Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi
MERCOLEDI 18 GIUGNO 1997
Presidenza del Presidente PELLEGRINO
Prima parte
Indice degli interventi
La seduta ha inizio alle ore 20,25.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.
Colleghi, mi scuso per il ritardo, ma ero impegnato nei lavori della Commissione bicamerale, dove abbiamo votato fino a pochi minuti fa. D'altra parte, non volevo provocare l'interruzione dell'attività della Commissione stragi per il mese di giugno e quindi sono costretto a cercare di conciliare i due impegni, abusando della vostra pazienza.
Invito l'onorevole Ruzzante a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
RUZZANTE, segretario f f, dà lettura del processo verbale della seduta del 4 giugno 1997
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE
PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.
Comunico altresì che il dottor Arcai ha provveduto a restituire, debitamente sottoscritto, ai sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, il resoconto stenografico della sua audizione svoltasi il 4 giugno scorso, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.
Comunico che, in relazione ad una lettera fatta pervenire alla Commissione dall'onorevole Raffaele Delfino, e concernente dichiarazioni rese dal senatore Andreotti nel corso delle sue recenti audizioni, lo stesso senatore Andreotti ha trasmesso, con lettera del 31 maggio 1997, sue precisazioni concernenti gli eventi che hanno accompagnato la scissione dal Msi del Partito di Democrazia nazionale.
Ancora con riferimento a dichiarazioni rese dal senatore Andreotti a questa Commissione, sono pervenute due lettere da parte del professor De Jorio e del generale Inzerilli contenenti puntualizzazioni e smentite.
Desidero poi comunicare che, in data 5 giugno 1997, è stata trasmessa alla Commissione, da parte del Consiglio provinciale di Roma, una mozione concernente le conclusioni del processo per la strage alla stazione di Bologna, unitamente alla richiesta di ulteriori indagini al riguardo. Tale mozione si aggiunge a numerosi analoghi documenti fatti pervenire da altri enti territoriali (Consiglio regionale del Lazio, Consiglio regionale del Piemonte; Consiglio regionale del Veneto; Consiglio regionale di Milano; Consiglio comunale di Bologna; Consiglio provinciale di Bologna).
Comunico che, nella riunione del 5 giugno, l'Ufficio di Presidenza allargato ai rappresentanti dei gruppi parlamentari ha deliberato di affidare un incarico di consulenza al dottor Aldo Sabino Giannuli.
L'Ufficio di Presidenza, nella stessa riunione, ha altresì deliberato, con il voto contrario della senatrice Bonfietti, di integrare il calendario dei lavori nei termini che seguono:
Tale programma di audizioni, che si aggiunge a quelle, già deliberate, del generale Delfino e degli onorevoli senatori Cossiga e Taviani dovrà essere completato entro il mese di luglio, secondo il programma originario e salvo che entro questo termine non intervengano novità legislative e parlamentari.
SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE
MANCA. Signor Presidente, prima di entrare nel vivo dell'audizione di questa sera, vorrei affrontare un tema che purtroppo più volte è stato da me posto - ma credo anche da altri colleghi - all'attenzione di questa Commissione. Si tratta, cioè, dellincresciosa (per non usare altri aggettivi) questione della fuga di notizie e spesso anche di possibili alterazioni delle stesse. Come tutti sanno, tra ieri e oggi i mass media hanno diffuso la notizia, riportata come «anticipazione della perizia sul tracciati radar», secondo cui la commissione peritale, nominata dal giudice Priore per l'esame dei tracciati radar e composta dai professori Enzo Dalle Mese e Roberto Tiberio, nonchè dal colonnello Donali, avrebbe concluso la perizia, giungendo alla determinazione che la sera del 27 giugno 1980 nel cielo di Ustica ci sarebbe stata una battaglia aerea e quindi il DC 9 dell'Itavia sarebbe stato abbattuto da un missile di uno dei tanti aerei presenti nella zona. Sottolineando che non voglio entrare nel merito del contenuto di tale notizia, che potrebbe anche corrispondere a quanto concluso dai periti, devo anche dire che il dottor Priore questa mattina ha dichiarato alla radio, nel corso della trasmissione «Radio anch'io», che egli conserva la perizia nella sua cassaforte e che garantisce sulla serietà e riservatezza dei suoi periti. Allora, stando così le cose, dovrei essere autorizzato a fare queste due deduzioni.
La prima è che il giudice dice la verità - e credo sia questa l'ipotesi più probabile - sia sulla «tenuta» della cassaforte (nel senso che nessuno può accedervi), sia sulla riservatezza dei suoi periti. Allora, i giornalisti, o chi per essi, hanno riportato fatti prodotti dalla fantasia o comunque non attinti da un'anticipazione della perizia, come è stato affermato.
Seconda deduzione. Il giudice Priore potrebbe non sapere che la combinazione, il numero che va composto per accedere a quanto contenuto nella cassaforte, potrebbe essere nota anche ad altri, oppure che non sarebbe proprio vero che i suoi periti siano riservati, così come da lui supposto: in quest'ultimo caso i mass media avrebbero detto e scritto il vero, anche perché avrebbero attinto alla perizia.
Voglio prescindere comunque dalle deduzioni che ho fatto e, ripeto, anche dal merito. Eormai ora che si promuova un'indagine per scoprire dove si sia verificata la fuga di notizie ed anche la loro possibile alterazione, procedendo contro coloro che potrebbero aver dato sfogo alla loro fantasia, in questo caso gettando del fango su persone, istituzioni, sulla giustizia e fianco sulla stessa Commissione stragi.
PRESIDENTE. Sono lieto, vice presidente Manca, del suo intervento e in seduta pubblica voglio aggiungere una mia manifestazione di rincrescimento per il contenuto di quegli articoli. Se questi sono conformi ai risultati della perizia, è comunque grave che si venga a conoscenza dai giornali di un atto coperto dal segreto istruttorio; ma se cosi è, il modo con cui ciò è avvenuto sfugge ai poteri di questa Commissione. Lei, come ciascuno di noi, può predisporre un'interrogazione rivolta al Ministro di grazia e giustizia per sapere come mai il segreto istruttorio venga così apertamente violato. Diversa sarebbe la valutazione se non ci fosse corrispondenza fra le anticipazioni dei giornali e le conclusioni della perizia; in questo caso, infatti, potremmo domandarci perché si sia voluto creare questo fuoco di sbarramento preventivo sulla pubblica opinione. Per fare queste valutazioni, però bisognerà attendere di venire a conoscenza della perizia. Quello che possiamo dire sin d'ora è che siamo completamente estranei a questa fuga di notizie, visto che a questa Commissione quella perizia non è ancora pervenuta.
MANCA. E se permette, signor Presidente, siamo anche indignati!
PRESIDENTE. Ognuno, poi, può esprimere il proprio atteggiamento in merito. Certo, se tali notizie fossero conformi al contenuto del documento, ci troveremmo in presenza dell'ennesima, grave violazione del segreto istruttorio; se invece fossero difformi si tratterebbe di un caso grave, in quanto si tratterebbe di un tentativo di depistaggio. Devo dire, però, che se dovessero essere conformi, sulla vicenda di Ustica si aprirebbe uno scenario del tutto nuovo, da cui - come Commissione di inchiesta - dovremmo trarre le dovute conclusioni. Comunque, il dottor Priore doveva essere sentito domani dal Comitato che abbiamo costituito per Ustica: mi ha fatto sapere che proprio perché sta studiando quella perizia lui stesso non sa se vi sia o no corrispondenza con le conclusioni, ed ha quindi chiesto di rinviare questa audizione. Ritengo, comunque, che lo sentiremo nella prossima settimana e potremo chiarire questo dubbio: ciò sarà decisivo ai fini della possibile assunzione o no di iniziative da parte di questa Commissione.
SARACENI. L'audizione in sede di gruppo di lavoro è riservata o è possibile parteciparvi?
PRESIDENTE. A questo punto potremmo valutare - insieme al vice presidente Grimaldi - se non sia il caso di farla diventare un'audizione pubblica, perché il dottor Priore dovrebbe venire a spiegarci che cosa è contenuto nella perizia.
SARACENI. Ma in linea di massima si può partecipare alle sedute del gruppo di lavoro?
PRESIDENTE. Certo: si può senz'altro partecipare. Si potrà decidere - ripeto - se prevedere l'audizione innanzi al plenum della Commissione, naturalmente lasciando al dottor Priore la possibilità di decidere se tenerla in seduta pubblica o in seduta segreta.
DE LUCA Athos. A proposito di atti non ancora pervenuti alla Commissione, vorrei sapere se lei aveva delle informazioni da fornire alla Commissione stessa su questo rapporto o verbale Caramazza, di cui ci ha riferito qualche seduta fa.
PRESIDENTE. Il Presidente del Senato mi ha inviato personalmente il rapporto Caramazza, riservandone il contenuto alla mia persona e demandando a me l'incarico di valutare se esso attenga o no alla materia di inchiesta della Commissione, pregandomi, però, prima di acquisire il documento, di comunicarglielo. Naturalmente sto studiandolo e ritengo si tratti di materia di competenza della Commissione. Comunque - ripeto - sto ancora analizzandolo. Questo è lo stato degli atti, ma si tratta di una decisione del Presidente del Senato.
DE LUCA Athos. Abbiamo già fatto dei passi in avanti, perché intanto è arrivato a lei!
PRESIDENTE. Infatti, come dicevo, mi è pervenuto con una lettera (che se desidera, potrà leggere) che lascia a me la valutazione sull'afferenza di quella relazione all'inchiesta della Commissione, con la preghiera di comunicare al Presidente del Senato in anticipo quelle che saranno le mie decisioni.
DE LUCA Athos. Comunque lei scioglierà questo nodo nei prossimi giorni?
PRESIDENTE. Chiederei alla sua cortesia e a quella del componenti la Commissione di farmi uscire da questa ordalia della Commissione bicamerale.
CORSINI. Vorrei porre un quesito, che ritengo non sia soltanto personale. Non disponendo del testo della legge istitutiva di questa Commissione, più volte reiterata, l'indisponibilità di Moretti e Balzerani a farsi audire è in qualche misura coercibile? Possiamo, cioè, esigere comunque l'audizione?
PRESIDENTE. Certamente: dovremo però effettuare una valutazione di opportunità, tenendo presente - come giustamente mi suggeriscono i responsabili degli uffici - che non possono non venire qui, ma venendo potrebbero avvalersi della facoltà di non rispondere o, più probabilmente, potrebbero dichiarare di non avere altro da dire oltre a quanto già raccontato, ed eventualmente ripetercelo. Dovremmo perciò valutare l'effettiva opportunità di predisporre un provvedimento coercitivo.
Prima di dare la parola all'onorevole Fragalà vorrei - se fosse possibile - invitare gli intervenienti alla massima sinteticità, in questa fase procedurale, per non ritardare troppo l'inizio dell'audizione.
FRAGALA. Signor Presidente, interverrò telegraficamente. Concordo con lei sul fatto che nell'ultima settimana, su diversi avvenimenti (Ustica, la strage di piazza Fontana e l'attentato alla questura di Milano di via Fatebenefratelli) vi è stato un innalzamento di barriere per quanto riguarda l'accertamento della verità. A mio parere - e in questo concordo con lei - se quanto detto dai giornali (che addirittura ha fatto invocare all'anarchico Bertoli il suicidio per dimostrare di essere anarchico e di non essere stato addestrato in un appartamento di Verona al lancio delle bombe a mano), se queste notizie - come lei ha detto - non fossero confermate non soltanto dagli atti giudiziari, ma da elementi probanti degli atti giudiziari, desidero che la Commissione prenda atto del fatto che tutte le volte che ci si sta avvicinando alla verità sulle stragi cominciano i depistaggi, in particolare con grandi campagne di stampa.
PRESIDENTE. In merito mi sono limitato a richiede immediatamente una trasmissione alla Commissione dei provvedimenti di custodia cautelare che sono stati adottati, rispetto al quali però non c'è un problema di mancata tenuta del segreto istruttorio, perché non sono atti non coperti da tale segreto.
FRAGALA. La stampa ha detto che l'anarchico Bertoli sarebbe stato
PRESIDENTE. Infatti dobbiamo vedere cosa dicono provvedimenti in proposito; se anche lì ci fosse una falsa attribuzione di contenuti a questi atti giudiziari, dovremmo trarne le dovute conclusioni.
INCHIESTA SUGLI ULTIMI SVILUPPI DEL CASO MORO: AUDIZIONE DEL SIGNOR VALERIO MORUCCI
PRESIDENTE. Procediamo all'audizione di Valerio Morucci che ha dato la sua disponibilità. Numerosi colleghi hanno già chiesto di porre domande: mi limiterò ad una brevissima introduzione e poi darò loro la parola, in quanto non voglio iniziare lo a porre domande per non sottrarre tempo alla Commissione, i colleghi mi consentiranno però di interloquire.
