INDUSTRIA (10ª)
MARTEDI' 23 LUGLIO 2002
89ª Seduta (notturna)
Presidenza del Presidente
PONTONE
La seduta inizia alle ore 20,30.
PROCEDURE INFORMATIVE
Seguito dell'indagine conoscitiva sull'industria dell'automobile: proposta di documento conclusivo
(Esame e rinvio)
Il presidente PONTONE precisa che, dopo la conclusione delle audizioni svolte congiuntamente alla Commissione attività produttive della Camera, gli Uffici di presidenza delle due Commissioni hanno convenuto sulle linee generali del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva. Consegna, quindi, ai Commissari presenti la bozza del documento, soffermandosi brevemente sulle considerazioni e sulle proposte contenute nella parte finale. Propone di rinviare la discussione su di esso nella seduta antimeridiana di domani.
Conviene la Commissione.
La seduta termina alle ore 20,40.
ALLEGATO
INDAGINE CONOSCITIVA SULL’INDUSTRIA DELL’AUTOMOBILE
Proposta di documento conclusivo
1. Finalità e contenuti dell’indagine conoscitiva
L’indagine conoscitiva sull’industria dell’automobile è stata deliberata dalla X Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera il 30 maggio 2002 e dalla X Commissione industria, commercio, turismo del Senato il 5 giugno 2002. Le relative audizioni sono state svolte congiuntamente dalle due Commissioni ed hanno avuto inizio il 6 giugno 2002.
L’indagine ha preso le mosse dalla constatazione di una situazione di crisi dell'industria automobilistica, particolarmente accentuata per il principale gruppo nazionale, ponendosi i seguenti obiettivi:
- approfondire le tendenze in atto a livello europeo e mondiale, per comprendere quali siano le prospettive di medio-lungo periodo e come su di esse incidano i fattori contingenti e di breve periodo;
- valutare quale sia la situazione attuale dell'industria automobilistica italiana e quali condizioni le possano consentire di affrontare la competizione sul mercato europeo e su quello mondiale, tanto in una prospettiva di breve termine, quanto nel medio-lungo periodo;
- valutare quali possano essere gli effetti di tale situazione e delle sue possibili evoluzioni sul cosiddetto indotto e, più in generale, sull'intero tessuto produttivo nazionale;
- valutare quali potrebbero essere gli effetti sull'industria automobilistica italiana del venir meno di una proprietà nazionale della medesima.
Nel corso dell’indagine le Commissioni hanno proceduto alle seguenti audizioni:
6 giungo 2002, Audizione di rappresentanti dell’UNRAE (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri): Salvatore Pistola,
Presidente
;
6 giugno 2002, Audizione di rappresentanti dell’ANFIA (Associazione nazionale fra industrie automobilistiche): Carlo Sinceri,
Presidente
, Alberto Bombassei,
Presidente del Gruppo Componentistica dell’ANFIA
;
6 giugno 2002, Audizione di rappresentanti dell’AMMA (Associazione industriali metallurgici meccanici affini): Alberto Pejrani,
Presidente
;
6 giugno 2002, Audizione di rappresentanti della FEDERAICPA (Federazione delle associazioni italiane dei concessionari della produzione automobilistica): Vincenzo Malagò,
Presidente
;
20 giugno, Audizione di rappresentanti degli enti locali con territorio a forte vocazione nell’industria automobilistica: Michele Caiazzo,
Sindaco di Pomigliano d’Arco
; Sergio Chiamparino,
Sindaco di Torino
; Alfonso Navazio,
Sindaco di Melfi
; Bruno Vincenzo Scittarelli,
Sindaco di Cassino
;
20 giugno, Audizione di rappresentanti dell’OICA (
Organisation internationale des costructeurs d’automobiles)
: Emilio Di Camillo,
Ex presidente e attuale tesoriere dell’OICA e direttore generale dell’ANFIA (Associazione nazionale fra industrie automobilistiche)
;
21 giugno, Audizione di rappresentanti di FIAT Spa: Giancarlo Boschetti,
Amministratore delegato FIAT auto Spa
; Paolo Fresco,
Presidente ed amministratore delegato della FIAT Spa
;
21 giugno, Audizione di esperti del mondo accademico: Patrizio Bianchi,
Preside della facoltà di economia dell’Università di Ferrara
; Carlo Maria Guerci,
Ordinario di economia politica presso l’Università degli studi di Milano – Facoltà di scienze politiche
;
24 giugno, Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL, UGL: Domenico Fresilli,
Segretario confederale dell’UGL
; Tonino Regazzi,
Segretario nazionale dell’UILM
; Gianni Rinaldini,
Segretario generale della FIOM-CGIL
; Cosmano Spagnolo,
Segretario nazionale della FIM-CISL
;
26 giugno, Audizione di rappresentanti delle regioni: Enzo Ghigo,
Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome
; Gilberto Pichetto Fratin,
Assessore all’industria del iemonte
; Massimo Zanello,
Assessore all’industria della Lombardia
;
4 luglio, Audizione di rappresentanti della Conferenza italiana della piccola e media industria privata (CONFAPI): Sandro Naccarelli,
Direttore generale della Confapi
; Sergio Rodda,
Presidente API Torino
; Ida Vana,
Consigliere API Torino;
4 luglio, Audizione di rappresentanti di FISMIC: Roberto Di Maulo,
Segretario generale della FISMIC
4 luglio, Audizione di rappresentanti della Confederazione Unitaria di Base (CUB) e di SLAI COBAS: Mara Malavenda
, Rappresentante di SLAI COBAS
; Carlo Pariani
, Segretario nazionale FLM uniti e responsabile settore auto;
5 luglio, Audizione di esperti in consulenza aziendale: Roland Berger,
Esperto in consulenza aziendale
;
8 luglio, Audizione di rappresentanti di Confindustria: Antonio D’Amato,
Presidente di Confindustria
;
8 luglio, Audizione del ministro delle attività produttive, Antonio Marzano;
11 luglio, Audizione di rappresentanti di IntesaBci, Unicredito Italiano, Capitalia-Banca di Roma, San Paolo IMI: Aslfonso Iozzo,
Amministratore delegato San Paolo IMI
; Rainer Masera,
Presidente San Paolo IMI
;
11 luglio, Audizione di rappresentanti di Mediobanca Spa-Banca di credito finanziario: Vincenzo Maranghi,
Amministratore delegato e direttore generale di Mediobanca Spa;
Renato Pagliaro,
Vicedirettore generale di Mediobanca
.
2. Realtà e prospettive del mercato automobilistico mondiale
I mercati automobilistici possono essere ricondotti a tre distinte tipologie: i mercati dei Paesi in ritardo di sviluppo nei quali l’automobile ha una diffusione limitata; i mercati dei Paesi in crescita nei quali il mercato dell’automobile è in tendenziale espansione ma anche assai esposto alla congiuntura economica; i mercati maturi, quelli dei Paesi occidentali, tipici mercati di sostituzione.
La domanda di automobili dipende in misura considerevole dalla crescita dell’economia: quando il prodotto interno lordo aumenta si registra anche un incremento della domanda di automobili nuove. Nei Paesi occidentali il mercato dell’automobile, in quanto mercato di sostituzione, è inoltre fortemente ciclico e denota scarse possibilità di crescita quantitativa.
A livello mondiale, nel 2000 si è registrato un record delle immatricolazioni con 45 milioni e 400 mila vetture immatricolate. Nel 2001 si è raggiunto lo stesso livello dell’anno precedente, anche se hanno cominciato a manifestarsi taluni segnali di crisi a causa dell’indebolimento del ciclo congiunturale internazionale e degli atti terroristici verificatisi negli Stati Uniti l’11 settembre. Nel 2001 la produzione mondiale è diminuita del 3% rispetto all’anno precedente. Nel 2002 il mercato è stato quindi interessato da evidenti criticità. Nei primi cinque mesi dell’anno negli Stati Uniti la domanda è scesa del 2,6%, mentre in Europa la diminuzione è stata del 3,4%. In Europa, solo il Regno Unito ha proseguito una fase espansiva (+8,8%) rispetto allo stesso periodo del 2001, mentre gli altri grandi mercati registravano decrementi modesti (Francia –2,5%; Germania –3,4%), più marcati (Spagna –6,7%) o decisamente evidenti (Italia –12,7%).
Gli esperti, per i prossimi cinque anni, prevedono un mercato stagnante, che avrà una crescita del 2-2,5%. Il mercato si svilupperà tuttavia secondo dinamiche differenti. Per il Giappone si prospetta una flessione del mercato; in Europa il mercato risulterà più o meno stabile; nell’America del nord si avrà una crescita di circa l’1,8%; mentre si prevede una consistente crescita dei mercati emergenti: +11% in Sudamerica, +9% in Cina, +7,5% in Europa orientale, +6,5% nel resto dell’Asia.
In tutti i Paesi occidentali i mercati risultano caratterizzati da un’accentuata competizione che ha generato una vera e propria guerra commerciale, sia in termini di prezzi sia in termini di arricchimento delle dotazioni. Si è inoltre passati da un’organizzazione per mercati regionali allargati, ad esempio l’Europa, ad una organizzazione globale, che comporta anche uno spostamento della produzione e non solo di filiali di vendita. Tale dislocazione rappresenta un’opportunità ma comporta anche l’assunzione di una serie di rischi poiché il successo delle case costruttrici risulta fortemente legato alla situazione economica congiunturale dei singoli Paesi, spesso affetti da debolezze di tipo strutturale e le cui prospettive di crescita, nel breve e medio periodo, appaiono incerte e fragili.
Quello dell’automobile si configurerà in misura sempre maggiore come un settore difficile, caratterizzato da una fortissima competizione che impone continue trasformazioni ed aggiornamenti delle strategie. Negli ultimi anni si sono annullate molte delle barriere protezionistiche che avevano in passato protetto i mercati interni. Le caratteristiche progressivamente assunte dal mercato dell’automobile hanno comportato una diminuzione del numero dei produttori indipendenti, scesi da 40 nel 1970 a soli 14 nel 2001, mentre le previsioni per il 2010 prevedono solo 7 produttori indipendenti a livello mondiale. Una significativa sfida è costituita dalle capacità eccedenti. Secondo il prof. Berger, nell’anno 2001, su una produzione di circa 55 milioni di vetture l’anno, le capacità eccedenti hanno raggiunto quasi 22 milioni e 500 mila unità, pari ad una sovracapacità di quasi il 30%. Tale sovracapacità risulta crescere nell’ordine del 6% l’anno.
