agli ultimi due anni, rilevando come le attività finanziarie dell'Italia verso questi Paesi siano nettamente prevalenti rispetto alle passività. In particolare il saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti italiana è stata pari a circa 6 miliardi di Euro. Tuttavia, sottolinea come altri Paesi europei quali Francia e Germania presentino uno stock di investimenti diretti nel medesimo periodo nettamente superiore a quello italiano. Un analogo divario sussiste relativamente ai volumi delle attività e passività degli istituti di credito italiani e degli altri Paesi europei sopra citati.

Il senatore BRUNALE condivide l'opinione per cui, in materia di contrasto alle operazioni di riciclaggio internazionale, è necessaria una uniformità dal punto di vista normativo, nonché un'intensa collaborazione tra Stati, valutando positivamente, a tale ultimo proposito, l'avvio della rete informativa telematica FIUNET.
Esprime tuttavia la preoccupazione che punti di criticità possano essere legati ad un'eccessiva dilatazione del periodo di tempo necessario al passaggio da un recepimento meramente formale della disciplina antiriciclaggio alla sostanziale applicazione di quest'ultima. Chiede quindi conferma della fondatezza di tali preoccupazioni e quali siano i rischi reali in tema di riciclaggio.

Il senatore TURCI domanda qual è la funzione dell'UIC rispetto alla prospettiva di integrazione dal punto di vista economico e produttivo tra l'Italia e i Paesi di prossimo ingresso nell'Unione Europea, nonché se sussista, da parte di tali ultimi un'effettiva volontà di adeguarsi alla normativa comunitaria antiriciclaggio.

Il dottor SANTINI condivide la preoccupazione espressa dal senatore Brunale che possano ancora registrarsi divaricazioni tra l'armonizzazione formale della disciplina in commento e il recepimento sostanziale della normativa comunitaria, anche se giudica non agevole individuare con precisione le cause di tali difficoltà.
Esprime il convincimento che da parte delle Autorità di controllo dei nuovi Paesi membri - ancorché alle prese con procedure nuove - vi sia l'intenzione di procedere con convinzione all'armonizzazione in materia di lotta al riciclaggio, sottolineando tuttavia come gli Stati europei possano comunque svolgere un fondamentale ruolo di impulso e sollecitazione, in sede di partecipazione ad organismi internazionali, siano essi dotati di competenze sul piano politico – come l'Ecofin – ovvero sul piano squisitamente tecnico.
Condivide altresì l'opinione che lo strumento informatico per la condivisione delle informazioni finanziarie debba essere supportato dall'impegno degli Stati ad avvalersene.
Rispondendo al senatore Turci, ritiene vi siano certamente ampi spazi a disposizione dell'Italia per incrementare la propria presenza economica e commerciale all'interno dei nuovi Paesi membri, come emerge con chiarezza dalla comparazione dei dati macroeconomici italiani e dei maggiori Stati europei con quelli relativi ai rispettivi volumi di esportazioni ed importazioni.

Il senatore PASQUINI si domanda quale struttura giuridica abbiano e di quali strumenti di intervento dispongano gli organismi che, all'interno dei dieci Paesi candidati, svolgono il compito di vigilare sulle operazioni sospette e sull'applicazione della normativa comunitaria sulla lotta al riciclaggio di denaro.
Ritiene altresì utile sapere se gli accordi di cooperazione e le procedure di gemellaggio tra Italia e Paesi candidati costituiscano iniziative isolate ovvero vadano ad iscriversi all'interno di un contesto comunitario.

Il dottor SANTINI risponde al senatore Pasquini evidenziando che la maggior parte degli accordi di gemellaggio tra Stati europei si inquadra all'interno dei progetti comunitari PHARE, i quali consistono appunto nell'apprestare finanziamenti ad interventi interstatali di assistenza tecnica e di recepimento dell'acquis comunitario.
Relativamente alla struttura degli organismi deputati al contrasto delle operazioni di riciclaggio all'interno dei Paesi candidati, l'oratore ricorda che la veste giuridica dei medesimi varia da Stato a Stato, pur corrispondendo sostanzialmente al modello delle Financial Intelligence Agencies, e che essi possono anche iscriversi all'interno di strutture ministeriali, ovvero delle banche centrali.

Il presidente CASTELLANI dichiara infine chiusa l'audizione.

Audizione dell'Istituto nazionale per il Commercio Estero.

Il presidente CASTELLANI, riepiloga i temi dell'indagine e dà la parola al professor Quintieri, presidente dell'Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE).

Il professor QUINTIERI puntualizza in premessa che i compiti affidati all'ICE riguardano un'area tematica solo in parte coincidente con l'oggetto dell'indagine conoscitiva, ma tuttavia ritiene importante illustrare alcuni elementi dell'interscambio commerciale tra l'Italia e i Paesi prossimi aderenti all'Unione Europea, al fine di delineare il quadro nel quale si inseriscono gli aspetti più specifici che interessano la Commissione.
Dopo aver ricordato come, in termini generali, l'allargamento dell'Unione Europea incrementa di un terzo il territorio dell'Unione, del 28 per cento la popolazione e solo del 12 per cento il prodotto interno lordo, sottolinea come tale divario tra l'incremento di ricchezza e l'effettivo ampliamento della base demografica costituisca di per sé un elemento di riflessione.
Per quanto riguarda l'Italia, in particolare, osserva come nell'ultimo decennio si sia assistito ad un forte incremento dell'interscambio commerciale con tutti i Paesi prossimi aderenti e come nel 2002 le esportazioni italiane abbiano raggiunto circa il 9 per cento rispetto al 3,8 per cento del 1992. Correlativamente le importazioni sono cresciute dal 2,4 per cento al 6,5 per cento. La qualità ed il volume di tale crescita si inquadrano in un processo che alcuni hanno voluto definire "ritorno dei vicini", sottolineando come l'apertura dei nuovi mercati ad Est abbia consentito, in tempi piuttosto ravvicinati, di integrare le economie dei Paesi appartenenti all'Europa Centrale con quelle dell'Europa Occidentale, ai livelli già esistenti in passato.
Infatti, fatta eccezione per la Slovacchia e la Bulgaria, il saldo della bilancia commerciale si presenta positivo.
Dopo aver dato alcune indicazioni circa il livello delle esportazioni italiane nei dieci Paesi e in particolare dopo aver sottolineato che l'attivo della bilancia commerciale raggiunge oggi 6,5 miliardi di Euro, si sofferma ad illustrare la posizione relativa dell'Italia in termini di interscambio commerciale rispetto ad altri importanti Paesi dell'Unione.
L'Italia, precisa l'oratore, nel 2002 si conferma essere il secondo Paese esportatore tra gli Stati membri verso il Centro Europa, secondo dopo la Germania, con una quota percentuale di circa 9 per cento contro il 22,8 per cento della Germania. Le stime attualmente disponibili consentono peraltro di parlare di margini potenziali di incremento ancora significativi.
Per quanto riguarda invece gli investimenti diretti, l'oratore sottolinea l'interesse che le imprese italiane hanno dimostrato per i Paesi in questione, facendo presente che circa un quinto degli investimenti italiani all'estero è indirizzato all'area Centro-Orientale. Tuttavia, la posizione di preminenza acquisita come Paese importatore non viene confermata per quanto riguarda gli investimenti diretti, in quanto l'Italia è al settimo posto dopo altri Paesi tra i quali l'Olanda, l'Austria e la Francia.
Passando ad illustrare le ragioni della crescita dell'interscambio, il professor Quintieri enumera la vicinanza geografica, l'alto tasso di investimento in macchinari fissi delle economie dei Paesi aderenti, in settori nei quali l'Italia ha acquisito una specializzazione anche nella produzione delle macchine utensili, nonché il processo di delocalizzazione produttiva. Rispetto a tale ultimo aspetto, pur nella difficoltà di quantificare con precisione il fenomeno, egli ritiene che l'incremento di joint venture, nonché l'incremento dello scambio di parti e componenti di prodotto con tali Paesi indichi certamente processi di integrazione economica in crescita. Purtuttavia, sottolinea con una qualche preoccupazione che, in alcuni casi la delocalizzazione produttiva, ovvero l'esportazione in tali Paesi di alcuni segmenti del processo produttivo, si inserisce in sostanza in comparti nei quali è molto alto l'indice di specializzazione produttiva italiana, ma per i quali la scelta di delocalizzare è effettuata esclusivamente per il minor costo del lavoro. Tale processo, in prospettiva naturalmente, potrebbe comportare uno spiazzamento potenziale dei prodotti italiani, che potrebbero soffrire della concorrenza di Paesi in grado di produrre negli stessi settori beni più concorrenziali. Sottolinea però come tale timore sia allo stato solo potenziale poiché l'Italia può contare in alcuni comparti su livelli qualitativi produttivi riconosciuti internazionalmente.
Dà quindi conto dei processi di internazionalizzazione che coinvolgono il settore creditizio, facendo presente che in alcune aree, come in America Latina, si assiste ad un sostanziale arretramento della presenza italiana mentre, in alcuni Paesi prossimi aderenti all'UE la penetrazione del mercato avviene soprattutto con la partecipazione, sia di maggioranza che di minoranza, al capitale delle banche locali, con uno scarsissimo utilizzo del sistema di apertura diretta di filiali all'estero.

