CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
XIII LEGISLATURA
COMMISSIONE PARLAMENTARE
PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA
DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI
19.
SEDUTA DI MERCOLEDI' 18 GIUGNO 1997
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO STORACE
INDICE
Seguito dell'esame dello schema di contratto di servizio 1997-1999 tra il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e la RAI: audizione del sottosegretario di Stato, Vincenzo Vita
Seguito dell'esame dello schema di contratto di servizio 1997-1999 tra il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e la RAI: audizione del direttore generale della RAI, dottor Franco Iseppi
La seduta comincia alle 13,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Essendo pervenuta la richiesta da parte del prescritto numero di componenti la Commissione, dispongo, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del regolamento della Commissione, che la pubblicità dei lavori della seduta sia assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Della seduta odierna sarà altresì redatto e pubblicato il resoconto stenografico.
Seguito dell'esame dello schema di contratto di servizio 1997-1999 tra il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e la RAI: audizione del sottosegretario di Stato, Vincenzo Vita.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni, Vincenzo Vita, che interviene per il ministro.
Ricordo ai colleghi che successivamente, in un orario fissato indicativamente per le 14, si svolgerà l'audizione del direttore generale della RAI, dottor Franco Iseppi.
Colgo inoltre l'occasione per rivolgere un saluto al dottor Dino Basili, responsabile delle relazioni istituzionali della RAI, il quale ieri mi ha comunicato che è in procinto di lasciare l'incarico per raggiunti limiti di età.
Al dottor Basili rivolgo il saluto della Commissione, ricordando la sua esperienza e la sua opera al servizio delle istituzioni: già redattore parlamentare della trasmissione Oggi al Parlamento, egli è stato successivamente direttore delle relazioni esterne della RAI, direttore dell'ufficio stampa, direttore della Rete due radiofonica, nonché moderatore di molte tribune politiche disposte da questa Commissione, con la quale ha collaborato durante tutta la sua carriera. Perdiamo quindi un collaboratore prezioso, la cui opera è stata utile, per quanto riguarda la mia esperienza, in questi mesi, ma sicuramente anche in vari anni di attività della Commissione.
Al dottor Basili formuliamo i nostri auguri in ordine al prosieguo delle sue attività personali.
ANTONIO FALOMI. Nell'associarmi alle parole del presidente, credo anch'io di dover sottolineare che la RAI perde un collaboratore prezioso, non soltanto per la grande lealtà con cui ha servito la sua azienda, ma anche per la notevole competenza che ha dimostrato nel suo lavoro. Chi ha conosciuto il dottor Basili ha potuto apprezzarne non soltanto la discrezione, ma anche - come dicevo - la grande competenza e la conoscenza di tutti i meccanismi, peraltro complessi, del Parlamento, qualità che egli ha posto al servizio della sua azienda.
PRESIDENTE. Do ora la parola al sottosegretario Vita, che si soffermerà sul contratto di servizio tra la RAI e il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni.
VINCENZO VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. Signor presidente, onorevoli senatori e deputati, vi chiedo innanzitutto scusa per il ritardo con cui sono intervenuto alla seduta odierna, causato dal mio concomitante impegno presso le Commissioni riunite VII e IX della Camera, che stanno esaminando il disegno di legge di riforma del sistema delle telecomunicazioni.
Intendo ora illustrare il significato ed alcuni aspetti relativi all'importante contratto di servizio che ci accingiamo a stipulare con la RAI e che naturalmente, nel suo testo definitivo, terrà conto delle indicazioni che verranno da questa Commissione, considerata anche la sua autorevolezza ed il ruolo che le compete nell'ordinamento.
Il nuovo contratto di servizio tra la RAI e il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni si inserisce all'interno del processo di riforma dell'intero sistema delle comunicazioni, assegnando al servizio pubblico un ruolo propulsivo anche per quel che riguarda la doverosa e urgente introduzione delle nuove tecnologie in Italia. Il testo contiene, infatti, alcuni elementi fortemente innovativi rispetto alle disposizioni del precedente contratto di servizio (che peraltro ha avuto, come sapete, una vita assai breve), soprattutto per ciò che riguarda la parte dedicata alla sperimentazione delle nuove tecnologie.
Il contratto presenta inoltre una maggiore organicità nella trattazione dei diversi argomenti oggetto della missione specifica del servizio pubblico. Partendo dai principi generali, sono individuate quattro aree tematiche, nell'ambito delle quali sono articolate 44 disposizioni, rispetto alle 28 del precedente contratto di servizio. Le quattro aree tematiche sono così ripartite: programmazione e servizi; qualità tecnica e gestione delle reti; nuove tecnologie e servizi; aspetti economico-finanziari, vigilanza e sanzioni.
Il contratto si apre con una norma dedicata ai principi generali, come ad esempio: il riferimento più completo al quadro normativo attraverso l'elenco delle fonti che disciplinano la materia; il riferimento al quadro macroeconomico di medio termine, così come definito dai documenti di programmazione del Governo; la natura del contratto quale documento contenente le modalità di raggiungimento degli obiettivi indicati nella convenzione da cui trae origine il contratto di servizio, con riguardo sia agli aspetti legati alla dimensione imprenditoriale della RAI (assetti industriali, finanziari e di produttività aziendale), sia soprattutto all'esigenza di migliorare la qualità del servizio.
Seguono poi i 13 articoli dedicati alla programmazione televisiva e radiofonica. A quest'ultima, infatti, diversamente dal precedente contratto, sono dedicate apposite disposizioni. In generale, viene sottolineata la missione formativa ed informativa della RAI, che deve esprimersi in un'offerta di informazione, cultura e spettacolo di qualità, con un'attenzione verso quelle fasce sociali spesso trascurate dal mezzo televisivo, come i giovani e i portatori di handicap.
In particolare, i programmi dedicati ai bambini e ai giovani devono rispettare le esigenze e la sensibilità di questa fascia di utenza, ponendo una particolare attenzione ai messaggi di violenza veicolati direttamente o indirettamente dal mezzo radiotelevisivo ed alla loro influenza. La RAI è quindi impegnata anche in un controllo qualitativo e preventivo sul contenuto, i tempi e le modalità di trasmissione dei messaggi pubblicitari, affinché questi rispondano a criteri di responsabilità e rispetto della dignità dei minori. E' previsto anche l'obbligo di definire uno specifico progetto, realizzato anche grazie all'ausilio di esperti particolarmente qualificati e di organismi di consultazione sulla qualità delle trasmissioni, per la trasmissione in via sperimentale di speciali telegiornali per bambini e per giovani.
Per quanto riguarda i portatori di handicap sensoriali, anche qui, a differenza del precedente contratto, è stata particolarmente enfatizzata la missione del servizio pubblico in favore di questa categoria di utenti, anche attraverso la previsione dell'introduzione di nuovi strumenti tecnologici atti a garantire l'accesso ai programmi della RAI.
Nell'ambito della programmazione radiofonica ampio spazio è dedicato al servizio radiofonico in onde corte e onde medie notturno per l'estero, al potenziamento del servizio Isoradio per la mobilità e alla realizzazione di una rete dedicata ai lavori parlamentari. Difendere la tradizione culturale e al tempo stesso essere motore di sviluppo e di modernizzazione è il compito principale della RAI nella programmazione radiofonica, i cui caratteri distintivi sono i valori della "memoria storica" da un lato e dell'innovazione tecnologica dall'altro.
Tutta la programmazione, televisiva o sonora, dovrà tener conto di alcuni obblighi fondamentali, che derivano sia dalla partecipazione dell'Italia all'Unione europea sia dai principi costituzionalmente riconosciuti e garantiti soprattutto in tema di pluralismo nel sistema dell'informazione.
Un altro aspetto particolarmente importante del nuovo contratto di servizio è costituito dalla norma che obbliga la RAI a destinare una parte degli introiti derivanti dal canone televisivo ad investimenti finalizzati al sostegno della produzione italiana ed europea di audiovisivi (film, fiction), con particolare attenzione ai produttori indipendenti. Si tratta di un principio già contenuto nel disegno di legge del Governo sul sistema delle telecomunicazioni e che il contratto di servizio anticipa nella sua attuazione.
Anche la tutela della riservatezza e della dignità delle persone dovrà essere garantita attraverso un'apposita disposizione all'interno di qualunque trasmissione, tenendo conto della recente legge n. 675 del 1996 sul trattamento dei dati personali, che pone particolare attenzione agli ulteriori sviluppi in materia di trasmissioni di dati, derivanti dalle nuove tecnologie.
Altra esigenza importante è la valorizzazione e diffusione delle diverse realtà culturali e sociali esistenti a livello locale, da promuovere in stretta collaborazione con le regioni, le province, i comuni, le università e gli altri enti culturali. L'era della globalizzazione, infatti, è proprio l'era nella quale convivono forze tra loro diametralmente opposte, che da un lato spingono verso la mondializzazione e, dall'altro, vogliono impedire che le tradizioni locali siano sopraffatte da quello che viene definito il global market. In una prospettiva in cui sarà la diversità delle culture a fornire il contenuto sostanziale dei messaggi digitali, il servizio pubblico può e deve impegnarsi nella valorizzazione della dimensione locale.
La seconda area, che comprende gli articoli dal 15 al 24, è relativa agli aspetti tecnici delle reti di radiodiffusione televisiva e sonora. Le trasmissioni RAI devono avere un buon grado di qualità del servizio ed assicurare la copertura quasi completa del territorio nazionale. Particolare attenzione viene posta alla realizzazione di una rete di impianti di radiodiffusione terrestre in tecnica numerica (DAB) entro il 31 dicembre 1999, con la possibilità di avviarne la sperimentazione, previa autorizzazione del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni. In questo modo la radio pubblica può svolgere un ruolo di traino di tutto il sistema della radiofonia nazionale verso il digitale.
Una novità, introdotta dal nuovo contratto anche in considerazione di un'apertura dell'Italia verso operatori stranieri, riguarda la facoltà riconosciuta alla RAI di curare, nei confronti dei gestori e degli operatori nazionali e internazionali, la raccolta di richieste di circuiti per il trasporto di servizi televisivi da e per l'estero.
Gli articoli dal 25 al 29, dedicati proprio alle nuove tecnologie, rappresentano una delle innovazioni più importanti del contratto di servizio. Nel precedente, infatti, erano presenti qua e là solo generici riferimenti alla sperimentazione dei nuovi mezzi, ma nulla di più.
In vista del riassetto del settore delle telecomunicazioni e della disponibilità della risorsa satellitare, e per promuovere la lingua e la cultura italiane, la RAI può direttamente organizzarsi per la trasmissione di programmi televisivi tematici in chiaro e, seppure sperimentalmente, in forma codificata. La nuova disciplina sottolinea il ruolo importante che la tecnologia digitale ha nello sviluppo del settore delle comunicazioni e, in particolare, in quello radiotelevisivo. La sperimentazione digitale riguarda sia la fase di produzione dei programmi (per esempio, la scenografia virtuale e la postproduzione), sia la fase di diffusione (trasmissioni via cavo o via satellite), sia quella di archiviazione di programmi televisivi e radiofonici (audiovideoteca). Il patrimonio culturale della RAI, nonostante qualche insufficienza nella gestione e la guerra dell'ascolto degli anni ottanta, è qualitativamente valido e rappresenta una delle risorse culturali del paese; si tratta di un punto di riferimento da tenere sempre presente.
In tale contesto, viene rivalutato, quale organo di studio e sperimentazione dei nuovi mezzi di produzione, trasmissione e diffusione, il centro ricerche RAI di Torino, che ha un'antica e prestigiosa storia e che abbiamo ritenuto, insieme alla RAI, di dover rilanciare.
La scarsa diffusione in Italia dei servizi multimediali e interattivi, nonostante la loro riconosciuta importanza per lo sviluppo economico, sociale e culturale del paese, pone un problema di alfabetizzazione del grande pubblico, al quale un buon servizio pubblico, che sviluppi e sperimenti i servizi multimediali, valorizzando le sinergie fra telecomunicazioni, informatica e televisione, può fornire una valida soluzione. Per questo è stata inserita nel contratto una specifica norma sulla multimedialità. In base ad essa, la RAI è anche chiamata a collaborare con il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni nella stesura di progetti attinenti allo sviluppo della società dell'informazione.
L'ultima parte, che comprende gli articoli dal 30 al 44, riguarda gli aspetti economico-finanziari della RAI, il potere di vigilanza del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni, le sanzioni e l'efficacia temporale del contratto di servizio. Al fine di procedere al consolidamento economico e finanziario, la concessionaria si impegna a svolgere le attività e i servizi di sua competenza secondo corretti riferimenti tecnici e rigorosi criteri economici di gestione, attraverso la razionalizzazione degli assetti industriali, finanziari e di produttività aziendale, nonché un riordino dell'organico dipendente secondo un piano triennale di gestione delle risorse umane.
Riguardo alle entrate finanziarie, rappresentate dal canone di abbonamento, sono indicati in dettaglio, attraverso l'adozione di una formula matematica, i criteri per la definizione del sovrapprezzo dovuto dagli abbonati per gli anni 1997, 1998 e 1999. Stesse modalità erano già previste nel precedente contratto, in cui però le norme che le disciplinavano si trovavano disseminate all'interno dei vari articoli, senza corrispondere, per così dire, ad un disegno organico in grado di tutelare gli utenti e di garantire certezza a tutti.
Sono inoltre previsti piani di investimento relativi all'esercizio successivo da trasmettere non oltre il 31 dicembre di ogni anno al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e al Ministero del tesoro; a questi possono aggiungersi piani straordinari di investimento, per i quali occorre l'autorizzazione dello stesso Ministero delle poste e delle telecomunicazioni.
Nel perseguire condizioni di equilibrio economico e gestionale, la RAI determina i suoi obiettivi operativi, economici e finanziari per la gestione di ciascun esercizio, deliberando un programma di attività ed un conseguente schema di bilancio preventivo. Tale documento è inviato, non oltre il 30 novembre di ogni anno, al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e al Ministero del tesoro. Ad entrambi i dicasteri devono essere trasmessi, tra i vari documenti, anche una relazione semestrale contenente i risultati economici e finanziari consuntivi e una relazione preconsuntiva, che deve necessariamente contenere alcuni aspetti espressamente indicati dalla norma. E' inoltre previsto un rigoroso indice di indebitamento massimo per l'azienda.
Il contratto di servizio può essere adeguato nel caso in cui siano emanate leggi in tutto o in parte innovatrici delle materie disciplinate oppure qualora l'evoluzione dello scenario di riferimento si discosti in misura considerevole.
Circa i poteri di vigilanza del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e le sanzioni, è stato mantenuto l'assetto contenuto nel precedente contratto di servizio.
Ci auguriamo che il testo del contratto sia giudicato favorevolmente dalla Commissione; siamo comunque disponibili a recepire integrazioni e modifiche che quest'ultima riterrà opportune e che valuteremo.
Ho già avuto modo di leggere la relazione dell'onorevole Nappi, peraltro molto utile, in quanto contiene spunti che personalmente giudico condivisibili e che credo possano rappresentare, insieme ad altri, motivo di arricchimento per il nostro lavoro.
PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Vita e ricordo che si sono già iscritti a parlare i colleghi Jacchia, Romani e Semenzato. Anche il relatore, se lo riterrà, potrà intervenire ed io stesso intendo porre al sottosegretario alcune domande.
ENRICO JACCHIA. Intendo svolgere alcune brevi osservazioni su un testo particolarmente complesso.
Quanto alla prima parte, dedicata all'offerta di comunicazione e al suo ampliamento, vorrei sapere se in tale contesto si possa inserire il famoso problema della rete federale o di una rete del nord Italia, anche in considerazione del fatto che in queste ore la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali sta discutendo sul federalismo.
Chiedo quindi - lo ripeto - se la rete federale o la rete del nord Italia (si tratta di due questioni relativamente diverse) possano essere inserite in tale contesto.
Per quanto concerne la seconda parte, giudico importante l'articolo 7, in cui si parla della programmazione televisiva per l'estero, rispondendo così a molte richieste avanzate a livello parlamentare e volte a raggiungere i nostri connazionali che si trovano fuori dai confini nazionali.
Altrettanto importante mi sembra l'articolo 12, relativo a partecipazioni ad iniziative europee, che si muove esattamente nel senso delle varie raccomandazioni dell'Unione europea. Se finalmente ci si sta adeguando a tali raccomandazioni, si deve, per così dire, portare un fioretto all'Immacolata!
Per quanto riguarda l'innovazione tecnologica, gli articoli da 25 a 29 delineano vari sforzi innovativi concernenti, tra l'altro, le trasmissioni via satellite e via cavo, che potrebbero garantire l'offerta di canali tematici, di cui mi sto occupando insieme alla dottoressa Buttiglione. Mi chiedo se in tale contesto non si possa inserire la dislocazione di una rete al nord (a prescindere dal fatto che la si definisca o meno federale).
Un altro aspetto molto importante è quello relativo alla trasparenza aziendale ed in particolare al riassetto dell'organico, di cui si parla all'articolo 31, in cui si prevede che la concessionaria si impegna a fornire annualmente comunicazioni circa l'evoluzione degli indici più significativi concernenti il personale a tempo indeterminato e i dipendenti a tempo determinato. Nel concreto, ciò significa che una certa quantità di questo personale sarà allontanato, in quanto si tratta di tagli: non credo, infatti, che la RAI intenda incrementare il proprio personale, al cui interno ho molti amici i quali sarebbero certamente felici di poter lavorare a tempo indeterminato. Si tratta però di tagli ed interpreto questo aspetto come una riorganizzazione; vorrei sapere dal sottosegretario se la mia interpretazione sia esatta.
Per quanto concerne, infine, l'articolo 40, mi sembra di aver compreso che la funzione di vigilanza sull'esecuzione del contratto spetti sostanzialmente al Ministero. Allora, quale ruolo compete alla Commissione parlamentare di vigilanza?
PRESIDENTE. Questa non è un'invenzione del contratto di servizio, ma è la legge che lo prevede.
ENRICO JACCHIA. Tuttavia, in qualità di parlamentare, posso anche esprimere un parere. Considerato che esiste una Commissione di vigilanza che rappresenta la totalità dei cittadini, ritengo importante stabilire, nei limiti fissati dalla legge o modificandola in parte (anche le leggi si possono cambiare), quale ruolo possa svolgere la nostra Commissione in ordine al controllo sull'esecuzione di un contratto così importante.