Voglio dire al signor Morucci che la nostra è una Commissione di inchiesta a spettro molto ampio. Tra gli argomenti dei quali la Commissione deve occuparsi c'è anche quello relativo sia ad una valutazione generale del terrorismo che a nuove evenienze ed acquisizioni in ordine alla vicenda Moro. Da questo punto di vista siamo in qualche modo gli eredi della vecchia commissione Moro dalla quale il signor Morucci è già stato ascoltato. La Commissione in questa legislatura è stata ricostituita con una nuova legge e sono stato incaricato di presiederla dai presidenti della Camera e del Senato nell'auspicio che potesse concludere i lavori su un'ipotesi di relazione conclusiva che avevo presentato nella scorsa legislatura. In questa ipotesi di relazione conclusiva, che come tale non impegna la Commissione ma rappresenta soltanto il punto di vista del Presidente, ho espresso con sufficiente chiarezza il fatto che, a mio avviso, la storia delle Brigate rosse fa parte della storia della sinistra italiana. Ho escluso l'ipotesi di una eterodirezione delle Brigate rosse: l'ipotesi che ho formulato è che, alla luce del fatto che soprattutto dal 1975 in poi l'azione di contrasto dello Stato nei confronti delle Brigate rosse ebbe un andamento stop and go, e cioè con momenti di forte rigore ed altri di regressione, quasi di abbassamento della guardia, tutto ciò potesse essere funzionale ad un disegno politico stabilizzante. Naturalmente all'interno della Commissione ci sono anche valutazioni diverse relativamente alla possibilità che alle Brigate rosse si sia di volta in volta potuto aggiungere qualcosa di diverso.
La sua audizione nasce in particolare da un fatto: in sede di audizione di esponenti politici è stato ribadito un giudizio, già formulato nella mia proposta di relazione, sulla non credibilità che il nome «Gradoli» sia emerso a Bologna nel corso di una seduta spiritica. Ciò che noi vorremmo capire, in quanto l'ipotesi espressa nella relazione è stata ripresa da un uomo politico che abbiamo audito e cioè il senatore Andreotti, è se il nome Gradoli sia potuto filtrare attraverso ambienti dell'Autonomia. Pertanto ci è sembrato giusto ascoltare su tale questione anzitutto lei e la signora Faranda che, all'interno del mondo delle Brigate rosse avete avuto, in particolare durante lo svolgimento del sequestro Moro, noti contatti con uomini dell'Autonomia. Penso dunque che l'audizione comincerà a svolgersi soprattutto su tale traccia e cioè se in qualche modo il nome Gradoli sia potuto sfuggire alla rigida compartimentazione delle Brigate rosse ed essere percepito in ambienti ad esse vicini, attraverso i quali pervenire all'Autonomia bolognese e diventare poi in qualche modo un segreto che fu affidato al «piattino». Questa è la ragione specifica per la quale abbiamo ritenuto di procedere a questa audizione. Do la parola al collega Fragalà riservandomi di interloquire con alcune domande. Naturalmente l'audizione non è limitata solo a ciò, in quanto uno dei nostri compiti è quello di dare una valutazione complessiva sull'intero fenomeno del terrorismo.
FRAGALA. Ringrazio innanzitutto il signor Morucci per la disponibilità a farsi audire dalla Commissione. Entrando subito nel tema indicato dal Presidente, è stato proprio il senatore Andreotti che ha riproposto la non credibilità della teoria della seduta spiritica che avrebbe rivelato a Zappolino, il 2 aprile 1978, ad una comitiva di gitanti, tra cui il professor Prodi, il professor Clò, il professor Andreatta, le loro mogli e alcuni ragazzini, non solo il nome di Gradoli ma anche il numero civico (96) ed alcune indicazioni attraverso le quali si risaliva alla palazzina A di via Gradoli. Tale indicazione ha naturalmente fatto sorgere una serie di quesiti che sintetizzo immediatamente e che a mio avviso possono avere una risposta solo se si valuta e si pensi che da una parte un'ala trattativista delle Brigate rosse intendeva comunque far arrivare gli inquirenti e la polizia a via Gradoli per fermare un progetto ritenuto politicamente sbagliato, quello della soppressione dell'onorevole Moro; e che, dall'altra, vi erano organi inquirenti, esponenti politici o della «intellighentia» i quali, ricevuti quei messaggi, non soltanto non li utilizzavano a dovere ma creavano depistaggi. Alla fine dunque per scoprire il covo di via Gradoli ci volle qualcuno che mise un bastone di scopa di traverso e indirizzò il telefono della doccia contro il muro per fare intervenire i pompieri. Il mio è un ragionamento logico e desidero che il signor Morucci mi dia una sua valutazione e, se può, una risposta attraverso le informazioni in suo possesso.
Proprio quella palazzina di via Gradoli 96 era già conosciuta dalla Ucigos, e cioè dalla Direzione generale della pubblica sicurezza, fin dai primi mesi del 1978 perché vi era stata condotta da un esponente, un militante di Potere operaio, tale Giulio De Petra, che era seguito perché aveva un furgone Volkswagen, targato BS 111992, parcheggiato in quella zona e che poi venne anche visto in Calabria nella disponibilità della compagna del professor Piperno. Pertanto la polizia controllava già quella palazzina prima del sequestro Moro. Siccome risulta dagli atti che l'appartamento di via Gradoli 96 è stato per la prima volta preso in locazione da lei nel 1976, quindi era un rifugio vecchio, e poi nel 1978 fu preso in locazione dall'ingegner Borghi, alias Mario Moretti, e risulta che sia la casa che la zona erano controllate dall'Ucigos, voglio porle questa rappresentazione logica. La prima volta che arrivò una notizia che in via Gradoli 96, palazzina A, interno 11, vi era qualcosa che non andava fu la notte del 17 marzo 1978, e cioè all'indomani del sequestro, quando la signorina Lucia Mokbel, residente nella stessa palazzina all'interno 9, e cioè di fronte all'appartamento dell'ingegner Borghi, venne svegliata da strani ticchettii, simili a segnali Morse.
Allora questa signorina immediatamente avvisò la polizia; l'indomani, il 18 marzo, via Gradoli fu circondata dalla polizia, ci fu la perquisizione con quel famoso brigadiere Merola che alle 7 bussò alla porta dell'ingegner Borghi. Nessuno rispose, al brigadiere il fatto non parve strano e andò via. Dopo questa perquisizione andata a vuoto per questo motivo, la signorina Mokbel avvisò il suo amico, il vice questore dottor Elio Cioppa, che in quell'appartamento c'era qualcosa che non andava, ma non ci fu nessun intervento. Poi il 2 aprile vi fu la seduta spiritica di Zappolino di Bologna, nel corso della quale il professor Prodi, il professor Clò e il professor Andreatta rappresentarono agli inquirenti il problema di Gradoli, poi finalmente vi fu la scoperta del covo da parte dei pompieri; perché qualcuno all'interno aveva messo in opera uno stratagemma per far scoprire il covo.
Le chiedo allora: è possibile che dall'interno delle Brigate rosse vi siano stati vari tentativi per far scoprire il covo e se sì per quale motivo? Forse per bloccare la così detta ala militarista delle Br e il disegno di sopprimere Moro? E chi fornì al professor Prodi e agli altri la notizia che in via Gradoli vi era il covo?
PRESIDENTE. Lei risponda alla domanda dell'onorevole Fragalà e poi io specificherò un'altra domanda.
MORUCCI. La risposta alla prima domanda è no. Lei mi chiede se la così detta ala trattativista interna alle Brigate rosse abbia messo in opera qualsiasi stratagemma - tra cui questo ipotizzato di via Gradoli -per mettere in difficoltà le Brigate rosse: la risposta è no, anche perché l'ala trattativista eravamo io e Adriana Faranda. Quindi, certamente no. Peraltro a quel momento non disperavamo ancora per la sorte di Moro e, per di più, leventuale arresto di Moretti avrebbe invece segnato irreparabilmente lepilogo del sequestro. Gli altri membri del comitato esecutivo disponevano infatti di una ancor minore elasticità.
FRAGALA. Come spiega logicamente questi fatti?
MORUCCI. Devo dire che mi trovo in difficoltà a dire cosa potesse succedere dall'altra parte: non ho la più pallida idea, né allora né oggi, di cosa sia successo dall'altra parte. Quindi, fare ipotesi su questo mi sembra abbastanza campato in aria, muovendosi peraltro su un terreno piuttosto scivoloso, perché non è cosa di poco conto ipotizzare che apparati dello Stato abbiano svolto un ruolo depistante o di favoreggiamento delle Brigate rosse. Lascio ovviamente alla Commissione scoprire se cose di questo tipo possono essere avvenute, però dubito che questo risultato possa essere raggiunto ascoltando dei brigatisti: mi sembra più che evidente.
FRAGALA. Ma dall'interno? Perché fu lasciata aperta la doccia?
PRESIDENTE. La versione che avete dato moltissime volte, sia lei che la Faranda, è che lì c'era un'antica perdita, segnalata addirittura mesi prima dall'amministratore del condominio quando lei e la Faranda abitavate in via Gradoli. La cosa che mi lascia perplesso è come mai improvvisamente la perdita si era così aggravata da far arrivare i pompieri, che in generale si muovono quando c'è un allagamento, non quando c'è una macchia di umidità. E questa la domanda dell'onorevole Fragalà.
MORUCCI. Si può dire che tutte le cose hanno una fine, quella perdita che per anni ha continuato è arrivata ad un certo punto a dilagare. L'altra possibilità è che Barbara Balzerani, che oltre ad essere miope è sempre stata molto sbadata, abbia lasciato aperta la doccia. Non so esattamente cosa sia stato rinvenuto, né come, né quanto possano essere esatte le relazioni che sono state fatte al momento, sappiamo perfettamente che spesso e volentieri sono abbastanza superficiali se non completamente errate.
CALVI. Se ci sono inesattezze ci dica quali sono!
MORUCCI. Senatore Calvi, sto dicendo soltanto che è possibile che la relazione dei vigili del fuoco su ciò che hanno rinvenuto nel bagno dell'appartamento di via Gradoli possa essere errata su qualche particolare, ad esempio la doccia fissata sulla scopa; non lo so. So soltanto che in quella vasca erano sempre a bagno le innumerevoli camicie di Mario Moretti; quindi, poiché la Balzerani, oltre ad essere fortemente miope era molto sbadata - soprattutto la mattina presto con la pressione bassa - è possibile che abbia disposto malamente la direzione del getto della doccia tanto da provocare un'infiltrazione di acqua che poi ha portato all'arrivo dei pompieri. E questa l'ipotesi che posso fare.
FRAGALA. Ci sono a mio avviso altri due aspetti molto strani e illogici, che vorrei lei spiegasse, se può. Quando fu scoperto quel covo dai pompieri, fu trovato sul tavolo all'ingresso un drappo delle Brigate rosse, alcune armi depositate su questo tavolo e molto materiale propagandistico con la stella delle Br. Era consuetudine delle Brigate rosse (oltre a quella di avere compagne sbadate che lasciavano la doccia in modo strano e soprattutto aperta a causa della pressione bassa la mattina) apparecchiare nei propri covi una specie di palcoscenico per cui chiunque entrasse dovesse subito capire che lì ci si trovava di fronte a un covo delle Br? Come spiega logicamente questo aspetto?
MORUCCI. Posso dire che è abbastanza insolito. Dopo di che, ragionando logicamente, dato che non sono entrato in quell'appartamento il 18 mattina, chi altri avrebbe potuto creare quell'apparecchiatura, come lei l'ha chiamata? Non credo né Mario Moretti né Barbara Balzerani; dubito fortemente che qualcuno avesse le chiavi di quell'appartamento per predisporre una tale apparecchiatura, è probabile che la relazione dei pompieri sia imprecisa su questo particolare.
FRAGALA. Ci sono le fotografie.
MORUCCI. Ma le fotografie sono state scattate dopo che qualcuno poteva aver tranquillamente tirato fuori ciò che aveva trovato negli armadi. E possibile che ci fosse in giro qualcosa, può sempre sfuggire qualcosa in giro: un volantino, un caricatore, un proiettile. Secondo me la base era comunque identificabile una volta entrati i pompieri; per cui da lì ad aprire gli armadi, trovare altra roba e metterla sul tavolo, il passo è breve.
PRESIDENTE. Le voglio fare una domanda più precisa perché il problema è che non crediamo agli spiriti o, per lo meno, non ci crede il Presidente di questa Commissione. Il nome Gradoli affidato ad una seduta spiritica, che poi era collocato tra Viterbo e il lago di Bolsena più che sul paese di Gradoli sito sulla strada romana, sembra chiaramente una notizia filtrata che, come spesso avviene, si modifica e viene quindi percepita in maniera non esatta. L'appartamento di via Gradoli, da quello che mi risulta, fu affittato da Mario Moretti sotto il falso nome di Mario Borghi, dall'ingegner Ferrero e dalla moglie Luciana Bozzi. Da un rapporto della polizia giudiziaria che fa parte degli atti della Commissione di inchiesta sul caso Moro, risulta che la Bozzi era ottima conoscente di Franco Piperno e di Giuliana Conforto, una docente che poi ospitò lei e la Faranda nell'abitazione di viale Giulio Cesare. Lei conferma questa amicizia triangolare Bozzi-Conforto-Piperno?
MORUCCI. No, assolutamente.
PRESIDENTE. E lei sa come Moretti si orientò sull'appartamento di via Gradoli?