Il senatore BRUNALE, dopo aver riepilogato gli aspetti maggiormente problematici che presenta l'allargamento sui temi oggetto dell'indagine, chiede di avere maggiori informazioni sugli strumenti a disposizione dell'ICE per sostenere le piccole e medie imprese e per operare in collaborazione con gli istituti di credito.

Il senatore TURCI ritiene opportuno affrontare i temi dell'integrazione economica con i Paesi prossimi aderenti all'UE e in particolare, preso atto del rischio di concorrenza su produzioni nelle quali l'Italia eccelle per specializzazione, chiede di sapere se il marchio produttivo europeo possa costituire un elemento per evitare tale rischio. Chiede inoltre di conoscere quali sono le strategie operative dell'ICE, anche in relazione al settore creditizio.

A giudizio del senatore Paolo FRANCO il processo di allargamento crea certamente delle opportunità rilevanti per i settori produttivi italiani più dinamici, ma pone anche il problema di stabilizzare nel tempo tali iniziative espansive. Da tale punto di vista chiede di conoscere se l'ICE compia o meno iniziative per valutare il merito degli investimenti, anche per assicurarne il carattere strutturale e non contingente.

Il professor QUINTIERI osserva che l'attività dell'ICE si caratterizza da un lato per l'assistenza diretta alle imprese e dall'altro per l'attività di promozione della produzione nazionale, agendo naturalmente, secondo linee guida e indirizzi maturati anche a livello politico. Pur nella limitatezza delle risorse finanziarie e di personale a disposizione dell'ICE, sottolinea lo sforzo compiuto dall'Istituto nell'area Centro-orientale, area nella quale la logica di intervento non è tanto la promozione dei prodotti italiani, quanto il sostegno al radicamento delle imprese in tali territori. Al senatore Franco Paolo fa peraltro presente che i processi produttivi di delocalizzazione si evolvono in maniera molto rapida, ragion per cui risulta arduo sostenere progetti a lungo termine. Fa presente inoltre che l'ICE sta concentrando la propria attività sulla formazione, sulla cooperazione istituzionale, nonché sul settore ambientale.
In merito alle problematiche emergenti negli ultimi anni nei distretti produttivi - un modello non certamente esportabile automaticamente in quanto frutto anche di contesti locali e storici molto particolari - l'oratore non nasconde la complessità dell'azione di sostegno delle imprese operanti nei distretti per superare il momento di particolare difficoltà. Per quanto riguarda le banche, ritiene infine che gli istituti di credito si indirizzino, di norma, verso Paesi nei quali già esistono processi di espansione dell'economia reale. Conclude richiamando la complessità dei problemi della difesa del marchio dei prodotti italiani, sia in ambito europeo che nei mercati internazionali in genere.

Il presidente CASTELLANI dichiara infine chiusa l'audizione.

Il seguito dell'indagine conoscitiva è poi rinviato.

La seduta termina alle ore 16,30.
INDAGINE  CONOSCITIVA
SUGLI ASPETTI FINANZIARI, MONETARI E CREDITIZI CONNESSI ALL’ALLARGAMENTO DELL’UNIONE  EUROPEA

4º  Resoconto  stenografico

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 14 maggio 2003

 

Presidenza del vice presidente CASTELLANI

INDICE

Audizione dell’Ufficio italiano dei cambi

    PRESIDENTE
 
Pag. 3, 10

    BRUNALE (DS-U)
 
7

    * PASQUINI (DS-U)
 
9

    * TURCI (DS-U)
 
7

    SANTINI
 
  Pag. 3, 8, 9


 

Audizione dell’Istituto per il commercio estero
    PRESIDENTE
 
 Pag. 10, 20

    * BRUNALE (DS-U)
 
15

    FRANCO Paolo (LP)
 
17

    * TURCI (DS-U)
 
16

    * QUINTIERI
 
  Pag. 10, 17


        N.B.: Gli interventi contrassegnati con l’asterisco sono stati rivisti dagli oratori.

        Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Per le autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Lega per l’autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Udeur Popolari per l’Europa: Misto-Udeur-PE.

        Intervengono il direttore generale dell’Ufficio italiano dei cambi, dottor Carlo Santini, accompagnato dal capo del servizio della segreteria generale del medesimo Ufficio, dottor Ermanno Natali, ed il presidente dell’Istituto nazionale per il commercio estero, professor Beniamino Quintieri, accompagnato dalla dottoressa Maria Cristina Brunetto, funzionario della segreteria di presidenza e della direzione generale del medesimo Istituto.

        I lavori hanno inizio alle ore 15,10.
PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione dell’Ufficio italiano dei cambi
        PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’indagine conoscitiva sugli aspetti finanziari, monetari e creditizi connessi all’allargamento dell’Unione Europea.
        Comunico che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
        Ricordo che l’indagine conoscitiva sugli aspetti finanziari, monetari e creditizi connessi all’allargamento dell’Unione Europea ha avuto inizio la settimana scorsa con l’audizione del vice ministro Urso e del ministro Buttiglione. Ieri è stato audito il presidente della CONSOB, professor Spaventa, ed oggi la Commissione ha il piacere di ascoltare in primo luogo il dottor Carlo Santini, direttore generale dell’Ufficio italiano dei cambi, accompagnato dal dottor Ermanno Natali, capo del servizio della segreteria generale del medesimo Ufficio e, successivamente, i rappresentanti dell’Istituto nazionale per il commercio estero.
        La Commissione vorrebbe acquisire informazioni sul processo di adeguamento giuridico, economico e finanziario dei Paesi aderenti rispetto alle indicazioni fissate dalla Commissione europea e verificare le condizioni nelle quali si troveranno ad operare i soggetti economici e finanziari italiani nel prossimo futuro.
        Do immediatamente la parola al dottor Carlo Santini, cui al termine dell’intervento i colleghi potranno rivolgere domande.