PAOLO ROMANI. Poiché in questa fase stiamo esaminando un documento prevalentemente tecnico, i rilievi da muovere non possono non risentire di questa impostazione del contratto di servizio. Tuttavia, è ovvio che il momento particolare in cui esso si inserisce non può esimerci dallo svolgimento di alcune considerazioni di carattere politico generale.
Senza fare riferimento ad articoli o commi particolari, devo rilevare che si pone un problema di fondo, come ho evidenziato anche nell'intervento che ho svolto in sede di Commissioni riunite cultura e trasporti della Camera. Mi sembra di comprendere che, con questo nuovo contratto di servizio, la RAI intenda inserirsi nel sistema, ma occorre tenere conto del fatto che, secondo le dichiarazioni programmatiche del nuovo presidente dell'IRI, fra tre anni tutto sarà smobilitato, per cui anche la RAI dovrebbe subire più o meno - presumo - lo stesso destino. Siamo quindi di fronte ad un servizio che oggi è pubblico ma che in futuro potrebbe non esserlo più, almeno in parte, per cui dovrebbe competere nel settore come un soggetto che si inserisce all'interno di un sistema.
Esiste una posizione di privilegio assoluto, alla quale non muovo contestazioni di carattere aprioristico; posso anche accettare che si affermi con chiarezza che in questo sistema il servizio pubblico usufruisce di una posizione di privilegio, in base alla quale le frequenze che utilizza e che intende farsi assegnare sono prevalenti rispetto a tutti gli altri soggetti. E' questa la ratio che si intende seguire? Se è così, lo si dica con chiarezza.
Ritengo però che la ratio non possa essere questa e soprattutto che ne deriveranno gravi problemi per il Ministero. Basti pensare che il maggior problema che quest'ultimo deve affrontare entro il 31 gennaio 1998 è quello relativo alla definizione del piano delle frequenze e del successivo piano di assegnazione delle stesse. Nel momento in cui vi è un soggetto interamente o per metà pubblico, ovvero per metà privato (è il solito discorso del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno) che ha un'opzione privilegiata rispetto a tutto ciò che viene assegnato, si pone un grave problema. La questione riguarda non solo le frequenze tradizionali, con caratteristiche analogiche, ma anche e soprattutto quelle che saranno assegnate per la trasmissione di segnali numerici, sia televisivi sia radiofonici. Nel caso del DAB, che riguarda la radio, si prevede addirittura un regime autorizzatorio, che mi pare esuli dal regime concessorio tipico di questo settore: non si può ipotizzare che vi sia un soggetto che ha l'autorizzazione a trasmettere su determinate frequenze, perché queste ultime sono oggetto di concessione, in quanto ad essa collegate.
Ritengo che tale aspetto vada chiarito in questa sede, anche in considerazione del combinato disposto che emerge dal contratto di servizio e dal provvedimento attualmente all'esame del Parlamento. Tutto ciò a prescindere dall'indelicatezza - mi si consenta di usare questo termine - rappresentata dal far riferimento ad una normativa che sta per essere approvata, per stipulare un contratto di servizio che deve essere invece valutato entro il 29 giugno prossimo. Poiché tale problema resta irrisolto, vorrei sapere quali siano al riguardo le intenzioni del Ministero.
Infine, l'aspetto che più mi lascia perplesso è il riferimento alla produzione di programmi di qualità, culturali, in rapporto al limite minimo del 60 per cento (vorrei anche sapere se sia stato osservato, visto che nel 1996 questo dato è risultato pari al 62 per cento), in fasce di buon ascolto; non so che cosa si intenda con tale espressione, ma immagino che si tratti delle fasce in cui la platea degli ascoltatori è tendenzialmente più numerosa, quindi non quelle delle 7 del mattino o delle 3 di notte, in cui il numero di ascoltatori è molto limitato. E' possibile che in queste fasce orarie, se si è l'unica televisione che trasmette, lo share sia altissimo, ma raggiungere una quota del 37 per cento su una platea di 2 mila persone non significa collocarsi in una fascia di buon ascolto.
Poiché questa è una delle caratteristiche prevalenti del servizio pubblico, che è tale proprio perché trasmette programmi di servizio, di formazione culturale, di informazione, ritengo che su questo punto sia necessario un ulteriore approfondimento e che si debba congegnare il meccanismo del prodotto finale in un modo che offra maggiori garanzie per coloro che ne usufruiscono.
Comunque, il problema più grave mi sembra quello che ho trattato in precedenza, perché non comprendo come il Ministero possa districarsi nell'ingorgo che ho l'impressione si creerebbe.
STEFANO SEMENZATO. Vorrei formulare alcune brevi osservazioni. In primo luogo vorrei fare riferimento all'impostazione data a questo documento che precisa un ruolo del servizio pubblico anche come elemento di traino di nuove tecnologie e nuove funzioni. Considero questo un fatto positivo, dal momento che ridefinisce una funzione più precisa del servizio pubblico, dal momento che il criterio tradizionale di pluralismo rappresenta soltanto una parte del dibattito sviluppatosi negli ultimi anni. Da questo punto di vista rimane un problema aperto: lo cito perché riguarda proprio questa Commissione. Intendo riferirmi al fatto che il servizio pubblico, con attinenza alle nuove tecnologie, si pone in maniera diversa rispetto al passato, quando tali tecnologie venivano considerate soltanto nella loro funzione di supporto tecnico-materiale per la realizzazione del servizio pubblico. Oggi le tecnologie sono elemento integrante del servizio pubblico, per cui si pone il problema di come questa Commissione debba essere attrezzata, anche dal punto di vista legislativo, per operare un controllo su questa materia e svolgere il suo ruolo di indirizzo. Ritengo si tratti di un problema che si apre proprio a partire da questo contratto di servizio.
Vi sono, inoltre, tre elementi precisi sui quali vorrei mi fosse fornita una risposta dal sottosegretario, prendendo lo spunto da alcune osservazioni fatte dallo stesso relatore Nappi. Il primo elemento riguarda l'articolo 11. Dalle cose dette dallo stesso sottosegretario Vita è uscita una forte valorizzazione degli aspetti locali; l'articolo 11, tuttavia, di fatto crea un rapporto tra strutture locali e RAI di tipo meramente contrattualistico e di mercato. In sostanza, esso nei primi due commi parla di "valorizzazione delle culture locali", ma al terzo comma le mette in vendita e fissa le convenzioni che risultano, in parte o in tutto, a carico degli interessati. A me pare che questo sia un modo sbagliato di operare, nel momento in cui il dibattito si sta svolgendo in Parlamento attorno al riordino federale dello Stato e quando il problema del servizio pubblico cade proprio sul nodo delle convenzioni. Tra l'altro si tratta di una situazione in cui questa stessa Commissione ha discusso a lungo dei rischi e delle incertezze delle convenzioni che rappresentano uno dei tramiti per sfociare da una parte in una sorta di pubblicità più o meno occulta di enti locali o di aziende di turismo e di soggiorno e, dall'altro, in un rapporto poco chiaro fra la RAI e gli stessi enti locali.
In altri termini, ritengo che questo articolo necessiti di una riformulazione. In particolare, dichiaro una mia avversione di fondo alla concezione delle convenzioni basate su rapporti contrattuali o monetari che abbiano come interlocutori gli assessorati al turismo: questo, infatti, falsa totalmente il mercato del turismo a livello nazionale.
Sull'articolo 14 relativo alla rete parlamentare, vorrei avere una risposta chiara dal Governo. Il Governo pensa che sia possibile attuare un percorso quale quello indicato dal relatore Nappi, in modo di poter essere in grado, dal 1° gennaio del prossimo anno, di disporre di una rete parlamentare che funziona? Oppure ipotizza la necessità di ricorrere ad un'altra convenzione con emittenti locali per un periodo transitorio? Si tratta di un problema decisivo sia con riferimento alla legge Mammì sia in relazione alla esigenza di sapere se il Parlamento sarà chiamato ad emanare una nuova leggina per stipulare un contratto di uno, due o tre anni con un'emittente privata, come è accaduto nel passato. Poiché la formulazione dell'articolo 14 è alquanto ambigua, credo che sarebbe necessario un elemento di chiarezza su questo punto.
L'ultima osservazione che vorrei formulare riguarda l'articolo 41 che concerne il controllo della qualità del servizio pubblico con riferimento alle fasce esterne alla RAI. Mi pare che la stessa relazione del collega Nappi sottolineasse l'importanza di instaurare un rapporto più strutturato con le associazione degli utenti, evitando i questionari informativi e favorendo un rapporto reale con la società civile.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al sottosegretario Vita per le risposte ai quesiti posti dai colleghi, vorrei svolgere io stesso alcune considerazioni a titolo personale.
Innanzitutto, vorrei fornire una risposta all'onorevole Rossi il quale mi ha scritto per chiedermi quale fine avesse fatto una richiesta sottoscritta da due parlamentari della lega nord in relazione alla rete federale. In effetti, lo scorso 9 aprile, mi fu inviata una "mozione d'ordine" in Commissione di vigilanza RAI. Si tratta di una richiesta irrituale, di cui tuttavia darò lettura; successivamente spiegherò perché ad essa non ho dato seguito, anche perché non vi è stata una formalizzazione di tale richiesta presso l'ufficio di presidenza.
"Premesso che il programma di Governo dell'onorevole Prodi prevede l'istituzione di una rete federale del servizio pubblico radiotelevisivo, il vicepresidente del Consiglio, onorevole Veltroni, in occasione di un convegno sull'emittenza organizzato dal partito democratico della sinistra nella giornata di lunedì scorso, 7 aprile, ha dichiarato di essere contrario alla rete federale in quanto non avrebbe nessuna ragione di esistere, si chiede al presidente della Commissione di vigilanza RAI di disporre un'audizione del Governo al fine di chiarire ai commissari le reali intenzioni dell'attuale Esecutivo".
Non ho dato seguito alla richiesta di cui ho dato lettura per ragioni di carattere regolamentare ed anche perché la nostra Commissione non ha compiti legislativi: quella che è stata posta, infatti, è questione che investe direttamente la competenza delle Commissioni parlamentari che stanno esaminando il disegno di legge Maccanico. Ciò non toglie che se il sottosegretario intende fornire una risposta sulla questione, egli è liberissimo di farlo.
Entrando nel merito delle questioni relative al contratto di servizio, a titolo personale, debbo rivolgere un grande apprezzamento per lo sforzo di innovazione che ho rinvenuto nell'impianto del contratto stesso rispetto al passato, anche per la passione che è stata profusa nell'impegnarsi in questa questione: nel riconoscere questo non mi fa velo la diversità politica. Vi sono tuttavia alcune questioni sulle quali gradirei alcuni chiarimenti. Tra di esse ne ricorderò tre, ma ve ne saranno altre che emergeranno nel corso della discussione generale che faremo nei prossimi giorni e che spero possano essere introdotte nella proposta di parere che il relatore farà alla Commissione. Le questioni di cui voglio parlare riguardano il canone di abbonamento, i controlli ed un ultimo elemento che ha campeggiato sulle pagine dei giornali quando si verificò il famoso episodio del campanile di San Marco: intendo riferirmi alla pirateria.
Per quanto riguarda il canone, nello sforzo di chiarezza che il Governo ha voluto fare nel contratto di servizio, mi sembra di vedere (ma può darsi che mi sbagli per distrazione nella lettura del documento, per cui se vi sarà un chiarimento soddisfacente sarò pronto a convenire) che non vi sia un criterio chiaro su quanto gli utenti debbano pagare per il canone. Mi spiego. Noi leghiamo quella cifra a certi coefficienti, come è accaduto nel passato. Vorrei chiedere al Governo: cosa osta nel poter dire che il canone per tre anni ammonterà ad una certa cifra? In sostanza, si può stabilire che le 160 mila lire circa che noi spendiamo ogni anno per l'abbonamento saranno tali per il 1997, il 1998 ed il 1999? Infatti, non è nostro compito aumentare di 2 o 3 mila lire il canone in base a determinati coefficienti, perché ritengo che il contratto di servizio debba essere redatto in modo tale da essere compreso da qualsiasi cittadino. In sostanza quest'ultimo deve capire cosa accade in relazione al canone, soprattutto nel momento in cui si registra una "deriva" che io considero pericolosa: il canone più che abrogato va motivato. In proposito si è accesa la polemica relativa al fatto se questo canone sia speso per gli stessi motivi per i quali si chiede ai cittadini di pagarlo; ebbene, chiedo al Governo se non si possa compiere uno sforzo per chiarire che la cifra che i cittadini debbono spendere ha determinate motivazioni, senza avventurarci nei complessi meccanismi dei coefficienti. Una volta approvato il contratto di servizio potrebbe sempre esserci la scappatoia (in proposito ho letto alcune dichiarazioni del sottosegretario in risposta ad altre mie osservazioni) per poter aumentare comunque, grazie a quei coefficienti, il costo del canone di abbonamento.
E' una questione nei confronti della quale sono personalmente contrario: la RAI, addirittura, sostiene la tesi secondo la quale il canone dovrebbe essere aumentato. Dunque, prima di rispondere positivamente ad un documento in proposito, vorrei che venisse fatta chiarezza da parte del Governo.
E passo ora ai controlli sul documento. Pur avendo detto che apprezzo una larga parte di detto contratto di servizio, mi preoccupa il fatto che spesso tali documenti restino lettera morta. E' nota la polemica in tema di pluralismo: noi siamo riusciti all'unanimità (e su un tema lacerante) ad approvare un documento di indirizzo sul pluralismo. In proposito c'è chi dice che esso viene rispettato e chi afferma il contrario. Il sistema per capire se esso venga o meno rispettato è oggetto di polemica fra le parti. Un criterio oggettivo in base al quale si possa affermare che il contratto di servizio viene rispettato ci pone un problema reale: si tratta di un tema centrale! Quando parliamo di aziende che, se è improprio definire pubbliche, svolgono comunque un servizio pubblico, pur essendo società per azioni, noi abbiamo un dovere di trasparenza e garanzia nei confronti dei cittadini. Dal punto di vista del sistema dei controlli e delle sanzioni (vi è anche la possibilità della decadenza della convenzione, ma chissà cosa deve succedere perché si arrivi a tanto!), come si può fare in modo che chi è oggetto di tale contratto di servizio sia costretto a rispettarlo? Dico questo anche con riferimento alla questione già posta dal senatore Jacchia: in sostanza, trovandomi in varie parti d'Italia (personalmente mi è successo più volte), mi è stato chiesto come mai la Commissione di vigilanza non intervenga se la RAI non rispetta i contenuti del contratto di servizio. E' difficile far comprendere ai cittadini che la Commissione di vigilanza non deve vigilare sul contratto di servizio che è il documento base che, a sua volta, è figlio della convenzione per la quale, attraverso gli obblighi che si impongono alla RAI, si intasca il canone. Si tratta di una questione seria. Anche alcuni punti della relazione Nappi ponevano questo stesso problema. Si tende, infatti, a proporre strumenti di conoscenza su come il Ministero realizzi il controllo sul rispetto del contratto di servizio e quindi della convenzione. E' vero che esiste la legge n. 650 che ha fissato alcuni punti tra cui, per esempio, quello in base al quale il Ministero deve far avere dei documenti su impulso della Commissione: ebbene, dal 23 dicembre (giorno in cui è stata approvata quella legge) ad oggi non abbiamo avuto notizia di un solo atto di controllo sul rispetto della convenzione e del contratto di servizio da parte del Ministero delle poste. Il mio timore riguarda il fatto che non vengano esercitati i controlli da chi avrebbe il compito di farlo. Può anche darsi che essi vengano esercitati, ma la nostra Commissione non ne è a conoscenza.
Su questo tipo di meccanismo vorrei sapere quali atti il Minitero delle poste ha posto in essere e quali sono gli strumenti che la Commissione può attivare. Nel contratto di servizio, ad esempio, si dice che è possibile uno scambio di corrispondenza tra il Ministero e la RAI in relazione a vari atti. Dunque, stabilire l'obbligo che comunque questi atti debbono essere portati a conoscenza della Commissione sarebbe un aiuto per consentire al cittadino di sapere che esiste qualcuno che garantisce, in nome del popolo italiano, che quella RAI è comunque sotto osservazione (e non penso che questo sia un delitto).
La terza questione (ed anche questa incide sulla politica del Governo) riguarda la vicenda della pirateria. Ricorderete che all'indomani dei fatti di Venezia, il dottor Nordio rilasciò delle dichiarazioni piuttosto crude al Corriere della Sera. Ne seguì una polemica politica alquanto ampia, poiché egli, in sostanza, sosteneva che la RAI aveva sottovalutato, anche nell'ambito di alcune riunioni tenute nell'ufficio dello stesso dottor Nordio, la questione della pirateria. Ora non mi interessa sapere se la RAI abbia o meno sottovalutato tale questione, poiché può essere stata una scelta per non impaurire i cittadini o che, al contrario, spaventa ancora di più, se la si esamina sotto un altro punto di vista; il problema è quello di capire perché accadano certe cose. Faccio queste affermazioni nell'ambito della discussione sul contratto di servizio, perché vi è una parte prevista dall'articolo 24 relativo agli impianti in generale, perché, onorevole Vita, al di là di quelo che dice il dottor Nordio, io vorrei capire se, alla vigilia di una importante partita di calcio, qualcuno potrebbe avere la possibilità di inserirsi per annunciare che dopo qualche minuto scoppia una bomba, creando del panico. Potrebbe anche annunciare che vi è stata un'evasione dei massa dal carcere dell'Ucciardone: potrebbero cioè accadere cose gravi, che possono creare panico.
Prima di investire la Commissione di una questione del genere, dal momento che nella mia autonomia e nella mia qualità di commissario posso tentare di proporre un argomento alla Commissione, ho tentato di avere notizie sulla vicenda. Ho scritto al Presidente del Consiglio per sapere se era vero quello che affermava la RAI in risposta alle affermazioni del dottor Nordio, e che cioè il problema riguardava esclusivamente il Ministero delle poste. Dal Presidente del Consiglio non ho ottenuto risposta; il presidente della RAI mi ha comunque confermato questa tesi. Ho scritto nuovamente al Presidente del Consiglio per valutare se fosse il caso di discuterne nella nostra Commmissione: in altre parole, a chi appartiene il compito della tutela degli impianti? Capisco che è un problema serio e di difficile soluzione, ma abbiamo il diritto di sapere se ancora oggi si possono verificare certi episodi. Un conto sarebbe un episodio goliardico, come qualcuno lo ha imprudentemente definito, altro conto sarebbero un episodio di criminalità più grave. Io considero grave la sottovalutazione operata dal Presidente del Consiglio, e non certo con riferimento alla mia persona. Pur avendogli scritto più volte, egli non ha ritenuto di rispondermi: ma questo è un problema di galateo politico.