MORUCCI. No, non ne abbiamo mai parlato. Credo che la scelta sia stata del tutto casuale, cioè mi sembra abbastanza «fuori di senno» per Mario Moretti affittare un appartamento seguendo non si sa quale canale di amicizie di Franco Piperno. Non c'era questa grande penuria di appartamenti a Roma per dover seguire strade così complicate, e poi Moretti non aveva alcun rapporto con Piperno.
FRAGALA. A lei non sembra strano che Mario Moretti, per un'azione terroristica così decisiva e pericolosa, scegliesse di usare un appartamento di cui lei aveva la disponibilità già da due anni?
MORUCCI. No, è il contrario, cioè è stato affittato prima da Mario Moretti e poi ci sono andato io.
PRESIDENTE. E stato utilizzato da lei e dalla Faranda.
FRAGALA. Quindi è stato affittato nel 1976.
FRAGALA. Perché Mario Moretti utilizza un appartamento così vecchio? Non è un'imprudenza illogica? Come lei ha detto chiaramente, a Roma c'erano mille appartamenti. Che senso avrebbe avuto usare un vecchio appartamento che poteva essere già nel mirino degli inquirenti? Come mai Mario Moretti commise questa imprudenza?
MORUCCI. Se Mario Moretti fosse stato nel mirino degli inquirenti sarebbe stato arrestato. Un appartamento più è vecchio più è sicuro perché ha una gestione consolidata. Sono gli appartamenti recenti ad essere pericolosi.
PRESIDENTE. Voi avete dato questa spiegazione anche per l'appartamento di via Montalcini. Avete detto che soprattutto quando si affittava un appartamento e poi si effettuavano lavori di modifica, veniva utilizzato dopo un certo tempo per essere sicuri dell'affidabilità dei vicini.
MORUCCI. Certo, per essere sicuri che la situazione si era stabilizzata.
FRAGALA. Ma sapevate che via Gradoli era una strada dove vi erano appartamenti nella disponibilità di altri esponenti dell'Autonomia, di Potere operaio e addirittura dei servizi segreti?
MORUCCI. No, l'ho saputo solo una volta uscito dalle Brigate rosse. Che ci fossero strutture dei servizi segreti, invece, lo apprendo ora.
FRAGALA. Quindi, non vedevate movimenti strani.
MORUCCI. No, anche perché uscivamo la mattina presto, tornavamo la sera e ci chiudevamo dentro l'appartamento: non è che stavamo in finestra a guardare quello che succedeva per strada, né controllavamo.
PRESIDENTE. E sapevate che fosse una zona molto frequentata ed abitata dalla criminalità comune, e quindi come tale oggetto di una particolare attenzione delle forze dell'ordine?
MORUCCI. Bisognerebbe trovare una via a Roma non abitata dalla criminalità comune o di altro tipo! Anche alla Balduina probabilmente!
PRESIDENTE. Non riesce a darci una spiegazione nemmeno in via di ipotesi di come il nome Gradoli sia filtrato fino a Bologna?
FRAGALA. Dobbiamo pensare quindi che lei creda alla seduta spiritica?
MORUCCI. Credo alle sedute spiritiche, non credo di essere il solo, e mi sembra che in quel periodo fu chiamato un rabdomante per cercare la base dove era tenuto sequestrato Aldo Moro, se non vado errato: quindi anche qualcun altro ci credeva.
CALVI. Non ho capito bene. Morucci, lei crede alle sedute spiritiche?
PRESIDENTE. No, ha detto una cosa diversa: ha detto di credere che ci si affidasse alle sedute spiritiche per cercare di capire dove poteva essere la prigione di Aldo Moro ed è vero che ciò fu fatto anche attraverso metodi strani; però in questo caso la domanda è come fa il rabdomante in questo caso a trovare l'acqua.
MORUCCI. Non escludo questa possibilità; credo che il mondo che ci circonda sia molto più misterioso di quanto ci vogliano far credere gli scienziati. Mi sembra abbastanza strano che da una seduta spiritica sia proprio sortito il nome Gradoli; posso arrivare a credere che si arrivasse a «Grad», «Graoli» o qualcosa del genere, ma che venisse fuori per intero «Gradoli» mi sembra abbastanza strano.
CORSINI. Occorre una precisazione. Non vorrei che domani la stampa lanciasse uno scoop e cioè comunicasse, sulla base delle informazioni date dall'onorevole Fragalà, che anche l'attuale ministro Andreatta era presente alla seduta, mentre assolutamente non c'era.
PRESIDENTE. E indubbio che non ci fosse.
CORSINI. L'onorevole Fragalà quando ha elencato i presenti ha citato anche Andreatta.
PRESIDENTE. Invito i colleghi a fare le domande senza introdurre le risposte altrimenti il punto di domanda si perde.
FRAGALA. Lo dico per il collega e amico Corsini: io ho assunto l'informazione che invece il professor Andreatta - non mi sono sbagliato a dirlo - era presente alla seduta spiritica e questa circostanza è stata sempre negata da un libro pubblicato nel 1983 dall'avvocato Zupo e dal responsabile del settore organizzativo del Partito comunista di Roma, di cui in questo momento non ricordo il nome; hanno pubblicato dei documenti, soprattutto una testimonianza dell'ex direttore del Corriere della sera Di Bella sul fatto che il professor Andreatta fosse presente alla seduta spiritica.
Signor Morucci, in questa sfilza di stranezze di cui non riusciamo ad avere una spiegazione logica, non trova assai illogico che quando la polizia ed i vigili del fuoco entrarono per caso nel covo di via Gradoli, immediatamente iniziò una lunga trasmissione televisiva straordinaria che trasmise in tutta Italia la scoperta di quel covo per cui Mario Moretti in seguito dichiarò di aver saputo miracolosamente dalla televisione alle ore 13, mentre era ad una riunione della direzione strategica delle Br a Firenze (quella mattina Moretti era uscito alle 7 non per andare in via Montalcini ma per andare a Firenze) dell'accaduto e di aver detto ai compagni: guardate quella è casa mia, meno male che la televisione ce lo sta comunicando altrimenti stasera io sarei stato arrestato. Siccome gli inquirenti, l'Ucigos ed i reparti speciali dei carabinieri avevano acquisito fin dal 1974 una tecnica investigativa per cui quando si scopriva un covo non lo si diceva a nessuno, come fu a Robbiano di Mediglia, ci si nascondeva dentro e poi si aspettava che ad uno ad uno gli ospiti di quel covo si presentassero per essere arrestati, lei come spiega che in quella occasione invece fu dato mandato alla televisione di avvertire tutti della scoperta?
PRESIDENTE. Più che un mandato, c'è il fatto che la televisione diede notizia del ritrovamento di un covo delle Brigate rosse durante i cinquantacinque giorni del rapimento Moro. Mi soffermavo sulla sua affermazione che era stato dato mandato...
FRAGALA. Signor Presidente, qualcuno degli organi inquirenti consentì alla televisione di effettuare le riprese interne e far così riconoscere a Moretti, il quale si trovava a Firenze, che era stata scoperta la sua casa, mentre le tecniche investigative...
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, questa non è una domanda; è una sua deduzione, legittima, ma resta tale. Torniamo alle domande.
FRAGALA. Secondo lei, signor Morucci, questo aspetto che ho sottolineato è frutto solo di casualità e superficialità oppure lei ha avuto notizia in altro modo che è stato frutto di un disegno preciso di tipo depistante o di favoreggiamento?
MORUCCI. Ripeto che non posso aver avuto notizie di nessun tipo di quanto avveniva dall'altra parte. Credo che questa stranezza sia imputabile all'approssimazione, all'orgasmo del momento e al fatto che forse, dato che questa base, a differenza di Robbiano di Mediglia e di altre non è stata rintracciata sulla base di indagini, ma è stata scoperta dal pompieri, è abbastanza probabile che ormai la cosa fosse fuori del controllo della polizia, perché una volta che il pompiere trova un drappo delle Brigate rosse e, tramite radio, avverte la centrale dei pompieri, credo che sia abbastanza difficile per la polizia controllare la divulgazione della notizia. E un caso abbastanza diverso da quello che ha citato lei...
FRAGALA. E quindi far fare le riprese interne...
MORUCCI. Far fare le riprese... siamo in un paese democratico; una volta che una notizia arriva, la televisione si muove, si muovono i giornalisti, non è che si può fermarli e impedirgli di fare il loro mestiere.
FRAGALA. Signor Morucci, sempre a proposito di via Gradoli, lei ha conosciuto il professor Corrado Corghi?
MORUCCI. No.
FRAGALA. E famoso. Ora le spiego il senso della domanda. Questo professore è un esponente democristiano di Bologna della Sinistra dossettiana, quella che stava a sinistra del Pci...
GUALTIERI. Ma che domanda è questa?
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà che modo ha di porre le domande? Morucci le ha già detto che non lo conosce.
FRAGALA. Sto spiegando chi è.
PRESIDENTE. Spieghi pure chi è, ma tralasci i commenti.
FRAGALA. Il tema è questo. Non so se lei - ma penso di sì - sia a conoscenza di una intercettazione ambientale abusiva eseguita dal Sisde nel luogo di smistamento del carcere dell'Asinara nel 1978 fra due appartenenti alle Brigate rosse. In questa intercettazione ambientale, che è stata poi filtrata e naturalmente tradotta, si parlava, tra questi due brigatisti, della presenza del quarto uomo, di questo quarto uomo del quale non si seppe nulla per tanti anni, fino al 1985, durante il sequestro Moro e nella prigione di Moro. Moro veniva definito per tre volte «uomo di destra», l'uomo della destra della borghesia che doveva essere eliminato perché stava facendo la ristrutturazione dello Stato. In questa intercettazione telefonica i due brigatisti addirittura dicono che la ristrutturazione dello Stato doveva passare, secondo il disegno di Moro, attraverso la riforma istituzionale e la Repubblica presidenziale. Ebbene, nel 1988, viene assassinato il professor Ruffilli, persona assolutamente sconosciuta al grande pubblico, anzi quasi a tutti, e viene ucciso dalle Brigate rosse perché, secondo la rivendicazione, era colui che stava facendo, per conto dell'allora esponente della Dc, onorevole De Mita, la ristrutturazione dello Stato attraverso un progetto di Repubblica presidenziale. Le chiedo innanzitutto se lei è in grado o vuole dire alla Commissione il nome dei due brigatisti intercettati all'Asinara, protagonisti di questa conversazione. E poi, dato che in questa conversazione intercettata nel 1978, si indica, contrariamente a quello che era l'immaginario collettivo di sinistra dell'epoca, che Moro doveva essere eliminato non perché autore del compromesso storico e dell'avvicinamento del Pci e della sinistra nell'area del potere ma, al contrario, perché esponente della borghesia di destra, colui che strategicamente stava ristrutturando lo Stato con la Repubblica presidenziale, le chiedo se, in base agli elementi di questa conversazione e poi dell'omicidio di Ruffilli, le Brigate rosse nel 1978 avevano come disegno strategico proprio quello di eliminare tutti coloro che immaginavano o prospettavano una riforma istituzionale in senso presidenzialista.
PRESIDENTE. Il Presidente di questa Commissione conosce la lunga lettera che lei scrisse a Cavedon subito dopo l'uccisione di Ruffilli, e sa come nel tempo lei abbia precisato qual era il ruolo che Moro svolgeva, secondo le Brigate rosse, e per cui dalle Brigate rosse veniva individuato come il «cuore dello Stato», che andava strutturandosi come Stato imperialista delle multinazionali (il Sim) e per questo doveva essere colpito. Comunque risponda.
MORUCCI. L'intercettazione è precedente al sequestro Moro o posteriore?
FRAGALA.E posteriore, evidentemente.
MORUCCI. Lei ha detto 1978, non capivo se era precedente o posteriore.
FRAGALA. Si parla della prigionia di Moro, di come è stato trattato, degli interrogatori.
MORUCCI. Già, certo, mi era sfuggito. Mi sembrano dichiarazioni completamente in linea con quanto sempre affermato dalle Brigate rosse, cioè c'è una direzione strategica, c'è l'opuscolo sulla campagna di primavera. In tutti questi documenti le Brigate rosse (ma anche precedentemente, credo anche per l'attentato a Publio Fiori) hanno sempre sostenuto che era in atto in quel momento, perché credevano più loro nello Stato di quanti erano nello Stato, evidentemente, cioè nelle possibilità di una ristrutturazione dello Stato, credevano che fosse in atto una ristrutturazione in senso efficientista, decisionista, autoritario, cioè diciamo di uno snellimento autoritario nella capacità di governo.
FRAGALA. Un superamento delle contraddizioni.
MORUCCI. Mah! Superamento delle pastoie che rendevano difficoltoso il percorso esecutivo delle decisioni, e credevano che asse di questa ristrutturazione fosse, ovviamente, la Democrazia cristiana e in particolare l'onorevole Moro che in quel momento aveva assunto la Presidenza della Dc, aveva un suo uomo come Segretario della Democrazia cristiana e aveva apertamente, pubblicamente, avviato una fase di riorganizzazione della Democrazia cristiana. Da una parte, i libri della Trilateral, dall'altra queste teorie sullo Stato imperialista delle multinazionali, che sono più vecchie delle Brigate rosse, dall'altra questa iniziativa politica dell'onorevole Moro, il cortocircuito è stato praticamente immediato. Dato che il ragionamento di un gruppo clandestino deve tendere - così come si credeva che fosse quella la direzione verso la quale tendeva lo Stato - alla massima semplificazione, quindi al minor tempo possibile che deve intercorrere tra l'analisi e l'esecutività di un'azione, hanno immediatamente cortocircuitato tutti questi elementi ed hanno identificato nell'onorevole Moro, come dire, la chiave, sì, la chiave di volta di questa ristrutturazione, che poi si può dire presidenzialista, si può dire in tanti modi. Sono argomenti che poi sono stati trattati a iosa negli anni successivi e se ne parla ancora oggi, mi sembra.