        SANTINI. La ringrazio, signor Presidente, per l’invito rivoltomi a partecipare a quest’indagine conoscitiva. Esprimo innanzitutto, sia a titolo personale che a nome dell’istituto che rappresento, il compiacimento per quest’indagine conoscitiva e, più in generale, per l’allargamento dell’Unione europea a nuovi Paesi.
        Per contribuire ai vostri lavori mi soffermerò su due settori di attività che rientrano nelle competenze dell’Ufficio italiano dei cambi, in particolare il contrasto al riciclaggio finanziario e la rilevazione, in termini statistici, dei rapporti economici internazionali. Con riferimento al primo settore, l’adesione dei nuovi membri all’Unione Europea costituisce certamente un’opportunità ai fini della prevenzione e del contrasto al riciclaggio poiché dall’allargamento dell’ambito armonizzato deriveranno vantaggi in termini di omogeneità delle misure applicate, di sviluppo e coordinamento della collaborazione transnazionale. In particolare, le disposizioni comunitarie in materia di antiriciclaggio – mi riferisco soprattutto alle due direttive comunitarie – diverranno patrimonio comune di regole.
        L’estensione del mercato interno, dei suoi principi e delle sue regole, tuttavia, può anche agevolare i traffici illegali. Tale rischio viene contenuto assicurando che l’intensità dei presidi e dei controlli previsti dal regime comunitario non risulti indebolita in conseguenza dell’applicazione di queste norme ad un’area più vasta. Al contrario, nella misura in cui l’applicazione a quest’area più vasta sarà efficace, anche il contrasto risulterà più efficace.
        I dieci nuovi Paesi di prossima adesione all’Unione Europea sono già caratterizzati da una sufficiente uniformità regolamentare rispetto agli
standard antiriciclaggio internazionali, assicurata, da un lato, dall’azione di incentivo svolta negli anni recenti dalla stessa Unione Europea nonché dai singoli Stati membri, dall’altro, dall’applicazione in questi Paesi dei principali provvedimenti di rilievo internazionale, prime fra tutti le cosiddette 40 raccomandazioni del GAFI.
        La maggior parte dei nuovi Paesi che aderiranno all’Unione Europea partecipano già da tempo alle attività antiriciclaggio sul piano internazionale, sono membri del Consiglio d’Europa e, in quanto tali, sono coinvolti nelle iniziative del Consiglio in materia di contrasto al riciclaggio.
        Per quanto riguarda l’organismo che dirigo, l’Ufficio italiano dei cambi ha già partecipato a numerose iniziative di assistenza tecnica rivolte agli Stati interessati, anche nella prospettiva della loro adesione all’Unione Europea. In particolare, i programmi di «gemellaggio», svolti sotto l’egida dell’Unione, lasciano eredità significative in termini di omogeneità degli ordinamenti e delle pratiche operative nonché di propensione alla collaborazione reciproca.
        In molti casi, questa collaborazione viene sancita e dettagliata attraverso la definizione di protocolli di intesa. L’Ufficio italiano dei cambi, nella sua qualità di Unità di informazione finanziaria, ha già firmato protocolli di intesa con alcuni di questi Paesi, tra cui la Slovenia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Lettonia, mentre sono in corso di completamento trattative per la firma con la Polonia e Malta.
        Nell’ambito della collaborazione, un aspetto importante, che per ora è limitato solo ad alcuni Paesi dell’Unione Europea, è la costituzione di una rete informatica, denominata FIUNET, nell’ambito della quale potranno circolare contestualmente una serie di informazioni, che potranno essere scambiate a livello multilaterale, per facilitare il lavoro di indagine e di prevenzione del riciclaggio. È da ritenere che i Paesi di imminente adesione all’Unione Europea avranno la possibilità, ove lo vorranno – ma già manifestano intendimenti in tal senso – di partecipare essi stessi a questa rete.
        Un aspetto sul quale intendo richiamare l’attenzione della Commissione riguarda il passaggio dal recepimento nelle legislazioni nazionali dei presidi normativi in materia di antiriciclaggio, il cosiddetto
acquis communautaire in quest’area, al successivo momento, ovviamente più complesso per molti aspetti, cioè quello dell’affermazione in questi Paesi dei principi e delle pratiche favorevoli all’esplicazione della collaborazione attiva, cioè la collaborazione offerta dagli intermediari per identificare le operazioni sospette di riciclaggio e segnalarle quindi alle autorità competenti.
        Tra le principali criticità che si possono individuare, in connessione con questo passaggio, si possono citare, oltre a quelle di adeguamento della normativa soprattutto sul piano regolamentare interno, quelle più delicate derivanti dalla diversa sensibilità nella rilevazione, nel trattamento dei casi sospetti attraverso la collaborazione degli intermediari e nell’analisi finanziaria delle agenzie antiriciclaggio, le cosiddette «Unità di informazione finanziaria» e, infine, quelle che negli scambi di informazioni potranno manifestarsi nella disomogeneità dei dati disponibili. I primi segnali inducono ad un certo ottimismo. Una riunione recente, svoltasi lo scorso 25 aprile presso la Commissione europea, di un Comitato di contatto ha esaminato tali questioni e per la prima volta vi hanno partecipato anche le delegazioni dei Paesi in via di adesione all’Unione.
        Passo ora ad alcune rapide considerazioni sull’altra area di interesse per l’Ufficio italiano dei cambi, cioè la rilevazione statistica dei rapporti internazionali. Per un’analisi approfondita dei rapporti economici dell’Italia e degli altri Paesi attualmente membri dell’Unione Europea con i 10 Paesi in via di adesione, delle loro posizioni finanziarie relative, sia attuali che in prospettiva, occorrerebbe una base empirica più dettagliata di quella oggi disponibile e soprattutto più omogenea a livello europeo.
        In effetti, la difficoltà maggiore che ancora si incontra deriva dalla non perfetta omogeneità dei metodi e dei concetti statistici, con la conseguenza – appunto – che le rilevazioni non sempre hanno un elevato grado di comparabilità. Molto lavoro è in corso ed altro occorrerà farne per conseguire l’obiettivo dell’armonizzazione. L’Ufficio italiano dei cambi ha già dato e continuerà a offrire il proprio contributo a quest’opera, sia a livello multilaterale che bilaterale.
        Tra i capitoli del cosiddetto
acquis communautaire, ve ne è uno specifico relativo al settore delle statistiche. L’ultimo rapporto della Commissione su questa materia è stato discusso nell’ottobre dello scorso anno. Dal rapporto emerge un significativo ottimismo tecnico circa i progressi compiuti dalle autorità statistiche dei Paesi in via di adesione, anche se permangono alcune preoccupazioni su problemi specifici che devono ancora essere affrontati; mi riferisco, in particolare, alla disponibilità di informazioni dettagliate e alla possibilità di ricostruire le serie storiche, al fine di disporre anche di un quadro del passato.
        Pure nel campo delle statistiche, nei limiti del possibile, è stato adottato il principio della sussidiarietà, nel senso che alcune soluzioni sono state concepite tenendo conto delle specificità nazionali, nella misura in cui queste non inficiano la significatività complessiva delle rilevazioni.
        Alcuni Paesi in via di adesione si troveranno a dover affrontare il problema di applicare in molti casi princìpi e concetti metodologici alla cui definizione non hanno partecipato; ciò, però, fa parte in un certo senso delle regole del gioco e l’
acquis communautaire deve essere accettato. Naturalmente, ciò potrà comportare qualche ritardo nel completamento dell’adeguamento.
        L’Ufficio italiano dei cambi – come ho evidenziato – è molto impegnato su base multilaterale nelle sedi statistiche europee e contribuisce all’obiettivo di giungere alla definizione di regolamenti e direttive di ordine tecnico-statistico per conseguire il più elevato grado di armonizzazione.
        Abbiamo anche lavorato a livello bilaterale, fornendo ad alcuni Paesi assistenza tecnica. Cito, in particolare, la collaborazione con la Slovenia e quella, ancora più intensa e che prosegue tuttora, con la Polonia.
        Fornisco ora alcune brevi notizie statistiche, di cui forse la Commissione è già in possesso. Sulla base delle informazioni disponibili, si rileva che nel 2001 e nel 2002 l’Italia ha realizzato un saldo positivo negli scambi di merci con i 10 Paesi in via di adesione valutabile, per ognuno dei due anni, in circa 6 miliardi di euro; il saldo delle partite correnti dell’Italia – positivo, appunto, in ragione del predetto importo – contribuisce in modo prevalente alla formazione dell’avanzo totale che i 15 Paesi già membri dell’Unione Europea hanno nei confronti dei 10 Stati in via di adesione.
        Le attività finanziarie dell’Italia verso i citati Paesi sono nettamente prevalenti rispetto alle passività. Alla fine del 2001 (non siamo in possesso di dati più recenti), gli investimenti diretti italiani nei 10 Paesi di nuova adesione ammontavano a circa 3 miliardi di euro, quelli di portafoglio a circa un miliardo di euro, mentre le banche italiane avevano, nei confronti di questi Paesi, un importo di attività e passività, su un livello analogo, superiore ai due miliardi di euro.
        Altri Stati, primi fra tutti la Francia e la Germania, presentano invece uno
stock di investimenti diretti in quei Paesi ben maggiore di quello italiano: a fronte di nostri investimenti per circa 3 miliardi di euro (dato che ho poc’anzi sottolineato), gli investimenti di Francia e Germania erano valutati in circa 28 miliardi di euro, che rappresentano circa la metà degli investimenti diretti di tutti i 15 Paesi dell’Unione Europea.
        Anche le banche dei 15 Paesi presentano un divario analogo; in modo particolare, le attività, cioè i crediti concessi a questi Paesi nel 2001, erano pari a circa 68 miliardi di euro, mentre le passività ammontavano a circa 55 miliardi di euro.
        Non aggiungo altro e rimango a disposizione degli onorevoli senatori per eventuali domande.