Il settore automobilistico è inoltre contraddistinto da una bassa redditività. Negli ultimi dieci anni, l’utile operativo in relazione al capitale investito è diminuito del 6%. In sostanza, come osservato dal prof. Berger, nell’ultimo decennio il settore ha fatto registrare un reddito negativo e la situazione si va via via aggravando. Operare nell’automobile diventerà sempre più complesso, competitivo e difficile: i cicli di vita dei prodotti diventeranno sempre più corti e si registrerà una riduzione dei volumi di vendita per veicolo (con conseguente aumento dell’incidenza economica dell’attività di ricerca e sviluppo), e, per ogni modello, si osserverà un aumento di complessità sia in termini di numero di parti sia in termini di innovazione sempre più rapida specialmente sotto il profilo tecnologico.
Si sta inoltre modificando la struttura del mercato, facendo registrare una riduzione dei marchi di volume come quelli del gruppo FIAT e l’aumento dei marchi di
value
, quelli a prezzi bassissimi che provengono in buona parte dalla Corea e in futuro dalla Cina, nonché dei marchi
premium
come quello Alfa Romeo.
In tale contesto, i produttori cercano di differenziarsi dai concorrenti attraverso una continua ed accelerata innovazione dei prodotti realizzata sia aumentando gli investimenti in ricerca e sviluppo sia attraverso una gestione strategica dei diversi marchi presenti nei vari gruppi. I produttori più importanti perseguono inoltre l’obiettivo di offrire modelli in tutti i settori dell’automobile, anche nei sottosettori e nelle nicchie di mercato, cercando al contempo di limitare i costi di produzione realizzando piattaforme condivise.
Tutti i maggiori produttori utilizzano oggi marchi diversi per rispondere ad una domanda sempre più sofisticata e complessa, come bene delineato dall’esempio di Volkswagen che ha riposizionato la sua offerta attraverso la gestione coordinata dei marchi Porsche, Audi, Volkswagen, Seat, Skoda, in ragione della tipologia di cliente a cui rivolgersi in termini di prezzo, prestazioni, stile del prodotto. In particolare, i grandi gruppi, dopo aver consolidati ingenti processi di fusione (come nel caso Daimler-Chrysler) o dopo acquisizioni di case minori (come nel caso Ford-Volvo o GM-Saab) o
partnership
strategiche di grande rilevanza con sostanziale controllo delle produzioni (Renault con Nissan; Daimler-Chrysler con Mitsubishi e Hyunday; GM con Isuzu, Suzuki e Honda) non solo non hanno dismesso i marchi precedenti, ma hanno compiuto una sostanziale azione di riposizionamento del marchio acquisito, collocandolo in un portafoglio di prodotti, rispetto al quale definire specifiche strategie di
marketing
, così da cogliere tutte le opportunità di un mercato maturo, in cui convivono acquirenti con preferenze diverse nella stessa fascia di cilindrata.
A titolo di esempio si ricordi così come nella fascia “
small
”, su cui tradizionalmente è
leader
Fiat, convergono oggi appunto i cosiddetti prodotti “
value
”, a bassissimo prezzo, provenienti dall’estremo oriente, ma anche prodotti europei ad alto prezzo, come quelli offerti dal gruppo Daimler-Chrysler. Si delinea così uno scenario competitivo per il quale diviene sempre più necessario operare su una varietà di comparti molto specificati in ragione della tipologia di cliente finale, mantenendo una coerenza di immagine, nonché su mercati di vaste dimensioni per garantire i volumi di produzione. E’ questa la motivazione fondamentale del processo di consolidamento che si sta registrando a livello mondiale.
3. L’andamento del mercato automobilistico nazionale
Il mercato dell’automobile è alimentato da un’intensa attività industriale e commerciale organizzata in una complessa filiera che procede dalle fabbriche sino al cliente finale coinvolgendo il sistema delle concessionarie e delle officine autorizzate. Lo sviluppo del mercato automobilistico richiede cospicui investimenti finanziari, un’intensa attività di ricerca e sviluppo, la disponibilità di tecnologie avanzate e la formazione di risorse umane di elevata qualificazione.
Il mercato italiano è senza dubbio un mercato maturo, di sostituzione, fortemente ciclico e caratterizzato da un eccesso di produzione. Negli ultimi quindici anni il mercato nazionale ha attraversato tre fasi distinte. Negli anni tra il 1987 ed il 1992 si è verificata una significativa crescita della domanda di automobili, toccando livelli compresi tra i 2,2 ed i 2,4 milioni di veicoli immatricolati. Nel periodo 1993-1996 si è invece verificata una sensibile flessione della domanda di automobili e le immatricolazioni hanno riguardato annualmente circa 1.700.000 – 1.800.000 veicoli.
A partire dal 1997 il mercato è stato stimolato attraverso gli incentivi alla sostituzione delle vetture non catalizzate con veicoli nuovi (la c.d. rottamazione). In particolare, il fenomeno ha interessato i diciotto mesi compresi tra il gennaio del 1997 ed il giugno 1998, determinando una crescita del mercato che ha registrato aumenti delle immatricolazioni sino a 2.200.000 – 2.300.000 veicoli e si è protratta sino al 2001. Negli anni 2000 e 2001 sono stati raggiunti i record storici di oltre 2.440.000 automobili immatricolate.
La rottamazione ha indotto ad anticipare l’acquisto delle automobili nuove determinando una concentrazione e quindi un sensibile aumento della domanda. La crescita del mercato si è tuttavia protratta, come osservato, sino al 2001 e quindi ben oltre il termine del periodo interessato dagli incentivi. Nel corso delle audizioni è in proposito emerso come i costruttori abbiano continuato autonomamente a sostenere la domanda praticando una politica di sconti e dando ampio spazio al fenomeno delle vetture a “chilometri zero”. E’ stata in particolare esercitata una forte pressione da parte di alcuni costruttori sulle reti di vendita perché autoimmatricolassero un certo numero di vetture da cedere nei mesi successivi. Ricorrendo a tali strumenti è stato raggiunto, nel 2001, il record di immatricolazioni al quale si è accennato per un totale di 2.430.000 veicoli. Tutto ciò ha comportato costi non indifferenti per i costruttori che hanno eroso i margini di guadagno in un settore già contraddistinto da una bassa redditività e da un livello di competizione assai elevato.
Nel 2002 si è alla fine evidenziata una flessione generalizzata della domanda in parte dovuta all’impossibilità di continuare a ricorrere alle misure attraverso le quali la domanda stessa era stata artificiosamente rafforzata ed in parte al fatto che si è entrati nella fase di sostituzione delle vetture acquistate tra il 1993 ed il 1996 (è stato calcolato che l’età media delle vetture in Italia è di oltre sette anni) pari a circa 1.700.000 – 1.800.000 automobili. Attualmente si prevede che la domanda si attesterà, alla fine del 2002, sui 2.080.000-2.100.000 vetture ma vi è anche chi ritiene che le immatricolazioni riguarderanno circa 2.050.000 vetture.
Va sottolineato come risulti impossibile distinguere le dinamiche interne al mercato nazionale dalle dinamiche competitive che si stanno registrando a livello mondiale. Le scelte operate dai grandi produttori a livello mondiale determinano atteggiamenti competitivi di forte aggressività a cui negli anni il produttore nazionale, anche sul mercato interno, ha potuto resistere con crescente difficoltà. La maturità della domanda interna si traduce in una articolazione e frammentazione della domanda stessa a cui si contrappone oggi una offerta straordinariamente articolata da parte dei produttori, che hanno negli ultimi tempi ridisegnato i loro portafogli-prodotto avendo come riferimento l’intero mercato mondiale.
4. L’industria automobilistica nazionale
L’industria dell’automobile rappresenta il comparto più significativo dell’industria manufatturiera nazionale e fornisce un contributo di estrema importanza per quanto riguarda l’attività di ricerca e sviluppo, l’introduzione di nuove tecnologie e la creazione di occupazione. Secondo dati forniti dall’ANFIA, il settore automobilistico rappresenta tra il 4,5 ed il 5% del valore aggiunto dell’industria manufatturiera; occupa, direttamente e indirettamente, circa un milione e mezzo di addetti (il 7% degli occupati); genera una massa di consumi pari a 200 miliardi di euro e spende annualmente, per investimenti fissi lordi, un miliardo di euro. La produzione di veicoli e componenti auto impiega 190 mila addetti, la distribuzione e l’assistenza post-vendita 380 mila. Considerando anche i fornitori delle materie prime, si raggiunge, come accennato, quasi il milione e mezzo di addetti.
Gli investimenti annuali del solo gruppo FIAT in ricerca e sviluppo (pari a circa 18.000 milioni di euro) rappresentano il 15% del totale degli investimenti in ricerca e sviluppo del sistema Italia ed il 25% se consideriamo solo gli analoghi investimenti effettuati dall’ industria privata. Le spese in ricerca e sviluppo di FIAT rappresentano anche fattori di trasferimento tecnologico verso le piccole e medie imprese.
Secondo dati dell’AMMA, complessivamente nella sola area piemontese la spesa in ricerca e sviluppo è pari a circa l’1,6% del PIL ed occupa il primo posto nella graduatoria nazionale. Di questo 1,6%, l’1,3% rappresenta quanto spendono direttamente le imprese. A fronte di tali dati, si registra invece una spesa per la ricerca pubblica pari a solo il 5% della spesa nazionale. Nel 2000, la bilancia tecnologica regionale ha presentato il saldo positivo più elevato d’Italia: circa 112 milioni di euro, risultato della differenza tra 528 milioni di euro di entrate e 415 milioni di euro di uscite.
L’industria dell’auto nel suo complesso assicura inoltre il 22 % delle entrate tributarie dello Stato; nel 2001 sono stati pari a 134.000 miliardi di lire gli introiti riconducibili all’industria automobilistica.
Va sottolineato come, accanto al grande produttore nazionale, abbiano avuto progressivamente modo di svilupparsi altri segmenti industriali spesso caratterizzati da un elevato contenuto di creatività e di innovazione. E’ in proposito da ricordare il sistema dei carrozzieri italiani concentrato il Piemonte che non ha eguali a livello mondiale.