GUALTIERI. Ho sentito il nome di Corrado Corghi. Non capisco cosa c'entrasse in questo discorso.
MORUCCI. Mi ha chiesto l'onorevole Fragalà se era intenzione o strategia delle Brigate rosse eliminare tutti gli uomini che facevano capo a questo progetto.
GUALTIERI. Ma perché Corrado Corghi?
MORUCCI. Non lo so.
GUALTIERI. Ho conosciuto Corrado Corghi, che era segretario regionale della Democrazia cristiana negli anni settanta. Non riesco a capire, onorevole Fragalà perché l'abbia richiamato in questo discorso. E solo una curiosità, la mia.
FRAGALA. Ho fatto questa domanda per capire se il professor Corrado Corghi potesse costituire il tramite affinché la notizia su via Gradoli filtrasse tra i professori di Bologna in quanto, come ha detto il senatore, il professor Corghi oltre ad essere un professore universitario e un esponente dei dossettiani bolognesi era anche persona vicina al professor Prodi, al professor Clò e a quell'ambiente dei cosiddetti professori di Bologna. Ho chiesto quindi a lui se lo conoscesse, perché, in caso di risposta affermativa, gli avrei chiesto se questi fosse stato il tramite della notizia. In questa intercettazione ambientale i due brigatisti dopo il sequestro Moro oltre a dimostrare di sapere tutti i particolari della prigionia di Moro e dei suoi interrogatori - dicono, per esempio, che impiegava anche un'ora prima di rispondere alle domande...
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, sarebbe opportuno a questo punto visto che Morucci non lo sa chi sono questi due brigatisti.
FRAGALA. Signor Presidente, al momento non conosco i nomi dei due brigatisti.
FOLLIERI. Onorevole Fragalà, l'intercettazione allora come l'ha ricavata?
FRAGALA. L'ho ricavata dal processo Moro perché depositata alla Corte di assise dai difensori di Leonardi e di Ricci ossia dagli avvocati Zupo e Ligotti ed è stata chiesta a tale Corte una verifica su alcuni fatti. Si tratta quindi di un atto processuale ufficiale che ho letto nella trascrizione...
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, si trattava di brigatisti che avevano partecipato al sequestro Moro o erano della prima generazione e quindi detenuti durante il processo?
FRAGALA. Signor Presidente, secondo me dalla lettura emerge che Msi tratta di brigatisti che avevano partecipato al sequestro Moro perché per esempio, dicono che per tutta la prima notte Moro - al quale non fu torto un capello e fu sempre trattato bene, servito e riverito -, per distruggerlo psicologicamente, fu fatto rimanere in piedi e insonne e che per quel fatto ebbe un crollo psicologico; parlavano poi ampiamente delle famose bobine delle quali lo stesso Valerio Morucci ha confermato l'esistenza nel 1993, le bobine dell'interrogatorio di Moro. Lei lo ha confermato in un interrogatorio...
PRESIDENTE. E ha detto anche che furono distrutte appena trascritte.
FRAGALA. La domanda è questa, queste bobine furono bruciate a Moiano oppure no?
MORUCCI. No. A quanto mi sembra di aver letto da qualche parte su dichiarazioni di Bonisoli e di Azzolini, sembra che la registrazione si sia interrotta praticamente subito vista l'impossibilità di interrogare Moro. Non si era all'altezza e il tentativo è stato abbandonato. Si è lasciata poi una serie di domande all'onorevole Moro il quale poi rispondendo ha scritto quel suo memoriale successivamente rintracciato in via Monte Nevoso. Queste bobine registrate nei primi giorni costituivano poca cosa.
FRAGALA. Ma esistono ancora?
MORUCCI. No, saranno state distrutte, sovraincise.
FRAGALA. Lei non lo sa, comunque.
MORUCCI. So che erano state distrutte, ciò che non sapevo è che questo interrogatorio registrato su nastro fosse durato pochissimo...
PRESIDENTE. Quindi il memoriale costituiva una risposta alle domande che gli erano state date per iscritto, perché la sua struttura fa pensare a questo.
MORUCCI. Si trattava di domande per esteso del tipo: «Quanto la Democrazia cristiana è coinvolta con il Sim? Quanto è coinvolta nelle stragi di Stato? Quali sono i canali decisionali?».
PRESIDENTE. Si tratta di un argomento sul quale mi riservavo di farle una domanda e che riguarda molto da vicino i compiti di questa Commissione. Lei e altri brigatisti avete sempre sostenuto che in realtà Moro non vi avesse detto sostanzialmente nulla o che, per lo meno, non avesse dato conferma dell'esattezza del modello teorico del Sim, che era la cosa cui voi tenevate. Si tratta di una valutazione che personalmente non condivido. Non mi sembra affatto che Moro non vi abbia detto niente, anzi vi ha detto moltissime cose e soprattutto abbiamo capito che ciò era accaduto quando a via Monte Nevoso è stata trovata la seconda parte del memoriale, l'edizione integrale e non quella purgata. La mia domanda è questa: potevano essere così cieche le Brigate rosse da non capire la deterrenza politica che era all'interno delle cose che Moro riconosceva, perché parlò di Gladio, parlò con estrema precisione della strategia della tensione, parlò della connivenza e della compiacenza di settori della Democrazia cristiana con la strategia della tensione, parlò di responsabilità interne e internazionali nella strategia della tensione. Perché avete sempre detto, e in qualche modo confermato unopinione comune, a mio avviso sbagliata, che Moro non aveva detto nulla? O che per lo meno che le cose che diceva non erano utili? Ad un certo punto poi in una delle sue successive audizioni sul memoriale diceste: «Ad un certo punto avemmo l'impressione che il Sim avesse condannato a morte Moro». Questi in qualche modo in una dimensione internazionale poneva le sue dichiarazioni e l'idea che quel mondo lo condannasse a morte non avrebbe dovuto fungere da deterrente all'intenzione di ucciderlo? Il timore di fare un piacere al Sim non affiorava?
MORUCCI. Signor Presidente, a questa domanda potrebbe rispondere molto meglio di me la «Sfinge», ossia Mario Moretti. All'epoca non ero messo a conoscenza di quanto Moro andasse scrivendo o dicendo. Ho letto parte di questo memoriale in carcere quando è stato allegato agli atti durante il processo. Posso dire che Moro non ha detto ciò che le Brigate rosse volevano sentire: ha parlato di una Democrazia cristiana completamente disorganizzata, di sezioni che non c'erano, di enormi difficoltà a far marciare le cose, di una Democrazia cristiana connivente in traffici, come ha detto lei, connivente con la strategia della tensione. Bene, tutte queste cose - per quanto viste oggi e viste con un'altra ottica possono essere rilevanti - contraddicevano l'assunto teorico delle Brigate rosse perché mostravano una Democrazia cristiana assolutamente impastoiata nei problemi di sempre. Non il Sim, non questo Golem che si erge a difesa degli interessi capitalistici pronto a schiacciare senza pietà qualsiasi forma di ribellione con una efficienza assolutamente moderna.
PRESIDENTE. Forse in questo l'analisi non era del tutto sbagliata: era un presentimento del mondo della tecnocrazia che stava per nascere.
MORUCCI. Infatti, come ho detto, il Sim era uno spettro che si aggirava precedentemente alle Brigate rosse, non è un parto di queste. Posso immaginare la delusione di Moretti nel leggere quello che scriveva Moro, perché Moro stava dicendo la verità, ma non era quella che volevano le Brigate rosse. La fine di questa vicenda mostra la scarsa capacità di analisi politica del ceto dirigente delle Br (altrimenti non sarebbe finita in quel modo), il quale non ha saputo neanche cogliere, in un momento di contraddizione dell'assunto, degli elementi che potevano comunque essere utilizzati e reinquadrati, rivisitando le teorie per corroborare la propria azione. Anche perché, oltre alla scarsità di capacità politica, c'era anche una certa pressione, cioè si stava attenti a ciò che succedeva rispetto alla conclusione, allo svilupparsi di quella vicenda molto più che non a quanto Moro potesse corroborare le ipotesi delle Brigate rosse. Quindi, la concomitanza di questi due fatti probabilmente ha condotto all'incapacità di leggere ciò che lì era scritto. Può ripetermi l'altra domanda che mi aveva posto?
PRESIDENTE. Lei esclude che da qualche parte possa esserci un'ulteriore appendice al memoriale?
MORUCCI. Mi sembra abbastanza strano. Tutto il materiale era stato portato in via Monte Nevoso perché bisognava scrivere l'opuscolo sulla «campagna di primavera», che poi non è stato più scritto ed è stato redatto in carcere.
PRESIDENTE. Nelle sue precedenti dichiarazioni lei ha affermato che in realtà non avevate deciso di non utilizzarlo per niente, però volevate fare una pubblicazione da mandare nelle librerie.
MORUCCI. Sì, era una delle ipotesi; in quel momento c'erano tante ipotesi, c'erano dei giornali, c'erano tante storie. Comunque, la scoperta della base di via Monte Nevoso ha fatto saltare tutto. A quanto io posso capire, non vi è motivo per cui in via Monte Nevoso non fosse arrivato tutto il materiale, perché si trattava di una base abitata da due membri del comitato esecutivo delle Brigate rosse, Azzolini e Bonisoli, quindi due persone che avevano seguito la vicenda in tutti i suoi risvolti. Pertanto, non riesco a capire perché mai il materiale non dovesse essere convogliato tutto in quella base, non c'era alcun motivo. Peraltro, appunto, per le Brigate rosse si trattava di materiale poco interessante. Dato che invece è interessante, come ha detto lei, ciò che è stato trovato, allora non si doveva trovare neanche quello.
PRESIDENTE. Ho insistito su questo argomento perché l'idea che Moro non avesse parlato è la valutazione contenuta nella relazione ufficiale della Commissione Moro, ma personalmente non la condivido.
FRAGALA. In questa famosa intercettazione ambientale, i due brigatisti dell'Asinara sostengono che Moro, per quanto pensasse per ore alle risposte da fornire, aveva parlato, fornendo oralmente le risposte, che poi erano state raccolte nelle bobine (parlano sempre i due brigatisti fra di loro). Quindi, dell'esistenza di tali bobine c'è questa testimonianza.
PRESIDENTE. Ma su questo, onorevole Fragalà, Morucci ha già risposto. Secondo lui, Moro scrisse il memoriale, oralmente rispose poco e le bobine furono ben presto distrutte. Lei ha qualche elemento per contraddire queste affermazioni?
FRAGALA. Mi scusi, Morucci, lei ha appena detto al Presidente di non conoscere ciò che scriveva e diceva Moro. Ma lei era il postino, che addirittura portava delle lettere i cui destinatari, dopo averle lette, le restituivano. E vero questo?
MORUCCI. Me le restituivano?
FRAGALA. Sì, gliele restituivano dopo averle lette.
MORUCCI. E abbastanza improbabile. Io lasciavo in alcuni posti le lettere che poi venivano ritirate da queste persone.
FRAGALA. Lei non ha mai consegnato direttamente queste lettere?
MORUCCI. Assolutamente, questo sarebbe fuori da ogni criterio di sensatezza, più che di sicurezza.
FRAGALA. Lei leggeva le lettere?
MORUCCI. Certo.
FRAGALA. Quindi lei conosceva tutte le lettere di Moro, nel cc del sequestro.
MORUCCI. Onorevole Fragalà, visionando le carte ritrovate in via Monte Nevoso, ho scoperto che molte delle lettere scritte da Moro non mi erano state consegnate. Quindi, a monte, c'era un vaglio di queste lettere e una decisione da parte di Moretti di darmele per la consegna o meno. Le lettere scritte da Moro sono molte di più di quelle che ho consegnato. Ma io questo l'ho scoperto successivamente: all'epoca ero convinto che tutte le lettere scritte da Moro venissero consegnate. Invece non era così.
FRAGALA. Lei ha fatto le fotocopie delle lettere che ha consegnato?
MORUCCI. Sì.
FRAGALA. Quindi lei ha queste fotocopie.
MORUCCI. Io?
FRAGALA. Lei le ha fatte le fotocopie?
MORUCCI. Sì, ma le restituivo a Moretti.
FRAGALA. Su tale questione, uno degli argomenti meno approfonditi del caso Moro, di cui la Commissione ha avuto recentemente la prova, è quello relativo alla trattativa segreta fra Brigate rosse, Vaticano e la famiglia di Moro.
PRESIDENTE. Che prova abbiamo avuto?
FRAGALA. Nell'audizione dell'onorevole Forlani, per la prima volta un uomo politico democristiano ha riconosciuto che c'era una trattativa segreta fra le Brigate rosse, il Vaticano e la famiglia.