Ora chiedo al sottosegretario se vi è la possibilità di ottenere una risposta per capire se anche questo articolo non rischi di restare lettera morta, oppure se vi è la possibilità di inserire degli articoli o delle proposte che possano consentire di ovviare a questo problema.
VINCENZO VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. Ringrazio la Commissione per le sollecitazioni e per i rilievi che sono stati fatti, alcuni dei quali di grande interesse. Mi atterrò comunque all'essenziale, non certo per una sottovalutazione dei temi, ma esclusivamente per esigenze di brevità. Sarò comunque sempre a disposizione della Commissione per eventuali approfondimenti che mi verranno richiesti.
Per quanto riguarda la questione relativa alla rete federata, ritengo che il tema sia di estremo valore e che sarebbe davvero un errore sottovalutarne il possibile peso nel nuovo ordinamento. Dico in modo esplicito che, nel corso della discussione in seno all'VIII Commissione del Senato, prima dell'approvazione in aula del disegno di legge n. 1021 (che ora si trova all'esame della Camera dei deputati), si è ritenuto di compiere un passo indietro rispetto ad una esplicita articolazione legislativa su questo tema. Ciò è stato fatto non per negarlo, ma per rinviarne l'approfondimento ad una sede più propria, forse non necessariamente legislativa.
ENRICO JACCHIA. Quale?
VINCENZO VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. Ci sto arrivando! Il disegno di legge n. 1021 non nega l'ipotesi di una rete federata, ma la contiene tra le varie opportunità, nella dizione "rete di servizio senza pubblicità". Dico questo perché il tema relativo alla rete federata...
PRESIDENTE. Si chiama federale o federata?
VINCENZO VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. Nella dizione originale si parlava di "rete federata", ma in questo caso quello che conta è la sostanza (Interruzione del deputato Romani). Volevo valorizzare l'intervento dell'onorevole Jacchia, trattandosi di un tema molto serio. Noi pensammo di compiere un passo indietro, anche in accordo con i gruppi parlamentari, proprio per evitare che un tema di tanto rilievo diventasse oggetto di polemica, con motivi diversi da quello che era, in origine, il proposito del Governo.
Il contratto di servizio non può varcare i limiti della previsione legislativa, ma può introdurre in via sperimentale delle opportunità che, per altro, solo una legge in vigore può compiutamente definire. Il tema va ripreso nelle sedi competenti poiché potrebbe diventare un punto di riferimento per la discussione del disegno di legge collegato al n. 1021 (mi riferisco al disegno di legge n. 1138) che tutti ci auguriamo possa riprendere presto il suo cammino presso la competente Commissione del Senato.
Per quanto riguarda il personale, il contratto di servizio non ha né diritti né doveri, nel senso che può indicare dei criteri, ma il personale della RAI rappresenta un problema che riguarda solo l'azienda. Il contratto, dal canto suo, nell'ambito di un capitolo dedicato alla trasparenza, agli aspetti contabili ed alla corretta gestione di un servizio pubblico, contiene una direttiva: si dice che, anche su questo punto, deve esservi un criterio possibilmente rigoroso ed obiettivo. Personalmente, formulo l'augurio che anche il tema del personale RAI (so di trattare un tema spinoso, ma credo sia mio dovere farlo) entri finalmente in quel capitolo più aziendale che politico con il quale talvolta è stato trattato, spesso in maniera polemica. All'interno di questa logica (questo è soltanto un mio parere), spero che anche tutto il lavoro precario nell'ambito della RAI possa trovare una definitiva sistemazione sulla base di criteri obiettivi, rigorosi e trasparenti per fornire all'azienda RAI, anche sotto questo profilo, un giusto ruolo di guida nel processo di innovazione che dovrebbe essere proprio di un servizio pubblico.
Per quanto riguarda il piano delle frequenze, l'onorevole Romani, ha posto un tema di straordinaria importanza. A nostro modo di vedere la definizione corretta del nuovo piano delle frequenze rappresenta il cuore della riforma; essa ha tanti capitoli importantissimi, ma sotto il profilo della materialità del pluralismo e dell'articolazione del sistema, è su quel terreno che tutti andremo a vincere o a perdere una battaglia storica. In altri termini si consegnerà finalmente all'Italia un piano regolatore degno di questo nome. Vorrei rassicurare l'onorevole Romani che non vi è dubbio che, nella nuova definizione del piano delle frequenze, non vi è nulla che osti ad una soluzione di questo tipo. Non vi sono conflitti con il contratto di servizio. Tutto quanto verrà messo opportunamente in discussione e non vi saranno diritti divini per nessuno! Il piano delle frequenze, per sua stessa natura, è di difficile pianificazione. Il disegno di legge n. 1021 definisce dei criteri direttivi per quel piano: la pari opportunità per diversi gestori, la copertura del territorio, eccetera. Ebbene, in questo contesto, è del tutto evidente che anche la RAI - pur all'interno di una situazione di privilegio non rispetto al mercato ma rispetto alla sua funzione di servizio pubblico nei confronti degli utenti (funzione che non è una diminutio nei confronti di altri gestori, ma è la garanzia per gli utenti di ottenere un servizio pubblico che sia effettivamente tale) - "scomparteciperà" alla ridefinizione del piano delle frequenze insieme agli altri operatori. Quindi, essa non avrà un trattamento parallelo, almeno secondo le intenzioni del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni. Il contratto di servizio nella sua forma non contraddice tutto ciò.
Per quanto concerne il DAB, noi parliamo di regime autorizzatorio in quanto ci troviamo in una fase sperimentale. Quest'ultima, per sua natura, richiede un'autorizzazione, poiché sarebbe improprio un processo concessorio in una fase di questo tipo.
Anche altre questioni poste dall'onorevole Romani credo che vadano considerate nella lettura compiuta del contratto di servizio (programmazione, verifiche, eccetera): tutto questo richiede una visione contestuale dei capitoli che formano il contratto di servizio. Naturalmente siamo sempre disponibili a tenere conto del parere che verrà espresso, se si ritiene di dover accentuare questo o quel punto della programmazione.
Il senatore Semenzato ha posto diverse questioni. La prima è risolta nell'ambito dell'articolo 11 che riguarda il rapporto con le autonomie e gli enti locali; essa è risolta in una chiave relativemente diversa rispetto a quella che lo stesso senatore Semenzato teme possa derivare dalla lettura e dall'applicazione del contratto di servizio. Credo, infatti, che non ci siamo dati un obiettivo troppo ambizioso, ma forse un po' ultroneo, nel senso di andare a scavare in tutte le opportunità della comunicazione locale. Non è proprio di un contratto di servizio un compito di questo genere, ma noi abbiamo definito - affinché non via siano dubbi o rapporti poco trasparenti - quale debba essere il rapporto tra il servizio pubblico e gli enti locali che deve avvenire in regime convenzionale, chiaro ed esplicito per valorizzare anche questa componente della vita democratica. Noi non ci siamo addentrati in un capitolo che riguarda le strategie editoriali che possono essere accompagnate da un indirizzo positivo: in questo sono d'accordo con il senatore Semenzato. Il contratto di servizio, senza sminuirlo, è un atto pattizio molto più delimitato nei suoi confini.
Per quanto riguarda il tema vastissimo del rapporto con gli utenti e con le associazioni, forse si può fare meglio di quanto abbiamo fatto. In proposito ho letto alcune indicazioni dello stesso relatore: da parte nostra vi è piena disponibilità ad arricchire questa componente della nostra scrittura. Mi riferisco in particolare all'indirizzo offerto dalla Commissione di vigilanza che ha introdotto il concetto di pluralismo sociale che si accompagna, qualificandolo, al pluralismo politico classicamente inteso. Questo concetto può essere specificato anche meglio.
Per quanto concerne la rete parlamentare, mi perdonerete se farò qualche breve accenno storico. L'articolo 24 della legge n. 223 del 1990 (la legge Mammì) prevedeva espressamente che alla concessionaria pubblica, oltre alle reti televisive e radiofoniche, poteva essere assegnata una rete radiofonica riservata esclusivamente alla trasmissione dei lavori parlamentari, quando ciò fosse richiesto dai Presidenti delle due Camere.
Nell'ottobre del 1993 la Camera dei deputati approvò un ordine del giorno che impegnava l'Ufficio di Presidenza della stessa Camera ad assumere le dovute iniziative, in accordo con la Presidenza del Senato, per accelerare la realizzazione di questa sorta di quarta rete RAI (la si definisca pure come si vuole, ma la legge Mammì la prevedeva in questo modo) e, nello stesso tempo, per promuovere la stipula di convenzioni con imprese radiofoniche private al fine di assicurare in via transitoria - così si diceva - il servizio di diffusione delle sedute parlamentari.
Intervenne poi l'articolo 9 del decreto-legge n. 558 del 1993, che fu subito definito salva RAI, più volte reiterato fino al dicembre dello scorso anno, allorché la legge n. 650 ne ha fatti salvi gli effetti; esso prevedeva la stipula di una convenzione triennale con un concessionario per la radiodiffusione sonora, al fine di assicurare il servizio di trasmissione radiofonica delle sedute parlamentari.
Anche quell'affidamento era di natura transitoria e lo stesso articolo 9, al comma 2, ribadiva che il servizio poteva essere espletato da un concessionario fino alla completa realizzazione, da parte della concessionaria pubblica, della rete radiofonica riservata esclusivamente alla trasmissione dei lavori parlamentari, secondo l'articolo 24 della legge 6 agosto 1990, n. 223.
Con decreto ministeriale del 21 novembre 1994, è stata approvata la convenzione stipulata tra la società Centro di produzione (in sostanza, Radio radicale) ed il Ministero, la quale, in base all'articolo 9 del cosiddetto decreto-legge salva RAI, ha una durata triennale e di conseguenza scadrà nel novembre 1997. Nel corso delle trattative per la predisposizione del precedente contratto di servizio, da più parti, ed anche dalla Presidenza della Camera, era stata lamentata la mancata attuazione, da parte del Ministero e della concessionaria pubblica, delle disposizioni di legge in ordine all'obbligo per la RAI di dedicare una rete radiofonica alla trasmissione dei lavori parlamentari.
In tale sede, pur dovendosi tenere conto della limitazione derivante dalle poche frequenze radiofoniche disponibili, si concordò sulla necessità di progettare e sperimentare una rete radiofonica dedicata alla trasmissione dei lavori parlamentari (articolo 19 del precedente contratto di servizio), ferma restando ovviamente, fino alla sua scadenza, la convenzione con la società Centro di produzione e salva la possibilità di imporre in modo definitivo l'obbligo di informazione parlamentare alla concessionaria pubblica attraverso la ripianificazione e l'assegnazione delle necessarie frequenze.
Occorre quindi sottolineare che nessuna disposizione ha abrogato l'articolo 24 della legge n. 223 del 1990 ma, al contrario, è sempre stata sottolineata, anche nel corso del recente dibattito parlamentare sul disegno di legge di riforma del sistema, l'urgenza di un'iniziativa di tale natura.
Come ricorderete, in tempi recenti è stata approvata una cosiddetta leggina che consentisse di proseguire fino alla scadenza naturale dell'atto di convenzione. Quindi, nel predisporre il testo del nuovo contratto di servizio, non potevamo che ribadire la necessità di attuare una previsione legislativa che da tempo postula la sua applicazione; l'abbiamo sottolineato con una certa forza, che qui ribadisco. Abbiamo ricevuto ulteriori sollecitazioni, al riguardo, dalla stessa Presidenza della Camera, anche perché la scadenza è ormai vicina.
Nel contratto di servizio abbiamo dunque ridefinito tale previsione e consideriamo necessario uscire finalmente da una situazione di incertezza. A tal fine, stiamo verificando con la concessionaria pubblica le opportunità concrete, operative, per procedere all'attuazione di questo obbligo di legge. Anche se materialmente le soluzioni possono essere diverse, l'importante è che entro la scadenza prevista si compia una scelta che è doverosa, per cui non vorremmo essere proprio noi a sottrarci a un obbligo di legge.
In questo modo ho inteso rispondere alla questione sollevata, a mio avviso opportunamente, dal senatore Semenzato in ordine alla rete parlamentare. Esiste dunque un "quando" (entro l'autunno dovremo concludere tale iter) ed anche un "come": non a caso, il contratto di servizio prevede questa opportunità. Quanto al procedimento operativo, sono in corso iniziative ed incontri che, se lo ritenete opportuno, potranno essere oggetto di una specifica informativa.
Ringrazio inoltre il presidente Storace per gli apprezzamenti rivolti al nostro sforzo ed alla passione che abbiamo profuso, nell'ambito di un'attività che giudichiamo di grande importanza per il rinnovamento del sistema oltre che per la migliore definizione del concetto di servizio pubblico, che si collega non soltanto ad una riflessione teoretica, ma anche ad atti operativi, che devono renderlo determinato, non indefinito, ed in tal senso controllabile.
Quanto al problema assai spinoso del canone, abbiamo cercato di tenere conto delle sue sollecitazioni, onorevole Storace, quasi conoscendole in anticipo: infatti, nello schema che abbiamo costruito, dopo una lunghissima discussione nell'ambito del gruppo di lavoro che ha predisposto il testo al vostro esame, abbiamo cercato di osservare una rigorosa definizione del canone di abbonamento; quella formula matematica, apparentemente astrusa (in realtà, come tutte le formule matematiche, non è nient'altro che l'asciutta rappresentazione di alcuni concetti), rappresenta un tentativo di dare certezza agli utenti, senza predeterminare - questo sarebbe stato, a mio avviso, improprio - né aumenti né riduzioni in un contratto di servizio, che non è la sede per effettuare una simile operazione, ma investendo un apposito comitato che, come risulta dal contratto di servizio, procederà alla relativa determinazione sulla base di parametri chiari e certi, che possono essere quantificati e richiesti con dovizia di particolari alla concessionaria pubblica. Dietro quelle formule, onorevole Storace, c'è proprio il tentativo di disancorare la definizione del canone da un'eccessiva soggettività e di ancorarla a più esplicite definizioni che posso riassumere come una sorta di formula correttiva di quella ormai tradizionale del price cap.
Resta immutato questo tipo di meccanismo che lega l'incremento del canone alla crescita dei prezzi al netto dell'obiettivo di produttività assegnato all'azienda, ma si integra la metodologia della determinazione del canone prevedendo la possibilità di aumenti legati all'incremento di offerta della concessionaria o a investimenti straordinari per la sperimentazione di nuove tecnologie, nonché a progetti speciali di particolare rilevanza.
Il contratto prevede, inoltre, l'istituzione di una commissione paritetica tra i Ministeri delle poste e delle telecomunicazioni, delle finanze e del tesoro e la RAI, con il compito di predisporre le integrazioni necessarie alla metodologia di fissazione del canone, che consentano di legarlo all'effettivo ampliamento dell'offerta del servizio pubblico.
Avviandomi a concludere (a meno che non mi siano rivolte ulteriori richieste di chiarimento), devo rilevare che la nostra scelta tende proprio a fugare i dubbi posti dall'onorevole Storace.
PRESIDENTE. Le chiedo scusa se la interrompo, ma ritengo che si debba chiarire un aspetto. Comprendo il riferimento ai parametri ed anzi, con una battuta, potrei dire che non si pone il problema di far entrare la RAI in Europa; che cosa impedisce, tuttavia, di fissare cifre precise, determinando esattamente l'entità del canone? Che cosa osta a fissare tale entità per ciascuno degli anni presi in considerazione?
In questo modo, verrebbe superato qualunque sospetto, dal momento che è difficile comprendere quanto siano aumentate la produttività, l'offerta e così via.
VINCENZO VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. L'ostacolo è rappresentato da un problema di forma: poiché, come lei sa bene, il canone è una tassa, non è possibile che un contratto di servizio fissi l'entità di una tassa per un triennio.
PRESIDENTE. Ma il canone di concessione viene fissato.
VINCENZO VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. In questo caso il discorso è diverso: si tratta di definire una tassa con un meccanismo che non si può artatamente rovesciare con un contratto di servizio; sarebbe necessaria una previsione legislativa e si dovrebbe seguire una determinata procedura.
Quello che noi facciamo, onorevole Storace, è propedeutico a quanto lei invoca: si tratta di definire criteri "obiettivi", per altro tutti quantificabili, non generici. Infatti, la concessionaria pubblica è obbligata a fornire indicazioni quantitative puntuali, non generiche, su tutti quei fattori. Quindi, si riduce al massimo la soggettività, la discrezionalità per perseguire una scelta in base alla quale la RAI, da azienda di Stato intesa in senso tradizionale, diventi impresa di valore pubblico. Questo è lo sforzo che stiamo facendo e che ispira l'intero contratto di servizio.
Quindi, sarebbe stato piuttosto difficile e forse anche opinabile - lo ripeto - fissare dei termini quantitativi. Si tratta comunque di un tema sul quale abbiamo discusso ed abbiamo ampiamente valutato la sua opinione, onorevole Storace. Anzi, se è stato necessario del tempo in più per predisporre il testo, è proprio perché su questo argomento ci siamo intrattenuti a lungo anche con i Ministeri concertanti (tesoro e finanze), i quali hanno dato un apporto molto rigoroso. La stessa direzione finanziaria della RAI ha dato il suo contributo su tale aspetto, la cui definizione è stata quindi frutto di una lunga discussione.
PAOLO ROMANI. Il fattore Storace!
VINCENZO VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. Per quanto riguarda i controlli, torniamo ad un tema antico: la legge n. 650 del 1996 introduce anche meccanismi di rapporto - rispondo indirettamente al senatore Jacchia - tra Commissione di vigilanza e Ministero. Le direzioni competenti di quest'ultimo stanno provvedendo ad acquisire puntualmente dalla RAI i materiali il cui invio è richiesto dall'atto di convenzione e dal contratto di servizio e la Commissione di vigilanza, come sapete, ha una potestà di acquisizione che fu uno dei punti discussi a lungo con riferimento alla stessa legge n. 650. Quindi, tutto ciò che si poteva fare ai sensi della previsione legislativa è stato fatto e questo contratto di servizio ne costituisce l'applicazione.
Per quanto concerne la pirateria, l'onorevole Storace ha affrontato un tema di grandissima portata e credo che non vi sia alcuna sottovalutazione, soprattutto dopo l'avvenimento tutt'altro che secondario verificatosi a Venezia.