        BRUNALE (DS-U). Innanzi tutto, ringrazio il nostro ospite per le notizie che ha fornito. Farò riferimento unicamente al settore del contrasto al riciclaggio, cui ha fatto riferimento prima. Ovviamente, il problema dell’uniformità degli standard e le iniziative di collaborazione sono indispensabili per giungere a questo appuntamento nelle migliori condizioni. Vorrei sapere, però, se rispetto alle due questioni che lei ha evidenziato (vale a dire la creazione della rete informativa telematica e il recepimento e la messa in pratica della legislazione), non vi sia una differenza sostanziale tra i princìpi di uniformità e gli standard di cui ha parlato e la pratica effettiva, legata non solo ad un problema di esperienza, ma anche alla volontà e alla capacità di mettere in moto da subito meccanismi efficienti, in grado di fornire risposte convincenti da questo punto di vista. Ebbene, vorrei sapere se per molti di questi Paesi i tempi di realizzazione e di messa in opera della rete non costituiscano un problema; in caso di una risposta affermativa, le chiedo se sono individuabili fin da oggi i punti di maggiore criticità.
        TURCI
(DS-U). Ringrazio anch’io il dottor Santini al quale pongo una domanda che, successivamente e più propriamente, rivolgerò anche al presidente dell’ICE; ritengo, però, che anche una vostra valutazione su tale questione sia interessante, a prescindere dalla specificità dei problemi di vostra pertinenza.
        Dall’insieme dei contatti che avete con il variegato mondo dei 10 Stati in via di adesione all’Unione, ritenete che con un numero significativo di tali Paesi l’Italia possa realizzare una più forte integrazione economica? Uno dei punti di osservazione della nostra indagine, infatti, è proprio volto a comprendere come si possano rendere più stretti e reciprocamente più utili i rapporti di integrazione economica, non solo commerciale ma anche produttiva, con tali Paesi.
        Lei ha citato il dato degli investimenti e lo ha confrontato con quello della Francia e della Germania; peraltro, già in altre audizioni si è avuto modo di notare che tale dato non è particolarmente entusiasmante.
        A noi viene in mente Timisoara come dato più significativo di integrazione, pur considerato che la Romania non entrerà a far parte dell’Unione il prossimo anno, ma soltanto in un secondo momento. È vero che in Ungheria e in qualche altro Paese stanno nascendo piccoli nuclei di tipo distrettuale, però mi interesserebbe capire una vostra percezione su tale aspetto.
        L’altro elemento, anche se forse ripeto la domanda del collega Brunale, su cui sarebbe interessante un chiarimento, attiene al fatto che alcuni di questi Paesi mediterranei sono stati all’onore delle cronache negli ultimi anni per vicende di riciclaggio, per banche che hanno «gentilmente ospitato» denaro legato a scandali internazionali di varia natura. Ecco, la vostra percezione è che ci sia un’effettiva volontà, anche nelle realtà più critiche, di adeguarsi davvero, operando uno sforzo fattivo, nel combattere fenomeni di finanza nera oppure no? Sappiamo tutti che questo rischio già esiste nell’ambito dell’Europa dei 15, che non rappresenta certo un mondo perfetto, tuttavia sarebbe utile una vostra valutazione.

        SANTINI. Certamente è vero che, per usare un proverbio comune, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e dunque la circostanza che questi Paesi all’atto della loro adesione avranno recepito nelle loro legislazioni nazionali le direttive comunitarie in materia di antiriciclaggio e dunque, sul piano formale, avranno grosso modo un assetto normativo uguale a quello degli altri Paesi, non significa di per sé che la concreta applicazione di queste direttive sia caratterizzata dagli stessi standard di qualità. Possono giocare contro questo rapido adeguamento l’impreparazione, la circostanza che i sistemi bancari di questi Paesi provengono a loro volta da una notevole trasformazione della loro natura giuridica oltre che delle loro modalità operative, o ancora il fatto che questa particolare attività, l’identificazione delle operazioni sospette, sia ancora più nuova; è quindi verosimile che si possano verificare ritardi, incertezze.
        Non sono in grado di dire quanto i ritardi possano dipendere da oggettive difficoltà piuttosto che da una non piena buona volontà. So soltanto che, sulla base dei rapporti che riceviamo e delle tante visite di nostri omologhi di alcuni di questi Paesi, l’interesse, l’impegno dei dirigenti di queste agenzie esiste e non ho motivo per ritenere che alle spalle non vi sia una solidità. È evidente che poi, in ambito politico, l’ECOFIN affronti spesso queste materie. Lì eventualmente i ministri responsabili potranno far valere politicamente eventuali pressioni. Anche nell’ambito tecnico, quello che mi è più familiare, la presenza e la partecipazione di queste nuove agenzie negli organismi internazionali che seguono tale settore costituirà un’occasione di sollecitazione e di pressione per fornire spiegazioni e chiarimenti che possono agevolare tali Paesi nell’applicazione delle nuove normative.
        La rete FIUNET è soltanto un punto di approdo finale; si tratta semplicemente di un sistema informatico sul quale possono circolare su base multilaterale le informazioni. Ciò che è ancor più importante è che queste informazioni utili si generino e ciò deriverà non solo dall’adeguatezza delle norme – che ripeto è più facile da conseguire – ma soprattutto dal costante impegno a livello sia politico che tecnico per garantire che queste norme siano poi effettivamente applicate.
        Sulla domanda in merito all’integrazione economica, faccio appello alla mia passata esperienza professionale. Credo che esistano spazi. Il fatto stesso che gli investimenti diretti italiani siano pari a tre miliardi mentre quelli della Francia e della Germania siano pari a 28 miliardi la dice lunga. Non mi pare che la somma dell’economia francese e tedesca sia nove volte quella italiana. Semplicemente facendo riferimento a tale banale rapporto, si può intuire che c’è ancora molto spazio per una più forte integrazione tra l’Italia e questi Paesi. Se guardiamo poi ad alcuni dati, relativi ad esempio allo scambio di merci tra questi Paesi e l’Italia, è evidente che già oggi l’Italia non è messa così male. Già da oggi può contare su un notevole flusso di esportazioni nette verso questi Paesi, superiore addirittura a quello della Germania. Quest’ultima, infatti, avendo forti investimenti in questi Paesi, presenta flussi in entrata e in uscita caratterizzati da valori lordi molto grandi ma netti molto piccoli. Nel caso dell’Italia, invece, i volumi lordi sono relativamente piccoli, ma può contare su un forte avanzo. Su tale aspetto l’Italia è più simile ad altri due Paesi come la Francia e l’Austria. Quest’ultima, pur non essendo molto grande, è geograficamente molto prossima ad alcuni di questi Paesi ed ha, per tradizione, forti legami soprattutto con la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Slovacchia.