PRESIDENTE. E un biografo di Paolo VI ha recentemente indicato anche il nome del cardinale, del capo dei cappellani delle carceri incaricato di questa trattativa.
FRAGALA. Mentre il senatore Andreotti, a mia specifica domanda, ha negato l'esistenza di questa trattativa. Ora, le chiedo se è vero che questa trattativa stava per giungere ad un risultato concreto, addirittura alla sua conclusione. Se lei sa, perché si interruppe all'improvviso? E come mai lo straziante appello di Paolo VI non venne raccolto? Cosa fece fallire questa trattativa che era giunta quasi a conclusione?
MORUCCI. Non ho idea di dove fosse arrivata questa trattativa. Posso supporre che fosse un canale attivato nelle carceri, quindi non con le Brigate rosse ma con i detenuti appartenuti alle Brigate rosse, che sono ben altra cosa. Non so nulla di questa trattativa, non posso sapere dove fosse arrivata e dubito che potesse arrivare in qualsiasi posto, perché i detenuti delle Brigate rosse non avevano alcun potere di condizionamento.
PRESIDENTE. Quindi lei conferma che non c'è stato alcun contatto diretto tra lei e don Mennini?
MORUCCI. Assolutamente, non c'è stato alcun contatto diretto tra me e don Mennini, né tra elementi al momento in libertà delle Brigate rosse e emissari di qualsiasi natura, fatta esclusione per i miei rapporti con Lanfranco Pace, ovviamente.
PRESIDENTE. Qual era la sua condizione giuridica in quel periodo?
MORUCCI. Ero ricercato dal 17 marzo del 1978.
PRESIDENTE. E come mai Pace la rintraccia - seppure dopo qualche tentativo - con una certa facilità? In questi giorni ho riletto le sue dichiarazioni e l'impressione che se ne ha è di una sostanziale libertà di movimento sua e della Faranda dentro Roma.
MORUCCI. Il fatto che il cadavere di Aldo Moro sia stato lasciato in via Caetani testimonia l'assoluta libertà di movimento delle Brigate rosse in Roma. Non capisco.
PRESIDENTE. Noi dobbiamo dare una valutazione sull'efficienza dell'azione di contrasto. La domanda però è come fece Pace a trovarla.
MORUCCI. Alcuni elementi delle Brigate rosse a Roma erano conosciuti e rintracciabili all'interno del movimento da chi era all'interno di esso.
PRESIDENTE. Quindi lei non pensa che un'azione di polizia che si fosse svolta sugli uomini del movimento più vicini a voi avrebbe potuto ricondurre a lei, e da lei a Moretti?
MORUCCI. Bisogna vedere se la polizia conosceva gli elementi delle Brigate rosse all'interno del movimento. Non ne ho la più pallida idea.
PRESIDENTE. La componente del Partito socialista facente capo a Signorile, però, sapeva con quali persone doveva parlare?
MORUCCI. No, parlavano con Pace e con Piperno, quindi non sapevano con chi parlare, perché Pace e Piperno non erano le Brigate rosse, Vitalone parla con Pifano.
PRESIDENTE. Per questo motivo dico che, seguendo Pifano e Pace, in qualche modo potevano arrivare a voi.
MORUCCI. Questi erano nomi contenuti nell'elenco che era affisso in tutte le questure; non era una grande difficoltà cercare Pace, Piperno o Pifano.
PRESIDENTE. Dal momento che erano uomini i cui nomi comparivano negli elenchi delle questure, una sorveglianza di Pace o Pifano non avrebbe potuto condurre a voi?
MORUCCI. Sì, ma la stessa sorveglianza avrebbe dovuto essere attivata su altre duecento persone. Comunque, sì, avrebbe potuto portare a noi, ma dopo dove si arrivava?
PRESIDENTE. Le cose che mi sorprendono, per esempio, sono la tenuta del covo di via Montalcini, quella del sistema difensivo delle Brigate rosse a Roma, in quei cinquantacinque giorni del sequestro Moro, e l'estrema facilità con cui, poi, Dalla Chiesa arriva a via Monte Nevoso. Moro non si rintraccia, mentre le sue carte si rintracciano in poco più di venti giorni! Tenga presente che questa è una Commissione a cui alti ufficiali degli apparati di sicurezza hanno detto che voi eravate infiltrati.
MORUCCI. La tenuta delle nostre basi a Roma era del tutto casuale: ogni mattina mi aspettavo che qualcuno bussasse alla porta, soprattutto perché l'andamento delle indagini era del tutto casuale ed a tappeto: un giorno riguardavano un quartiere e quello successivo un altro; quindi, non si era sicuri in nessun quartiere. Dato che Roma è una città vasta, caso ha voluto che non «arrivassero», anche perché le basi delle Brigate rosse erano poche: all'epoca credo fossero quattro; quanti sono gli appartamenti a Roma?
FRAGALA. Lei ha saputo che la base di via Montalcini veniva controllata da una pattuglia dell'Ucigos, che ha sorvegliato anche tutto il periodo del trasloco che ha fatto Laura Braghetti con l'automobile?
MORUCCI. No.
FRAGALA. Lei non l'ha mai saputo?
MORUCCI. No. Noi abbiamo saputo che Laura Braghetti era seguita perché un giorno ci ha detto di aver visto una Giulia, un'Alfa Romeo, con l'antenna della polizia che la seguiva mentre andava in ufficio: mi riferisco ad agosto...
FRAGALA. Esatto: agosto del 1978. C'era una pattuglia dell'Ucigos davanti a via Montalcini che seguiva Laura Braghetti.
MORUCCI. Sì.
FRAGALA. Quindi a voi è arrivata questa notizia.
MORUCCI. A quel punto è arrivata ed abbiamo sgombrato la base per questo motivo.
FRAGALA. Come l'avete sgombrata? E vero che l'avete sgombrata facendo addirittura un trasloco in proprio, con le vostre automobili?
MORUCCI. Non ho partecipato a questa operazione e non ho la più pallida idea di come sia avvenuta.
FRAGALA. Non la conosce. Senta, lei ha detto...
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà la pregherei di lasciare un po' di spazio anche agli altri colleghi!
FRAGALA. Ma non ho ancora molte domande da fare, e peraltro sono brevi: preferirei concludere. Lei ha saputo che il 9 maggio, cioè il giorno dell'uccisione di Moro, era stato convocato il Consiglio nazionale della Democrazia cristiana per assumere una posizione autonoma rispetto al partito...
PRESIDENTE. L'avrà scritto dieci volte! Premesso che questo lo sa, facciamo la domanda!
FRAGALA. Premesso, allora, che questo lei lo sa, è vera una ricostruzione secondo cui Moro fu spostato, il giorno prima del 9 maggio, da via Montalcini in un palazzo nobiliare alle spalle di via Caetani?
MORUCCI. No.
FRAGALA. Non è vero questo?
MORUCCI. No, assolutamente.
FRAGALA. Quindi partì da via Montalcini, quella mattina?
MORUCCI. Certo.
FRAGALA. E vero che quella mattina a Moro non fu comunicato che sarebbe stato ucciso e che sarebbe stata eseguita la sentenza di morte, ma che la trattativa si stava concludendo positivamente e che sarebbe stato liberato, quando invece fu ucciso durante il trasporto della persona nel bagagliaio quando a Moretti arrivò la voce di un appartenente al Consiglio nazionale della Democrazia cristiana che tradì e comunicò che invece non ci sarebbe stato mai alcun disimpegno dalla posizione del Partito comunista e del partito della fermezza. Lei ha mai saputo questo?
MORUCCI. No: non è mai avvenuta una cosa del genere; assolutamente.
FRAGALA. Moro, quindi, dove è stato ucciso: in macchina o nel garage?
MORUCCI. Nel garage. Non è mai stato spostato: è stato ucciso nel garage. Mario Moretti non ha mai avuto alcuna notizia filtrata dal Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, che peraltro credo che non si sia neanche riunito.
FRAGALA. Si sarebbe dovuto riunire quella mattina, ma non si riunì perché arrivò quella notizia. Lei è in grado di chiarire i termini della trattativa avviata tra il Partito socialista tramite Pace e Piperno con le Brigate rosse?
MORUCCI. Non c'è stata alcuna trattativa tra Pace, Piperno, Craxi e le Brigate rosse. Io ero semplicemente l'altra sponda di questa cosa e dall'altra parte c'era Mario Moretti che non voleva saperne assolutamente nulla. E stata una mia iniziativa, censurata peraltro, perché appena l'ha saputo mi disse: «Blocca immediatamente questi rapporti esterni non autorizzati con non appartenenti alle Brigate rosse».
PRESIDENTE. Senta, Morucci: lei ha sempre fornito una spiegazione del comportamento di Moretti, che ha una sua logica. Lei ha detto che Moretti, in fondo, era anche un uomo combattuto, perché da un lato si rendeva conto che uccidendo Moro le Brigate rosse non avrebbero conseguito una vittoria e dall'altro lato aveva paura che un gesto nuovo, ma comunque valutato insufficientemente da parte della Democrazia cristiana, potesse rendere poi politicamente più difficilmente gestibile la decisione di Moro e che quindi protrasse di giorno in giorno l'esecuzione affermando ogni volta che era l'ultimo giorno, combattuto fra la speranza che potesse aversi un segnale forte, che quindi consentisse di conseguire una vittoria, ed il timore che potesse invece venire un segnale debole che avrebbe reso comunque ineludibile l'uccisione di Moro, ma più difficilmente gestibile politicamente l'uccisione stessa.
MORUCCI. Sì.
PRESIDENTE. Oggi può dirci qualcosa di nuovo?
MORUCCI. No: penso che questo sia il quadro della situazione in quel momento. La telefonata del 30 aprile alla famiglia Moro testimonia lo stato di difficoltà di Mario Moretti; in quella telefonata mi sembra che dicesse che stava andando oltre il mandato che gli era stato dato; mi sembra che abbia detto questo, ma se non sono tali le testuali parole si tratta di qualcosa di molto simile. Disse alla signora Moro (che peraltro lui riteneva fosse la figlia) cose che non erano state decise nel comitato esecutivo: quindi andò oltre il mandato che gli era stato dato, proprio perché voleva assolutamente far capire qual era l'oggetto vero della questione. In quella telefonata disse che «la Dc» e non lo Stato doveva prendere una posizione.
PRESIDENTE. Lei poco fa, se non sbaglio, ha definito Moretti «la Sfinge»: ho sentito bene?
MORUCCI. Sì.
PRESIDENTE. Recentemente, nel corso di audizioni svolte in Commissione, il messaggio che ci è stato lanciato, la valutazione che ci è stata proposta è che le Brigate rosse fossero una cosa, mentre le Brigate rosse più Mario Moretti fossero cosa in parte diversa. Lei su questo può dirci nulla? La ritiene una valutazione errata? Mario Moretti è soltanto il capo dell'area militarista, che obbedisce a questa consequenzialità logica che però poi lo portava, come è successo, inevitabilmente ad una sconfitta, o c'era qualcosa di diverso attorno a Moretti?
MORUCCI. Alla risultanza dei fatti e degli atti non vedo cos'altro potesse esservi! Non rintraccio nessun elemento che possa consentire...
FRAGALA. Glielo posso suggerire io!
MORUCCI. Me lo dica.
FRAGALA. Sia Franceschini, in una dichiarazione a Courmayeur del 1993, sia altri esponenti delle Brigate rosse ad un certo punto hanno detto che Moretti era qualcosa in più delle Brigate rosse, nel senso che faceva parte di una internazionale terroristica di cui facevano parte anche l'Ira irlandese e la Baader-Meinhof tedesca; ancora di più, che era stato prima contattato dal Mossad, che aveva interesse a contrastare una politica filo-araba di esponenti democristiani come Moro ed altri e poi, invece, che era stato contattato dal Kgb. Lei su questo sa nulla?
MORUCCI. No.
PRESIDENTE. Per completare la domanda, cosa dice del riferimento fatto tante volte all'Hyperion?
MORUCCI. Moretti prima di aderire alle Brigate rosse era vicino al cosiddetto Superclan e cioè alle persone che poi hanno dato vita in parte all'Hyperion. Inizialmente era un gruppo un po' più magmatico e complesso, quello che poi ha dato origine alle Brigate rosse. Il cosiddetto Superclan teorizzava la necessità di percorrere comunque una strada terroristica, però iperclandestina, non nel senso delle misure di sicurezza ma nel senso di non pubblicità degli intenti. Ci fu una spaccatura su ciò da parte di coloro che fondarono poi le Brigate rosse, i quali invece ritenevano che un processo rivoluzionario che utilizzasse nella sua strategia la violenza e le armi dovesse avvenire alla luce del sole, dovesse cioè essere pubblico, pubblicizzato, fondato sulla parola, sulla propaganda, sulla divulgazione della teoria politica e dei propri obiettivi. Stando a quanto so, Mario Moretti abbandonò quasi immediatamente questa piccola frazione e aderì in toto alle Brigate rosse. Da qui può sorgere una certa animosità di Franceschini nei suoi confronti per via di questo brevissimo trascorso di Moretti in questa frazione politica. Da quel momento in poi Mario Moretti è stato all'interno delle Brigate rosse e tutti i contatti sono stati decisi dal comitato esecutivo, passati attraverso quest'ultimo ed anche attraverso di me che non ero nel comitato esecutivo: quindi non erano decisi, stabiliti e praticati soltanto dal comitato esecutivo all'insaputa degli altri regolari dell'organizzazione. Io sapevo dei contatti di Moretti con i palestinesi, con la Baader-Meinhof, dei contatti che Moretti cercava di stabilire con altri gruppi europei; sapevo che questo era un punto del programma politico delle Brigate rosse e sapevo che questi rapporti, come sempre nelle Br, erano subordinati alla discussione politica. Moretti rifiutò più volte offerte di armi.