Il fenomeno più rilevante è tuttavia rappresentato dall’affermazione di una fortissima industria della componentistica. La componentistica italiana ha espresso nel 2001 un fatturato di oltre 24 miliardi di euro, con un
export
di 10 miliardi di euro e con un saldo positivo della bilancia dei pagamenti pari a 3 miliardi e 600 milioni di euro. Il tratto che oggi caratterizza tale industria, costituita essenzialmente da piccole e medie imprese, è dato dall’essere legata solo in parte alla FIAT e dall’aver acquisito una quota significativa di autonomia dimostrando di essere in grado di competere a livello internazionale. L’industria componentistica nazionale risulta oggi lavorare per la FIAT nella misura media del 35-40%. La componentistica è inoltre un’industria molto diversificata: esistono numerose multinazionali ma anche un numero cospicuo di aziende originarie del territorio. E’ stato inoltre ricordato che, dato un valore dell’autovettura pari a 100, la componentistica vale da un 60 ad un 70% e coinvolge una pluralità di settori, in particolare il metallurgico, il meccanico, l’elettrico e l’elettronico.
Le caratteristiche dell’industria della componentistica sono state, in particolare, approfondite nel corso dell’audizione dell’AMMA. Una parte della componentistica produce per il mercato di primo equipaggiamento ed un’altra per il mercato dei ricambi. Tra i fornitori di primo livello figurano anche imprese di grandi dimensioni. Nel primo livello, che fornisce direttamente la casa automobilistica, in Piemonte sono presenti circa 400 aziende ed in Lombardia 380. In Piemonte sono invece complessivamente nella catena circa 1.200 aziende, la gran parte delle quali operano come fornitori delle 400 prima ricordate. Non mancano peraltro aziende attive nel sud del Paese. E’ inoltre cresciuta la quota del settore destinata all’esportazione: un terzo del fatturato, circa il 35%, è oggi destinato all’estero. La crisi della FIAT ha avuto accentuate ricadute di segno negativo sulle aziende della componentistica di secondo e terzo livello, che hanno dimensioni più contenute, mentre il primo livello, ove sono presenti aziende in grado di realizzare una diversificazione di prodotto e di mercato, sta vivendo un momento difficile ma sicuramente non drammatico.
In Italia è presente esclusivamente una produzione automobilistica nazionale. A differenza di altri Paesi europei, ed in particolare di Gran Bretagna e Spagna, l’Italia non si è rivelata capace di attrarre significativi investimenti industriali per la produzione di automobili, nonostante la quota delle marche estere abbia raggiunto, nei primi cinque mesi del 2002, il 68 % del totale.
Negli ultimi anni, inoltre, l’Italia ha perso rilevanza nell’ambito delle nazioni produttrici: mentre, ad esempio, i francesi sono stati capaci di aumentare del 40% i loro volumi di produzione e la Germania e la Spagna hanno accresciuto i loro volumi rispettivamente del 13 e del 12%, in Italia il volume di produzione è diminuito del 15%. L’aumento dei volumi di produzione è stato in questi paesi frutto anche di scelte strategiche di imprese che hanno da tempo delineato accordi a livello globale ed avviato azioni di consolidamento, non solo per disporre di strumenti di razionalizzazione produttiva su grandi volumi, ma anche per concretizzare interventi di gestione del mercato e di consolidamento di reti distributive di estensione mondiale.
La riduzione della domanda sta avendo conseguenze sui livelli di occupazione. Nel corso delle audizioni, i rappresentanti degli enti territoriali e delle organizzazioni sindacali hanno espresso preoccupazioni legate non tanto al breve periodo quanto al medio e lungo termine, rilevando come, qualora la crisi del gruppo FIAT non venga affrontata con misure strutturali di carattere straordinario, vi sia il rischio di un drastico ridimensionamento dell’industria automobilistica nazionale.
Il presidente di Confindustria ha sottolineato come l’industria automobilistica sia afflitta da problemi comuni a tutto il sistema produttivo quali la mancanza di competitività del sistema paese e la perdita di significative quote di mercato a livello internazionale. Le stesse difficoltà ad operare in un mercato competitivo ed integrato risultano appartenere a tutto il sistema italiano.
5. FIAT: una crisi che viene da lontano
5.1 Esame delle criticità e strategia di rafforzamento finanziario
Nel corso dell’indagine è stata dedicata una particolare attenzione alla crisi che ha investito il settore automobilistico del gruppo FIAT.
I responsabili della FIAT hanno osservato come la crisi in atto dipenda da alcune debolezze originarie che si sono combinate con un deterioramento della congiuntura economica internazionale. Il prof. Guerci ha sostenuto che si tratta di una crisi di origini remote. Già negli anni ’80, ha inoltre osservato il prof. Bianchi, era evidente come il soggetto dominante del mercato nazionale, per poter mantenere i propri volumi, più che andare in Brasile o in Argentina, dovesse “invadere il mercato del vicino”, il mercato europeo. Gli investimenti FIAT si sono invece in gran parte riversati nei paesi in via di sviluppo, in cui si è applicata la strategia che FIAT aveva impiegato in Italia, proponendo macchine di piccole dimensioni e concepite come utilitarie. Tale strategia, come ha ricordato il Ministro Marzano, è stata preferita a quella – sviluppata dagli altri grandi produttori – finalizzata all’obiettivo di concludere alleanze strategiche volte verso nuove tecnologie e nuovi prodotti.
Il calo della domanda automobilistica ha particolarmente interessato aree che rappresentano importanti mercati di sbocco per la FIAT. In Italia, innanzitutto, nei primi cinque mesi del 2002, la domanda è scesa del 13% a fronte di un calo del 4% a livello europeo. Particolarmente pesanti sono inoltre le situazioni di altri mercati importanti per il gruppo: per il 2002 si prevede un calo della domanda del 20% in Polonia, del 57% in Turchia e del 12,5% in Brasile.
Va in aggiunta rilevato come, nel quadro di una diminuzione delle vendite in Italia ed all’estero da parte di tutti i costruttori, FIAT abbia perso significative quote di mercato a vantaggio delle concorrenti che non registrano risultati così fortemente negativi. Il fenomeno tuttavia non è nuovo. Il marchio FIAT è passato in Europa dal 10,1% del 1990 al 7,2% del 2001, sino a toccare il 6,8% nel 2002. Le quote del marchio Lancia, pari al 2,3% nel 1990, sono scese all’1% nel 2001 ed allo 0,8% nei primi quattro mesi del 2002. Un andamento meno negativo è stato registrato dal marchio Alfa Romeo: passato da 201 mila vetture nel 1990 a 202 mila vetture nel 2001, con una lieve caduta delle quote di mercato dall’1,5 all’1,35%. In Italia la quota FIAT è scesa dal 36% del 1990 al 24% dei primi quattro mesi del 2002, nello stesso periodo, la quota Lancia è passata dal 9,9% al 4,4% e quella dell’Alfa Romeo dal 5,6% al 3,7%. Il prof. Guerci ha in proposito sostenuto che il marchio Lancia risulta privo di notorietà e attrattività mentre il marchio Alfa Romeo ha potenzialità formidabili avendo fortissima notorietà all’estero anche se le sue produzioni non possiedono ancora una significativa attrattività. A suo giudizio il gruppo non ha la forza di gestire tre marchi simili. Il prof. Bianchi ha tuttavia sottolineato come tutte le imprese automobilistiche gestiscano oggi una pluralità di marchi sulla base di strategie finalizzate ad intercettare fasce diverse della domanda. La debolezza attuale della Fiat deriva in ogni caso dall’avere mantenuto una presenza dominate, ma sempre più necessariamente difensiva, sul solo mercato italiano, e dall’avere ridotto le quote nel resto d’Europa, con sostanziali problemi di distribuzione al di fuori ed in molti casi anche all’interno del Paese.
Già a partire dalla fine dello scorso anno, FIAT ha assunto una serie di provvedimenti di carattere industriale e finanziario diretti a contrastare la crisi in atto. I vertici del gruppo hanno inteso affrontare due problemi di fondo: l’indebitamento e la redditività di FIAT auto. L’indebitamento netto del gruppo FIAT, alla fine del primo trimestre del 2002, ammontava a circa 6,6 miliardi di euro. Un simile livello di indebitamento netto non è, a giudizio del presidente di FIAT, da ritenersi alto, ma è stato ugualmente deciso di ridurlo cedendo, nel corso del 2001, l’attività di Magneti Marelli per un importo di circa 2,5 miliardi di euro. Il clima di generale incertezza della fine dello scorso anno ha reso tuttavia impossibile conseguire tale obiettivo.
L’indebitamento lordo del gruppo FIAT, alla fine del primo trimestre del 2002, risultava invece pari a 35,574 miliardi di euro, alla stessa data, l’indebitamento lordo del gruppo Italenergia ammontava a 13,8 miliardi di euro. Pertanto, l’indebitamento complessivo, secondo i criteri sulla valutazione dei grandi rischi adottati dalla vigilanza bancaria e sino a quando non si procederà al decumulo del debito, risultava pari a 49,4 miliardi di euro.
I vertici FIAT hanno inoltre sottolineato come, il brusco cambiamento di atteggiamento dei mercati finanziari in conseguenza della crisi di alcune importanti aziende americane, abbia indotto a guardare con molta attenzione ad ogni posizione debitoria. Ciò ha in particolare comportato che le attività svolte dalle società finanziarie interne ai gruppi industriali venissero assommate nella valutazione degli analisti delle società di
rating
al debito industriale. Da qui la scelta di deliberare, nel dicembre scorso, l’aumento di capitale di FIAT Spa e quello di CNH, nonché la decisione della quotazione in borsa della Ferrari, originariamente prevista per la fine dell’anno e di cui FIAT intende comunque mantenere più del 50%. Successivamente il gruppo ha tuttavia accettato un offerta di Mediobanca relativa all’assunzione a fermo del pacchetto azionario della FIAT. Mediobanca ha assicurato un prezzo e si è riservata di avviare il collocamento in borsa nel momento più favorevole. Come ha chiarito il dott. Maranghi, l’operazione ha consentito a FIAT di incassare 1.500 miliardi di lire in tre giorni e di registrare nel conto economico semestrale una plusvalenza pari a 600 milioni di euro.
A sostegno della strategia di rafforzamento finanziario, FIAT ha inoltre stipulato due importanti intese. La prima, raggiunta con Banca di Roma, Intesa BCI, San Paolo IMI, Unicredito, BNL, Monte dei Paschi ed aperta all’adesione di altri istituti, è volta a ridurre l’indebitamento netto e prevede l’impegno da parte delle banche a garantire per tre anni un eventuale aumento di capitale della FIAT, mediante l’emissione di un opzione di azioni ordinarie. La garanzia ha la forma di un finanziamento di pari importo immediatamente erogato alla FIAT, che verrà convertito in azioni, offerte, successivamente, dalle banche in opzione agli azionisti. Banca di Roma, Intesa BCI, San paolo IMI ed Unicredito, inoltre, si sono offerte di acquisire il 51% delle attività di servizi finanziari di FIAT auto, permettendo di abbattere l’indebitamento lordo di oltre 8 miliardi di euro. Il contenuto dell’accordo risulta tuttavia ancora in via di definizione e dovrà in particolare tenere conto degli accordi intercorsi con General Motors (GM).