In tema di pirateria il Ministero è molto impegnato, nel senso che ha predisposto da tempo controlli anche più puntuali ed ha fornito un contributo importante alla scoperta di chi ha commesso quel reato. Attualmente lo stesso Ministero sta vigilando e credo che, insieme alle apposite direzioni competenti del servizio pubblico, possa portare avanti in misura maggiore e meglio quell'opera di prevenzione che oggi è quanto mai indispensabile in un sistema esposto come il nostro. Certamente, l'evoluzione tecnologica, dalle reti terrestri classiche fino al digitale e alle reti telematiche, rende il tema della prevenzione molto più rilevante di quanto fosse in passato.
Raccolgo pertanto tale sollecitazione ed assicuro che, per quanto ci riguarda, stiamo operando; credo per altro che non vi sia stata - né vi debba essere - alcuna sottovalutazione. Quindi, in qualità di rappresentante del Governo, recepisco uno spunto che farò presente anche agli altri Ministeri competenti.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Vita per il suo contributo.
A questo punto, avverto i colleghi che presso il Parlamento in seduta comune è già cominciata una nuova chiama di deputati e senatori per le note elezioni di componenti del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale; conseguentemente, mi vedo costretto a sospendere la seduta.
Il problema è che dovremmo procedere ora con l'audizione del direttore generale della RAI, che è già arrivato in quanto, al pari di noi, non era al corrente di questo andamento dei lavori del Parlamento in seduta comune. La soluzione sarebbe quella di sospendere la seduta fino al termine della prima chiama di deputati e senatori oppure di rinviare l'audizione del direttore generale della RAI a domani mattina alle 10, per poi procedere con la discussione generale dello schema di contratto di servizio. Tuttavia, mi è giunta notizia che domani mattina è convocato anche il consiglio di amministrazione della RAI, per cui mi sembrerebbe uno sgarbo nei confronti dell'azienda fissare l'audizione del direttore generale proprio per domani mattina.
Dobbiamo però fare i conti con i problemi di tempo, in quanto vi è un termine di 30 giorni per quanto concerne il parere da esprimere.
ROSARIO GIORGIO COSTA. Riconvochiamo la Commissione subito dopo la chiama.
PRESIDENTE. Possiamo sospendere la seduta fino al termine della prima chiama di deputati e senatori, pregando il direttore generale Iseppi di ritornare tra circa un'ora e mezzo.
GIANCARLO LOMBARDI. Che cosa ci impedisce di procedere subito con l'audizione programmata?
PRESIDENTE. Poiché il senatore Falomi mi ha posto la questione, ho il dovere di rappresentarla. Tra l'altro, considerato che la votazione si svolge con il sistema elettronico, non è possibile anticipare il proprio turno di votazione.
GIANCARLO LOMBARDI. Non è possibile chiedere di votare subito?
PRESIDENTE. No, non è tecnicamente possibile, a meno che non lo si chieda prima, ma la votazione è già iniziata.
Sospendo pertanto la seduta fino al termine della prima chiama di deputati e senatori.
La seduta, sospesa alle 14,25, è ripresa alle 17,20.
Audizione del direttore generale della RAI, dottor Franco Iseppi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale della RAI, dottor Franco Iseppi, al quale chiediamo scusa per l'attesa, ma quando abbiamo inviato la nostra convocazione non era prevista la seduta comune del Parlamento.
Informo il dottor Iseppi che qualche ora fa abbiamo ascoltato il sottosegretario per le poste e le telecomunicazioni, Vincenzo Vita, mentre ieri abbiamo sentito la relazione dell'onorevole Nappi; nei prossimi giorni saremo impegnati in una lunga serie di riunioni per arrivare alla formulazione del nostro parere sul contratto che avete sottoscritto con il Ministero delle poste in attuazione della convenzione.
Do ora la parola al direttore generale della RAI per le sue comunicazioni preliminari; successivamente potranno prendere la parola tutti i colleghi che intendano porre domande.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Lo sforzo che ho compiuto è stato quello di dare a questo contratto di servizio una lettura sostanzialmente incentrata sull'idea di servizio pubblico.
Il contratto di servizio sul quale la Commissione parlamentare di indirizzo generale di vigilanza è chiamata a esprimere il suo autorevole parere costituisce il dato normativo, ultimo nella scala delle fonti che trova alla sua sommità la Costituzione, inteso a regolare in concreto l'adempimento degli obblighi posti alla RAI, in altre parole, la carta dei doveri del servizio pubblico. Sono i doveri ad avere maggior peso nel rapporto che intercorre tra lo Stato concedente e la RAI concessionaria, i cui diritti sono tutti in relazione strumentale rispetto all'assolvimento di questi fondamentali doveri.
La RAI deve osservare principi di completezza, pluralismo, obiettività ed imparzialità; la RAI deve trasmettere un numero predeterminato di ore di programmazione; la RAI deve estendere il servizio sostanzialmente all'intero territorio nazionale; la RAI deve ancorare i suoi programmi, per almeno il 60 per cento, a contenuti tipici di servizio pubblico; la RAI deve sperimentare nuovi mezzi trasmissivi e nuove tecnologie. Sono numerosi limiti positivi e negativi che la RAI incontra nell'esercizio della sua attività. Tali limiti sono incompatibili con una logica di impresa, se questa non fosse per legge e per convenzione dedicata all'espletamento di un pubblico servizio.
Il tratto differenziale tra l'impresa di servizio pubblico e le imprese commerciali nel mercato radiotelevisivo è il seguente: la prima svolge una funzione, mentre le seconde esercitano una libertà duplicemente radicata negli articoli 21 e 41 della Costituzione, come tale non assoggettabile a limiti e vincoli che non siano strettamente riferibili all'attività economica, senza diretta incidenza sull'espressione del pensiero.
Il servizio pubblico d'altronde, caduta la riserva di attività imprenditoriale che lo Stato ha mantenuto fino alla legge Mammì, trova legittimazione a livello costituzionale proprio nel fatto che le emittenti private, in regime di libera impresa, non garantiscono né possono garantire quei principi di completezza, obiettività, pluralismo, che devono invece essere assicurati dallo Stato, nell'adempimento dei doveri di informazione, promozione culturale e intrattenimento che nascono proprio dagli articoli 21 e 9 della Costituzione in riferimento al correlativo diritto che le stesse norme riconoscono alla comunità sociale.
Al di là di facili e ingannevoli equivalenze, tutta la programmazione della RAI e connotata come servizio pubblico, perché risponde ai criteri di rappresentazione pluralistica della realtà sociale e delle istanze e dei bisogni da essa risalenti, secondo i tre profili dell'informazione, della promozione culturale e dell'intrattenimento intesi come contributo complessivo al benessere sociale.
È inutile ricordare che la Corte Costituzionale, pur dopo l'abolizione della riserva statale dell'attività radiotelevisiva, ha ribadito che il servizio pubblico, improntato a criteri di pluralismo interno, deve operare anche in un mercato ormai concorrenziale, che si presenta come espressione di pluralismo esterno.
Il Parlamento europeo ha detto anche di più, quando con tre risoluzioni, l'ultima delle quali approvata nel settembre scorso, ha impegnato i governi degli Stati membri della Comunità europea a mantenere e corroborare i servizi pubblici radiotelevisivi, provvedendoli di risorse finanziarie congrue e certe e consentendone l'attività nel campo delle nuove tecnologie e dei nuovi sistemi di distribuzione dei programmi a pagamento, poiché anche in questi settori valgono le ragioni che rendono necessaria la presenza di interessi generali, mediante una concessionaria pubblica specificamente impegnata a perseguirli. Il contratto di servizio si segnala per alcune significative aperture in questa direzione di sviluppo, che attendono, tuttavia, completamento nel procedimento parlamentare di approvazione dei disegni di legge governativi sul sistema delle comunicazioni. Il concetto di servizio pubblico che scaturisce dal contratto è quello di un soggetto dinamico, non passivo e soggetto di mercato.
Altra linea di tendenza che emerge dal contratto di servizio è nel senso di riqualificare il rapporto tra servizio pubblico e attività economica d'impresa, ponendo in evidenza le ragioni di compatibilità e di integrazione piuttosto che le presunte antinomie tra questi due estremi; lo si vede in particolare nella IV parte del contratto, quella relativa agli aspetti economico-finanziari.
Il contratto di servizio asseconda in modo rilevante tale tendenza anche perché conferma e amplia quella sfera di autonomia della concessionaria nella sperimentazione di nuovi sistemi trasmissivi e di nuove tecniche multimediali, che formano il presupposto di una politica economica di settore coordinata tra soggetti pubblici e imprenditori privati, anche nella proiezione sugli scenari della competizione internazionale e della globalizzazione dei mercati.
Pertanto, nel mutato contesto, proprio nell'interesse generale, il servizio pubblico deve svolgere un ruolo dinamico nel mercato, per coglierne le potenzialità e ampliarne gli orizzonti, svolgendo anche un ruolo di orientamento nel sistema. Dal contratto di servizio si evince quale sia la funzione attribuita al servizio pubblico: in primo luogo l'innovazione editoriale, con la riqualificazione dei generi televisivi.
C'è da chiedersi quale funzione questo contratto di servizio assegni alla RAI. La risposta è la seguente: un ruolo trainante per l'innovazione dell'offerta generalista, del prodotto, dell'offerta tematica, delle nuove tecnologie, dei nuovi servizi multimediali.
Uno dei passaggi più importanti del nuovo contratto di servizio è nell'articolo 2, laddove si descrive la necessità per la RAI di "accentuare il proprio ruolo produttivo, creativo, formativo, culturale utilizzando come linea guida il concetto della qualità che attraversi orizzontalmente tutti i generi dell'offerta televisiva anche tramite l'individuazione di nuove strategie di mercato, nuovi modelli produttivi, nuovi linguaggi televisivi".
Si tratta, in sostanza, di un concetto innovativo non tanto per i suoi contenuti quanto per il fatto di essere al centro del contratto di servizio. In altre parole, si riconosce al servizio pubblico la funzione di riqualificare il prodotto televisivo in tutti i suoi generi e non soltanto in quelli più facilmente individuabili per contenuti e linguaggi. In sostanza la differenziazione rispetto alla televisione commerciale diventa il vero valore aggiunto di questo contratto di servizio nella direzione della legittimazione del canone. Pertanto, accanto ad alcuni obblighi specifici (quali quello di rispettare la quota del 60 per cento per i generi telegiornali, informazione, rubriche di servizio, cultura, programmi per bambini, sport, programmi per portatori di handicap sensoriali) il nuovo contratto rende giustizia anche al cinema (quello di elevato valore artistico), alla fiction (quella di produzione italiana ed europea) e all'intrattenimento (quando dedicato a particolari tematiche di carattere sociale) considerandoli nella quota obbligatoria del 60 per cento.
Il discorso delle quote va anche affrontato storicamente a dimostrazione che la RAI sta interpretando in modo sempre più sistematico la sua missione di servizio pubblico: soltanto pochi anni fa, infatti, i generi cosiddetti da servizio pubblico rappresentavano meno della metà dell'intera programmazione della RAI. Nel 1993, per esempio, film, fiction, e intrattenimento coprivano per oltre il 51 per cento l'intero palinsesto delle reti RAI; nel 1996 questi generi sono scesi al 39 per cento rispetto al 61 per cento da servizio pubblico.
Nel 1997, secondo le nuove specifiche del contratto di servizio, la quota obbligatoria del 60 per cento sarà superata di molto (si può stimare tra il 65 ed il 70 per cento) a dimostrazione che la RAI ha talvolta anticipato e non subìto i processi di trasformazione.
Gli stessi confronti con gli altri servizi pubblici europei dimostrano come la RAI sia sempre di più al servizio dei cittadini e in modo più qualificato. Il peso dei generi più tipicamente da servizio pubblico nelle altre televisioni è inferiore a quello della RAI: a fronte del 61 per cento realizzato dalla RAI nel 1996, infatti, la televisione pubblica francese (France 1 e France 2) ha dedicato appena il 51 per cento, la ARD tedesca il 54 per cento, la ZDF tedesca il 60 per cento. L'unica televisione a superarci, anche se di poco, è la BBC con il 67 per cento, ma va considerata in questo caso l'assenza della comunicazione pubblicitaria nella televisione pubblica inglese e la ben differente entità del canone pagato dai cittadini.
Questo quadro è ancora più significativo se viene confrontato con i broadcaster pubblici in relazione al gap rilevabile rispetto ai principali concorrenti privati. In Germania la differenza tra i generi cosiddetti di servizio, tra le emittenti pubbliche e quelle private è del 18.4 per cento a favore, ovviamente, dei primi; in Francia è di appena l'8,3 per cento, in Inghilterra del 15,9 per cento mentre in Italia è del 26.9 per cento: praticamente il doppio rispetto agli altri paesi. Questo significa che l'Italia è il paese europeo dove più forte è la differenziazione tra i generi di servizio della televisione pubblica rispetto all'emittenza privata.
Per quanto riguarda invece i generi convenzionalmente denominati "di servizio", si richiama l'attenzione sul fatto che il nuovo contratto prevede che il servizio pubblico tratti tematiche di interesse generale con particolare riguardo ai bisogni della collettività: tra questi temi vengono ricordati gli anziani, la salute, il lavoro, l'ambiente, le pensioni, il fisco, la casa: sono tutti argomenti sui quali la RAI sta lavorando con convinzione e professionalità e che non mancherà di seguire con crescente attenzione.
Per quanto attiene l'innovazione dell'offerta agli italiani all'estero, benché il contratto non indichi un modo programmatico di obblighi della concessionaria in questo campo, la RAI sta facendo moltissimo. Il servizio pubblico - attraverso RAI International - deve anche configurarsi come carrier dell'industria culturale italiana nel mondo: sono oltre 60 milioni le persone di lingua o di origine italiana che vivono all'estero ed è sempre più consistente il campo delle persone non italiane che nutrono uno spiccato interesse per la nostra lingua, la nostra cultura, il nostro patrimonio artistico, le nostre bellezze naturali ed ambientali e, perché no, il nostro modo di fare televisione.
L'offerta televisiva della RAI in Europa è garantita attraverso la ritrasmissione via satellite di Raiuno, Raidue e Raitre.
La programmazione televisiva di RAI International viene diffusa, via satellite DTH (Direct to home) e/o via cavo, negli Stati Uniti ed in Canada, in America Latina, in Asia e in Australia, con vari palinsesti per adattarsi ai fusi orari delle diverse aree geografiche.
La programmazione radiofonica ha come fondamento i programmi irradiati in onde corte ed in onde medie: 26 sono le lingue nelle quali trasmettiamo, 26 ore e 35 minuti la programmazione quotidiana in onde corte, 5 ore e 10 minuti la trasmissione del Notturno italiano in onde corte e onde medie.
Alla radio ed alla televisione si aggiungono, inoltre, i nuovi media: mi riferisco a Internet dove abbiamo sviluppato 2 progetti, uno dedicato alla promozione di RAI International palinsesti, eventi speciali, comunicati, ecc.) ed uno, Italica on the web volto alla creazione di una facoltà virtuale su Internet. Questo progetto viene sviluppato in accordo con i Dipartimenti di italianistica di prestigiose Università italiane o internazionali ed ha lo scopo di sviluppare la diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo attraverso le straordinarie opportunità di diffusione che questo mezzo offre. L'accesso è gratuito e fruibile in varie lingue. Anche il servizio Televideo è già offerto all'estero, in particolare negli USA dove costituisce una novità assoluta non essendo previsto un servizio analogo in quel Paese.
Tra le novità di rilievo è anche la valorizzazione della produzione nazionale: non a caso è previstoche l'azienda si predisponga "a riequilibrare il mix tra produzione e acquisto dei generi film e fiction nella direzione di una maggiore valorizzazione del mercato italiano e comunitario".
Anche in questo caso, il contratto di servizio ha colto l'attualità della trasformazione in atto fin dall'insediamento dell'attuale vertice RAI. Negli anni scorsi, infatti, il rapporto degli investimenti tra film e fiction di produzione con quelli di acquisto era a favore di questi ultimi: tra le cause anche l'impoverimento creativo e produttivo del mercato nazionale e la scarsa penetrazione dei nostri prodotti perfino nei mercati confinanti. Dal 1997, invece, il budget della direzione cinemafiction ha previsto un 'inversione di tendenza con priorità alla produzione italiana. Si tratta di un gesto di fiducia e di un' apertura di credito verso il nostro mercato e verso i produttori indipendenti, nell'ottica di una RAI che voglia proporsi tra i soggetti della ripresa dell'industria culturale nazionale. D'altronde, già nella stagione televisiva ottobre-maggio, il servizio pubblico ha incrementato notevolmente la trasmissione di fiction italiana, passando dalle 234 ore della stagione televisiva precedente alle attuali 562 ore, così come il cinema italiano ha avuto una programmazione pari a 424 ore rispetto alle 341 dell'analogo periodo dell' anno precedente.
Il contratto di servizio, cogliendo questo indirizzo della RAI, ha fatto di più: credendo nella valorizzazione delle risorse produttive e creative italiane ha previsto investimenti finalizzati al sostegno della produzione italiana ed europea di audiovisivi, indicando nell'articolo 9 le percentuali appositamente dedicate al settore e legate al canone di abbonamento: 10 per cento nel 1997; 15 per cento nel 1998; 20 per cento nel 1999. La norma riguarda fondamentalmente l'acquisto dei diritti, i costi per la produzione esterna, i costi per la produzione interna su film, fiction, documentari, cartoni, lirica, musica, teatro prodotti o coprodotti in Italia o nell'ambito comunitario, con particolare attenzione ai produttori indipendenti.
Anche in questo il contratto di servizio ha interpretato il rapporto tra chi produce e distribuisce il prodotto e il mercato, prevedendo che qualora l'evoluzione del mercato stesso evidenzi tendenze non compatibili con gli obiettivi fissati, sia costituita una apposita commissione mista per la revisione delle quote: in sostanza ci si preoccupa di non "drogare" il mercato ma semmai di incidere positivamente sulla ripresa culturale del paese senza per questo andare oltre le reali potenzialità del settore. Questa operazione ha rimesso in moto una lievitazione altissima dei costi.
PRESIDENTE. Quindi, ci sarà un ripensamento?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Nessuna ripensamento, ma un controllo sull'operazione. Uno dei problemi aperti, al quale speriamo di dare presto concreta e soddisfacente soluzione, riguarda la rete radiofonica dedicata ai lavori dal Parlamento.
Il precedente contratto di servizio poneva a carico della RAI l'obbligo di presentare un progetto di massima di rete a modulazione di frequenza, che doveva prevedere anche l'opzione, in una fase iniziale, di utilizzare i 4 trasmettitori in modulazione di frequenza di Milano, Napoli, Roma e Torino e i trasmettitori in onde medie.