FRAGALA. Da parte di chi?
MORUCCI. Credo di Action directe, non ricordo bene: ci fu un'offerta di bazooka o di altro, ma la rifiutò perché i rapporti tecnici erano subordinati a quelli politici. Ci doveva essere prima un accordo politico sulle strategie comuni con cui condurre la lotta armata in Europa, successivamente venivano i rapporti tecnici: questo era l'impianto, il mandato che l'esecutivo aveva dato a Mario Moretti.
FRAGALA. Quindi rispetto ai tempi di Curcio e Franceschini c'è un salto di qualità enorme e cioè l'internazionalizzazione della lotta armata.
MORUCCI. No, credo che contatti con la Baader-Meinhof ci furono anche prima, all'epoca di Curcio e Franceschini, e credo che il tentativo da parte del Mossad sia avvenuto quando questi ultimi erano ancora liberi, se non vado errato è precedente al loro arresto. Non riguardano dunque Moretti ma erano diretti alle Brigate rosse e comunque sono stati immediatamente rifiutati.
PRESIDENTE. Quindi lei esclude una continuità di contatti tra Moretti e l'Hyperion.
MORUCCI. Sì, assolutamente.
PRESIDENTE. Il giudice Mastelloni ha accertato che durante il sequestro Moro l'istituto Hyperion ha aperto una scuola di lingua a Roma che fu attrezzata a questo scopo ma non aprì mai i battenti. Ne ha mai saputo nulla?
MORUCCI. No, assolutamente.
PRESIDENTE. Conosce Giampaolo Fortunato?
MORUCCI. No.
PRESIDENTE. Lei sa che uno dei baristi del bar Igea dove alcuni brigatisti avevano accompagnato Bonisoli che stava poco bene riconobbe Innocente Salvoni, uno dei giovani, in uno dei membri dell'Hyperion. Le risulta?
MORUCCI. Assolutamente no.
PRESIDENTE. Lei dunque esclude un perdurante contatto tra questo istituto dietro il quale pensare che vi sia la presenza dei Servizi è dovuto, vista la grande disponibilità finanziaria che aveva.
MORUCCI. Lo escludo totalmente. Sarebbe stato abbastanza folle avere contatti poco ortodossi e poi portarne a conoscenza membri regolari e irregolari delle Brigate rosse. In quel bar, a quanto ne so, andarono regolari e irregolari quella mattina, se c'era questo Innocente Salvoni che nessuno conosceva, cosa è successo: si sono presentati? Mi sembra abbastanza improbabile.
FRAGALA. Lei ha mai conosciuto monsignor Costa, amico personale di Paolo VI?
MORUCCI. No.
Interruzione del senatore Gualtieri.
PRESIDENTE. Abbiamo fatto questa audizione su richiesta dell'onorevole Fragalà. Per questo mi è sembrato giusto verificare cosa potesse emergere. Ma, onorevole Fragalà, la prego di concludere.
FRAGALA. Sto concludendo.
PRESIDENTE. Questo lo dice lei.
FRAGALA. Lei è a conoscenza del fatto che in un articolo il giornalista Pecorelli indicò che Moro era stato spostato da via Montalcini a Palazzo Orsini?
MORUCCI. No.
FRAGALA. Quindi non ha saputo che questa indicazione al giornalista Pecorelli gliel'ha passata il colonnello Varisco?
MORUCCI. Assolutamente no.
FRAGALA. Secondo lei Mario Moretti sa qualcosa della trattativa segreta con il Vaticano e del numero telefonico diretto che era stato installato nella segreteria personale di Paolo VI?
PRESIDENTE. Vorrei chiarire che il collega Fragalà pone alla base della domanda alcune certezze che sono sue personali in quanto non risultano dagli atti della Commissione.
FRAGALA. Dirò successivamente da che cosa risultano. E vero che fu studiato un certo piano Mike in caso di morte di Moro ed un altro piano per il caso in cui andasse a buon fine la trattativa per il rilascio dell'onorevole Moro tra lo Stato e le Brigate rosse secondo il quale se Moro fosse stato lasciato vivo in via Caetani si sarebbe lasciata andar via la famosa Renault rossa e Moro sarebbe stato ricoverato all'ospedale Gemelli? Lei ha mai saputo di questa trattativa?
MORUCCI. Assolutamente no, mi sembra assolutamente inverosimile. Non c'era assolutamente bisogno, come è dimostrato dal fatto che Moro è stato lasciato in via Caetani, di qualsiasi lasciapassare da parte delle forze di polizia. Potevamo lasciarlo dove ci pareva.
FRAGALA. Signor Morucci, durante il processo lei ha avuto una garbata polemica con le parti civili sul problema del numero degli attentatori di via Fani e da quali parti hanno sparato. Le sue iniziali dichiarazioni sembrano essere state smentite dalla perizia Ugolini che ha dimostrato che gli attentatori sparavano da tutte e due le parti. Lei sa che Franceschini in un recente libro a mo' di romanzo ha sostenuto che il motivo per cui i brigatisti di via Fani erano vestiti con le divise - e quindi contro ogni prudenza di tipo clandestino - è che sparavano da tutte e due le parti - contro ogni prudenza di tipo balistico trova la sua giustificazione nella presenza di un tiratore scelto che veniva da fuori (quello che viene chiamato Tex Willer da un testimone di via Fani) che con la famosa mitraglietta Skorpion sparò quarantanove colpi su novantuno e fu quello che praticamente uccise tutti gli uomini della scorta. Questa ricostruzione di Franceschini è corretta? Intanto, è vero che i brigatisti erano quattordici e non nove. Lei prima ha detto nove poi si è corretto in dodici, ma risulterebbero quattordici.
E vero poi che spararono da tutte e due le parti e che vi era un tiratore scelto, che non conoscendo gli altri componenti del commando li fece vestire tutti con una divisa riconoscibile, in modo da non uccidere nessuno dei compagni?
PRESIDENTE. Stempero queste considerazioni facendole diventare domande. Anzitutto vi è il seguente problema: perché in quell'occasione indossate l'impermeabile dell'Alitalia e vi cucite sopra i gradi? Qual è la necessità del camuffamento, che negli altri attentati non avete mai utilizzato?
MORUCCI. Perché in quel caso i tempi di attesa erano imprevedibili. Non solo, ma c'era la possibilità di tornare il giorno dopo, il giorno dopo ancora, e poi chissà quando, perché non c'era assolutamente la certezza che Moro passasse di lì quella mattina.
SARACENI. L'attentato riuscì il primo giorno?
MORUCCI. Sì, il primo giorno. Quindi, la permanenza per troppo tempo in quella via di persone vestite normalmente non era possibile; per altro è una via residenziale, nella quale a quell'ora di mattina non passava praticamente nessuno e ciò ha richiesto di adottare questo stratagemma. Essendo un quartiere residenziale, dei piloti dell'Alitalla potevano non destare sospetto. Per quanto riguarda Franceschini, ha detto lei che Franceschini ha scritto un romanzo e tale rimane, cioè opera di totale fantasia.
FRAGALA. Ma la perizia balistica non è opera di fantasia.
PRESIDENTE. Secondo la ricostruzione giudiziaria della vicenda, è lei l'uomo che con l'FNA 43 spara quarantanove colpi.
MORUCCI. Esatto, ma il problema è che gli FNA 43 erano due e che la perizia balistica ha accomunato i colpi sparati da entrambe le armi.
PRESIDENTE. L'altro era quello di Fiore?
MORUCCI. Quello di Fiore era un M 12.
PRESIDENTE. Quindi sulla prima macchina sparate lei e Fiore i due mitra...
MORUCCI. Sulla seconda un TZ e un FNA 43. Quindi i quarantanove colpi sono stati tutti accomunati.
PRESIDENTE. L'FNA 43 con cui spara lei non era un'arma delle Brigate rosse.
ZANI. Mi domando che caricatore aveva quest'arma per sparare quarantanove colpi.
MORUCCI. Infatti, è impossibile: quarantanove colpi non entrano in un caricatore.
ZANI. Quanti colpi ha quel caricatore?
MORUCCI. Credo che erano caricati con trentasei-trentotto colpi.
PRESIDENTE. E in più si inceppò: lei va in via Stresa per disincepparlo.
MORUCCI. Il mio si è inceppato al secondo o al terzo colpo: dopo di che era impossibile esplodere quarantanove colpi.
PRESIDENTE. Questo FNA 43 non è un'arma delle Brigate rosse, ma lei ha sempre detto che era un'arma sua personale.
MORUCCI. No, quello è lo Skorpion. Anche l'FNA 43 fu portato da me nelle Brigate rosse, ma non c'era questa grande distinzione, le armi venivano portate da chiunque.
PRESIDENTE. Che fine ha fatto questo FNA 43?
MORUCCI. E rimasto alle Brigate rosse.
PRESIDENTE. Non era fra le armi che furono ritrovate?
MORUCCI. Non era nella base dove ero io e quindi non ho potuto portarlo via; è rimasto alle Brigate rosse, poi è stato trovato non ricordo dove. Comunque se c'era un Tex Willer che ha sparato quarantanove colpi, suppongo che abbia sparato con un'arma moderna. Allora è abbastanza strano che ci sia un Tex Willer che spara con un'arma moderna mentre gli altri sono costretti a sparare con armi della seconda guerra mondiale, con proiettili vecchi che si inceppano.
FRAGALA. Ma di Tex Willer parla un testimone oculare, non il romanzo di Franceschini.
MORUCCI. I testimoni oculari sono assolutamente inattendibili; ho detto più volte che l'ingegner Marini andava arrestato per falsa testimonianza.
PRESIDENTE. Signor Morucci, prima di affidarla alle domande degli altri colleghi, volevo fare un'osservazione. Lei è fermo a cose già dette; finora l'audizione è stata inutile, perché tutte le risposte che ci ha dato sono all'interno delle cose che ha già detto.
MORUCCI. Non ho chiesto io di venire in Commissione.
PRESIDENTE. Lo so e sto per farle una domanda. Voi fin dall'inizio avete detto che sulla vicenda Moro si sapeva tutto e che era un deteriore esercizio di dietrologia voler cercare di capire misteri. Le do atto che, nelle sue assi portanti, la spiegazione di come è stato eseguito il sequestro non si è mai incrinata; però indubbiamente, lentamente una serie di cose sono venute a sapersi. Non c'è niente che lei oggi può aggiungere e che domani non debba poi essere scoperto? L'ultima è stata la vicenda di Maccari, sulla quale so che lei ha dato un contributo; ma anche il numero dei brigatisti in azione tende a salire durante le varie fasi del processo: prima 7, poi 9.
MORUCCI. Non sono mai stati sette; erano nove e sono diventati dieci quando mi sono ricordato che c'era anche Rita Algranati, che avevo completamente cancellata dalla memoria perché praticamente non ha partecipato: era a monte di via Fani e ha semplicemente segnalato l'arrivo delle auto. L'avevo rimossa dalla memoria e, ricordatomi del particolare, l'ho aggiunta alla lista: dieci erano e dieci rimangono.
PRESIDENTE. La partecipazione di Loiacono e di Casimiri restava dubbia.
MORUCCI. E cosa vecchia, parliamo dell'82.
PRESIDENTE. Per questo ho detto prima sette e poi dieci.
MORUCCI. No, al processo...
PRESIDENTE. Lei ha subito detto nove e li indicò.
MORUCCI. Appunto, appena ho cominciato a dire come erano andate le cose erano nove, non sono mai stati sette.
PRESIDENTE. Quindi secondo lei non ci sono aspetti da aggiungere?
MORUCCI. Secondo me l'aspetto su cui può valere la pena di saperne di più è quanto è avvenuto dall'altra parte. Lì credo ci siano cose abbastanza interessanti, mentre per quanto riguarda le Brigate rosse...
FRAGALA. Dalla parte della seduta spiritica?
MORUCCI. No, dalla parte dello Stato, dei partiti. Con questo non voglio assolutamente dire che dall'altra parte sia avvenuto qualcosa di illecito, perché il Presidente mi ha detto inizialmente che questa è una Commissione parlamentare che ha scopo politico, non è un tribunale. Non dico minimamente che dall'altra parte si possano scoprire chissà quali illeciti che possano poi portare a qualche giudizio di carattere penale; posso dire soltanto che dall'altra parte vi sono stati fatti politici che sarebbe interessante conoscere.
PRESIDENTE. Riflettendo sulla sua esperienza, ha l'impressione che vi hanno combattuto fin dall'inizio, e sempre, fino in fondo?