Il dott. Masera ha rilevato come l’attuazione del piano di ristrutturazione apparisse ed appaia condizionato in maniera prioritaria al conseguimento della riduzione del debito del gruppo, oggetto degli interventi da parte del sistema bancario. Ha inoltre aggiunto come la prima delle predette intese abbia comportato la sottoscrizione di un accordo quadro contenente un articolato piano di iniziative incidenti per FIAT sia sul versante finanziario sia su quello strategico-industriale. Il dott. Masera ha inoltre chiarito come, nel quadro dell’accordo prima menzionato, le banche si siano impegnate attraverso la trasformazione dei propri crediti, in prevalenza a breve termine, a sottoscrivere un finanziamento “convertendo” che, di fatto, garantisce per i prossimi tre anni, ove necessario, un’adeguata capitalizzazione di FIAT. Il prestito è di 3 miliardi di euro, ha una durata massima di tre anni e prevede un rimborso con sottoscrizione di azioni ordinarie FIAT, da attuarsi con compensazione dei crediti oggetto del prestito “convertendo” in sede di aumento di capitale, con l’obbligo delle banche di offrire le azioni ricevute in opzione agli azionisti FIAT.
Confindustria ha in proposito evidenziato come, al di là dello specifico caso della FIAT, occorra prestare particolare attenzione al forte e crescente coinvolgimento delle banche nei confronti delle vicende del sistema delle aziende, in quanto esso potrebbe rappresentare un elemento di indebolimento a carico della capacità competitiva del nostro sistema bancario e finanziario.
I criteri di valutazione dei grandi rischi adottati dal sistema bancario, che comportano la possibilità di sommare i debiti di FIAT a quelli di Italenergia, hanno inoltre indotto FIAT, nell’ambito degli accordi tra i soci di Italenergia, a cedere una quota del 14% delle società alle banche
partner
. Il dott. Masera ha precisato che le autorità di vigilanza stanno valutando la possibilità di procedere al decumulo dell’indebitamento.
Italenergia spa, come ricordato dal dott. Iozzo, è il veicolo societario attraverso il quale, nel corso del 2001, il gruppo FIAT (con una quota del 38%), tre banche (Banca di Roma, San Paolo IMI e Intesa Bci, con una quota complessiva del 23%), la Carlo Tassara Spa (con una quota del 20%) ed Electricité de France (con una quota del 18%), hanno effettuato l’acquisizione della maggioranza del capitale di Montedison e di Edison.
FIAT ha inoltre ottenuto da un consorzio bancario guidato da
Citigroup
un finanziamento per circa un miliardo e 200 milioni di euro assistito da una
put option
su Electricité de France (EDF) da esercitare nel 2005 per quel che riguarda la restante quota del 24% di Italenergia-bis. In tal modo FIAT, secondo quanto dichiarato dal Presidente Fresco, si è assicurata la possibilità di crescere in futuro nel capitale di Italenergia attraverso l’utilizzo dei diritti di prelazione. Il dott. Iozzo ha chiarito come, nel 2005, EDF avrà la facoltà di acquistare dalle banche la quota del 23% dalle stesse originariamente detenuta. Analoghi accordi, secondo quanto dichiarato dal dott. Iozzo, sembrerebbero previsti tra la Carlo Tassara Spa e la stessa EDF. FIAT avrà a sua volta la facoltà di cedere ad EDF, sempre nel 2005, il proprio pacchetto residuo, pari al 24%. A quella data, tuttavia, FIAT potrà anche decidere di acquisire, pro quota, il pacchetto che le banche possono vendere ad EDF. In altri termini, alla data del 2005, EDF potrebbe essere nelle condizioni di acquisire un ulteriore 67% circa del capitale di Italenergia. Tale quota potrebbe tuttavia significativamente ridursi qualora, in particolare, FIAT decidesse di non cedere ad EDF la restante quota del 24% di sua proprietà nonché di concorrere all’acquisto della quota del 23% di proprietà delle banche.
Il prof. Berger ha valutato in termini piuttosto negativi la
performance
finanziaria del gruppo FIAT in considerazione delle perdite subite in borsa e del rendimento totale degli azionisti che, mentre nell’industria dell’automobile mondiale si è attestato in media intorno al 10% e per gli azionisti della Vokswagen o della Peugeot si è collocato tra il 12 ed il 15%, per la FIAT è stato solo del 3%. La redditività della FIAT è al di sotto della media del settore dell’automobile, pari al 2,2%. Alcune case costruttrici (Ford, Toyota, Daimler-Chrysler) hanno anche margini superiori al 4% sulle vendite, mentre FIAT ha margini intorno all’1%.
Per quanto riguarda il problema rappresentato dalla redditività di FIAT Auto, il Gruppo si è dotato di un nuovo piano industriale, diretto a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2003 e un risultato positivo nel 2004, e ritiene di aver già compiuto sensibili progressi sul terreno dell’innovazione dei prodotti e dell’offerta dei servizi ai clienti. E’ stata già superata la struttura eccessivamente centralizzata della società FIAT-Auto, riorganizzata in una serie di
business units
autonome, ciascuna con propria responsabilità di gestione autonoma e concentrata sulle aree chiave della competitività. Il Gruppo ritiene inoltre di aver selezionato il portafoglio di
business
, uscendo da quelle aree in cui non era in grado di conquistare posizioni di eccellenza competitiva per concentrarsi solo nei settori in cui aveva la possibilità di figurare tra i protagonisti mondiali dei singoli mercati. La vendita di COMAU, come di altre attività componentistiche del gruppo, è ritenuta compatibile con la strategia di permanenza nel settore automobilistico. Strategiche sono invece considerate l’Iveco, la CNH e FIAT Avio.
Si è comunque in presenza di un ridisegno dell’intero gruppo FIAT, che, come ricordato dal Presidente Fresco oltre alla cessione di una quota di minoranza di Ferrari e delle attività finanziarie di assistenza di vendita, vede la cessione auspicata di Magneti Marelli, la possibile vendita di COMAU, ed il mantenimento delle altre attività nel settore “automotive” nei settori veicoli pesanti, movimento terra e macchine agricole e aeronautica, su cui sono state realizzate strategie diverse di alleanza e consolidamento industriale. Il quadro si completa con il settore auto, interessato dall’accordo con GM, che comunque deve essere perfezionato entro il 2004, a cui si aggiunge Italenergia sulla quale, come accennato, è stato formulato, in assistenza al finanziamento
Citigroup
, un
put option
esercitabile nel 2005. Per completezza si dovrebbero aggiungere a queste le altre operazioni di ridefinizione strategica e diversificazione nell’ambito dell’intero gruppo IFI-IFIL al fine di delineare un quadro più compiuto di quanto stia avvenendo nell’ambito del primo raggruppamento finanziario italiano.
5.2. Piano industriale ed accordi produttivi
Nel piano industriale, come ricordato dai rappresentanti di FIAT, si prevedono investimenti, nel periodo 2002-2004, per circa 2,4 miliardi di euro annui. E’ stato avviato un processo di trasformazione aziendale, da azienda funzionale ad azienda per processi, nel presupposto che il rallentamento del mercato non sia di breve durata ma fisiologico. Sono state individuate debolezze operative, di distribuzione, di marketing: un mix di canali totalmente negativo, una rete di concessionari molto frammentata ed una pressione sui prezzi imputabile alla scarsa capacità di vendita aziendale. E’ stato inoltre sottolineata l’eccessiva dipendenza di FIAT-Auto dal mercato italiano (oltre il 60%). A giudizio del prof. Guerci, FIAT risulta aver già lavorato molto sui costi incrementando produttività ed impianti: pur disponendo, accanto ad impianti eccellenti (Melfi), di impianti che destano notevoli preoccupazioni (Termini-Imerese), FIAT, in termini di valutazione costi-efficienza, appare in condizioni migliori di Volkswagen.
Il prof. Berger ha posto in relazione la perdita di quote di mercato da parte di FIAT con l’andamento delle spese di ricerca e sviluppo, osservando come in Italia, negli ultimi sette anni, si sia passati da circa 1000 a 683 euro per macchina, mentre in Germania si spendono circa 1600 euro per macchina. Ha inoltre rilevato come, mentre i primi dieci produttori di automobili hanno speso in media il 4,4% del fatturato per lo sviluppo, la FIAT negli ultimi cinque anni ha speso in media solo il 2,9%.
L’adeguamento della capacità produttiva ha comportato la riduzione degli organici. Si tratta di 2.442 persone di cui 1.831 operai e 611 impiegati, per un totale del 7% degli organici in forza. Tenendo conto anche delle riduzioni operate nel primo quadrimestre del 2002, la riduzione degli organici in Italia è pari al 14%. E’ tuttavia prevista l’assunzione di 200 ingegneri l’anno da introdurre nei centri di progettazione. E’ a tutt’oggi ritenuta una criticità l’unità di Arese dove si produce la Multipla Bipower, in considerazione della realtà del mercato.
Un ruolo fondamentale viene attribuito all’alleanza con
General Motors
, che ha posto Fiat-Auto nelle condizioni di competere con vantaggi di costo e di accedere alle risorse globali del principale costruttore di automobili. Con GM si stanno sviluppando tre piattaforme comuni. L’obiettivo è quello di produrre a costi estremamente competitivi sfruttando le economie di scala. I costi di investimento per lo sviluppo delle componenti delle automobili comuni saranno inoltre divisi in due. Le scale produttive realizzate con GM saranno pari a quelle delle altre grandi concorrenti europee. Le convergenze con GM sono ritenute compatibili con il mantenimento di una separazione e di una autonomia, anche se si osserva come solo l’esperienza potrà dimostrare se in tal modo si avranno i medesimi benefici di un’integrazione mediante fusione.