Il relativo progetto RAI è stato trasmesso al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni il 4 ottobre 1996 e comprendeva due fasi di realizzazione: la prima fase (un anno) con servizio esteso a tutti i capoluoghi di regione (circa il 50 per cento della popolazione) utilizzando la rete in onde medie e il nuovi impianti in modulazione di frequenza; la seconda fase (ulteriori due anni) con il servizio esteso a tutti i capoluoghi di provincia (circa il 70 per cento della popolazione con servizio diurno), utilizzando ulteriori circa 50 impianti in modulazione di frequenza.
Pur avendo presentato il progetto secondo le indicazioni del contratto, la RAI nutre dei dubbi sull'avvio del servizio mediante una rete mista onde medie e modulazione di frequenza. Infatti l'utenza potrebbe subire notevoli disagi a causa della necessaria sintonizzazione su banda onde medie o modulazione di frequenza (problemi potrebbero esserci soprattutto, ad esempio, per l'utenza mobile). Inoltre si avrebbe una minore estensione della rete e una minore qualità del servizio rispetto all'attuale, che trasmette le sedute parlamentari in modulazione di frequenza, oltre che una riduzione delle aree di copertura degli impianti onde medie durante le ore notturne a causa della propagazione ionosferica. Tali osservazioni sono già state percepite nel nuovo contratto di servizio, il quale lascia ampia possibilità di scelta sulla realizzazione della rete in oggetto (l'articolo 14 afferma che la concessionaria è impegnata a realizzare con tutte le possibilità diffusive la rete radiofonica...). Tale rete dovrà essere realizzata, sulla base di piani esecutivi da presentare entro luglio 1997 al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni.
Per i motivi esposti, la RAI prevede un servizio esclusivamente in modulazione di frequenza anche a partire dalla prima fase, confermando comunque gli obiettivi di estensione previsti nel progetto del 4 ottobre 1996.
Pertanto una ipotesi più favorevole per l'utenza sia per quanto riguarda i tempi di attuazione che il mantenimento del grado di estensione del servizio, non può prescindere dall'utilizzo da parte della RAI anche delle frequenze della rete che attualmente trasmette le sedute parlamentari. La RAI, quindi, pur accettando il necessario sforzo finanziario, si attende un'efficace azione regolatrice da parte del Ministero delle poste.
La presenza della RAI nella TV tematica è finalizzata ad ampliare l'offerta del servizio pubblico, diversificandone gli strumenti, a presidiare le aree a più alto indice di innovazione di prodotto, a sviluppare e specializzare la propria capacità produttiva, a tutelare l'offerta generalista, soprattutto nella prospettiva di un mercato dei diritti nel quale risulteranno essenziali le sinergie tra TV generalista e TV tematica.
Stiamo lavorando su 3 progetti di canali tematici in chiaro che sono già in fase avanzata di attuazione: uno dedicato alla cultura, uno dedicato ai bambini ed ai ragazzi, l'altro educational. Abbiamo avviato la progettazione operativa di un canale tematico per l'informazione con la finalità di ampliare e diversificare la nostra offerta. Abbiamo, in fase di avanzata progettazione, un canale spiccatamente educativo dedicato allo sport, finalizzato all'approfondimento della cultura sportiva, alla divulgazione dello sport di base ed alle discipline di minor appeal ai fini dell' audience.
Passiamo ora alla sperimentazione dei nuovi servizi multimediali. Va sottolineato, infatti, come un impegno di non minore rilievo strategico quello volto a sperimentare nuove forme di produzione multimediale e nuovi linguaggi con riferimento anche alle applicazioni del cinema elettronico.
C'è da essere soddisfatti di un altro impegno assunto dalla RAI: quello per la realizzazione di una audiovideoteca multimediale interattiva, che richiederà notevoli investimenti e che metterà a disposizione del Paese il patrimonio audiovisivo della
RAI.
Per quanto attiene la copertura dei servizi di diffusione analogica terrestre e qualità tecnica del servizio, il nuovo contratto di servizio, agli articoli 16 e 17, impegna la RAI ad estendere ulteriormente la copertura della popolazione e del territorio già raggiunta, in attuazione dei precedenti obblighi convenzionali. Ad esempio, per la prima e la seconda rete televisiva si prevede l'estensione del servizio a tutti i centri fino a 300 abitanti; per le tre reti in modulazione di frequenza si prevede l'estensione di servizio dal 70 al 75 per cento del territorio, per la prima e la seconda rete in onde medie si prevedono incrementi della copertura della popolazione e del territorio rispettivamente di 2 e 4 punti percentuali per la popolazione e, di 4 e 13 punti per il territorio. Sono obblighi assunti dalla concessionaria confidando nella approvazione di un piano nazionale di assegnazione delle frequenze che tenga fermo quanto previsto, appunto, dalla convenzione e dal contratto di servizio.
Ciò è previsto dall'articolo 3, comma 2, del disegno di legge 1021 passato all'esame della Camera dopo l'approvazione da parte del Senato.
L' articolo 18 della convenzione impegna la RAI in un altro notevole sforzo economico volto a mantenere e migliorare la disponibilità del servizio e la qualità di ricezione contro le interferenze delle emittenti private. Sono stati individuati, a tal fine, indicatori di qualità tecnica che fanno parte integrante del contratto di servizio. Per il miglioramento della qualità tecnica sarebbe peraltro auspicabile che il Ministero attribuisse effettiva priorità nella riassegnazione delle frequenze resesi disponibili (ad esempio per fallimenti, per dismissioni di attività, ecc.) alla RAI così come previsto nell'articolo 15 per risolvere le situazioni interferenziali più importanti.
Un altro punto qualificante del contratto di servizio è la grande apertura verso le nuove tecnologie digitali, che impegneranno la RAI in un grosso sforzo con ricadute positive per il sistema-paese. Mi riferisco alla possibilità di diffondere da satellite nuovi programmi digitali in chiaro e alla possibilità di avviare la sperimentazione di programmi digitali criptati. Entro il 1999 il servizio di radiofonia numerica DAB/T sarà esteso al 60 per cento della popolazione. Il disegno di legge 1021 prevede lo sviluppo del DAB ma non assicura le frequenze terrestri necessarie in tempi certi per la radio diffusione sonora. Per il DVB, le frequenze dovrebbero essere rese, invece, disponibili dal passaggio sul satellite delle reti Telepiù, passaggio che per almeno una rete, avverrà in data incerta. La RAI, invece, si è impegnata a presentare, per quanto riguarda la TV numerica terrestre, un piano di sperimentazione tecnologica dello standard DVB/T anche in formato sedici noni, allo scopo di recuperare il forte ritardo del nostro paese rispetto agli altri paesi europei, in particolare del Regno Unito. Per essere presente significativamente nelle articolazioni sempre più complesse del mercato, RAI dovrà poter adottare modelli più idonei: organizzativi e, se del caso, societari.
Il contratto di servizio è in linea con le tendenze emerse nel dibattito parlamentare sul nuovo assetto del servizio pubblico. Infatti, all'articolo 37 impegna la RAI alla presentazione di un progetto di ridisegno della propria macrostruttura organizzativa sulla base di uno schema divisionale, in vista di una gestione focalizzata delle diverse attività dell'azienda e come analisi propedeutica al ridisegno anche societario della RAI, con l'obiettivo istituzionale di garantire la necessaria trasparenza dell'allocazione delle risorse e con l'obiettivo strategico di modulare le alleanze per acquisire competenze, know-how e risorse necessarie. Siamo in attesa di conoscere l'andamento del dibattito sul disegno di legge Maccanico. Dal disegno di legge n. 1021 abbiamo appreso che una rete dovrà trasformarsi in una emittente che non può avvalersi di risorse pubblicitarie.
Per quanto concerne le risorse, oggi i servizi pubblici europei sono impegnati verso la diversificazione del prodotto e delle modalità di fornitura all'utenza, come strumento per il rafforzamento della propria offerta peculiare generalista e, quindi, per la riaffermazione del ruolo riconosciuto di garante del pluralismo e dell'interesse generale. In tale contesto il servizio pubblico ha la necessità di essere dotato degli strumenti necessari, in termini di risorse e di modelli organizzativi che gli permettano di operare con successo nel rispetto della missione assegnata.
Il contratto di servizio per gli anni 1997-1999 assume un significato rilevante sia perché rappresenta il primo contratto a regime tra RAI e Ministero delle poste, dopo la sperimentazione del 1996, sia perché si colloca in una fase di grandi cambiamenti del sistema della comunicazione e quindi di scelte necessarie anche per la RAI.
In particolare, nel contratto vengono affermati alcuni principi innovativi riguardo il finanziamento e si pongono le basi per la progettazione del ridisegno organizzativo del servizio pubblico.
Il meccanismo del cosiddetto price cap prevede una crescita del canone in misura strutturalmente inferiore all'inflazione e comporta una dinamica complessiva delle fonti di finanziamento del servizio pubblico costantemente al di sotto di quella del sistema. È questo un meccanismo che, in prospettiva, determina un progressivo impoverimento del servizio pubblico nei confronti degli operatori privati. Al fine di non ostacolare l'investimento della RAI nelle nuove tecnologie e nelle nuove offerte, il contratto all'articolo 33 introduce il principio di stabilire un legame tra l'ammontare del canone, l'offerta complessiva e gli investimenti di particolare rilevanza realizzati secondo una logica di servizio. Per esempio, il canone potrebbe finanziare, attraverso aumenti specificamente dedicati, la nuova offerta tematica in chiaro che la RAI sta approntando e che dovrebbe partire entro la fine del 1997.
Quelle che ho illustrato sono sostanzialmente le novità introdotte nel contratto di servizio, che abbiamo contribuito a definire.
Inoltre, ho già annotato una serie di risposte alle domande che ho raccolto, per cui, se volete, posso darle subito.
PRESIDENTE. Le sono già state poste delle domande in via informale?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Mi riferivo ad una serie di domande contenute nella relazione dell'onorevole Nappi, che ho letto.
PRESIDENTE. Ringrazio il direttore generale della RAI per la sua esposizione e do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire.
MARIO LANDOLFI. Poiché la nostra Commissione è un organismo più politico che tecnico, ci interessa conoscere il contratto di servizio inteso come carta dei doveri che lei ha elencato; questo, però, ci indurrebbe a fare delle polemiche nei confronti della RAI a causa dello iato esistente tra le enunciazioni di principio...
PRESIDENTE. Non è un obbligo fare polemica.
MARIO LANDOLFI. ...e la prassi, ossia ciò che realmente accade all'interno della concessionaria del servizio pubblico relativamente alla completezza e all'obiettività dell'informazione.
Il dottor Iseppi ha opportunamente ricordato la risoluzione del Parlamento europeo che ha ribadito la centralità del servizio pubblico, ma è anche vero che quella stessa risoluzione raccomandava alle concessionarie l'indipendenza dai governi, e non mi sembra che questo sia il caso della RAI.
La domanda che intendo porre, riprendendo quella già rivolta dal presidente al sottosegretario Vita, riguarda la determinazione del canone. Al riguardo, confesso di aver capito poco dalla spiegazione contenuta nel contratto di servizio. In particolare, vorrei comprendere, dottor Iseppi, quali siano i criteri attraverso i quali si attua il controllo della produttività.
Questa forma di determinazione del canone dovrebbe comportare un risparmio per gli utenti ed oltre a quello del tasso di inflazione programmato, vengono introdotti nuovi parametri per la determinazione del canone. Si parla di quote dell'indice di produttività devolute a vantaggio dell'utenza, di un obiettivo di recupero della produttività assegnato all'azienda e determinato anche considerando i risultati da essa conseguiti. Tuttavia, come viene valutata la maggiore o minore produttività dell'azienda ai fini della determinazione del canone?
Si parla, inoltre, di quote di investimenti da finanziare attraverso il canone di abbonamento. Quindi, ricorrendo a quest'ultimo saranno finanziate la sperimentazione di nuove tecnologie, la realizzazione di nuovi servizi, l'introduzione di innovazioni tecnologiche, l'autovideoteca, la rete parlamentare, il miglioramento del servizio e così via? Tutto ciò sarà finanziato attraverso il canone, oppure quest'ultimo vi contribuirà in una certa quota rispetto all'altra entrata, rappresentata dalle risorse pubblicitarie?
PAOLO ROMANI. Devo dire che intervengo oggi con un certo imbarazzo, perché mi sembra inevitabile sottolineare che da parte del Polo sono state espresse a più riprese gravi perplessità nei confronti di questa RAI, in particolare per quanto concerne la gestione, l'effettiva applicazione delle direttive in materia di pluralismo, il reale allineamento a quelle che dovrebbero essere le funzioni del servizio pubblico.
Tuttavia, malgrado le polemiche, anche pubbliche e a volte feroci, rivolte non tanto al dottor Iseppi quanto ad alcuni direttori di rete o di telegiornale, da parte nostra vi è l'intenzione di andare avanti nel processo di riforma dell'intero settore. Si tratta, come lei sa bene (perché lo segue personalmente e direttamente giorno per giorno, direi anzi ora per ora), di un processo difficile, nel quale sono stati raggiunti alcuni punti di mediazione - li definisco così perché non riuscirei a definirli in altro modo - ed in cui le forze politiche, con grande imbarazzo, cercano comunque di pervenire ad un accordo.
E' noto anche che la "casa" complessiva del riassetto del sistema è ancora lontana: abbiamo forse raggiunto un primo step e probabilmente la Camera, malgrado le piccole manie di protagonismo di alcuni suoi componenti, riuscirà ad approvare un progetto modificato almeno con riferimento ad alcune parti che sono state inserite al Senato in maniera un po' avventurosa. Si dovrebbe comunque riuscire ad approvare il progetto, ma resta ancora indefinito il problema della funzione del servizio pubblico: questo è un dato di fatto che spiega anche il mio imbarazzo iniziale.
A tale imbarazzo si aggiunge la circostanza che discutiamo oggi sul nuovo contratto di servizio, che è un atto "dovuto"; lo dico tra virgolette, in quanto nella sua precedente edizione il ritardo nell'esame fu molto sensibile e raggiunse addirittura l'anno, poi la Commissione chiese alcune modifiche ed il contratto fu riproposto. Anche in questo caso siamo arrivati con ritardo e - guarda caso - ci troviamo oggi a discutere sul contratto di servizio esattamente nel momento in cui è all'esame della Camera il disegno di legge n. 1021. Questo, francamente, mi induce a riflettere, perché alcuni aspetti del contratto di servizio fanno chiaramente riferimento ad elementi inseriti nel provvedimento legislativo attualmente in discussione, nonché ad elementi propri dell'altro disegno di legge (il n. 1138), il cui iter alla Camera non è ancora iniziato.
Devo dire che, se fossi un lettore imparziale interessato alle questioni televisive, mi appassionerei alla lettura di questo contratto di servizio: i programmi e i progetti sono belli, così come sono raffinati i meccanismi finanziari che consentono la realizzazione dei progetti; mi ha fatto piacere, in particolare, leggere la formula che sembra complessa ma in effetti non lo è, in cui si afferma sostanzialmente che, se l'azienda sarà, per così dire, più brava, ne deriverà un risparmio per l'utente; in caso contrario, quest'ultimo sarà costretto a pagare un po' di più.
PRESIDENTE. Questo non la preoccupa?
PAOLO ROMANI. Sì, mi preoccupa. Intendevo comunque sottolineare l'ambiguità del contesto di cui stiamo parlando e della formula; l'ambiguità risiede anche nel fatto che si tratta di una delle risorse, non l'unica, come sappiamo, e - guarda caso - soltanto questa risorsa viene agganciata agli investimenti.
Non le sembra, dottor Iseppi, che forse varrebbe la pena di non insistere? Non ritiene che sarebbe bene inquadrare prima il contesto del riassetto complessivo del servizio pubblico, che potrebbe essere realizzato in tempi ragionevolmente brevi? Non sarebbe preferibile verificare prima quali saranno le risorse di cui effettivamente potrà usufruire la RAI, considerato che una delle proposte avanzate potrebbe determinare mille miliardi in più a favore della RAI, se non altro in virtù del gap negativo per l'operatore privato rispetto agli investimenti pubblici?
Francamente, se dovessi esaminare questo documento serenamente, senza altri retropensieri (che purtroppo ho), direi che esso va approvato ed anzi che vi si dovrebbe inserire qualcos'altro, ovvero ulteriori investimenti, ad esempio per fare in modo che finalmente la radio si senta anche laddove non si sente. Le chiedo però, dottor Iseppi, di fare un'analisi più approfondita, nel momento in cui anche voi avrete certezze sulle risorse di cui disporrete, sul sistema in cui dovrete competere, sul complessivo meccanismo aziendale che la legge vi obbligherà, o almeno vi stimolerà, ad adottare in tempi ravvicinati.
Si tratta di un appello che le rivolgo, perché ritengo che questo meccanismo del doppio binario potrebbe essere letto in maniera maliziosa, come sto facendo adesso, mentre non vorrei interpretarlo in questa chiave.
Siccome la RAI è comunque uno dei due contraenti (poco fa alcune problematiche di carattere più squisitamente tecnico sono state poste al sottosegretario Vita), ossia uno dei pilastri portanti dell'accordo, penso che, se la vostra è e vuole essere un'azienda (è giusto e legittimo che abbiate questo tipo di aspirazione), essa debba qualificarsi ed inserirsi nel settore quando avrà qualche certezza in più. Oggi, infatti, ci si inserisce in un meccanismo che non si sa ancora quale possa essere: abbiamo certezze soltanto sul fatto che deve essere istituita un'authority e su quali siano i limiti antitrust, ma non sappiamo altro.
Riprenderò tali argomentazioni nella discussione generale che si svolgerà successivamente, ma intendevo dire tutto questo al direttore generale della RAI, perché non volevo che tali questioni restassero relegate nell'ambito di una discussione svolta alla presenza dei soli componenti la Commissione, in cui spesso si rimane al livello di belle parole. Mi rivolgo invece al nostro interlocutore privilegiato, affermando che oggi la RAI non è in grado - e non è giusto che non lo sia - di definire se stessa; l'azienda chiede giustamente delle risorse, ma lo fa in un momento in cui non si sa ancora quante risorse saranno a sua disposizione, quale tipo di meccanismo aziendale e organizzativo potrà attuare, quali saranno i suoi limiti.