MORUCCI. Ho l'impressione che abbiano completamente sottovalutato il fenomeno, anche perché non avevano molti strumenti per capirlo. E stata sottovalutata la sua capacità di tenuta e di crescita, politica e operativa, e quindi non sono stati posti in essere strumenti adeguati per contrastarlo. Posso arrivare a dire - perché ovviamente la politica e la ragion di Stato seguono vie non sempre dritte, ma molto spesso curvilinee - che da qualche parte, non so bene dove, questo fenomeno può essere stato visto come un elemento che faceva gioco a qualche disegno politico come qualsiasi altro avvenimento, come anche un terremoto. I terremoti in Italia sono stati motivo di arricchimenti e di traffici e posso supporre che anche il fenomeno terroristico in Italia di Destra e di Sinistra, non solo di Sinistra, possa essere stato visto come un elemento che faceva gioco a chissà quale piano. Può essere interessante capire, per meglio definire quegli anni.
MANCA. La mia domanda sarà telegrafica anche se sotto certi aspetti sono autorizzato ad un intervento più lungo perché anche io ho condiviso la necessità di ascoltare Morucci. Vorrei conoscere il suo parere su una domanda che mi risulta sia stata posta dal senatore Cossiga in un'audizione del 1993. La domanda è la seguente, e preciso che gliela faccio pur non escludendo che ad essa possa avere già risposto, in quanto è da poco tempo che seguo i lavori della Commissione. Ci può dire quale è stata la logica seguita dalle Brigate rosse nei confronti dell'allora Pci?
CALVI. Quali opinioni avevano?
PRESIDENTE. Può rispondere. E una domanda fatta più volte a Morucci anche in sede giudiziaria e alla quale ha dato una risposta che nel tempo si è venuta articolando; pertanto, se può ripeterlo o dirci qualcosa di nuovo, va benissimo.
MORUCCI. Dovrei rinfrescarmi la memoria sulle ultime articolazioni; comunque, penso di aver capito il senso della domanda.
MANCA. Sperando di essere un po' più chiaro, vorrei conoscere il suo parere su quanto sto per dirle e che è collegabile, a mio avviso, alla linea strategica delle Brigate rosse. Ho letto da qualche parte che il senatore Cossiga, nell'audizione del 1993, si chiese, per quanto avveniva nel processo Moro quinquies e al cospetto delle stesse domande della Commissione, se fosse proprio vero che le Brigate rosse avessero in definitiva perso. Cosa pensa di ciò, considerato come le vicende italiane si sono caratterizzate successivamente? Si può parlare in definitiva di sconfitta tenendo in considerazione come poi è finita la Dc e di quanto è successo negli anni '80 e '90?
MORUCCI. Sarebbe un po' funambolico trovare un collegamento tra la morte di Moro e la cosiddetta fine della prima Repubblica.
(Voce fuori microfono). L'aveva predetta.
MORUCCI. Sì, l'aveva predetta perché probabilmente conosceva i suoi polli e sapeva dove sarebbero andati a finire mantenendo quel tipo di impianto politico. Senza dubbio le Brigate rosse hanno perso rispetto alla loro strategia; il problema non è dire se hanno perso o meno rispetto alla storia, anche perché tanti gruppi terroristici hanno vinto rispetto alla storia, ma direi che non è cosa né buona né giusta. Hanno perso rispetto alla loro strategia di rinforzare, e non di affossare il movimento rivoluzionario, cosa che invece hanno fatto. Quindi hanno perso rispetto ai propri intenti, in quanto hanno posto in essere una tattica che contraddiceva largamente gli assunti strategici, portando sempre più lo scontro ad un faccia a faccia con lo Stato: prima al «cuore dello Stato», poi ai singoli poliziotti. In questo modo hanno fatto completamente decadere la possibile congruità degli assunti, perché senza dubbio quella Repubblica poteva essere considerata a tutti gli effetti una Repubblica di malaffare; senza dubbio quella Repubblica era una Repubblica che aveva delle strane connivenze; senza dubbio quella Repubblica tendeva a progetti di carattere autoritario, che escludessero anziché allargare la partecipazione popolare. Questa possibile congruità degli assunti strategici è stata assolutamente contraddetta poi dalla tattica, cioè dalla sua articolazione pratica. Quindi, hanno perso e c'è da dire che non poteva essere altrimenti. Certamente quest'ultima coda della III Internazionale non poteva che perdere perché era semplicemente la riproposizione negli anni '70 di un «fenomeno asiatico», come era già stato definito da Karl Marx, del tutto anomalo anche rispetto a tutti gli altri processi rivoluzionari. Quindi non aveva nessuna possibilità di riuscita.
MANCA. Quindi era fuori dalla storia.
MORUCCI. Era fuori dalla storia: rimane una testimomanza.
PRESIDENTE. Il senatore Manca voleva conoscere il suo giudizio sul Pci.
MORUCCI. Le Brigate rosse, come tutti i gruppi della sinistra extraparlamentare rivoluzionarla italiana, vedevano il Pci come il fumo negli occhi, come i traditori, come coloro che avevano affossato ogni speranza rivoluzionaria in questo paese. Sono argomentazioni classiche in tutto il mondo tra i gruppi rivoluzionari ed i partiti comunisti ufficiali, non è una storia soltanto italiana: laddove c'è un partito comunista istituzionalizzato e frange di estrema sinistra, queste ultime vedono il partito comunista istituzionalizzato come un traditore, come un affossatore delle speranze rivoluzionarie, un fuorviatore della coscienza di classe. Dopodichè comunque le Brigate rosse, rispetto agli altri gruppi della sinistra rivoluzionaria, avevano un'ottica un po' differente perché provenivano dal Partito comunista, non soltanto come provenienza di tessera ma proprio come cultura (gli altri gruppi della sinistra rivoluzionarla italiana avevano invece una formazione più autonoma rispetto al Pci) e quindi avevano comunque un sacro rispetto per i militanti comunisti, cioè per quelli che per loro erano fuorviati dalla dirigenza. Si sono sempre mossi in questa ambivalenza, in questa difficoltà.
SARACENI. Guido Rossa.
MORUCCI. Appunto.
SARACENI. Era un nemico del proletariato.
MORUCCI. Esatto, quella è stata la chiave di volta nei rapporti con il Pci nel momento in cui quest'ultimo ha assunto una strategia delatoria, cioè nel momento in cui l'onorevole Ferrara a Torino faceva circolare i suoi questionari.
CORSINI. E il suo giudizio di ieri oppure di oggi?
MORUCCI. E il mio giudizio di ieri e di oggi. Circolavano questionari.
MANCA. Può datare questo atteggiamento?
MORUCCI. Assolutamente no. Prima - lo ripeto - c'era questa ambivalenza: l'odio per la dirigenza e comunque il rispetto per il patrimonio storico rappresentato dal Pci e quindi un certo timore reverenziale ad attaccarlo perché in questo modo si attaccavano comunque i suoi militanti, mettendo in discussione ciò che il Pci aveva rappresentato. Le Brigate rosse, a differenza di tutti gli altri gruppi della sinistra rivoluzionaria italiana, si richiamavano all'esperienza della Resistenza in modo quasi diretto. Hanno sempre ripetuto con enfasi che le loro prime armi venivano dal partigiani di Reggio Emilia. Questo per loro era proprio come una consegna del testimone. Quindi c'è sempre stata questa ambivalenza. Con Guido Rossa c'è stato il momento di svolta, ma la svolta è avvenuta perché la posizione del Partito comunista, a quel punto, era una posizione apertamente delatoria, cioè questi, chiunque li conosce, li deve denunciare; qualsiasi militante del Partito comunista, se è militante del Partito comunista, deve denunciare qualsiasi appartenente o sospetto appartenente alle Brigate rosse che lui possa conoscere. Questa è la svolta. Rossa applica questa svolta; non lo fa di testa sua, e viene ammazzato. Peraltro il mandato non era quello di ucciderlo, ma di ferirlo, cerchiamo di capire bene.
SARACENI. Ci fu un eccesso di zelo.
MORUCCI. Nonostante che la posizione del Partito comunista fosse quella, l'esecutivo non aveva assolutamente deciso che Guido Rossa andasse ucciso. Quella è stata l'iniziativa particolare di Riccardo Dura che non voleva saperne assolutamente di attenuare la sua posizione di totale odio nei confronti di Guido Rossa. Il mandato era di ferirlo alle gambe.
SARACENI. Il termine delatorio ha una connotazione negativa, evidentemente.
MORUCCI. Credo che debba sempre avere una qualificazione negativa, quando si chiede ai cittadini di essere delatori, in qualsiasi Stato e su qualsiasi situazione.
SARACENI. Secondo lei, invece, quale sarebbe stata la strategia efficace del Pci...
MORUCCI. La delazione è pericolosa.
SARACENI. per risolvere il suo scontro, perché era uno scontro con le Br in quel momento; cioè con la svolta, il Pci decide di contrastare le Br con tutte le armi possibili. Credo che oggi possiamo convenire che avesse ragione a contrastare le Br. Qual era una possibile strategia, un possibile strumento, invece di quella che lei definisce delazione, che avrebbe potuto affrancare il Pci oggi da questa qualificazione negativa che è la delazione?
MORUCCI. Forse bastava semplicemente dire che le Brigate rosse non erano fascisti rossi, ma erano un gruppo rivoluzionario.
SARACENI. Ma questo è il Pci della prima ora.
MORUCCI. No.
FRAGALA. Anche della seconda.
MORUCCI. No, non mi sembra proprio. Ricordo...
ZANI. Stabilito quello che il Pci rappresentava per le Br, vogliamo passare oltre o vogliamo fermarci ancora su questo punto?
PRESIDENTE. Volevo fare solo una considerazione, perché questo ci riporta a Moro. Morucci, fra la sua prima audizione nella Commissione Moro e quel che lei ha detto successivamente, soprattutto nel memoriale, avevo rilevato questo sviluppo di analisi, cioè nella audizione davanti alla Commissione Moro, il Pci è ancora il partito che ha tradito le attese del proletariato, quel proletariato rispetto al quale voi vi sentivate avanguardia rivoluzionaria, e l'obiettivo Moro quindi è sostanzialmente casuale. Poteva essere Moro, poteva essere Andreotti o Fanfani. Successivamente invece lei nel memoriale sviluppa un'analisi diversa: il Pci si stava in qualche modo integrando nel Sim e Moro diventa allora un obiettivo mirato perché è l'uomo della Dc che sta operando questa integrazione.
MORUCCI. No, perché comunque quella integrazione era vista come parte del disegno strategico di Moro e del Sim, all'interno del quale il Pci era soltanto un ostaggio, una pedina, come era stato il Partito socialista durante il centro-sinistra. Questa era l'ottica e la visione delle Brigate rosse, cioè il Pci nulla poteva rispetto allo strapotere del Sim, era semplicemente allettato dai furbi democristiani e dai furbi appartenenti a questa strategia del Sim, con la possibilità di arrivare all'interno della stanza dei bottoni, semplicemente per garantire un maggiore controllo sociale, e quindi era del tutto ininfluente all'interno di questo disegno. Quindi non era per questo.
ZANI. Non sono qui per fare un dibattito politico, ma per porre alcune modestissime domande, alle quali posso avere o meno risposta, ma sono domande che riguardano il nostro lavoro. Se devo parlare di politica, dal momento che ne avete parlato, mi corre l'obbligo di dire che se Moro viene rapito e ucciso in un determinato periodo storico, le Brigate rosse non agiscono fuori dalla storia: colpiscono Moro in quel momento, quando Moro parla di «terza fase»...
PRESIDENTE. E questa l'analisi che Morucci ha fatto nella seconda fase a cui accennavo prima. Per questo ho fatto quella osservazione.
ZANI. Resti agli atti che secondo me le Brigate rosse hanno agito ben dentro la storia, e con una intelligenza notevole da questo punto di vista. Mi pare abbastanza evidente: che poi Moro fosse il più grande rappresentante dello Stato imperialista delle multinazionali, questa è un'altra analisi, non è la mia. Ad occhio nudo si capiva che Moro faceva un altro tipo di operazione politica che non piaceva, fino al punto che lo si ammazza, tant'è vero che quella operazione politica poi salta.
MORUCCI. Ma la decisione di sequestrare Moro è avvenuta ben prima dei suoi progetti di integrazione del Partito comunista in una maggioranza di Governo.
FRAGALA. Dica da quando.
MORUCCI. E partita dal 1976.
ZANI. Ma per me non è molto importante stabilire quando è partita; per me è molto importante stabilire quando è avvenuta.
MORUCCI. Faccia lei.
ZANI. E molto importante: è avvenuta in quel giorno del 1978 e questo rimane agli atti della storia. Poi il resto, le nostre interpretazioni contano quello che contano. Questa comunque è la mia opinione. Ma - ripeto - non voglio tediare nessuno a lungo; volevo semplicemente cercare di capire per ragioni di curiosità pertinente al nostro lavoro. Per esempio stasera abbiamo capito una cosa: a me non entrava in testa come mai un fucile sparasse quarantanove colpi secondo la perizia balistica. Abbiamo bisogno invece di sentire il signor Morucci, il quale ci dice: quando mai 49 colpi? E allora quel perito balistico forse bisognava non pagarlo.