Il prof. Bianchi ha osservato come l’accordo con GM vada valutato alla luce di un mercato dell’automobile profondamente diverso dal passato. Negli anni ’90, tutti i produttori minori, concentrati su specifici segmenti o prodotti, sono stati acquisiti dai produttori maggiori. Tutti gli operatori giapponesi e coreani hanno stretto accordi con le maggiori case americane ed europee. In Europa vi sono quattro operatori
full liner
europei, VW, PSA, Renault e FIAT, cui si aggiungono Ford e GM, nonché due produttori di fascia alta, Daimler-Chrysler e BMW. La strategia del nuovo gruppo Daimler-Chrysler è di estremo interesse poiché ha determinato un ampliamento della gamma a nuovi segmenti (Serie A, Vaneo, Smart) senza perdere la caratterizzazione di produttore di auto di lusso. Esiste ormai un grado estremamente elevato di integrazione a livello globale tra industria europea, americana ed estremorientale, che si avvale di una gamma di strumenti, dalla fusione societaria agli accordi, e si basa su imprese che continuano però a gestire contestualmente marchi diversi su diversi mercati, integrando tuttavia produzione e distribuzione.
L’accordo tra FIAT e GM, a differenza di quanto avvenuto nel caso Daimler-Crysler, non ha portato ad una fusione ma si fonda su uno scambio azionario fra proprietà e sull’attivazione di due
joint ventures
operative relative ai settori degli acquisti e del
power-train
(motori e cambi) che hanno comportato la creazione di due società con sede rispettivamente in Germania ed in Italia. Per il prof. Bianchi, non solo è da escludere la possibilità che FIAT torni ad operare da sola, ma l’accordo con GM appare destinato a svilupparsi oltre i due aspetti che al momento ne costituiscono l’oggetto. In futuro l’accordo potrebbe estendersi a regolare la presenza sul mercato, attraverso una razionalizzazione della rete di vendita, nonché a gestire in modo coordinato i processi di ristrutturazione di FIAT e del gruppo Opel. Per quanto riguarda il problema del controllo proprietario, a giudizio del prof. Bianchi è prevedibile che vi siano forme di scambio azionario, anche se non bisogna ritenere che la cessione
in toto
di FIAT alla GM rappresenti l’unica soluzione possibile. Il marchio FIAT appare in ogni caso destinato a rimanere sul mercato. Anche a giudizio del prof. Berger GM sarà interessata ad incrementare la partecipazione in FIAT, anche se integrare FIAT nelle sue strutture non sarà un’operazione facile. GM potrà infatti così aumentare le quote di mercato, acquisire un marchio premio come l’Alfa Romeo, realizzare ulteriori sinergie lungo l’intera catena del valore (acquisti, produzione, processo di sviluppo e vendite).
Il piano prodotto FIAT, come ricordato dal dott. Boschetti, prevede la realizzazione di una serie di nuovi modelli con i marchi FIAT ed Alfa Romeo. Anche il problema dei modelli non appare nuovo. Come ha osservato il prof. Guerci, per avere successo nell’industria dell’auto bisogna avere almeno due modelli di grande volume vincenti. La FIAT, invece, ha sempre avuto un solo modello di successo. Inoltre, le scelte relative ai modelli sono apparse discutibili già nella metà degli anni ’70 e poi sicuramente negli anni ’80. Idee valide come la Bravo non sono state adeguatamente curate e sviluppate. FIAT ha oggi bisogno di modelli nuovi e di accorciare il ciclo di vita dei propri modelli. Appare, ad esempio, un po’ lontana la data del 2005 per l’uscita della nuova Punto. Il prof. Bianchi ha espresso perplessità non solo per la tempistica relativa ai nuovi modelli, ma anche per quella relativa alla revisione degli accordi operativi ed all’intervento sulla rete distributiva. Appaiono infatti a suo giudizio scoperti gli anni 2003 e 2004 mentre tutte le scadenze sembrano concentrarsi nel 2005.
Il programma di veicoli ecologici è ritenuto dai responsabili FIAT all’avanguardia e per quanto riguarda la tecnologia all’idrogeno (che si ritiene troverà applicazione sul mercato tra 10 anni ed oltre) è stato stipulato un accordo con GM che ha il consorzio di ricerca più avanzato su tale tecnologia. FIAT ha concepito un piano di ingenti investimenti sul prodotto senza peraltro ricercare un’articolazione molto spiccata della gamma per non creare costose complessità all’interno del sistema ed evitare la produzione di versioni che non vengono vendute.
L’azienda si è inoltre dichiarata determinata a “non fare più compromessi sulla qualità del prodotto”. Per quanto riguarda la qualità, FIAT risulta aver già compiuto dei progressi. Dal 1990 al 2001 è passata da 205 problemi sorti per 100 vetture nel primo anno di vita a 135 problemi. I migliori costruttori riescono tuttavia ad avere 90 problemi per ogni 100 vetture. Oggi tutti i costruttori sono peraltro impegnati ad alzare i livelli di qualità e l’impegno è reso particolarmente difficile dall’entrata in gioco dell’elettronica.
Per quanto riguarda la distribuzione, si ritiene che, in Europa, non risultino adeguatamente coperte sette aree strategiche su cinquanta. L’obiettivo è quello di ottenere, nell’arco di tre anni, la copertura dell’80% dei territori commerciali europei. Il giudizio degli esperti sulla distribuzione FIAT è risultato fortemente critico. Per il prof. Guerci FIAT manca di cultura, non ha missione, risulta troppo dispersa ed è stata abituata a vivere riccamente. Anche per il prof. Bianchi occorre intervenire con urgenza sulla rete distributiva che appare troppo concentrata in Italia, debole in Europa ed assente negli Stati Uniti ed in Medio Oriente. L’attuale rete distributiva appare, in particolare, il riflesso di una tradizionale strategia di presenza nella fascia medio bassa in paesi più arretrati. FIAT si concentrerà inoltre su alcune realtà geografiche tra le quali la Cina e l’India, che non si ritiene peraltro possano bilanciare nel prossimo quinquennio attività europee e sudamericane caratterizzate da alti e bassi. Tali mercati sono infatti ritenuti estremamente promettenti, ma non in un futuro immediato.
Fiat intende finanziare autonomamente il proprio piano di sviluppo senza accentuare il ricorso all’indebitamento.
Secondo il prof. Guerci per la FIAT esiste anche un
gap
da recuperare in termini di immagine e di comunicazione. Il pubblico percepisce infatti la qualità FIAT peggiore di quanto non sia. Per risolvere un simile problema è necessario “migliorare la capacità di comunicazione e di promozione dei propri prodotti” da parte dell’azienda.
6. Le politiche di sostegno del mercato automobilistico
Nel quadro delle politiche in favore del mercato dell’automobile, nel corso delle audizioni è stato rilevato come occorra attribuire un prioritario rilievo agli interventi in materia di ricerca scientifica e tecnologica. Come si è visto, la ricerca è svolta, a diversi livelli, dalle grandi e dalle piccole imprese che ne condividono i risultati. E’ inoltre chiaramente emerso come sia possibile sostenere la competizione internazionale solo se gli investimenti ed i risultati della ricerca si rivelano elevati. In materia l’industria automobilistica nazionale, come del resto l’intero sistema Paese, presenta un
gap
fortemente negativo rispetto agli altri paesi europei (in Europa la spesa per la ricerca è pari in media al 2% del PIL e in Italia all’1%). Il Ministro Marzano ha dichiarato che il Governo ha deciso di sostenere programmi innovativi, con una riserva di fondi
ad hoc
sulla legge n. 46 del 1982 in materia di innovazione tecnologica. Il Ministro ha aggiunto che occorre puntare al medio-lungo periodo con politiche volte a rafforzare la ricerca, l’innovazione tecnologica e la promozione commerciale. Secondo l’AMMA occorre introdurre incentivi per l’attività di ricerca di tipo fiscale o automatico da erogare con rapidità, nonché stabilire rapporti diretti ed ispirati ad una maggiore collaborazione tra imprese ed università.
Il mercato automobilistico è soggetto ad una forte pressione fiscale che, secondo le valutazioni dell’UNRAE, rappresenta circa il 6% del prodotto interno lordo a fronte di una media europea di circa il 3%. E’ piuttosto evidente come, soprattutto in periodi di crescita economica debole, l’elevata pressione fiscale possa influenzare negativamente la propensione all’acquisto.
Alle Commissioni è stato in proposito ricordato, in particolare dai rappresentanti dell’UNRAE, l’elevato ammontare dell’imposta di trascrizione sui trasferimenti di proprietà delle auto usate, che non ha eguali a livello europeo ed internazionale. In Italia tale imposta ammonta a 400 – 500 euro mentre in Spagna si attesta sui 50 euro, in Germania e Francia sui 15 – 20 euro, mentre in Gran Bretagna il trasferimento di proprietà non è soggetto ad imposizioni fiscali. A riguardo è stato rilevato come l’abbattimento di tale imposta potrebbe rappresentare un significato stimolo per il mercato dell’usato, incentivando la sostituzione dei circa nove milioni di vetture non catalizzata ancora circolanti su un totale di trentadue milioni di vetture che costituiscono l’attuale parco circolante. Si tratta di vetture con oltre dieci anni di anzianità contraddistinte da più elevati livelli di emissioni e non dotate inoltre dei più moderni dispositivi di sicurezza. I responsabili FIAT hanno dichiarato che sarebbero benvenuti eventuali provvedimenti mirati a ridurre i veicoli inquinanti attualmente circolanti ed a favorire lo smaltimenti dell’usato e la movimentazione dell’usato nuovo. Due obiettivi, la riduzione del parco inquinante e la stimolazione del mercato dell’usato, che, anche a giudizio dei vertici dell’azienda torinese, possono e devono essere perseguiti congiuntamente.
Sempre l’UNRAE ha sottolineato il diverso trattamento fiscale riservato in Italia alle automobili aziendali e societarie rispetto a quanto avviene negli altri Paesi europei. La differenza fondamentale è rappresentata dalla possibilità per le imprese e le società di effettuare l’ammortamento solo sul 50% dell’importo mentre in Europa un tale limite non sussiste e ciò determina che, in Germania oltre il 50% ed in Gran Bretagna e Francia il 45% delle auto, vengono acquistate da società.
Il sostegno della domanda di automobile è stato, come si è visto, perseguito nella seconda metà degli anni ’90 attraverso la rottamazione. I responsabili della FIAT hanno osservato come si sia trattato di un fenomeno dirompente che non ha avvantaggiato il leader del mercato perché ha fornito un’occasione ai concorrenti ed hanno dichiarato che una ripetizione della rottamazione non sarebbe né attraente né opportuna. La rottamazione non è in effetti apparso un provvedimento in grado di promuovere il rilancio dell’industria nazionale e, sotto il profilo industriale, ha semmai accentuato la competizione tra i costruttori consentendo alle imprese estere di guadagnare quote di mercato.