        PASQUINI (DS-U). Si è parlato di discrasia tra il dire e il fare e dei possibili pericoli che potrebbero derivarne, cioè tra la norma e l’organizzazione e la gestione dei controlli e delle procedure antiriciclaggio. Lei ha parlato di agenzie. Vorrei conoscere più da vicino, se è possibile, un panorama della strumentazione che esiste nei vari Paesi. Qual è la strumentazione che i vari Paesi dedicano allo svolgimento di tale attività?
        In secondo luogo, lei ha parlato di accordi di cooperazione ispirati addirittura ai principi di sussidiarietà per quanto riguarda l’avvio di quest’attività, possibilmente della strumentazione e anche dei processi di formazione, immagino. Dal momento che lei parlava soprattutto di accordi con la Slovenia, anche se non solo, le vorrei chiedere se si tratta di rapporti unilaterali. Si realizzano nell’ambito di programmi definiti all’interno dell’Unione Europea oppure spontaneamente?
        SANTINI. La maggior parte di questi programmi, se non tutti, sono attuati nell’ambito dei progetti dell’Unione europea «PHARE», che prevedono anche una serie di finanziamenti per gemellaggi o altri interventi di assistenza tecnica diretti a favorire l’acquisizione da parte di questi Paesi del cosiddetto acquis communautaire in una serie di aree. Tant’è vero che nei nostri rapporti con la Polonia, ad esempio, nell’area statistica non siamo soli. Insieme con noi c’è la Banca di Francia.
        Abbiamo un rapporto di gemellaggio nel settore dell’antiriciclaggio, non con uno dei 10 Paesi di prossima adesione, ma con la Romania, che dura da un anno ed è molto intenso; collaborano con noi i nostri omologhi dell’Austria e dell’Olanda. Il più delle volte c’è un leader e poi altri organismi comunitari che lavorano nell’ambito dei progetti cosiddetti «PHARE».
        Attualmente nel mondo ci sono 58 agenzie che si occupano di riciclaggio, che si chiamano FIU (in lingua inglese,
Financial intelligence units) o UIF (in lingua italiana, Unità di informazione finanziaria); tranne Malta, in corso di ammissione, tutti gli altri Paesi in via di adesione hanno già costituito tale agenzia, la cui natura varia da Paese a Paese. Ci sono agenzie prevalentemente inserite in strutture equivalenti ai nostri Ministeri dell’interno, della giustizia e dell’economia, mentre altre si appoggiano alle banche centrali. Vi sono, quindi, assetti diversi, ma la sostanza del lavoro è la medesima.
        PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per la preziosa collaborazione e dichiaro conclusa l’audizione.
Audizione dell’Istituto nazionale per il commercio estero
        PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca altresì l’audizione dei rappresentanti dell’Istituto nazionale per il commercio estero. Ringraziamo per la sua presenza il presidente, professor Beniamino Quintieri, che è accompagnato dalla dottoressa Maria Cristina Brunetto, funzionario della segreteria di presidenza e della direzione generale del medesimo Istituto.
        Cedo la parola, per la relazione introduttiva, al professor Beniamino Quintieri.
        QUINTIERI. Innanzi tutto, ringrazio per l’invito che mi è stato rivolto per fornire un contributo al tema dell’allargamento, nel quale noi, come Istituto nazionale per il commercio estero e come Paese, siamo fortemente coinvolti.
        Spero di essere in grado di rispondere alle vostre domande, considerato che la Commissione analizza gli aspetti finanziari legati al processo di allargamento dell’Unione, che non coinvolge direttamente l’ICE. Ci sono, infatti, aspetti che riguardano indirettamente la parte finanziaria e creditizia, ma più che di flussi monetari l’Istituto nazionale per il Commercio Estero si occupa di flussi reali.
        Forse può essere utile illustrare il quadro generale della situazione dell’area. Innanzi tutto, cito alcuni dati: i 10 Paesi in via di adesione (non considero la Turchia) contribuiranno per un terzo all’aumento del territorio dell’Unione Europea ed incrementeranno del 28 per cento la popolazione, ma in termini di PIL apporteranno un contributo pari al 12 per cento. Riferisco dati a voi noti, perché voglio sottolineare il forte
gap tra l’ampliamento in termini di popolazione e di territorio e l’incremento in termini di PIL, il che implicherà un aumento della dispersione dei redditi all’interno dell’area e dunque una diminuzione del reddito medio pro capite.
        Per quanto riguarda i rapporti tra l’Italia e i 10 Paesi in via di adesione, credo che i punti fondamentali siano rappresentati dall’interscambio e dagli investimenti diretti, con tutte le importanti problematiche connesse all’internazionalizzazione.
        Innanzi tutto, in relazione ai flussi di commercio, sottolineo che nell’ultimo decennio – credo che questo periodo sia un buon punto di riferimento – si è registrato un forte incremento del commercio internazionale tra l’Italia e questi Paesi. I motivi per cui ciò si è verificato sono vari: alcuni sono legati alla precedente chiusura, altri al fatto che i Paesi in via di adesione hanno avviato un processo di crescita che richiede una domanda di importazioni dall’esterno, nonché una migliorata capacità di
export. Pertanto, i tassi di crescita dei flussi di commercio internazionale, in questo decennio, si sono sempre attestati intorno al 15 per cento, con la conseguenza che le esportazioni italiane in quest’area sono passate da poco meno del 4 per cento a circa il 9 per cento. Non si tratta, quindi, di un incremento trascurabile. Allo stesso modo, le importazioni provenienti da quell’area sono aumentate dal 2,4 per cento del 1992 al 6,5 per cento del 2002.
        È chiaro, dunque, che c’è stata una consistente e importante riallocazione dei flussi del commercio internazionale che, lungi dall’essere terminata, rappresenta un processo ancora in corso. Un collega economista ha scritto un piccolo libretto intitolato «Il ritorno dei vicini». In realtà era un pezzo di Europa che era rimasto in qualche modo isolato. In pochi anni si sono ricreate le stesse condizioni in termini numerici che si avevano all’inizio del secolo. È bastato l’abbattimento degli ostacoli agli scambi, l’apertura dei mercati per ricreare le condizioni preesistenti. L’aspetto più rilevante è che oggi esiste un’area che si apre, con tutte le conseguenze in positivo e in negativo che tale evento può significare. Dato che il tema è quello degli aspetti finanziari, un primo elemento che vorrei sottolineare è che sicuramente interscambio vuol dire flussi commerciali ed economici. Al momento, anche se lo vedrei come un problema momentaneo e non strutturale, il nostro saldo della bilancia commerciale verso l’area è largamente positivo. Ugualmente positivo è il saldo verso i singoli Paesi, con la sola eccezione della Slovacchia e della Bulgaria. Se siete interessati ad avere un ordine di grandezza, le esportazioni italiane nell’area nel 2002 ammontavano a 23 miliardi di euro, una cifra molto rilevante. Oggi abbiamo un attivo della bilancia commerciale nei confronti di questi Paesi pari a 6,5 miliardi di euro in termini finanziari.
        Qual è la posizione italiana rispetto agli altri Paesi europei? Ritengo che la risposta al quesito possa costituire un elemento abbastanza importante. L’Italia è in una posizione di preminenza, il che non ci capita di frequente. L’Italia è il secondo Paese esportatore verso questi Paesi dopo la Germania. La Germania ha una quota molto elevata (quasi il 23 per cento delle importazioni) mentre l’Italia, con il 9 per cento circa, si colloca al secondo posto. Se dovessimo includere anche la Russia saremmo il terzo Paese di riferimento.
        L’Italia è il principale Paese fornitore di Romania e Slovenia e il secondo, sempre dopo la Germania, in quasi tutti gli altri. Abbiamo dunque una posizione di preminenza. In base ad alcune stime, esiste ancora un
gap favorevole tra commercio potenziale e commercio effettivo.
        Altro elemento che vorrei citare, prima di commentare eventualmente questi risultati, è quello degli investimenti diretti. Com’è a tutti noto, l’Italia, pur avendo una posizione preminente nel commercio internazionale, è invece molto indietro con riferimento agli investimenti diretti. Ciononostante, i Paesi che stiamo considerando attraggono in maniera abbastanza cospicua gli interessi delle imprese italiane, anche se c’è da osservare che la valutazione quantitativa degli investimenti netti risulta sempre complicata per una serie di ragioni. Con riferimento alla Romania si parla di decine di migliaia di imprese, ma poi dai dati ufficiali risultano cifre più modeste. Non tutto o forse poco passa per le statistiche ufficiali, ma possiamo dire che un quinto degli investimenti diretti italiani all’estero è indirizzato verso quell’area. Anche in questo caso, per dare un numero relativo al 2002, gli investimenti diretti dell’Italia verso i dieci Paesi sono stati pari a 700 milioni di euro.
        Sarebbe più importante conoscere lo
stock, cioè il dato accumulato, che purtroppo risulta di difficile individuazione, ma in ogni caso l’Italia è al settimo posto come Paese investitore. Veniamo dopo l’Olanda, gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito e l’Austria. Lo ripeto, in questo caso non abbiamo quella posizione di preminenza, ma se confrontiamo la posizione italiana rispetto ad altre aree in cui investiamo meno, tutto sommato la presenza italiana è notevole e tale area è la seconda, dopo l’Unione Europea, verso la quale si indirizzano i nostri investimenti.
        Quali sono le ragioni di questa vivacità nell’interscambio di investimenti diretti. Le ragioni sono molteplici. Il primo fattore è legato alla distanza. Una delle variabili principali per spiegare l’interscambio e gli investimenti è la vicinanza geografica (il cosiddetto problema gravitazionale). Normalmente si tende ad investire e scambiare di più verso i Paesi vicini e certamente da questo punto di vista siamo favoriti, soprattutto in relazione ad alcuni Paesi. In secondo luogo, i Paesi emergenti tendono ad investire. Una delle caratteristiche della specializzazione dell’economia italiana è legata al fatto di essere «specializzata» nel settore delle macchine utensili e dei beni di investimento, grazie alla quale è possibile fare affidamento su una cospicua domanda di macchinari soprattutto nei settori di specializzazione italiana. La preminenza italiana nel campo delle macchine si ha negli stessi settori nei quali siamo specializzati nei beni di consumo. Così come siamo specializzati nel tessile, nelle calzature, nell’abbigliamento e nei mobili, allo stesso tempo abbiamo un vantaggio comparativo ulteriore nella produzione delle macchine che servono a produrre questi beni. Ciò deriva dalla storia distrettuale che è stata alla base del successo dell’economia italiana.
        Il terzo elemento è costituito dal fatto che quest’area è diventata, e lo sta diventando sempre di più, importante come zona di delocalizzazione produttiva. Anche in questo caso, ovviamente, è difficile avere informazioni dettagliate sull’entità del fenomeno.
        Ho già evidenziato che la misura degli investimenti diretti è una delle modalità, sia pure insufficiente, per cogliere l’entità del fenomeno. Ad esempio, è sempre in aumento il numero di
joint ventures (cioè di accordi tra imprese italiane e locali) più che di investimenti green field. In crescita è anche lo scambio di parti e componenti, che vengono normalmente realizzati in questi Paesi grazie ad un costo del lavoro più basso e poi riportati in Italia ed assemblati.
        Più in generale, si assiste al cosiddetto traffico di perfezionamento passivo, una modalità di produzione in base alla quale il prodotto viene esportato in Paesi diversi per subire varie fasi di lavorazione e, poi, reimportato per la produzione finale.
        Questa vicinanza, legata anche ad una specializzazione in settori analoghi, rappresenta un punto di forza, ma in prospettiva potrebbe tramutarsi anche in un fattore di rischio. In alcuni settori (soprattutto nel tessile, nelle calzature ed anche nella meccanica), buona parte delle importazioni italiane da questi Paesi non riguarda tanto i prodotti finali, quanto i prodotti intermedi o parti e componenti. Si tratta, quindi, di un processo di integrazione molto forte, che ha determinato lo sviluppo di rapporti commerciali consistenti.
        Per quanto riguarda l’immigrazione, non ci sono dati sull’Italia, ma le varie stime indicano che per una decina di anni i flussi migratori saranno in ragione di circa 300.000-330.000 persone l’anno, per poi diminuire gradualmente negli anni successivi. Se ciò fosse vero, si tratterebbe di un processo sostenibile, sempre che non si realizzasse un’eccessiva concentrazione nel nostro Paese, considerato che il resto dell’Europa oggi vede diminuire e progressivamente invecchiare la popolazione.
        C’è di più. Questi 10 Paesi hanno un tasso di crescita medio superiore a quello dell’Unione Europea. Tende quindi a ridursi il dislivello e a venire meno l’incentivo all’immigrazione: l’arrivo di nuovi immigrati di solito non fa piacere a chi li riceve, ma anche chi ne è protagonista ne farebbe volentieri a meno. Naturalmente, le immigrazioni comportano una serie di benefici per il Paese «ricevente», ma anche costi localizzati in alcune categorie: ad esempio, i lavoratori non qualificati all’interno del Paese e così via.
        Voglio evidenziare altre due questioni, la prima delle quali riguarda le prospettive costi-benefici.
        In termini di costi, l’aspetto più preoccupante è legato al modello di specializzazione. Il
boom, cioè il relativo successo dell’export italiano negli anni passati, era legato al fatto che, in fondo, il sistema economico internazionale era abbastanza chiuso e piccolo. Rispetto agli altri Paesi industrializzati, l’Italia mostrava e mostra tuttora una specializzazione atipica. È vero, infatti, che il nostro Paese non era competitivo nei confronti della Germania, degli Stati Uniti o del Giappone in termini di tecnologia, ma poteva contare su una produzione complementare di nicchia che rappresentava un fattore di protezione rispetto dalla competizione.
        L’avvento di nuovi attori, che pongono in campo gli stessi processi di specializzazione, può alla lunga risultare pericoloso, in quanto determina un aumento della concorrenza negli stessi settori in cui prima avevamo una posizione di eccellenza. Naturalmente, ciò potrà verificarsi in futuro, ma non nell’immediato: se è vero che siamo specializzati negli stessi settori, al tempo stesso, all’interno di un qualunque settore (calzature, moda, mobili e quant’altro), il livello qualitativo della nostra produzione è tale da permetterci di avere posizioni ancora complementari. I prodotti che provengono da quell’area, infatti, sono a più alta intensità di lavoro e più standardizzati e, quindi, sono basati soprattutto su una competitività di prezzo. I prodotti italiani – come sappiamo – sono di nicchia e, pertanto, meno vincolati al prezzo e più legati alla capacità di offrire una certa qualità.
        Naturalmente, con la crescita di questi Paesi e anche con l’accumularsi delle conoscenze e del
know-how, tendenzialmente la competizione potrà aumentare.
        Inoltre, in termini di costi, voglio sottolineare che oggi la delocalizzazione rappresenta sicuramente un’opportunità: non vi si può opporre
tout court, perché significherebbe far pagare alle imprese un costo evitabile. Si deve, pertanto, considerare positivamente il fatto che si sia aperto un mercato vicino, con costi di lavoro contenuti ma con un capitale umano di buona qualità. Ricordiamo che una delle principali differenze tra il mercato del lavoro dei Paesi dell’Est e quello dei Paesi del Mediterraneo – a parità di costo del lavoro – è costituita proprio dalla qualità del lavoro, che è notevolmente diversa. Il grado di scolarizzazione e di istruzione dei Paesi in via di adesione è mediamente alto e non troppo dissimile dal nostro. Quindi, il capitale umano è di buona qualità, ma a costi più bassi. Ciò ha permesso a tutte le imprese, soprattutto quelle del Nord-Est, di cogliere delle opportunità. Quando si faceva invece riferimento ai Paesi asiatici, per le piccole imprese italiane era difficile inserirsi; solo le imprese di grandi e medie dimensioni, le multinazionali (che, però, in Italia praticamente non esistono), potevano farlo. Quindi, le imprese italiane hanno delocalizzato poco nei Paesi più lontani, mentre il fatto che si sia aperta vicino a noi quest’opportunità rappresenta un grande vantaggio.
        Attualmente, forse, non riusciamo a cogliere i vantaggi della delocalizzazione in termini di rimesse e di reddito. Questo punto probabilmente andrebbe un po’ sviluppato. Per fare un esempio, osserviamo che si perdono quote di
export nel campo delle calzature o dell’abbigliamento, ma si verifica un aumento delle esportazioni di scarpe dalla Romania verso la Germania, ben sapendo che si tratta di imprese italiane. Pertanto, da un lato, è una perdita apparente, perché si tratta sempre di scarpe italiane; dall’altro, però, dalla Romania non abbiamo quelle rimesse in termini di reddito, che normalmente si hanno in presenza di multinazionali o di un sistema più trasparente di impresa.
        Un altro vantaggio, più generale, è legato alla liberalizzazione. Certamente è un nuovo mercato, con milioni di persone il cui reddito aumenta: aumentano, quindi, anche le opportunità di scambio.
        Naturalmente, si dovrebbero svolgere valutazioni sia in termini di redistribuzione dei fondi strutturali, le cui implicazioni sono evidenti, sia in termini di aiuti nel campo dell’agricoltura. Si tratta di due problemi che assumeranno sempre un maggior rilievo.
        Ritengo che in questo caso la logica indichi di riesaminare tutte le modalità adottate che, a mio avviso, hanno funzionato poco anche in Europa. Sarebbe il caso di farlo prima, ma i 10 Paesi hanno già dichiarato che intendono prima entrare e poi discuterne; credo, quindi, che da questo punto di vista difficilmente la situazione possa cambiare.
        Un’altra questione che si potrebbe esaminare riguarda le banche, anche se non è un tema di stretta pertinenza dell’Istituto per il commercio estero. Chi si occupa di internazionalizzazione, e le imprese in primo luogo, lamenta spesso la scarsa partecipazione del sistema bancario al processo di internazionalizzazione.
        Al di là delle polemiche vi sono analisi più profonde per spiegare il fenomeno. Non basta soltanto tacciare le banche di miopia, sarebbe piuttosto opportuno rendersi conto del fatto che, a fronte di una sostanziale dismissione o quantomeno del fatto che in certe aree le banche italiane si stanno ritirando – faccio riferimento, ad esempio, all’America Latina, in cui la nostra presenza è in via di riduzione così come in altri Paesi d’Europa – in quell’area stiamo assistendo invece ad una crescente presenza di banche italiane che, in qualche modo, si stanno insediando seguendo le imprese italiane che si delocalizzano in quell’area. In questo caso le modalità di partecipazione sono diverse. Sempre meno banche decidono di aprire filiali direttamente, mentre è in forte crescita la partecipazione, di maggioranza o minoranza che sia, al capitale delle banche locali.
        Oggi circa il 30 per cento delle sussidiarie estere opera in quest’area. In particolare, le partecipazioni di maggioranza sono passate da 2 a 20 e quelle di minoranza da 20 a 26. Sono invece pochissime, soltanto tre, almeno secondo i dati che abbiamo, le filiali in quell’area. Si assiste ad un crescente impegno e presenza delle banche italiane, fenomeno che non si riscontra in nessun’altra parte del mondo, che però prende la forma di partecipazione piuttosto che di presenza con banche nazionali.