MORUCCI. Se mi permette, sulle perizie balistiche, onde dare qualche maggiore ragguaglio: le perizie balistiche effettuate sulla Skorpion rinvenuta in viale Giulio Cesare hanno affermato che quella era l'arma con cui era stato ucciso Moro, la qual cosa era vera ma non poteva essere affermata dalla perizia balistica, perché quell'arma è stata da me appositamente manomessa perché non fosse possibile ricondurre all'omicidio Moro. Quindi era assolutamente impossibile a una perizia balistica - cosa peraltro dimostrata dalla mia perizia di parte - l'identificazione di quell'arma come quella che aveva ucciso Moro. Altro elemento. La Smith Wesson sequestrata sempre a noi: il perito Balma Bollone disse che aveva sparato in via Fani, fino a che non è stata rinvenuta quella identica di Prospero Gallinari al suo arresto; poi è diventata quella di Prospero Gallinari. Quindi le perizie balistiche, come tutte le perizie peraltro, spesso e volentieri lasciano il tempo che trovano.
ZANI. Ho compreso perfettamente, ma mi aspetto da un perito balistico che sappia che quell'arma non contiene un caricatore da 50 colpi.
MORUCCI. Guardi, c'è anche da dire che se un perito balistico deve fare perizie in un processo in cui gli imputati si assumono la responsabilità di quello che hanno fatto, quindi vanno incontro comunque alla condanna non è che sia così fondamentale distinguere quale arma sì, quale arma no, può essere fatto in modo più...
ZANI. E per evitare i romanzi, non so se mi spiego.
MORUCCI. Sì, loro non lo sapevano, possono anche sbagliare.
CALVI. Possono anche sbagliare, ma dire quello che non avrebbero potuto accertare con perizia mi sembra diverso.
ZANI. Secondo me a volte il diavolo si annida nei dettagli. Può darsi che non sia cosi, ma questo è quello che penso. Se scopro che non è vero che sono quei 49 colpi sparati da quella determinata arma, ma sono semmai i 21, leggendo in questo caso correttamente la perizia balistica, quelli più devastanti, che colpiscono di più, per me questo fa una certa differenza. Ma sono cose passate. Piuttosto per restare al tema delle armi, da dove provenivano; è in grado di dircelo?
MORUCCI. Certo. Le armi provenivano da vari canali. Abbiamo detto in parte, inizialmente, quello delle pistole, delle armi sotterrate dai partigiani emiliani.
ZANI. Cioè, precisamente?
MORUCCI. Questo non glielo so dire; parliamo del 1974, non glielo so dire. Le armi furono in parte da me procurate alle Brigate rosse dopo che il pubblico ministero Viola sgominò le prime Br, rintracciando tutte le loro basi e quindi sequestrando tutte le armi. Io fui contattato da Moretti e per un po' di tempo feci il corriere con la Svizzera per dargli delle armi.
PRESIDENTE. Lei fu arrestato il 16 novembre 1972.
MORUCCI. Sì, ma non per quel motivo.
PRESIDENTE. E per quale?
MORUCCI. Sempre per un traffico di armi che non riguardava però le Brigate rosse.
PRESIDENTE. E chi riguardava?
MORUCCI. Riguardava me ed il mio gruppo. Quindi, in parte fornii queste armi alle Brigate rosse dopo averle acquistate in Svizzera, in Liechtenstein, dove all'epoca era possibile acquistarle semplicemente presentando una patente, e poi da incette varie sempre a piccoli pezzi, uno o due. Tutti i militanti avevano mandato di chiedere ai simpatizzanti se conoscessero qualcuno che avesse delle armi; bene o male, questo si verificava sempre. Cosi, pezzo dopo pezzo è venuto su l'arsenale anche grazie all'apporto di altri gruppi confluiti nelle Brigate rosse, anzi, mi sono espresso male, in realtà di militanti appartenenti ad altri gruppi entrati poi a far parte delle Brigate rosse che a loro volta le avevano incettate, non so bene come. Moltissime pistole furono poi acquistate nelle armerie.
ZANI. Signor Morucci, mi interessava in particolare avere informazioni sulla provenienza della pistola-mitra FNA.
MORUCCI. Sinceramente, non me lo ricordo, si trattava comunque di un'arma di provenienza bellica sotterrata da qualche parte durante la guerra e riesumata su richiesta di qualcuno.
ZANI. Mi sembra che lei abbia dichiarato una volta al giudice Imposimato che il comitato esecutivo delle Brigate rosse si riuniva a Firenze in un luogo messo a disposizione dal comitato rivoluzionario toscano.
MORUCCI. Sì, è vero.
ZANI. Sa dirmi quale fosse questo luogo?
MORUCCI. Assolutamente no.
ZANI. Secondo la ricostruzione da lei fatta dell'agguato di via Fani, questo avvenne senza la partecipazione di alcun brigatista della colonna genovese, che pure era rappresentata nel comitato esecutivo e che quindi partecipò alla decisione, almeno lo si presuppone, sulla preparazione dell'operazione Moro.
MORUCCI. Sì, è così.
ZANI. La colonna genovese tra l'altro era dotata di soggetti militarmente capaci, tra i quali Dura, di cui abbiamo parlato prima, ossia l'assassino dell' operaio comunista Guido Rossa, Micaletto e Nicolotti per fare dei nomi. La curiosità è questa: parteciparono all'agguato di via Fani diversi esponenti della colonna romana, da Milano si fece venire Bonisoli, da Torino Fiore. Perché non si fece venire nessuno da Genova?
MORUCCI. Inizialmente doveva partecipare anche Dura, poi il numero dei partecipanti fu ridotto e la sua presenza non fu più necessaria.
ZANI. Come spiega la presenza nella tipografia delle Brigate rosse di via Foà di quella famosa stampatrice del cosiddetto Rus, Raggruppamento unità speciali, l'ufficio del servizio segreto militare che gestiva l'addestramento di Gladio? Come spiega la presenza in quella stessa tipografia di una fotocopiatrice proveniente dal Ministero dei trasporti? Lei conviene sul fatto che quella tipografia a questo punto sembri un'azienda a partecipazione statale? Oppure sono bugie?
MORUCCI. E come spiegare che la comunità di Muccioli disponesse di jeep già appartenute a carabinieri, polizia ed esercito. Si spiega con il fatto che lo Stato dismette apparecchiature, le quali vanno sul libero mercato e lì vengono acquistate, così com'è stata spiegata processualmente. E stata acquistata presso un rivenditore di macchine tipografiche, e non a Forte Braschi.
ZANI. Immagino che non sia stata acquistata a Forte Braschi, non avevo dubbi su questo. Mi chiedevo che giro avesse compiuto per capitare nella vostra tipografia.
MORUCCI. E stata acquistata da un rivenditore di macchine tipografiche, caso ha voluto che si trattasse di una macchina dismessa dal Rus. Così come il caso ha voluto che in via Foà, di fronte alla tipografia, abitasse l'onorevole Pajetta.
ZANI. Ammetterà che è un caso.
MORUCCI. Dato che è stata pagata, sapendolo se ne sarebbe potuto comprare un'altra.
ZANI. E stata pagata poco, a quanto mi risulta.
MORUCCI. E stata pagata il suo prezzo, altrimenti anche il venditore avrebbe dovuto far parte di qualche giro strano.
ZANI. Però è strano, si tratta di due macchine provenienti dallo Stato. Non è che avreste potuto comprarne una da un privato? No, tutte e due dallo Stato!
MORUCCI. Lo Stato dismette tante macchine, ce ne sono tantissime in giro. Si potrebbero verificare infiniti casi di questo genere in qualsiasi processo e non solo in quello Moro.
ZANI. C'è una lettera da lei scritta il 15 giugno 1986 a Suor Teresa Barillà, la quale la fece poi pervenire ai dirigenti della Democrazia cristiana, la sua lettera esaminava e criticava un'interrogazione presentata da un senatore del Pci il cui testo era allegato. Le chiedo: fu lei a fornire spontaneamente la sua consulenza ai dirigenti della Dc per rispondere agli interrogativi posti in quell'atto parlamentare o la sua consulenza fu richiesta dal dirigenti della Dc?
MORUCCI. Per quanto mi ricordo si trattò di una mia iniziativa perché nel processo erano state sollevate tantissime illazioni, secondo me fuorvianti, rispetto al cuore dei problemi. Dato che la Dc era, molto più di altri partiti, direttamente coinvolta nella vicenda ritenevo fosse utile sgombrare il campo da possibili perdite di tempo per seguire ipotesi, per me, assolutamente suggestive.
FRAGALA. E cioè quali?
MORUCCI. Quelle adombrate nell'interrogazione.
ZANI. Triaca riferì ai magistrati che quelle macchine stampatrici di cui parlavamo prima furono portate in quella tipografia da Maurizio, alias Moretti, con un autofurgone di colore chiaro. Lei sa se si trattasse dello stesso con il quale Moro fu trasportato nella prigione dopo il suo rapimento?
MORUCCI. No, quello fu rubato successivamente.
ZANI. Si trattava dunque di un altro furgone?
MORUCCI. Sì.
ZANI. Infine, le voglio porre una domanda che attiene alla plausibilità di un certo evento del quale ha già parlato l'onorevole Fragalà. La cosa che mi ha sempre lasciato stupefatto - a parte credere o non credere al fatto che Moro abbia trascorso tutti i cinquantacinque giorni della sua prigionia in via Montalcini, ed io le dico subito che secondo un ragionamento logico, potrei nutrire dei dubbi in proposito - e che non riesco a capire è per quale ragione si rapisca Moro, lo si tenga cinquantacinque giorni in un appartamento in via Moltalcini, lo si uccida e non si sgombri subito l'appartamento che a quel punto, ogni logica cospirativa farebbe divenire maledettamente pericoloso. Ed invece in quell'appartamento ci restate fino all'autunno, addirittura si fa il trasloco nel mese di agosto, con comodo, sotto gli occhi dell'Ucigos. Questa è una verità largamente accertata: l'Ucigos sorvegliava quell'appartamento, seguiva la Braghetti. Ciò che non riesco a capire è perché non abbiate lasciato subito un luogo evidentemente ad altissimo rischio.
MORUCCI. Si è provveduto a smantellare la parete divisoria che ha creato il cubicolo-prigione, perché quello era l'elemento che poteva interessare gli inquirenti. Per il resto, era la casa abitata da un'impiegata, incensurata, da sola.
ZANI. Ma lei era presente allo smantellamento?
MORUCCI. No.
ZANI. Sa chi era presente?
MORUCCI. Credo che fossero presenti solo le persone che erano a conoscenza della base, cioè Gallinari, Moretti e Maccari.
PRESIDENTE. Nell'appartamento di viale Giullo Cesare vengono rinvenute armi e munizioni in dotazione soltanto alla Nato. Questo è esatto oppure è un ulteriore errore delle perizie balistiche? Può dare una spiegazione di ciò?
MORUCCI. No, c'erano solo i proiettili 9 para bellum Nato.
PRESIDENTE. Lei come se li era procurati?
MORUCCI. Nel solito modo. Ci sono soldati che sottraggono munizioni e le rivendono, come in qualsiasi esercito. Non so bene quale strada possono aver fatto questi proiettili. Non so in che quantità fossero: erano mischiati con altri proiettili normali, prodotti dalla Fiocchi, quindi non Nato.
PRESIDENTE. C'era anche una pistola Beretta calibro 9 lungo modello 92/f.
MORUCCI. Esatto. Era stata sottratta ad un poliziotto nel 1977 durante una manifestazione ed era arrivata a noi tramite un gruppo che aveva partecipato a quei sommovimenti di piazza. Credo che l'arma sia stata identificata.
PRESIDENTE. Sempre nell'appartamento di viale Giulio Cesare furono trovati l'indirizzo e il numero di telefono dell'università Pro Deo e il numero dell'abitazione privata di monsignor Marcinkus. Che spiegazione dà di questo?
MORUCCI. Un ex senatore ha scritto vari libri su questa vicenda.
PRESIDENTE. E in qualcosa aveva visto giusto.
MORUCCI. In uno di questi libri aferma che nella mia agendina c'era il numero di un certo padre Morlion, se non vado errato, e di un agente dei servizi segreti.
PRESIDENTE. Lei nega questo?
MORUCCI. Ricostruendo mentalmente questo fatto, dico che innanzitutto non si trattava di un'agendina, ma di un'agenda. Cioè, non era la mia agenda personale, sulla quale forse c'era qualche numero, non mi ricordo, perché non avevo grandi scambi sociali all'epoca. Se c'era qualche numero, questo era in codice e quindi poteva riportare a chiunque. Codificando il numero, non potevo sapere a quale utenza potesse corrispondere. Per quanto riguarda l'indirizzo della Pro Deo e di padre Morlion, c'era un'agenda, quella del Fronte della controrivoluzione, nella quale veniva trascritto tutto ciò che veniva ricavato dalla lettura dei giornali. Era semplicemente un brogliaccio...
FRAGALA. Un diario di bordo.
MORUCCI. Sì, un diario di bordo nel quale venivano riportate le informazioni prese dalla carta. Naturalmente non si potevano accumulare la carte e i giornali; tutto ciò che era ritenuto interessante dal Fronte della controrivoluzione veniva riportato lì. Evidentemente, all'epoca c'era anche un interesse verso settori occulti dell'area cattolica, quindi l'Opus Dei e la Pro Deo, che si riteneva potessero far parte del famoso disegno strategico di ristrutturazione del Sim e quindi possibili obiettivi delle Brigate rosse.
Fine prima parte