Il Ministro Marzano ha osservato come la rottamazione presentasse tre limiti: era a favore di tutte le case, era idonea a determinare un rimbalzo negativo dopo la sua conclusione, non ha inciso in modo specifico sul problema della competitività. Il Governo, inoltre, ha adottato il decreto-legge 8 luglio 2002, n.138, che, accanto ad una serie di misure in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate, contiene un articolo volto ad incentivare la sostituzione degli autoveicoli non provvisti di dispositivi antinquinamento conformi alle direttive CE con autoveicoli nuovi. Viene a tal fine previsto che l’acquisto di autoveicoli nuovi con potenza massima di 85 kw, effettuati tra la data di entrata in vigore del decreto ed il 31 dicembre 2002 e che si accompagnino alla consegna di un autoveicolo non conforme alle normative CE in materia di inquinamento, non sia soggetto all’imposta di bollo, agli emolumenti dovuti agli uffici del PRA ed al pagamento dell’imposta provinciale di trascrizione e sia altresì esente dalla tassa automobilistica per un periodo di circa tre anni dall’acquisto.
Al fine di promuovere la sostituzione dei veicoli non catalizzati con vetture nuove è anche possibile procedere attraverso l’introduzione di ecoincentivi. Come ricordato dal Ministro Marzano, il Ministero dell’ambiente ha posto in essere un accordo di programma per il sostegno del trasporto pubblico alimentato a gas metano e, su iniziativa del Ministero delle attività produttive, è attualmente in corso la stipula di un secondo accordo di programma volto ad incentivare l’acquisto di autovetture strutturate a gas metano o GPL. A giudizio dell’UNRAE, peraltro, simili misure interesserebbero solo una nicchia di mercato e non potrebbero avere effetti significativi in termini di sostegno della domanda. Ciò in quanto, per altri 10 – 15 anni risulterà prematuro parlare di auto ad idrogeno ed inoltre, per quanto riguarda le vetture alimentate a GPL ed a metano, non esiste ancora un sistema distributivo che possa stimolare la domanda di veicoli con questo tipo di alimentazione. L’ANFIA ha sostenuto che tutti gli indicatori dimostrano come il metano sia preferibile al GPL sia per il livello di inquinamento sia sotto il profilo della diversificazione delle fonti ed ha affermato che la stessa FIAT è convinta che il futuro sia più promettente per il metano.
Il presidente di Confindustria ha osservato come in una logica di mercati aperti ed integrati non siano proponibili misure di carattere protezionistico a difesa di un’azienda o di un settore, ricordando come, negli ultimi mesi, il Governo tedesco abbia tentato di risolvere la crisi di alcune aziende impiegando risorse ingenti, senza tuttavia riuscire ad evitarne il fallimento.
7 Il futuro dell’industria automobilistica in Italia tra politica e mercato
7.1 Le prospettive dell’industria automobilistica nazionale
La crisi dell’industria automobilistica italiana non dipende solo dall’attuale fase recessiva del mercato automobilistico mondiale, particolarmente accentuata a livello nazionale, ma risulta determinata da cause strutturali ed ha origini remote.
Gli interventi diretti a dare impulso alla domanda di automobili non possono ritenersi idonei a garantire recuperi di efficienza e di competitività da parte delle imprese del settore, alle quali possono peraltro ovviamente arrecare temporanei benefici. Simili interventi devono pertanto ritenersi orientati a perseguire in primo luogo obiettivi di altra natura. Favorire, ad esempio, la sostituzione di un parco di veicoli non catalizzato altamente inquinante che, secondo le più recenti stime del Governo, ammonta a circa 13 milioni di unità, è una scelta che va sicuramente condivisa sotto il profilo della tutela dell’ambiente, dell’incremento della sicurezza stradale e della riduzione del consumo di carburante. Per conseguire un simile obiettivo, come dichiarato da tutti i soggetti ascoltati dalle Commissioni, occorrerebbe in particolare agire sulla leva fiscale, intervenendo in primo luogo sulla imposta provinciale di trascrizione e sulla tassa automobilistica, piuttosto che con le modalità previste dai provvedimenti in materia di rottamazione adottati tra il 1997 ed il 1998. Un intervento fiscale, suscettibile tra l’altro di produrre effetti permanenti e di non limitarsi dunque a modificare l’andamento della domanda nel breve periodo, sarebbe apprezzabile anche sotto il profilo dell’equità qualora fosse diretto ad uniformare il regime fiscale dell’automobile a quello proprio dei principali Paesi europei. Il Governo, come in precedenza ricordato, ha deciso, per il momento, tenuto conto di evidenti problemi di compatibilità con la dinamica dei conti pubblici, di adottare un provvedimento di tal genere ma di portata limitata e la cui applicazione è circoscritta al secondo semestre del 2002.
Ad analoghe valutazioni si prestano i provvedimenti definiti ecoincentivi, volti a favorire la diffusione di autoveicoli alimentati da combustibili con un minore impatto ambientale. In questo caso, si perseguono essenzialmente finalità di tutela dell’ecosistema, anche se possono essere indirettamente valorizzate le competenze acquisite dalle industrie nazionali in materia di sviluppo della predetta tipologia di veicoli. L’impatto di simili provvedimenti sui volumi produttivi delle imprese sembra peraltro, nella fase attuale, destinato a risultare piuttosto modesto, mentre andrebbe verificata l’idoneità degli stessi ad orientare la domanda. A quest’ultimo proposito, al fine di modificare gli orientamenti del mercato nel medio e lungo periodo, sembrerebbe in ogni caso necessario adottare misure di natura non transitoria.
In linea generale, appare in realtà assai difficile concepire interventi pubblici di sostegno all’industria automobilistica con effetti certi e duraturi. Questo non solo in virtù dei vincoli estremamente rigorosi posti in materia di aiuti alle imprese dalla disciplina dell’Unione europea. Limitarsi infatti a sovvenzionare, in qualunque forma, le strutture industriali esistenti, in assenza di un radicale mutamento delle strategie aziendali, rappresenterebbe una scelta di corto respiro che non potrebbe determinare un’effettiva inversione di tendenza. Una simile conclusione appare avvalorata e rafforzata alla luce degli odierni assetti del mercato automobilistico mondiale, contraddistinto da una serrata competizione tra un numero assai ristretto di produttori globali che, direttamente o indirettamente, sono presenti nei diversi continenti.
Una politica industriale per il comparto automobilistico che aspiri ad essere incisiva deve risultare in linea con le dinamiche del mercato stimolando l’innovazione e la trasformazione delle imprese. Per tale ragione appare fondamentale agire sulla leva della ricerca e dello sviluppo al fine di favorire l’aggiornamento tecnologico delle imprese che rappresenta uno dei principali fattori competitivi ed un requisito indispensabile per mirare alla conquista di nuove quote di mercato. Gli investimenti in ricerca e sviluppo andrebbero in particolare finalizzati a promuovere la collaborazione tra la grande e la piccola e media industria nonché a realizzare sinergie fra tutti gli attori del complesso sistema dell’automobile.
Sono inoltre indispensabili, evidentemente non solo per l’industria automobilistica, interventi di tipo strutturale finalizzati alla creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo delle imprese. Potenziare le infrastrutture, moltiplicare i servizi alle imprese, diminuire i prezzi dell’energia, ridurre la pressione fiscale sul sistema produttivo significa intervenire su altrettanti fattori competitivi che attualmente penalizzano le industrie nazionali rispetto a quelle europee ed internazionali. Solo così, tra l’altro, l’Italia potrà rivelarsi in grado di attrarre investimenti esteri nel settore automobilistico, come hanno dimostrato di saper fare in misura notevole Regno Unito e Spagna, ove non sono presenti industrie nazionali di tal genere. Simili politiche, oltre agli interventi in favore della ricerca, appaiono le sole in grado di fornire un effettivo e duraturo sostegno allo sviluppo delle diverse categorie di imprese che operano nel comparto automobilistico. Non bisogna tra l’altro dimenticare come, nel settore della componentistica, sia presente un numero estremamente significativo di piccole e medie imprese la cui produzione è già in larga misura orientata all’esportazione.
In ogni caso, la convinzione generale tratta dalle audizioni è che siamo di fronte ad una nuova fase di massicce ristrutturazioni industriali in Europa. Negli anni 1998-2001 vi sono state ingenti operazioni di fusione ed acquisizione che ora debbono generare processi di razionalizzazione industriale, da effettuarsi peraltro in condizioni di forte ristagno economico e di esplicita crisi finanziaria e borsistica. Questa ristrutturazione coinvolge necessariamente l’industria dell’auto perché è evidente che le crisi individuali delle singole case, ieri Renault, oggi FIAT e Opel, si debbono vedere alla luce di un’industria che a livello mondiale sta accumulando una capacità produttiva inutilizzata e difficilmente utilizzabile nei prossimi anni, quindi operante in condizione di complessiva inefficienza. La vicenda italiana non può in tal senso essere disgiunta da quella più complessiva di livello europeo e mondiale. Il problema non è solo come fronteggiare in termini congiunturali la crisi di domanda, ma come si partecipa a questo movimento di razionalizzazione industriale a livello mondiale, se semplicemente ci si pone in termini passivi di attesa, oppure se si riesce a delineare un ruolo attivo per l’industria nazionale e per il paese.
7.2 Trasformazioni del gruppo FIAT e sviluppo dell’industria automobilistica italiana
Il futuro dell’industria automobilistica nazionale è in gran parte legato alle prospettive del gruppo FIAT. L’azienda è investita da una crisi che presenta una sua specificità ed ha origine da cause ben determinate e tali da richiedere la tempestiva adozione di provvedimenti di forte impatto da parte del gruppo dirigente. La politica appare, al contrario, disporre di strumenti dotati di una limitata capacità di incidere sull’evoluzione della crisi.
L’azienda ha già avviato un piano di rilancio per molti aspetti ambizioso e che presuppone un radicale mutamento di strategia. FIAT ha deciso di incamminarsi con decisione sulla strada intrapresa dagli altri grandi gruppi automobilistici mondiali. L’alleanza con GM, l’impegno per la produzione di nuovi modelli, la scelta per la qualità, la ricerca di una maggiore presenza in Europa sono segnali piuttosto eloquenti circa la volontà del gruppo di muoversi in questa direzione.
Le vicende di questi ultimi mesi hanno tuttavia evidenziato la necessità di approfondire taluni aspetti del piano di rilancio e di chiarire il ruolo svolto dai diversi protagonisti intervenuti a diverso titolo nella crisi della FIAT.