        BRUNALE (DS-U). Ringrazio il dottor Quintieri per quest’illustrazione. Anche da quanto è emerso nel corso di altre audizioni, rilevo che in questo caso si è in presenza di una situazione che presenta grandi potenzialità che tuttavia non sono supportate da politiche e scelte adeguate, indipendentemente da ciò che si sta facendo a livello nazionale e di Unione europea. D’altra parte mi pare di ricordare che dai dati che lei citava emergesse che il nostro Paese, in termini di esportazioni, occupa complessivamente una fetta del 9 per cento circa in quest’area. Quindi, è senz’altro un’opportunità.
        Nell’analizzare questi dati ci si sofferma spesso – anch’io l’ho fatto nel corso della precedente audizione – sulle eventuali difficoltà che potrebbero avere questi Paesi dall’adesione o comunque sulle problematicità derivanti dal loro ingresso in Europa. D’altra parte l’audizione ha proprio lo scopo di capire lo stato dell’arte. Non vorrei però che anche dal nostro punto di vista ci si trovasse di fronte in qualche modo ad una sorta di impreparazione e difficoltà. In pratica, rispetto agli elementi che lei ha fornito alla Commissione, che fotografano una situazione, sarebbe importante conoscere in aggiunta ad essi, quali sono i programmi, le scelte, gli strumenti che l’ICE mette o è in grado di mettere in campo dal punto di vista delle risorse necessarie, per accompagnare questo processo e quindi mettere tutta la propria saggezza e capacità al servizio, in generale, del sistema produttivo nazionale e, nello specifico, della piccola e media impresa, pur mantenendo una visione che immagino debba tener puntualmente conto delle diversità esistenti nell’economia regionale o nei distretti del nostro Paese, considerata la penetrazione che deve essere in qualche modo accentuata o comunque sviluppata verso quest’area.
        Accanto a ciò, gli elementi di collaborazione o di ricerca di collaborazione con banche, enti locali o altre realtà che potrebbero fare o fanno del nostro sistema un punto di forza in quest’ottica. Mi piacerebbe conoscere gli elementi strategici su cui fa leva attualmente l’Istituto nazionale per il commercio estero, considerate le sue finalità. Quali sono i suoi programmi in questo ambito, considerata la fotografia che lei ha fatto della situazione attuale?