Tra l'altro, non so neanche per quanto tempo la RAI resterà ancora un'azienda pubblica: infatti, nel momento in cui leggo sui giornali che fra tre anni il nuovo presidente dell'IRI "sbaraccherà" tutto, immagino che il discorso riguardi anche la RAI, per cui presumo che fra tre anni avremo di fronte un altro competitore privato. Siccome il contratto di servizio in esame vale per i prossimi tre anni, suppongo che ad un certo punto si verificherà una sovrapposizione, un incrocio delle due tendenze.
Proviamo allora, una volta tanto, a ragionare su questi problemi in maniera seria, nel momento in cui si dispone di tutti gli elementi necessari; non introduciamo meccanismi che inducano ad essere, per così dire, trainati sempre dalla locomotiva che va più veloce, perché altrimenti si rischia di compromettere un meccanismo complessivo mettendo già sul tavolo alcuni elementi che in un certo momento non dovrebbero ancora esservi.
Su tutto questo vorrei acquisire l'opinione del direttore generale della RAI.
ROSARIO GIORGIO COSTA. Intendo sottolineare, alla presenza dell'estensore di questa proposta di contratto, le esigenze di cui ho parlato ieri.
Signor direttore generale, nella logica della funzione di azienda di servizio, ho chiesto e chiedo che si presti attenzione ad un aspetto particolare, anche se è evidente che ciò non può essere codificato nel contratto, dal momento che - come dicevo prima con i colleghi - i contratti sono scritti per rileggerli quando non vengono rispettati. Sono convinto della buona fede di chi rappresenta il soggetto aziendale, ma mi permetto di suggerire di tenere conto di un'esigenza che credo sia largamente avvertita dal popolo italiano: mi riferisco ad una maggiore cultura di impresa, che contribuirebbe fortemente a creare un nuovo habitat culturale idoneo alla localizzazione di nuove iniziative produttive foriere di nuova occupazione, di cui il nostro paese ha oggi tanto bisogno.
Come ho osservato ieri (e ripeto in questa sede), da un'indagine svolta nella mia provincia, quella di Lecce, di concerto con l'ordine dei dottori commercialisti, l'università e il provveditorato agli studi, abbiamo purtroppo appurato la triste circostanza che, in una scuola ad indirizzo economico-commerciale, su mille ragazzi soltanto due dichiarano che da grandi desiderano fare l'imprenditore. Se questo è il terreno di coltura, è evidente che l'azione dello Stato diventa difficile nel momento in cui spinge verso l'imprenditoria come soluzione necessaria e sufficiente per vincere la disoccupazione.
Per quanto concerne l'educazione alla salute, si fa presto a dire che il sistema sanitario nazionale produce spesso malasanità, se poi non si dice mai come ci si debba avvalere dello stesso servizio sanitario ed assumere i farmaci. Infatti, si pubblicizza tutto, ma mai la parsimonia nell'uso di alcuni strumenti e di alcune sostanze.
Mi soffermo ora sull'educazione civica, che vale per chi assume pubbliche funzioni e per chi è preposto, in base ad un rapporto di impiego pubblico, a funzioni superiori o anche meno impegnative. Non c'è italiano che non reagisca dinanzi al fatto che non sempre chi esercita funzioni pubbliche è idoneo a farlo, ma non c'è cattedra che pubblicizzi l'opinione secondo cui chi è chiamato a fare una promessa come impiegato pubblico deve poi rispettarla fino al giorno del suo collocamento a riposo.
Mi soffermo poi sulla rete di partecipazione societaria della RAI, investita di pubbliche funzioni: anche nella logica di un processo di accentuata europeizzazione della popolazione, un maggiore interscambio culturale, organico, permanente potrebbe concorrere a costruire sempre più e sempre meglio il cittadino europeo. Chi può farlo meglio del soggetto detentore di questa pubblica funzione?
Per quanto concerne RAI International, non ho mai preso in esame la produttività di questa azienda, ma è d'uopo che chi, come voi, la controlla lo faccia con lo stesso impegno e lo stesso piglio che rivolgete, anche di concerto con la nostra Commissione, al servizio reso all'interno del paese, affinché laddove non c'è vigilanza (su quel contesto non ve ne è una diretta), ci si possa avvalere dell'attenzione e degli osservatori presenti sul territorio nazionale.
GIUSEPPE GIULIETTI. Premesso che intendo porre alcune domande, devo dire che mi ha molto stimolato l'intervento dell'onorevole Romani, laddove ha affermato che è necessario disporre di tutti gli elementi per poter decidere. Questo dovrebbe essere un invito a tutti noi a votare i disegni di legge n. 1021 e n. 1138 nel giro di pochi giorni, perché ciò consentirebbe di esaminare il contratto di servizio in maniera più coerente.
Tuttavia, la conclusione dell'esame del disegno di legge n. 1021 richiederà presumibilmente vari mesi, mentre la discussione alla Camera sul provvedimento n. 1138 deve ancora iniziare e si pongono questioni non da poco legate al contratto di servizio: basti pensare agli indici di affollamento pubblicitario, alle quote di produzione, al rapporto con un vasto bacino di industria culturale italiana, che non è formata solo da grandi imprese, ma anche da un indotto di migliaia di lavoratori, spesso part-time o precari, i quali vivono, appunto, intorno al grande indotto culturale, che non è costituito solo dalla RAI, ma che le imprese delle telecomunicazioni rappresentano in modo molto efficace. Lo dico perché questo significa avere sul tavolo tutti gli elementi, tra cui i disegni di legge n. 1021 e n. 1138; in quest'ultimo, tra l'altro, è contenuta la riforma della RAI holding, che mi appassiona molto più dei criteri di nomina del consiglio di amministrazione, perché tali criteri dovrebbero discendere, appunto, dalla definizione della holding, mentre sarebbe paradossale far discendere dalle nomine la riorganizzazione verticale e orizzontale di un'azienda; questo sarebbe l'esatto contrario di quella cultura dell'impresa che a tratti invochiamo ma che poi scompare al momento della decisione.
Se, invece, la richiesta è quella di assumere come vincolo il problema del valore impresa, delle possibilità di ristrutturazione e riorganizzazione, rispetto sia ai processi nazionali sia a quelli internazionali, questo è un terreno che mi interessa. Non lo dico in modo strumentale, perché credo che tutti abbiamo superato questa fase.
Mi sembra però di comprendere che il disegno (i provvedimenti n. 1021 e n. 1138 e la riforma della RAI) sia invece più macchinoso e più lento, a causa di molte difficoltà. Se è così, ritengo che sarebbe un gravissimo errore, da un lato, non approvare nei tempi previsti, quindi rapidamente, il disegno di legge n. 1021 e, dall'altro, non varare contestualmente il contratto di servizio, sul quale ho delle riserve, che esprimerò, di segno opposto rispetto a quelle dell'onorevole Romani (per questo porrò alcune domande). Mi riferisco al fatto che questo contratto di servizio (condivido, al riguardo, la relazione dell'onorevole Nappi) presenta molti elementi innovativi; lo dico perché occorre rileggere la letteratura dei contratti di servizio, così come dei piani editoriali, considerato che i cambiamenti dell'azienda non sono soltanto quelli che si possono mettere in relazione ai dati dell'osservatorio di Pavia, ma vanno ricercati nel fatto che si parli o meno un linguaggio d'impresa.
Siamo finalmente di fronte ad un contratto di servizio in cui cresce il tasso delle presenze tecniche all'interno dell'azienda: mi riferisco a quelle che vengono definite tecnostrutture, che alcuni demonizzano ma che io giudico elemento fondamentale per la modernizzazione di un'impresa, che non passa per il cambiamento dei telegiornali, che è l'aspetto terminale, bensì per la modificazione degli assetti di budget, societari e delle strutture; questi elementi rendono un'azienda flessibile o chiusa, aperta oppure arroccata al proprio interno.
Quando ne avremo il tempo, mi piacerebbe dedicare qualche seduta - mi rivolgo al presidente - ad un ragionamento, da svolgere insieme agli addetti alle strutture dell'impresa, su che cosa sia oggi la formazione all'interno della stessa azienda: mi riferisco a quella dei profili professionali non solo dei giornalisti, ma anche dei quadri, perché questa è la parte che rende possibile la trasformazione che incide sull'aspetto terminale del prodotto.
Siamo di fronte, a mio avviso, ad un contratto di servizio che prevede una forte accentuazione dei doveri a carico della RAI, ma ho la sensazione che vi sia ancora una debolezza strutturale - mi rivolgo anche al relatore - nel liberare in modo pieno le energie per quanto riguarda i nuovi mercati ed il settore dell'innovazione tecnologica. La mia è una critica di segno opposto, che rivolgerò anche al Governo, quando sarà presente: vedo un'eccessiva timidezza, per cui devo rivolgere delle domande, proprio perché è in discussione il disegno di legge n. 1021.
Ritengo comunque che si debbano perseguire gli obiettivi di cui parlava l'onorevole Romani, ossia la trasformazione piena della RAI ed anche l'apertura al capitale privato; su questo, quindi, vi è grande intesa. Credo anzi che queste siano le prescelte per la trasformazione; per essere più chiaro, dirò che in questo momento considero più appassionante sapere se proceda l'accordo STET-RAI e se questo contratto di servizio liberi in qualche modo energie rispetto alla futura piattaforma digitale. Ma voglio essere ancora più chiaro, chiedendo se dal combinato disposto del disegno di legge n. 1021, come è stato approvato al Senato, e del contratto di servizio (lo chiedo a chi ha questo tipo di sensibilità, perché questo non emerge con chiarezza dalla discussione in corso alla Camera, in cui si va, per così dire, a spanne, come avviene sulle cifre) emerga un via libera pieno alla RAI per quanto riguarda l'accesso ai nuovi settori di produzione televisiva ed al comparto del cosiddetto digitale.
Vorrei quindi sapere se esista la possibilità di attuare una piattaforma digitale con una forte presenza nazionale, che non deve essere necessariamente pubblica, ma che riguardi l'insieme delle imprese del paese; questo anche nel settore della stessa sperimentazione radiofonica: mi riferisco, in particolare, al DAB, su cui vi è stato un interessantissimo seminario indetto dalla RAI ma aperto ai rappresentanti di altre imprese oltre che ai parlamentari. Di solito, però, gli appuntamenti di questo tipo non interessano molto e questo è, a mio avviso, un gravissimo errore, anche perché il fatto di studiare serenamente in che modo siano organizzate le imprese pubbliche e private non attenua le nostre differenze.
Occorre quindi appurare se vi sia - come dicevo - un via libera pieno, oppure dove nasca un'eventuale difficoltà o un elemento di freno; questo non deve indurci a decidere in un modo o nell'altro, ma occorre saperlo. Lo dico anche con riferimento alle cifre di cui si parla: poco fa ho sentito dire che l'insieme dei provvedimenti n. 1021 e n. 1138 assicurerà alla RAI oltre mille miliardi in più (non so da dove l'onorevole Romani abbia tratto questa cifra).
Ricordo comunque che i disegni di legge n. 1021 e 1138 sono all'esame, rispettivamente, della Camera e del Senato. Ricordo anzi che nel primo provvedimento, di cui sono stato relatore (sono un sostenitore dell'esigenza di arrivare ad una soluzione rapida), vi è l'impegno per la RAI a presentare il progetto di rete senza pubblicità entro l'aprile del 1998; si prevede altresì, per il privato, un termine che giuridicamente non significa nulla, in quanto viene definito semplicemente congruo, il che può voler dire anche entro il 2015. Vi è quindi, per la concessionaria pubblica, un vincolo chiaro, mentre per il privato la previsione è diversa (tra l'altro, ho difeso la norma ed ora non sto cambiando idea), in quanto si parla di un termine congruo.
PRESIDENTE. Onorevole Giulietti, le ricordo che stiamo discutendo su un'altra materia.
GIUSEPPE GIULIETTI. Ho fatto questa premessa per porre una domanda. L'onorevole Romani ha sollevato una questione molto seria, circa il fatto che l'insieme dei due provvedimenti assicuri al servizio pubblico una serie di certezze rispetto all'innovazione. Chiedo allora al direttore generale della RAI se dia la stessa lettura rispetto a questa vicenda.
Per quanto concerne le quote, cui ha fatto riferimento il direttore generale (parlo del testo del Governo - mi rivolgo all'onorevole Romani - non di quelli dei partiti, che in questa sede non mi interessano), la RAI sta lavorando, rispetto alle quote di produzione, per un allineamento alle indicazioni europee? In sostanza, il contratto di servizio, come lei diceva, prevede un innalzamento delle quote di produzione ed è previsto un ulteriore innalzamento nei bilanci della RAI? Come si sta concretizzando il rapporto con il nuovo cinema al quale si è fatto riferimento? Tale aspetto, infatti, è presente nel contratto di servizio.
Passando ad un'altra questione, chiedo se sia stata effettuata una previsione di spesa, considerato che si è parlato di nuovi progetti, relativi a canali tematici, al DAB, al canale destinato alla trasmissione delle sedute parlamentari. Nel momento in cui da un lato vi è una riduzione di entrate e, dall'altro, si assegnano, nel contratto di servizio, nuove missioni, vorrei sapere se vi sia un coordinamento tra queste ultime e le entrate, perché tale aspetto deve essere presente al legislatore nel momento in cui affronta l'insieme dei provvedimenti, in rapporto sia al pubblico sia al privato.
Nel momento in cui l'onorevole Romani pone questioni relative agli indici di affollamento nel sistema, credo che tali problemi non siano infondati ma anzi debbano essere affrontati scientificamente.
Infine, considerato che nel contratto di servizio, così come nel disegno di legge n. 1138 (in questa sede, però, mi interessa il contratto di servizio ed in tal senso accolgo il richiamo del presidente), si parla del nuovo assetto societario e siccome ho sostenuto la necessità, sia pure con tutte le accortezze suggerite dall'onorevole Romani, di approvare il contratto di servizio, vorrei sapere se la RAI abbia già predisposto, ovvero si proponga di farlo (penso al mese di settembre), degli scenari in cui prospetta un suo progetto di autoriforma in ordine al futuro assetto societario. Poiché si è parlato, tra l'altro, di divisionalizzazione, chiedo se questo gruppo dirigente sia in grado di presentare un progetto di autoriforma sia rispetto agli assetti societari sia con riferimento al canale senza pubblicità; ho fatto riferimento a quest'ultima perché il problema è stato posto questa mattina dai colleghi della lega nord, oltre che dal senatore Costa ed altri: nel primo progetto si parlava di rete federale o federata, ma poi all'improvviso questa indicazione è scomparsa.
Chiedo allora se, nelle riflessioni che la RAI sta facendo rispetto al contratto di servizio ed al canale senza pubblicità, venga mantenuta un'idea di territorialità, che significa investimento nei centri di produzione, rafforzamento della radio e della televisione per quanto riguarda le regioni del paese, questione diversa da quella della rete federale, ma che si colloca comunque all'interno del concetto di territorialità. Poiché il contratto di servizio accenna a tale aspetto, vorrei sapere se su questo sia in corso una riflessione.
Desidero ora soffermarmi sulla questione, posta poco fa dal collega Costa, relativa agli investimenti internazionali, che non figurano soltanto nel capitolo RAI International, ma anche in quello relativo alle politiche dell'azienda in quanto tale e sono contemplati nel contratto di servizio. Nei mesi scorsi si è parlato a lungo di un rapporto forte tra la RAI e i paesi del Mediterraneo (penso a quelli del Maghreb, ma non solo); vorrei sapere se questa riflessione tenda, per così dire, a scomparire dall'insieme dei provvedimenti e dal contratto di servizio oppure se tale elemento venga recepito nella programmazione.
Mi rendo conto di aver posto molte domande e credo che ad alcune non vi sia il tempo per dare una risposta. Mi interessava comunque sottolineare il nesso tra i provvedimenti all'esame del Parlamento, le previsioni della RAI e i progetti che sono stati approntati.
GIANFRANCO NAPPI, Relatore. Vorrei porre una questione di tipo metodologico: noi esprimiamo un parere obbligatorio ma non vincolante; il parere che esprimeremo alla fine, in ogni caso, proporrà una serie di integrazioni, qualche aggiunta e forse qualche modifica. In ogni caso, almeno per quanto mi riguarda, ciò avverrà in un quadro di valorizzazione di quanto è stato definito con questo contratto di servizio fra Stato, Governo e RAI. Il sottosegretario per le poste, a nome del ministro, poche ore fa ci ha espresso la sua piena disponibilità a fare sì che il parere obbligatorio, in qualche modo, fosse politicamente considerato anche vincolante. Questo naturalmente dal punto di vista del Governo. Ebbene, vorrei capire se questa stessa disponibilità a considerare obbligatorio il parere della nostra Commissione, ed in qualche modo da recepire in una integrazione allo stesso contratto di servizio, sia anche l'orientamento della RAI.
Per quanto riguarda il merito vorrei porre un paio di questioni, dal momento che le mie domande le ho poste nel contesto della relazione. Le questioni che voglio porre sul tappeto riguardano un'ipotesi di lettura evolutiva del contratto di servizio. La prima è riferita al comma 2 dell'articolo 28 che assegna al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni la funzione di promuovere eventuali rapporti tra la concessionaria pubblica ed altri operatori del settore per giungere alla realizzazione di quella che viene definita la "piattaforma digitale". A che punto si trova questo progetto? E' del tutto evidente che ad essa è legata una parte sostanziale del discorso più globale relativo all'innovazione tecnologica contenuta nel contratto di servizio; e poiché ritengo che ci troviamo in forte ritardo (e con questo anticipo l'unico elemento di valutazione politica che intendo fare), non abbiamo il compito di consentire alla RAI di fare qualche cosa, ma dobbiamo pretendere (noi come istituzioni, come Parlamento e come società) che l'azienda concessionaria del servizio pubblico, nell'ambito dei nuovi obblighi che lo sviluppo della società contemporanea comporta, consenta la realizzazione del servizio pubblico in questo nuovo scenario. In altri termini dobbiamo pretendere che la RAI lo faccia, che lo faccia bene e presto: almeno questa è la mia posizione. Ciò deve avvenire, naturalmente, a legislazione vigente, perché tutto quello che è delineato nel contratto di servizio (al di là dei riferimenti politici che è possibile fare o meno) è riferito alla legislazione vigente. E' chiaro che, una volta approvati i testi, sarà necessario andare ad una verifica e ad un successivo intervento (Interruzione del deputato Romani).
Tu mi consentirai di essere d'accordo con me stesso! La questione decisiva relativa alla piattaforma digitale sta effettivamente procedendo? Vi sono resistenze o problemi in proposito? Vi sono orientamenti anche pubblicamente espressi, eventualmente in sede governativa, che si stanno confermando tali nei comportamenti concreti?