Un primo aspetto è rappresentato dalla tempistica del piano industriale e commerciale. Il gruppo è chiamato a colmare un deficit competitivo formatosi negli anni in una fase in cui il mercato non appare in grado di dare, almeno sino al 2003, significativi segnali di ripresa. Il tempo, quindi, gioca a sfavore di FIAT, che non può aspirare ad uscire dalla crisi senza dotarsi degli strumenti per affrontare scenari sempre più concorrenziali. Suscita pertanto perplessità che l’introduzione di nuovi modelli, lo sviluppo dei nuovi motori, la riorganizzazione della rete distributiva siano tutti processi destinati a produrre risultati realmente significativi solo a partire dal 2005. Questo comporta infatti che, in assenza di una modificazione degli attuali scenari, si giungerà al 2004, data in cui FIAT dovrà valutare se cedere la residua quota del pacchetto azionario a GM, senza avere chiarito le prospettive dell’azienda e comunque senza avere potuto verificare gli effetti del piano di risanamento.
Un secondo aspetto riguarda la quota di risorse che la proprietà ritiene di dovere investire nel piano di rilancio. L’industria automobilistica richiede la disponibilità di ampi volumi di risorse finanziarie da destinare alla ricerca ed allo sviluppo di nuovi progetti. Da qui l’esigenza, per tutti i grandi gruppi automobilistici, di concentrarsi sul
core business,
dismettendo le partecipazioni in altri settori. FIAT, invece, pur avendo un’evidente necessità di mobilitare capitali ingenti per risanare il settore automobilistico, ha di recente deciso di fare il proprio ingresso in Italenergia. Tale scelta ha tra l’altro alimentato nei mercati l’incertezza circa la futura presenza nel gruppo nel settore automobilistico, generando il convincimento che gli azionisti volessero in tal modo precostituirsi una sorta di uscita di sicurezza. L’azienda, anche recentemente, ha dichiarato di non escludere una più accentuata presenza nel settore energetico. Questo avviene, è bene sottolinearlo, quando gli ambienti finanziari si interrogano circa la possibilità per l’attuale proprietà di effettuare gli investimenti di capitale necessari per innovare i processi, riconquistare posizioni di
leadership
nell’innovazione e definire una più profittevole gestione dei marchi nel settore dell’automobile.
Le perplessità nei confronti di tale operazione sono accresciute dal fatto che, secondo quanto solo di recente è emerso, l’ingresso in Italenergia ha comportato per FIAT un’esposizione debitoria non compatibile con i criteri di valutazione dei grandi rischi accolti dall’ordinamento bancario internazionale. Gli organismi di vigilanza hanno tuttavia consentito l’operazione in questione. Le modalità con cui si è realizzato il coinvolgimento di FIAT in Italenergia ha posto e pone un ulteriore problema di diverso tenore. Problema aggravatosi alla luce dell’accordo intervenuto tra le banche ed il gruppo FIAT. Vi è infatti oggi il rischio che EDF, società pubblica che opera in Francia in regime di monopolio, acquisisca il controllo del secondo gruppo energetico italiano. E’ questo un esito che, a prescindere dalle vicende della FIAT, non può ritenersi ammissibile. Una società che a casa propria opera al riparo dalla concorrenza non può pretendere di acquisire posizioni di controllo in paesi terzi in spregio del principio di reciprocità.
Un ulteriore elemento di incertezza è rappresentato dal ruolo svolto dalla banche nell’attuale crisi di FIAT. L’intervento delle banche è sembrato infatti animato dalla volontà di condizionare in maniera non marginale le strategie industriali del gruppo. I contenuti e le implicazioni dell’accordo sottoscritto con le banche non appaiono noti nella loro interezza e tale difetto di trasparenza sicuramente non contribuisce a creare fiducia nel mercato finanziario. Si pone, anche a tale proposito, una questione di principio che interessa la vigilanza bancaria. Gli istituti devono infatti assicurare la tutela del risparmio e non può essergli riconosciuto il compito di definire strategie di politica industriale, dovendosi essenzialmente preoccupare del recupero di crediti concessi senza sufficiente ponderazione.
Non appare del tutto chiara l’evoluzione che potrà avere l’accordo stipulato con GM con la quale, com’è noto, il gruppo FIAT si è riservato la possibilità di esercitare, nel 2004, il diritto di opzione circa la vendita del rimanente 80% del capitale FIAT alla GM. Tutto lascia prevedere che, sul piano industriale, la collaborazione e l’integrazione tra i due gruppi sia destinata a svilupparsi. L’accordo per FIAT ha rappresentato una strada obbligata al fine di affrontare la sfida della globalizzazione e, col passare del tempo, la sua valenza tende a rafforzarsi. Si può quindi presumere che l’intesa sia destinata a comprendere forme più articolate di cooperazione industriale e commerciale ed a coinvolgere le reti distributive. Non si può neanche escludere che si proceda sulla strada dell’integrazione della ricerca e sviluppo e della integrazione produttiva.
Più difficile appare prevedere se FIAT eserciterà l’opzione relativa alla vendita e se, nell’ipotesi che si realizzi una simile eventualità, GM si dimostrerà propensa a procedere all’acquisto del pacchetto azionario residuo.
La presenza di una importante industria automobilistica rappresenta sicuramente un dato estremamente positivo per l’economia nazionale. La FIAT impiega quote significative di risorse finanziarie e promuove un’intensa attività di ricerca e sviluppo, determinando un accumulo di competenze scientifiche e tecnologiche a beneficio dell’intero sistema produttivo. Non vi è dubbio che la conferma dell’attuale proprietà rappresenterebbe un elemento di garanzia per quanto riguarda la permanenza di un importante presenza industriale nel nostro paese. E’ dunque questa la soluzione preferibile e per la quale occorre impegnarsi, ciascuno nei limiti delle proprie competenze e responsabilità.
Poiché tuttavia l’ipotesi della cessione a GM non può venire esclusa a priori, anche un simile esito deve essere attentamente valutato. Appare innanzitutto probabile che i marchi FIAT siano comunque destinati ad avere un futuro. E’ da prevedere che GM risulterebbe interessata a gestire gli attuali marchi FIAT, anche se nella logica di diversificazione dei prodotti che oggi risulta accolta da tutti i principali produttori. Dovrebbe certamente essere valutato, ad esempio, come la ristrutturazione della FIAT debba coordinarsi con quella di Opel, un’industria che si rivolge per molti aspetti ai medesimi settori di mercato. I marchi FIAT appaiono in ogni caso destinati ad essere prevalentemente presenti in Europa ed in America Latina, con buone possibilità di espansione per il marchio Alfa Romeo.
Il risultato, per nulla scontato, che concordemente si sostiene andrebbe perseguito nell’eventualità di una cessione è rappresentato dalla permanenza in Italia del cervello dell’azienda: della direzione dei marchi, della ricerca e dello sviluppo. Tale obiettivo non appare tuttavia concretamente perseguibile se non mantenendo in Italia l’intero ciclo di produzione dell’automobile. Questo significa che, aldilà delle scelte relative alla proprietà del gruppo Fiat, bisogna creare le condizioni per garantire il mantenimento e lo sviluppo, auspicabilmente anche attraverso l’attrazione di investimenti, di un complesso produttivo dato da grandi impianti di meccanica, motoristica ed assemblaggi, da una componentistica competitiva, da considerevoli capacità progettuali e di ricerca. In questa prospettiva va, in particolare, sottolineata l’opportunità di mantenere in Italia un produttore di grandi dimensioni nel settore delle produzioni premium/alta tecnologia, per le ricadute che queste produzioni possono avere sull’immagine e la diffusione tecnologica dell’intero comparto, nel quadro dei riposizionamenti che si stanno delineando nell’industria mondiale dell’auto.
In tale ambito, la possibilità di disporre di produzioni come Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, implica non solo la disponibilità di marchi di alta notorietà ed attrattività, ma costituisce un patrimonio di rilevanza fondamentale al fine di consolidare un possibile polo produttivo unitario, che renderebbe credibile non solo la gestione di mercato di marchi di grande prestigio internazionale, ma soprattutto il mantenimento nel paese di capacità progettuali, di sperimentazione produttiva, di applicazione tecnologica cioè di una parte sostanziale del cosiddetto “cervello” che altrimenti non si giustificherebbero laddove venissero meno produzioni di riconosciuta alta qualità.
Un simile esito dipenderà in gran parte dalla competitività del sistema, dalle opportunità di localizzazione, dalle risorse umane a disposizione della FIAT, dalla qualità degli stabilimenti. Alcuni elementi consentono di nutrire una certa fiducia. Dopo l’intenso ciclo di riorganizzazioni industriali dei primi anni ottanta e novanta, l’industria italiana dispone di una serie di grandi impianti di produzione di motori, meccaniche ed assemblaggi, facenti capo al gruppo FIAT, il cui livello tecnologico e la produttività, secondo le dichiarazioni degli esperti, si situano ad un livello più alto della media europea. Il consolidamento di questo gruppo di impianti, il cui perno operativo è Melfi ed è ampiamente localizzato nel Mezzogiorno, costituisce un blocco operativo, che deve essere giocato in termini di vantaggio competitivo nell’ambito del settore. A questo si aggiunge un settore della componentistica, che ha assunto anche caratteri di relativa autonomia nei confronti della stessa Fiat, con un numero di operatori di primo livello, che hanno lentamente ma progressivamente diversificato verso altri produttori le loro forniture, sviluppando proprie capacità di
co-design
tecnico per componenti attive sempre più complesse, così come di carrozzieri, aventi propria capacità di progettazione e
styling
riconosciuta a livello mondiale, oltre a operatori nel settore della motoristica la cui punta di diamante per immagine è data dalla stessa Ferrari.
Pur nell’ambito di accordi internazionali, che potranno anche alterare gli attuali assetti proprietari, rispetto al quale nette sono le responsabilità proprie degli attuali azionisti, deve essere sottolineata la necessità di mantenere in Italia un adeguato livello produttivo e quel livello di capacità progettuali e sperimentali, tuttora presenti e comunque da potenziare immettendovi ancora maggiori capacità di ricerca e sviluppo, da diffondere all’intero sistema produttivo. Bisogna, in particolare, creare le condizioni perché si realizzi un’intesa tra FIAT e GM che non risulti penalizzante per il Paese in termini di presenza industriale in Italia e, soprattutto, di qualità della stessa.
In ogni caso la cessione a GM appare solo una possibilità, che la proprietà della FIAT deve comunque rapidamente definire. I vertici del gruppo hanno peraltro ripetutamente dichiarato di voler operare al fine di garantire anche per il futuro l’autonomia della FIAT.