        TURCI (DS-U). Ringrazio il professor Quintieri e i rappresentanti dell’ICE. Il tema della nostra indagine attiene, come lei ha giustamente ricordato, agli aspetti finanziari, anche se fin dall’inizio, dalle audizioni già svolte, è emersa una particolare attenzione anche ai temi che sono più propri del suo Istituto, cioè quale tipo di integrazione è in essere e come la si possa potenziare anche in termini di economia reale.
        Tutte le informazioni che lei fornisce alla Commissione saranno sicuramente utili, anche in vista di alcuni sopralluoghi in questi Paesi, per comprendere vari aspetti e dedurre eventualmente alcuni suggerimenti di politica economica per il nostro Paese e per il Governo. Detto ciò, le faccio una domanda quasi estranea al tema dell’audizione, ma che rientra tra i compiti del suo Istituto. In relazione ad un passaggio finale del suo intervento, lei ha accennato ai possibili rischi futuri, legati ad una crescente concorrenza che la nostra produzione incontra sui mercati internazionali. Questo fenomeno, oggi come oggi, non interessa tanto questi Paesi, quanto piuttosto altri Paesi come, ad esempio, la Cina, rispetto alla quale si manifestano forti polemiche.
        Qual è la sua opinione in merito all’ipotesi, di cui si discute, di istituire un marchio che attesti l’origine europea delle merci per evitare la falsificazione dei prodotti europei? E’ questo, ad esempio, un fenomeno che si evidenzia periodicamente, sia per le ceramiche che per la meccanica relativa. In merito ricordo che il ministro Tremonti è venuto a parlare dell’istituzione di dazi, ma non credo che sia il caso di farlo se si vuole proseguire sulla strada della globalizzazione. Credo, invece, che misure tese ad evitare falsificazioni e a dare trasparenza ai flussi effettivi di produzione e commercio possano essere utili. Mi interesserebbe conoscere il suo punto di vista al riguardo.
        Vorrei anche sapere quali tipologie di supporto fornisce l’Istituto per il commercio estero alle attività commerciali e a quelle di investimento diretto da parte di imprese italiane. In particolare, vorrei sapere se l’ICE nei 10 Paesi prossimi all’entrata nell’Unione europea opera separatamente, Paese per Paese, o ha avviato iniziative per aree omogenee che riguardano specifici gruppi di questi Paesi.
        Infine, in relazione alla maggiore presenza che le banche italiane hanno acquisito in quei Paesi, secondo quanto da lei ricordato, si avverte un ritorno di vantaggi per gli operatori italiani che operano in quegli stessi Paesi?

        FRANCO Paolo (LP). La mia domanda è volta ad integrare quelle rivolte dai colleghi che mi hanno preceduto.
        È evidente che l’allargamento dell’Unione Europea, nell’ottica del commercio estero o dell’integrazione economica tra alcuni distretti italiani ed altri nuovi legati ai Paesi di nuova adesione, fa sì che le aziende italiane godano dei vantaggi esistenti (ad esempio, il costo del lavoro) e di quelli futuri che, a seguito della crescita del prodotto interno lordo dei Paesi in via di adesione, si manifesteranno indirettamente sugli Stati che potranno contare su un maggiore scambio commerciale o comunque su una grande presenza di proprie aziende in quell’area. Si tratta, quindi, di condizioni estremamente favorevoli.
        È evidente che, con il passare del tempo, queste condizioni iniziali necessiteranno di una stabilizzazione, per consentire alle ditte operanti di adeguarsi alle norme vigenti sia in materia di tutela del lavoro, sia in materia di assistenza, sanità e pensioni.
        Vorrei sapere se l’Istituto nazionale per il commercio estero interviene in questi Paesi, nell’ambito dei suoi investimenti e della sua azione istituzionale, al fine di creare iniziative di espansione per le nostre aziende che possano risultare stabili nel tempo e non limitate solamente allo sfruttamento delle condizioni oggi ottimali. Nel prossimo futuro, forse anche in meno di otto anni, tali condizioni potrebbero venire meno, con conseguenze che potrebbero rivelarsi estremamente negative.