Passo ora alla seconda questione. Essa riguarda la diffusione territoriale dell'innovazione tecnologica. Si tratta di un punto che ho toccato anche nella mia relazione. Noi dobbiamo stare attenti ad evitare che le ricadute dell'innovazione tecnologica muovano e ricadano sui punti che già oggi sono i più avanzati: in sostanza, si tratta di evitare che un discorso profondo sull'innovazione tecnologica, dalle strutture ai contenuti, che potrebbe essere finalizzato anche ad un recupero di un gap in termini di sviluppo di intere aree del paese (a cominciare dal Mezzogiorno), possa vedere in una novità tecnologica che si concentra nei punti già forti e già più avanzati anziché un sostegno ed un recupero del divario, una ulteriore accentuazione delle differenze. Una cosa del genere rappresenterebbe veramente un paradosso. Quindi, in che modo si riesce adottenere questo tipo di diffusione?
Sempre con riferimento a quanto detto dal collega Romani, non so se le mie parole possono sembrare polemiche nei confronti del Governo (se è così non ho nessun problema a fare polemica): in nessuna parte del programma di Governo, presentato alle Camere e su cui il Governo stesso ha ottenuto la fiducia, si parla del progetto di privatizzazione della concessionaria del servizio pubblico. Non so con quale mandato sia stata affidata al nuovo presidente ed al nuovo gruppo dirigente dell'IRI una ipotesi del genere. Altra cosa è il discorso del referendum che ha aperto la possibilità dell'ingresso di capitale privato nell'articolazione societaria della concessionaria pubblica: ma non sta scritto da nessuna parte, né nel referendum né nel programma di Governo, che la RAI debba essere privatizzata. Se il Governo intende fare questo lo deve dire pubblicamente, lo deve dire in Parlamento, ottenendo il consenso di quest'ultimo. Allo stato tutto questo non c'è! Preannuncio che laddove il Governo volesse muoversi in questa direzione, noi saremmo nettamente contrari, pochi o tanti che saremo.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al direttore generale, vorrei svolgere alcune considerazioni.
All'onorevole Nappi vorrei dire che il Presidente del Consiglio ha già detto pubblicamente di volere la privatizzazione della RAI: non ricordo se ciò sia scritto nel programma dell'Ulivo o in quello di Governo, ma ricordo un colloquio con lo stesso Presidente del Consiglio il quale, quando gli chiesi se era disponibile a venire a parlare in questa sede su questo tema, mi lesse il programma dell'Ulivo. Non so se gli stessi concetti li ha ribaditi anche nel programma di Governo esposto alle Camere, ma - ad onor del vero - quella posizione l'ha espressa già da tempo.
Vorrei ora fare alcune considerazioni in merito al nostro dibattito ed alcune domande al direttore generale ed ai dirigenti della RAI che riterranno di intervenire. Mi ha particolarmente stimolato l'intervento dell'onorevole Giulietti che aumenta, secondo me, le preoccupazioni espresse dal collega Romani. Non è certamente argomento dell'audizione odierna (e per questo forse certe domande risultano eccessive rispetto a quello che si poteva prevedere per il direttore generale ed i dirigenti della RAI, per cui essi risponderanno se riterranno di farlo), ma se non capisco male il contratto di servizio contiene elementi che nessuna legge ha fissato. Su questo pregherei il relatore di operare una verifica, in collaborazione con gli uffici, per capire se è vero che siamo "a legislazione vigente" o si prefigurano già assetti che la legge potrebbe introdurre ma che finora non ha introdotto. Dopo le considerazioni svolte in maniera sottile e seria dall'onorevole Giulietti, ritengo che questo sia un aspetto che dobbiamo valutare. Ad esempio, nessuno ha stabilito nulla a proposito dell'affollamento; una ulteriore riflessione della Commissione dovrebbe essere fatta, ma su questo argomento decideremo in seduta plenaria, anche perché abbiamo tempi molto stretti per l'espressione del parere e non capiamo cosa stia succedendo. Quella che ho fatto è una valutazione del tutto personale, ma immagino che, nell'ambito del dibattito, essa sarà discussa.
Per quanto riguarda i quesiti da porre al direttore generale, partirò dalla stessa questione dalla quale ha preso spunto il relatore, onorevole Nappi: mi riferisco alla eventualità della posizione di condizioni da parte nostra. Preannuncio che chiederò alla Commissione se riterrà, nel corso della discussione generale, che al momento dell'espressione del parere e della votazione sugli emendamenti al parere stesso siano presenti non solo il Governo, ma anche la RAI affinché essi possano fornirci la loro opinione. Infatti, vorrei evitare quanto è accaduto nel passato e cioè che ci viene richiesto un parere, che noi esprimiamo, ma che poi non conta nulla. In altri termini, vorremmo sapere prima di esprimerlo, quale fine farà il nostro parere. Mi sembra un modo serio di procedere, anche se si tratterebbe di un'innovazione procedurale; tuttavia credo che sarebbe più utile pervenire ad un lavoro più serio. Tutto questo, secondo me, deve essere fatto se il direttore manifesta disponibilità su alcune questioni che ora evidenzierò. La prima è quella relativa al canone. Ribadisco in maniera sintetica i concetti già espressi nel corso dell'audizione del sottosegretario Vita. Mi spaventa il collegamento tra canone e produttività: in sostanza - per usare una felice espressione del collega Romani - se siete bravi avrete più soldi, se siete meno bravi avrete meno soldi. Secondo me il servizio pubblico ha l'obbligo di essere bravo, cioè non si può legare l'aumento o meno del canone alla produttività o a chissà quale elemento.
Questa mattina ho chiesto al sottosegretario perché si continui a legare il canone - seppure per un triennio - a determinati parametri e non a privilegiare la strada della scelta della cifra. Su questo argomento insisto, signor direttore, dal momento che lei ci ha illustrato un programma che è indubbiamente interessante; avete inserito una previsione nel contratto di servizio in base alla quale avete ipotizzato di fare certe cose, ma perché non si può prevedere anche la cifra? Dico questo perché, a seguito di un dibattito al quale ho partecipato con alcuni autorevoli consiglieri d'amministrazione della RAI, mi sono sorti alcuni dubbi. La dottoressa Cavani mi disse, nel corso di quel dibattito, che non solo non era il caso di diminuire il canone ma, semmai, sarebbe stato più opportuno aumentarlo. Questa è la preoccupazione che io le rassegno, presidente Iseppi. Tra l'altro, vedo criteri di indeterminatezza perché, conoscendo bene quello che dice la convenzione ed altri atti in proposito, il problema riguarda una scelta che potremmo essere chiamati a fare: in proposito, qual è la vostra eventuale valutazione?
Questo quesito si lega alla seconda questione che riguarda il controllo sugli obblighi che la convenzione (e quindi anche il contratto di servizio) impongono all'azienda RAI in cambio del canone. Noi sappiamo che la legislazione vigente affida al Ministero delle poste questo tipo di controllo; la legge n. 650 del 1996 ha introdotto elementi di novità per cui la conoscenza degli atti di controllo appartiene anche alla Commissione: in altre parole vengono portati a conoscenza della Commissione gli atti di detto controllo. Poiché fino a questo momento non abbiamo avuto notizia di atti del Ministero sul rispetto della convenzione da parte della RAI, ne desumo che evidentemente o non vi è stata necessità di controlli oppure questi ultimi non sono mai stati fatti. Lei comprenderà come questa constatazione possa rappresentare un elemento di preoccupazione per un organismo parlamentare: il controllo può essere operato anche quando le cose vanno bene. Se la Commissione, pertanto, dovesse introdurre elementi che la legge non prevede (ma che nemmeno esclude) di conoscenza diretta per quanto riguarda i vostri obblighi (come dicevo questa mattina, il cittadino non capisce come mai la Commissione di vigilanza non ha poteri in fatto di canone), vorremmo capire come potremo verificare che queste splendide cose - vale a dire le innovazioni contenute nel contratto di servizio, sulle quali ho espresso un giudizio largamente positivo - non restino lettera morta e che effettivamente si facciano queste cose. Dunque, quali sono gli strumenti di conoscenza che portate alla Commissione di vigilanza? Non basta il riferimento alla rapidità (presunta, dico io) delle risposte alle interrogazioni parlamentari, poiché sappiamo che questi meccanismi restano fermi. Il problema è che forse la Commissione che vigila sul servizio pubblico ha qualche diritto in più rispetto al singolo parlamentare, proprio perché siamo obbligati ad occuparci di certe cose. Quindi - lo ripeto - quali sono gli strumenti di conoscenza che abbiamo a disposizione? Non ho ora una ricetta in tasca, ma probabilmente l'avremo nel corso del dibattito: tuttavia chiedo ai dirigenti della RAI come si possa arrivare ad avere questa disponibilità e se su di essa l'azienda è d'accordo.
Ho voluto svolgere queste osservazioni in riferimento alla polemica seguita alla vicenda di piazza San Marco, che ha riguardato i noti episodi di pirateria. Il contratto di servizio prevede anche alcune disposizioni per quanto concerne la tutela degli impianti e la loro manutenzione: ebbene, mi è difficile capire se si tratta di argomenti oggetto del contratto di servizio, ma sicuramente qualcosa si deve fare e non capisco dove ciò debba essere fatto se non nello stesso contratto di servizio. E' lì che devono essere inserite norme chiare e precise. Do lettura alla Commissione di alcuni atti che avevo annunciato e che ho intrapreso, a titolo personale, nei confronti del Governo e della RAI, per capire cosa stava accadendo a seguito degli episodi di pirateria. E' importante conoscerli trattandosi di atti che ho compiuto (eventualmente per investirne la Commissione nella sua interezza) nella mia qualità di parlamentare: il 12 maggio scorso scrissi al Presidente del Consiglio a seguito delle note dichiarazioni del dottor Nordio. Egli disse che la RAI aveva sottovalutato la portata degli eventi. L'azienda, in replica a tali dichiarazioni del magistrato, diffuse una nota in cui ricordava che il presidente Siciliano ebbe un colloquio con il ministro degli interni, denunciando l'atto pirata sia come atto di sabotaggio sia dal punto di vista dei suoi contenuti, precisando che i controlli per evitare simili interferenze non spettavano alla RAI. La nota riferisce anche delle riunioni con i responsabili del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni. Per riassumere, la RAI ha affermato che questo tipo di controlli spettano al Governo. Il Presidente del Consiglio, dal canto suo, sottolineava la gravità della questione: pensiamo cosa potrebbe accadere se durante il telegiornale non si diffondessero i proclami della Serenissima, ma notizie false destinate a creare panico fra i cittadini. Io stesso, questa mattina, ho portato l'esempio di una partita di calcio in notturna: se nel corso di essa, il telegiornale annunciasse lo scoppio di una bomba, si provocherebbe sicuramente il panico.
Il 22 di maggio il presidente della RAI mi ha risposto ricordandomi che la RAI stessa non può per legge e per convenzione (da qui ricavo che il contratto di servizio qualcosa centra) proteggere i suoi segnali da interferenze, poiché tale compito spetta al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni, al quale ho tempestivamente sollecitato le misure necessarie per impedire le gravi interruzioni ai programmi del servizio pubblico radiotelevisivo.
Dopo questa lettera, ovviamente, ho nuovamente scritto al Presidente del Consiglio che continua a non rispondere: ma questi sono fatti nostri! E' un problema che riguarda il galateo politico.
Direttore, qual è il problema di fondo? Chi è che deve proteggere i cittadini dalle incursioni fatte nella TV di Stato? E' un problema reale! Oggi questi signori sono stati arrestati e si trovano in carcere, ma domani una cosa del genere può essere fatta da qualunque cittadino, da qualunque altro criminale o pirata? Siamo in grado di garantire al servizio pubblico che queste cose non accadranno più? Se non siamo in grado di farlo, quali sono gli strumenti che dobbiamo attivare? Che cosa dobbiamo fare per dotare la RAI o il Ministero degli strumenti adatti a prevenire atti del genere? Prenda la mia domanda dal punto di vista costruttivo, poiché il mio desidero è che si possano evitare certe intrusioni!
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Cominciando dall'ultimo quesito che lei mi ha posto, signor presidente, debbo dire che è impossibile che la RAI possa controllare tecnicamente questi fenomeni. Il dottor Vannucchi, fra poco, ve lo spiegherà in modo più dettagliato. Le responsabilità del controllo appartengono al Ministero dell'interno ed a quello delle poste; vi è una specifica organizzazione che si occupa di queste cose e che ha la responsabilità di garantire la nostra distribuzione sul territorio.
Nell'incontro con il dottor Nordio (incontro alquanto complicato, poiché lo stesso dottor Nordio ha dovuto ammettere di aver sbagliato persona, circostanza e luogo, avendo fatto riferimento ad una riunione alla quale io ero presente con il capo della polizia ed il questore) venne spiegato come fosse realmente impossibile qualsiasi azione preventiva rispetto ad incursioni del genere che, tra l'altro, in un'occasione hanno riguardato anche Mediaset, esattamente su Canale 5. Come dicevo, il dottor Vannucchi spiegherà perché è possibile questo tipo di prevenzione; certo è non vi è alcun riferimento nella convenzione a questo tipo di fenomeni.
PRESIDENTE. Lo ha detto il presidente, comunque.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Stavo dicendo che in convenzione non c'è nessun riferimento di questo tipo: questa è una certezza. Il che non significa che non ci si preoccupi fino in fondo di questo problema. Da parte nostra abbiamo tentato di introdurre alcuni elementi indiretti di tipo correttivo, quale l'aumento della potenza dei ripetitori o una serie di strumenti che, in qualche modo, possono tutelare maggiormente il cittadino da questo punto di vista. Questo, tra l'altro, è stato fatto in deroga alle norme che fissano i parametri della potenza del segnale: tuttavia questa è l'unica cosa che abbiamo fatto, ma che poi ci è stata bloccata nel modo ufficiale.
Passiamo ora ai quesiti posti a proposito del canone e del controllo, su cui non ho alcuna obiezione personale da muovere, considerato anche che lei ha avuto a che fare con la signora Cavani, componente del consiglio di amministrazione della RAI. Credo comunque si tratti di due temi sui quali è indispensabile che sia lo stesso consiglio di amministrazione ad esprimere una posizione, perché altrimenti si confonderebbero le varie competenze. La mia disponibilità personale è molto ampia, in presenza di proposte percorribili in vista della tutela del servizio pubblico ed in una prospettiva complessiva di tipo costruttivo, di partecipazione delle istituzioni e così via. Sono tutti aspetti talmente positivi che è difficile non convenire; dico soltanto che una risposta su un tema del genere deve venire dal consiglio di amministrazione, non da me.
Per quanto concerne, in particolare, il canone, mentre possiamo sostanzialmente simulare qualsiasi utilizzo delle nostre risorse, ci è difficile specificare la quota di canone, trattandosi di un'imposta decisa sostanzialmente dal Parlamento e dal Governo. Da parte nostra, possiamo chiarire in che modo lo utilizziamo e, a seconda dell'entità delle risorse, che tipi di progetti si possano perseguire: in pratica, possiamo simulare qualsiasi cosa che risulti utile per la decisione, ma non siamo certamente noi ad entrare nel merito della stessa decisione relativa all'imposta che si chiama canone.
PRESIDENTE. Quindi, se la cifra fosse stabilita non avreste difficoltà?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Non avremmo difficoltà di alcun genere, né le avremmo nel definire quale sia, a nostro avviso, la cifra ottimale rispetto agli obiettivi da perseguire. La decisione, tuttavia, non spetta a noi.
Nel rispondere a una serie di altre domande, prenderò le mosse da una questione sollevata dall'onorevole Romani, che però si ritrova anche in altri interventi. Non è importante, onorevole Romani, sapere se si discuta oggi oppure no questo tipo di contratto di servizio né che esso era pronto alla fine di dicembre del 1996; è stato presentato soltanto ora a causa di una serie di procedure che coinvolgono più il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni che la RAI ma, per quanto ci riguarda, il contratto era pronto - lo ripeto - alla fine dello scorso mese di dicembre. Questo, comunque, è un elemento secondario, perché serve solo per la storia: il dato reale è che sui contenuti del contratto si innesta anche il dibattito sulla riforma del sistema. Lo sottolineo per una ragione di carattere, per così dire, storico, al fine di evidenziare che non vi è una relazione voluta tra l'esame del contratto di servizio e la discussione dei disegni di legge n. 1021 o n. 1138; questo, almeno, da parte nostra, per cui ci troviamo ora a discutere su un contratto di servizio che abbiamo sottoscritto nel dicembre 1996. Il problema è rappresentato dal fatto che in realtà i contenuti dello stesso contratto si riversano completamente su tutti i temi oggetto della riforma del sistema nel suo complesso.
E' comunque inevitabile accettare questa relazione di fatto, perché altrimenti si uscirebbe dalla storia, dalla politica. Al di là di questo, vi è anche un altro concetto a mio avviso importante: siamo costretti a formulare ipotesi di cambiamento, in quanto non possiamo attendere una situazione, per così dire, di bocce ferme, perché siamo in una condizione in cui, se non introduciamo elementi di autogoverno del cambiamento, rischiamo di essere espulsi dal sistema. Infatti, nel giro di due o tre anni la nostra capacità di autofinanziamento diventerebbe talmente ridicola, rispetto alla possibilità di investire le nostre risorse nella nostra attività, che dobbiamo provvedere immediatamente ad introdurre elementi di novità in qualche modo autogovernati, quindi anche indipendenti dalla riforma del sistema. Altrimenti, dovremmo accettare una logica passiva, rinunciataria, nell'ambito di una strategia che una volta è stata definita in questa sede della pensione: ci porremmo, cioè nell'ordine di idee di pensare che si può andare avanti comunque, perché tanto nessuno licenzia e così via.
Dico questo perché in realtà, di fronte a tale situazione di oggettiva difficoltà circa il futuro autofinanziamento, non possiamo non introdurre una serie di elementi di tipo strutturale, pensando, per esempio, che sia necessaria una divisionalizzazione che poi potrà portare o meno a un discorso societario (non lo sappiamo).
Quella che stiamo conducendo attualmente è un'attività conoscitiva delle potenzialità economiche e finanziarie di una divisionalizzazione, ma non è un disegno di tipo societario precostituito o costituito. Si tratta - lo ripeto - di una fase conoscitiva molto importante per comprendere dove siano i potenziali business e dove essi non siano presenti, nonché per costruire, su questa base, un disegno in virtù del quale in alcuni di questi business entreranno certamente anche i privati, in una logica di rapporto che è molto diversa dal discorso della privatizzazione.