Occorre creare subito le condizioni perché possa essere affrontata al meglio l’attuale fase di vita dell’azienda la cui gestione risulta in ogni caso decisiva per il futuro del gruppo FIAT. Pur mantenendo ben distinti ruoli e responsabilità, appare a tal fine necessario istituire uno stretto coordinamento tra le attività dei diversi soggetti coinvolti a vario titolo nella crisi del gruppo, con l’obiettivo di inviare al mercato segnali chiari ed univoci in ordine alla volontà di puntare sull’innovazione e sulla trasformazione dell’azienda. Tutto ciò consentirebbe infatti una approfondita verifica della validità del piano industriale nonché della congruità del piano di risanamento finanziario. Verrebbe fatta chiarezza sull’indebitamento di FIAT, sulle risorse che il gruppo è effettivamente in grado di mettere in gioco e sui condizionamenti ai quali è sottoposto riguardo alle scelte industriali e finanziarie. L’attuale gruppo dirigente verrebbe inoltre facilitato nel compito di effettuare tutte le scelte necessarie al rilancio dell’automobile nei tempi richiesti dal mercato. Estremamente utile risulterebbe in particolare affrontare da subito la questione dello sviluppo della collaborazione industriale con GM al fine di creare ulteriori sinergie lungo la catena del valore. Una permanente assenza di coordinamento appare, al contrario, idonea ad alimentare valutazioni ispirate ad un eccessivo pessimismo ed a favorire manovre speculative in borsa.
Non può infine essere trascurato come, aldilà del settore automobili, la crisi della Fiat ponga quesiti più generali sullo sviluppo futuro dell’intero sistema industriale italiano. Il gruppo FIAT, storicamente, non è stato solo legato all’automobile ma ha rappresentato il punto di riferimento, per dimensione e prestigio, dell’intero settore privato italiano. Le scelte complessive del maggior gruppo privato italiano non possono quindi non incidere sullo sviluppo dell’intera industria nazionale, così come le operazioni attualmente in corso non potranno non incidere sui modi stessi di governo societario di un sistema produttivo, che negli scorsi anni ha conosciuto processi intensissimi di ridefinizione proprietaria.
L’industria italiana è giunta infatti sino alla fine degli anni novanta sulla base di perni regolativi definiti negli anni trenta. Vi era, da un lato, la disponibilità di un sistema bancario di proprietà pubblica, rigidamente diviso per funzioni ordinarie e mobiliari, e, dall’altro, la presenza di una vasta area di impresa pubblica, fortemente complementare nelle sue funzioni alla grande impresa privata. Tale quadro si è esaurito negli anni novanta, in coincidenza con una ulteriore fase di integrazione europea, allorché si è dato vita in Italia ad un processo di privatizzazione che non ha avuto in quegli anni eguale in nessun altro paese europeo, contestualmente ad un significativo intervento di liberalizzazione delle attività finanziarie, oltre che delle attività proprie di
public utilities
.
Di quel processo di privatizzazione e liberalizzazione è scaturito un profilo diverso del vertice della grande industria, con l’emergere di nuovi attori, il consolidamento di nuove iniziative, il compattamento attraverso acquisizioni e fusioni dello stesso gruppo già ristretto di grandi imprese, in particolare con le operazioni Pirelli- Olivetti- Telecom e Fiat-Montedison.
Questo mutato quadro regolativo ha portato del resto in tempi brevi all’emergere di gruppi bancari, che attraverso un notevole processo di consolidamento, hanno iniziato a svolgere quelle funzioni di riferimento nel mondo industriale, che proprio le operazioni riguardanti FIAT e Italenergia hanno posto in evidenza.
8.
Considerazioni conclusive
Occorre a questo punto precisare quali iniziative possano assumere Parlamento e Governo in favore dell’industria automobilistica.
La Commissione ritiene innanzitutto che dovrà essere definito un quadro coordinato e coerente di interventi, individuando le risorse che si ritiene di poter mettere in campo nell’arco della legislatura, con l’obiettivo di produrre effetti anche nel medio e lungo termine. Risulterebbe, al contrario, errato sposare la logica dell’emergenza e della definizione di misure straordinarie, che si rivelerebbero inevitabilmente inidonee a determinare un’inversione di tendenza. In un mercato integrato a livello europeo ed internazionale e quindi esposto alla competizione, occorre intervenire sui nodi strutturali del sistema produttivo e non esistono scorciatoie a riguardo. L’obiettivo prioritario appare pertanto quello della costruzione di un contesto favorevole alla creazione ed allo sviluppo delle imprese.
Bisognerà, in particolare, intensificare gli interventi di sostegno all’attività di ricerca e sviluppo che rappresenta il volano dell’industria automobilistica, con ricadute estremamente positive sull’intero sistema produttivo. Investire nella ricerca e nello sviluppo significa inoltre favorire la ristrutturazione ed il rinnovamento delle imprese ponendole nelle condizioni di sostenere la concorrenza internazionale. L’obiettivo dovrà essere anche quello di favorire i trasferimenti di tecnologie dalle grandi alle piccole e medie imprese secondo una logica volta a rafforzare la competitività dell’intero sistema.
Il settore automobilistico risulta ricco di opportunità per quanto riguarda la definizione di politiche ambientali volte a ridurre le emissioni inquinanti in linea con gli impegni assunti dall’Italia sulla base del protocollo di Kyoto. Obiettivi significativi possono essere conseguiti a tale livello attraverso la riduzione del parco di vetture altamente inquinanti ancora in circolazione. Le misure in astratto preferibili appaiono quelle di natura fiscale con effetti permanenti che, a differenza dei tradizionali incentivi monetari alla rottamazione, risultano in grado di accelerare la sostituzione dei veicoli vetusti senza limitarsi a determinare anticipi della domanda a breve con contraccolpi di segno negativo nel medio e lungo periodo. Non va in proposito dimenticato come la riduzione della pressione fiscale sull’automobile si giustifichi anche sulla base di principi di equità e di armonizzazione al quadro europeo.
Nel definire i provvedimenti con finalità di tutela ambientale andrà considerata anche l’opportunità di prevedere misure volte ad incrementare la domanda di autoveicoli alimentati con combustibili a ridotto impatto ambientale. Gli ecoincentivi, per risultare efficaci, sembrano tuttavia doversi accompagnare ad interventi volti a ristrutturare le reti di distribuzione dei predetti combustibili secondo un ordine di priorità. A quest’ultimo proposito andrebbe valutata la possibilità di assicurare contestualmente un’effettiva disponibilità di GPL e gas metano sul territorio nazionale, considerando l’ipotesi di concentrarsi in una prima fase esclusivamente su uno di tali combustibili. Una politica di incentivi assunta come elemento strategico che interessi i trasporti privati e pubblici e venga sostenuta per un periodo di tempo adeguato potrebbe avere positivi effetti sulla salute dei cittadini, soprattutto nei grandi centri urbani.
La crisi della FIAT riguarda un gruppo privato ma non è certamente priva di riflessi di interesse pubblico a livello industriale ed occupazionale, anche per la consistenza e la rilevanza dell’indotto. Le vicende della casa torinese sono state del resto da sempre all’attenzione dei pubblici poteri e, nel corso degli anni, vi è stato un significativo investimento di risorse statali volte a sostenere in varie forme la FIAT nei periodi di crisi. La situazione odierna, come si è avuto modo di evidenziare, richiede innanzitutto che la proprietà assuma una serie di iniziative di propria esclusiva competenza, individuando in primo luogo le disponibilità finanziarie che è in grado di mettere in campo. Il Parlamento, ed in particolare il Governo, oltre a predisporre i necessari ammortizzatori sociali, devono sollecitare tutti i diversi protagonisti della crisi affinché individuino misure e prefigurino soluzioni in modo del tutto trasparente e nei tempi richiesti dalla gravità della situazione che si è venuta a determinare. Tali iniziative sono da ritenersi pregiudiziali rispetto a qualsiasi intervento pubblico.
Il gruppo appare, in particolare, chiamato ad assumere le seguenti iniziative:
-
verificare se l’attuale tempistica relativa alle decisioni riguardanti le scelte produttive garantisca il raggiungimento di risultati significativi entro il 2004, data entro la quale dovrà essere valutato se esercitare il
put
nei confronti di GM;
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verificare l’opportunità di precisare quanto prima la prospettiva complessiva dei rapporti con GM, tenendo conto, in particolare, di come l’accelerazione del piano di innovazione dei prodotti e della rete distributiva non sembri poter prescindere dagli accordi già stipulati con la stessa GM;
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chiarire i propri orientamenti per quanto riguarda gli investimenti in Brasile, Argentina, Polonia e Turchia, dichiarando se intende mantenere una strategia internazionale anche se più integrata con quella di GM;
-
chiarire, in coordinamento con gli altri soggetti coinvolti, quali siano le partecipazioni da cedere in quanto non attinenti al
core business
, precisando, in particolare, se si ritiene che la presenza in Italenergia sia compatibile con la permanenza nell’industria dell’automobile o se, al contrario, l’impegno nel settore dell’energia venga considerato un’alternativa concretamente percorribile solo nel caso di esercizio del
put
nei confronti di GM;
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garantire il mantenimento di una presenza imprenditoriale attiva nella crescita industriale e finanziaria del Paese, presenza che, a giudizio della Commissione, diverrebbe ancora più necessaria nel caso si giungesse ad una cessione parziale o totale delle attività nel settore automobilistico.
E’ inoltre da sottolineare come la proprietà, gli azionisti, le banche risultino tenuti ad operare nell’ambito di un quadro di regole, interne ed internazionali, di cui è compito del Governo garantire l’assoluto rispetto. Non va per altro verso trascurato come gli accordi intercorsi tra la FIAT ed altri soggetti, come nel caso di Italenergia, abbiano chiare implicazioni di politica industriale che giustificano non solo la vigilanza ma anche l’adozione di specifici provvedimenti da parte dell’esecutivo.
La necessità di un’attenta attività di vigilanza deriva anche dal fatto che le decisioni già assunte definiscono una
corporate governance
più articolata del passato, in cui agli interessi familiari consolidati si aggiungono responsabilità del sistema bancario, oltre alla presenza di un vastissimo numero di piccoli e medi azionisti indipendenti. In questo ambito le scelte che verranno effettuate dalle banche coinvolte nelle operazioni a sostegno di FIAT e Italenergia assumeranno un ruolo essenziale nella definizione del modello di
corporate governance
che prevarrà nel Paese.
Compito delle istituzioni appare conclusivamente quello di operare affinché tale processo, di radicale cambiamento, possa preservare ed accrescere le risorse competitive a disposizione del sistema Paese, la cui attuale consistenza e solidità consentano peraltro di nutrire un ragionevole ottimismo.