        QUINTIERI. Preliminarmente sottolineo che in sette dei dieci Paesi considerati (escludendo Cipro, Malta e, se non erro, la Lettonia) l’ICE può contare su uffici permanenti.
        In termini generali, per quanto concerne l’attività e le scelte strategiche dell’ICE, sottolineo che l’Istituto ha due bilanci: quello di funzionamento e quello di promozione.
        Il primo è legato a tutte le attività di assistenza alle imprese e, quindi, risponde ad una logica più diretta di assistenza che l’Istituto è tenuto a dare. Il secondo, invece, riguarda la promozione della produzione italiana, ma anche le attività in termini di investimento e radicamento sul territorio. Queste ultime rappresentano il risultato di un’analisi complessa, che parte dalle linee guida elaborate ogni anno dal Ministero, dalle esperienze maturate nell’ambito dei nostri uffici e dalle richieste delle associazioni di categoria. Normalmente, quindi, esiste una logica negli interventi, anche alla luce dell’estrema frammentazione di interessi che caratterizza la nostra struttura economica.
        È evidente che una tale area non può che essere al centro delle linee guida e, quindi, dell’azione dell’Istituto. Premetto, però, che ciò dipende innanzitutto dalle risorse che, per inciso, si stanno riducendo.
        Sento fare confronti con le esperienze di Paesi come Francia e Germania, ma non si considerano mai le risorse che vengono impiegate a questo scopo negli altri Paesi: se dovessimo fare un confronto tra le risorse della Francia e quelle italiane, credo che i risultati che conseguiremmo risulterebbero enormemente migliori. Noi lavoriamo, però, con quanto è disponibile.
        Nell’area dei 10 Paesi di prossima adesione, naturalmente, vi è anche una logica di promozione del prodotto italiano, ma è meno rilevante rispetto ad aree dove vi sono mercati più maturi e redditi più alti. Non si tratta, infatti, di promuovere l’alta moda, considerato che ci si riferisce ad aree in cui il reddito
pro capite è più basso, ma piuttosto di garantire una promozione mirata al target dei Paesi cui ci si rivolge.
        La principale azione in quell’area è incentrata sull’azione di radicamento delle nostre imprese, con quanto ciò comporta e, quindi, assistenza alle imprese, operazioni di investimento e tutto ciò di cui le aziende hanno bisogno per potersi installare e rimanere produttive nel tempo. Pertanto, parliamo di investimenti a lungo termine.
        Naturalmente, anche in questo caso, bisogna stare attenti, tenuto conto della velocità di trasformazione degli strumenti e delle nuove tecnologie. È noto – immagino sia un dato a voi noto – che Paesi come l’Ungheria e la Repubblica Ceca, che sono state le prime aree di delocalizzazione, oggi delocalizzano a loro volta nelle
ex Repubbliche sovietiche. Ormai il processo è tale per cui è difficile immaginare qualcosa di statico. La Repubblica Ceca e l’Ungheria, pertanto, a loro volta delocalizzano in altre aree alcune fasi della produzione che sono ancora a più alta intensità di lavoro.
        È, dunque, importante lavorare su tre campi. Il primo è quello della formazione, rispetto al quale viene svolta un’intensa attività.
        Più in generale, si parla di
institution building, uno dei fattori di maggiore problematicità. Tra l’altro, sulla base della legge 21 marzo 2001, n. 84, che riguarda anche alcuni di questi Paesi, il Governo italiano impiegherà un ammontare piuttosto cospicuo di risorse per svolgere una serie di attività volte a favorire la stabilizzazione, la ricostruzione e lo sviluppo dell’area balcanica ed anche l’integrazione tra l’Italia e questi stessi Paesi. L’ICE è in parte coinvolto con quanto indicato dalla suddetta legge ed è in quest’ottica, dunque, che portiamo avanti le nostre attività. L’institution building assume, pertanto, un grande rilievo, soprattutto alla luce dell’integrazione europea.
        Di un certo rilievo sono anche i problemi legati alle infrastrutture e all’ambiente. In alcuni dei Paesi di prossima adesione all’Unione europea, insieme al Ministero dell’ambiente, sono in fase di predisposizione, ad esempio, alcuni progetti nel campo dei servizi di pubblica utilità. Non pensiamo, quindi, soltanto all’internazionalizzazione del manifatturiero, ma anche dei servizi, che in questa fase rappresentano un aspetto abbastanza importante. In generale, comunque, si tratta di operazioni di radicamento.
        Un aspetto sul quale vorrei tornare è quello dei distretti
. Si fa molta retorica sulla possibilità di esportare i distretti; personalmente non credo che si possano esportare tout court, considerato che sono anche frutto di contesti storici. Non mi sembra così facile.
        Accade invece che i distretti delocalizzino alcune fasi del processo produttivo. L’ICE ha il compito di assistere le nostre imprese all’estero, ma è chiaro che se un’impresa va all’estero semplicemente per delocalizzarsi – anche se lo deve fare per mantenere competitività – ciò implica contestualmente un costo per il Paese e la perdita di posti di lavoro. Pertanto, per alcuni distretti vi è un problema molto forte, nel senso che alcune fasi si stanno «svuotando»; una delle caratteristiche del distretto è che il processo produttivo, l’integrazione con il sistema bancario locale e con le imprese che producevano beni strumentali, si caratterizza per essere chiuso e per offrire prodotti di alta qualità per il mercato. Tutto ciò in una certa misura sta cambiando. Molte fasi vengono delocalizzate, alcuni distretti sono in obiettiva difficoltà. Esiste un problema interno che va risolto, cioè come aiutare i distretti italiani a cambiare; al di là della facile retorica secondo cui si vogliono portare i distretti all’estero, c’è da affrontare anche un problema interno. Si tratta anche di far affluire risorse, cioè attrarre investimenti per far sì che i distretti che perdono alcune caratteristiche ne acquisiscano altre, diventando
leader in termini di tecnologia e di capacità innovativa.
        Oltre ad assistere le imprese a delocalizzarsi all’estero, è necessario che le imprese stesse operino insieme. Una delle caratteristiche dell’esportazione dei distretti, o almeno di una parte di essi, è legata ad un agire comune che consenta loro di prosperare o almeno di sopravvivere. Esiste poi un altro elemento importante – una lezione che nasce dalla storia dei distretti – per la nascita di un distretto all’estero, a meno che non sia un mero fatto delocalizzativo: piuttosto che pensare di delocalizzare, trovare all’estero quelle condizioni di
know-how e di tradizione che permettano di realizzare una sinergia tra imprese italiane e straniere.
        Per quanto riguarda le banche, è chiaro che esse vanno nei Paesi in cui vi è presenza di imprese e le cose vanno meglio. È difficile capire se le banche vanno nei luoghi in cui le cose vanno meglio o se le cose vanno meglio perché esistono le banche. Probabilmente le banche aiutano, ma se il processo fosse più incerto non ci andrebbero.
        Infine, il problema dei marchi è molto complesso. In ambito europeo ci si sta occupando del problema, ma la complessità è data anche dal fatto che nel marchio europeo dovrebbero eventualmente rientrare anche questi 10 Paesi. Una volta individuato il marchio, il problema non sarebbe comunque risolto, nel senso che un prodotto italiano fatto in Romania a costi quattro volte più bassi dovrebbe avere un marchio «
made in Europe», il che non risolve la questione dal punto di vista nazionale. Il marchio europeo serve per la contraffazione verso l’esterno, ma resta il problema di come tutelare il prodotto italiano, visto che i nostri prodotti sono facilmente imitabili, soprattutto laddove esista un know-how adeguato.
        Ci sarebbero vari aspetti ancora da esaminare, che però, per ragioni di tempo, non è possibile affrontare. Avviso soltanto del rischio legato ai prodotti cinesi, che non sono solo bravi nella contraffazione ma anche nel tutelarsi. Hanno sviluppato o stanno sviluppando una modalità che si sarebbe dovuto prevedere anche in Italia. In alcuni casi scrivono «
made in China», ma poi aggiungono: prodotto di stile italiano. In questo modo, pur indicando che è un loro prodotto, contestualmente non omettono di dire che si tratta di un prodotto italiano. Si sono messi in regola.
        PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il contributo offerto e dichiaro conclusa l’audizione.
        Rinvio il seguito dell’indagine conoscitiva ad altra seduta.
        I lavori terminano alle ore 16,30.
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