Non possiamo neanche, per così dire, perdere il treno di alcune necessità, la maggiore delle quali è costituita dalla convergenza tra il sistema televisivo e quello delle telecomunicazioni: se restassimo fuori da tale contesto, sarebbe come se avessimo rinunciato a qualsiasi ruolo (tornerò poi su tale aspetto, perché è stata posta una domanda specifica sulla STET).
Analogamente, non possiamo rinunciare ad assolvere ad alcune funzioni di servizio pubblico inteso in senso moderno, che non è più quello garantista e basta, ma è quello che fa ciò che non ha ancora una grandissima legittimazione di mercato. In sostanza, l'idea di destinare tutti i nostri soldi alla produzione italiana è una grande scommessa per l'intero paese, non solo per la RAI, perché, se funzionerà, risolverà molti problemi di tipo culturale, di indipendenza dai mercati stranieri o comunque garantirà la possibilità di un diverso equilibrio nell'uso delle nostre risorse tra acquisti e produzioni e di una nostra diversa collocazione nei rapporti di mercato internazionali.
Dobbiamo necessariamente fare alcune di queste cose per la nostra stessa natura, così come dobbiamo continuare sulla strada, che peraltro sta portando a risultati proficui, di rafforzare l'offerta di servizio governandola in un modo tale da garantirci continuamente una forte legittimazione di mercato. In questo senso stiamo sostanzialmente procedendo.
Ritengo allora che non possiamo non muoverci praticamente in funzione di autogoverno (quindi con i soggetti che si trovano all'interno dell'azienda) o in termini progettuali, perché altrimenti avremmo scelto sostanzialmente la strada della rinuncia. Per noi, quindi, è impossibile pensare di restare fermi e attendere, per così dire, che vi siano le bocce ferme.
E' altresì innegabile che vi sia una componente di impresa, che si chiama impresa RAI, la quale deve utilizzare gli strumenti che nei paesi normali si chiamano lobby per sopravvivere o per conseguire determinati risultati: poiché vi ricorrono i privati, non si comprende per quale motivo non possa avvalersene un'impresa pubblica.
Tra l'altro, siamo in una situazione in cui vi sono convergenze di fatto tra soggetti privati e pubblici sulle prospettive generali del sistema. Attualmente, quindi, ci troviamo nella fase in cui alcune scelte sono importanti per tutti, prima ancora che per i singoli contendenti.
Per quanto concerne l'importante tema delle convergenze, nell'ambito delle telecomunicazioni, ci siamo mossi in un'ottica di rapporto con tutti i soggetti interessati a questa operazione; riteniamo altresì che vi sia lo spazio per un'operazione in cui prevalga un controllo italiano sul sistema della televisione del futuro, che è quella digitale, o comunque sulle convergenze del sistema. Riteniamo anche che sia possibile trovare un buon accomodamento con tutti coloro che oggi sono interessati a questo tipo di cambiamento.
Sappiamo inoltre che le nostre partenership preferite sono quelle che hanno i nostri stessi interessi: ritengo, cioè, che a Mediaset così come alla RAI possa interessare il controllo del passaggio tra la televisione generalista e quelle tematiche e le pay TV.
Credo anche che vi sia spazio per raggiungere accordi ragionevoli, tenendo conto che non ci si può limitare ad un'ottica nazionale ma occorre pensare a partner internazionali. La soluzione non sarà facile da definire fino a quando non si sarà concluso questo percorso, che finora vede un solo punto forte, costituito dall'alleanza tra RAI e STET, in quanto abbiamo scelto di stare insieme; questo - lo ripeto - è l'unico punto decisivo.
Le soluzioni relative a questo sistema delle convergenze rappresentano un passo successivo, che non conosciamo se non in parte, nel senso che sono frutto del modo in cui si individuano combinazioni tra l'aspetto tecnologico, la piattaforma dei servizi e quella dell'offerta. Dal modo in cui si combinano questi tre elementi, che sono alla base del disegno del sistema futuro, può emergere la soluzione A piuttosto che la B o la C. L'unico fatto certo è che l'operazione viene condotta nell'interesse di tutti, in quanto tutti hanno a loro volta un interesse ad essere presenti e a tutelare i loro business.
Sappiamo altresì che esiste uno spazio perché tale operazione abbia un forte carattere italiano e siamo anche consapevoli che, se questa alternativa non si dimostrasse percorribile, ne studieremo altre, ma la strada è sostanzialmente questa.
Alla domanda posta dall'onorevole Giulietti circa il combinato disposto del contratto di servizio e del disegno di legge n. 1021, rispondo che, per il modo in cui è strutturato lo stesso contratto di servizio, ci possiamo muovere nel campo delle nuove offerte attraverso autorizzazioni, che sono previste. Possiamo farlo attraverso una procedura che consiste in una richiesta avanzata in tal senso.
Per quanto riguarda, invece, il disegno di legge n. 1021, se non intervengono patti parasociali, che tale provvedimento non prevede, non sarà facile giungere ad una combinazione complessiva di una piattaforma, perché potremmo incorrere nel limite antitrust: se, per esempio, conducessimo un'operazione insieme a Canal plus con una quota di capitale sufficiente per controllare e governare il processo, dovremmo investire una quota tale da farci correre il pericolo dell'antitrust, relativamente alla questione di una rete piuttosto che di un'altra. Non è vero, quindi, che siamo tutelati da questo combinato disposto, in cui è possibile trovare uno spazio, per quanto riguarda il contratto di servizio, mentre, con riferimento all'attuale situazione della legge, si riscontrano difficoltà piuttosto che certezze, in quanto non possiamo costruire società unicamente sulla base delle buone intenzioni, dei rapporti di fair play, perché oggi in realtà manca una tutela effettiva.
Nel rispondere a una domanda relativa alla produzione, devo dire che non solo stiamo mantenendo le quote, ma che quest'anno effettueremo un investimento ben superiore al 10 per cento previsto per il 1997; tuttavia, la legge ci dà la possibilità di trovare una forma di mediazione nei tre anni, ma sarà comunque raggiunta la quota complessiva di 1.000 miliardi nel triennio. E' possibile che l'equilibrio tra le quote dei singoli anni sia diversa dalla misura di 10, 15 e 20 ma la cifra complessiva resta quella.
Per quanto riguarda i progetti futuri, in ordine ai quali mi è stato chiesto se vi siano previsioni di costi, rispondo che abbiamo effettuato delle previsioni tutte all'interno dell'attuale budget: in ordine alle televisioni tematiche si prevedono tra il 60 e i 70 miliardi fino al 31 dicembre 1998 (si tratta di tre televisioni tematiche); per quanto concerne la rete parlamentare, prevediamo un costo di gestione intorno ai 25 miliardi ed un costo di acquisto in ordine al quale è in corso una trattativa tra la RAI e l'attuale "proprietario", anche se sulla valutazione di tale costo le distanze sono ancora notevoli. Noi riteniamo che la valutazione ottimale si aggiri tra i 20 e i 25 miliardi, mentre il venditore la stima intorno ai 50 miliardi.
Per quanto concerne i disegni di autoriforma, posso dire che entro luglio ne avremo uno, che non è un vero e proprio disegno societario, ma rappresenta un'ipotesi di divisionalizzazione, sulla quale ci stiamo adoperando mediante gruppi di lavoro interni ed esterni all'azienda. Quella attuale è una fase soltanto conoscitiva, ma ci stiamo preparando affinché, il giorno in cui sarà possibile mettere in moto questo processo, saremo in grado di farlo.
In ordine alla rete federata o federale e al rapporto con il territorio, la RAI ha assunto ufficialmente una posizione in un'iniziativa di tipo regionale, ma questo non significa nulla, in quanto si trattava di una posizione di principio, non di una proposta vera e propria. Pensiamo comunque di avanzare una proposta, non limitandoci ad un ruolo passivo e non aspettando quindi che sia la legge a definire questa rete; pensiamo invece di contribuire alla definizione della stessa attraverso un progetto. Se volete che entri nel merito della questione, sono in grado di farlo.
Per quanto concerne il discorso della politica internazionale, al quale ha fatto riferimento l'onorevole Giulietti, devo dire che questo è uno degli importanti elementi di novità che contraddistinguono l'impegno del consiglio di amministrazione: mi riferisco al fatto che vorremmo modificare in senso molto positivo ed in chiave imprenditoriale tutta la nostra cosiddetta politica estera. Riteniamo sostanzialmente che si debba procedere ad una revisione dei nostri corrispondenti e dei luoghi di corrispondenza, tenendo conto che il modello su cui si basa l'attuale organizzazione è quello della NATO, che ci pare piuttosto superato. Intendiamo invece attenerci ad un modello più legato al mercato e pensiamo, in prospettiva, di avere in varie parti del mondo presidi che non si occupino soltanto di dare informazioni (queste potranno essere tratte anche dalle agenzie), ma svolgano soprattutto l'attività di veri giornalisti inviati e mettano in moto, per così dire, delle operazioni imprenditoriali, perché pensiamo di cominciare a vendere quello che facciamo, anziché limitarci ad acquistare.
Il nostro disegno in materia di politica estera è piuttosto complesso e passa attraverso tale aspetto, oltre a quello delle televisioni tematiche, degli accordi internazionali e delle strategie.
Per quanto concerne la questione specifica del Mediterraneo, si può ragionare in termini costruttivi sull'idea di una rete mediterranea, partendo da una proposta delle televisioni pubbliche europee: l'ipotesi prospettata prevede di attuare un'operazione piuttosto analoga a quella di Euronews, con un allargamento dell'offerta, che non sarebbe solo giornalistica ma anche di prodotti. L'iniziativa dovrebbe assumere un'identità quasi definitiva nei prossimi mesi, visto che già da un po' di tempo le televisioni del Mediterraneo stanno lavorando al progetto. E' stata presentata una candidatura francese per Marsiglia, mentre noi ne proporremo una italiana per Napoli, che ci sembra la sede più idonea per questa operazione, naturalmente non da sola ma insieme a Palermo e a Genova.
Siamo ancora a livello di progetto e si tratta di un'operazione condotta - lo ripeto - dalle televisioni pubbliche europee, nella quale sono direttamente coinvolti i Governi: il nostro, in particolare, nel prossimo incontro che si terrà, se ricordo bene, a Salonicco, dovrebbe presentare ufficialmente la candidatura italiana; dovrebbe essere altresì garantita la copertura finanziaria a livello delle televisioni pubbliche europee.
Poiché ho letto la relazione dell'onorevole Nappi, se questi vuole, posso dargli una risposta su tutti i singoli punti.
GIANFRANCO NAPPI, Relatore. C'era la questione metodologica.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Sulla questione metodologica ho già risposto.
Per quanto riguarda il rafforzamento del ruolo dell'informazione, posso rispondere che la produzione della RAI riguarda per il 30 per cento l'informazione; riteniamo quindi che questo tipo di offerta sia piuttosto consistente. Nella radiofonia tale quota è pari ad oltre il 20 per cento.
Sempre nella relazione dell'onorevole Nappi vi era una richiesta relativa all'accelerazione della digitalizzazione ed un'altra concernente l'utilizzazione piena dei transponder satellitari. La risposta non può che essere affermativa.
Si pone poi un problema relativo a Isoradio, su cui si soffermerà il vicedirettore generale Vannucchi, mentre credo di aver già risposto sulla rete parlamentare.
Quanto alla programmazione per l'estero, il nostro sforzo si muove nella direzione di cui ho parlato, mentre crediamo molto nelle quote per l'audiovisivo; sono altresì in grado di specificare ciò che stiamo facendo con riferimento ai film. Al riguardo, posso fornire anche risposte scritte.
Per quanto concerne i portatori di handicap, più che di aumentare del 10 per cento la produzione, si tratta di allargare determinati spazi. Abbiamo intenzione di realizzare una rubrica settimanale di mezz'ora, che non sarà un'edizione di un telegiornale, ma un programma informativo di approfondimento in generale.
Quanto al tema della riservatezza, stiamo cercando di applicare le nuove norme introdotte dalla legge n. 675 del 1996, ma da tale applicazione derivano alcuni problemi e credo che lo stesso professor Rodotà abbia intenzione di modificare parzialmente le cose, perché molte delle disposizioni sono sostanzialmente inapplicabili.
Circa i rapporti con enti ed autonomie locali, posso dire che, sulla scorta di un'esperienza negativa che abbiamo fatto, cercheremo di distinguere bene l'informazione di pubblica utilità dai rapporti commerciali; si tratta di un tema legato alla trasparenza.
Quanto al consiglio degli utenti, giudichiamo di grande interesse la possibilità di avere, oltre a quelli istituzionali, un interlocutore che rappresenti la gente.
In ordine al potenziamento del centro di ricerca di Torino, devo dire che siamo molto interessati allo sviluppo della parte tecnologica, uno dei settori considerati all'avanguardia a livello europeo.
Ritengo altresì che il decentramento delle strutture ideative e produttive costituisca un tema molto forte, che non si può esaurire con il discorso della rete territoriale, ma che richiederebbe scelte più coraggiose di quelle che stiamo facendo. Come se parlassi fuori verbale, posso dire che ho intenzione di collocare la prima rete a Roma, la seconda fra Torino e Milano e la terza a Napoli, dando così a questi centri una valenza talmente forte da comportare vantaggi consistenti, rappresentati dalla "spaccatura" di una struttura un po' parassitaria e burocratica, recependo anche funzioni di tipo culturale molto precise (ho parlato come se questo non risultasse a verbale).
PRESIDENTE. Sarà il titolo dei giornali di domani (Commenti)!
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Il fatto è che questo tema va affrontato radicalmente e credo che su di esso la Commissione possa ragionare.
Quanto al piano di politica industriale, giudico fondamentale cominciare a lavorare sulla base di una cultura d'impresa e non di piani che non rispondono mai a simulazioni reali oltre che a controlli.
Anche in tema di verifiche semestrali in rapporto con la concessionaria pubblica e con il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni siamo del tutto disponibili.
PRESIDENTE. Può lasciare agli atti della Commissione il documento in cui figurano queste risposte?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Certamente; in questo modo, se l'onorevole Nappi vuole avere delle risposte puntuali, le potrà trovare nel documento.
Devo ora rispondere su altre due questioni, una delle quali di tipo contenutistico, che investe il ruolo del servizio pubblico rispetto ai temi della modernizzazione, ma anche della crescita dell'educazione civica e della cultura civile e soprattutto del ruolo del servizio pubblico rispetto ad una nuova dimensione culturale su cui dovremo lavorare, che è quella europea.
Vorrei evitare di dare risposte generiche, rilevando che il discorso relativo all'Europa, sia pure con un po' di fatica ma anche con una certa efficacia, sta diventando un habitus mentale in cui cominciamo a muoverci. Infatti, chi vede la nostra informazione, i nostri approfondimenti o comunque le rubriche o i contenitori su rende conto che sta prendendo piede l'idea di collocare ogni nostra attività in un contesto diverso da quello nazionale.
Per quanto riguarda, invece, i grandi temi della salute, dovremmo non solo rafforzare la nostra offerta, ma anche uscire da alcuni stereotipi che ci portano spesso ad affrontare queste tematiche in una chiave non di carattere educativo o formativo, ma soltanto di cronaca, magari sotto forma di interviste. C'è quindi molto da fare, ma il discorso riguarda vari temi, non solo la salute: uno degli aspetti su cui puntare consiste nel capire come il servizio pubblico possa lavorare per la modernizzazione del paese. Non possiamo dire di avere finora perseguito tale obiettivo, che però deve rappresentare una nostra scommessa.
Quanto alla definizione del canone, poiché uno degli autori della relativa formula, che è stata interpretata come una sorta di geroglifico, è il dottor Mengozzi, qui presente, potrà essere lui a spiegare come si sia giunti a quella formula.
PRESIDENTE. Informo i colleghi che le ulteriori risposte alle questioni poste nella relazione dell'onorevole Nappi sono a disposizione dei commissari e saranno loro distribuite; si tratta, ovviamente, di atti che restano all'interno della Commissione.
GUIDO VANNUCCHI, Vicedirettore generale della RAI. Completerò per flash l'esposizione del direttore generale, che ha trattato in modo esauriente i vari argomenti.
Comincerò con l'affrontare il problema della pirateria, in ordine al quale ritengo opportuno distinguere tra due tipi di interferenze: in una di esse sarebbe fortemente responsabile la RAI, mentre con riferimento all'altra - come spiegherò - non vi è nulla da fare. Quando si ha un trasmettitore, se l'interferenza avviene all'interno del sistema, per cui tutta l'area coperta dallo stesso trasmettitore la subisce, la RAI può essere considerata fortemente responsabile, perché ciò significa che non ha fatto, per così dire, una cura sufficiente nei suoi impianti; questa è stata la prima cosa che ci ha chiesto il dottor Nordio nella famosa chiacchierata che abbiamo avuto.
Nel caso che si è verificato, però, la pirateria non era di questo tipo. Tra l'altro, contrariamente all'affermazione posteriore del dottor Nordio, siamo stati molto attenti a questi problemi, in quanto abbiamo subito diversi sabotaggi in ripetitori della Liguria, della zona di Bergamo, del Veneto; si è trattato di piccoli ripetitori incendiati, "sforzati", con i cavi tagliati, per cui eravamo estremamente sensibili a questo problema e molto preoccupati.
Purtroppo il secondo tipo di interferenza, quello posto in essere dal pirata, è qualcosa di impossibile da evitare considerato lo standard che è stato scelto per la televisione, che è il più semplice possibile. In altri termini, sarebbe come se, per esempio, il presidente Storace tenesse un discorso in piazza San Pietro, con vari amplificatori, ed una persona, in un angolino della piazza, accendesse una radio e disturbasse la ricezione del discorso da parte dei vicini. Questo, purtroppo, non è evitabile, ma non solo in Italia: è accaduto, per esempio, anche a New York, alcuni anni fa, per cui non è evitabile in nessuna parte del mondo.
Per essere ancora più chiaro, devo dire che esistono sistemi militari molto sofisticati in grado di evitare questo problema delle interferenze, ma a tal fine sarebbero necessari ricevitori costosissimi, del valore di decine di milioni. Purtroppo, quindi, l'unico sistema da usare è di tipo preventivo, a parte l'individuazione dei responsabili nel caso in cui si verifichino fatti del genere. Esistono, al riguardo, le triangolazioni e si può agire anche relativamente presto, ma nel giro di uno, due o tre minuti, anche se si riesce ad individuare l'interferente, è molto difficile avere il tempo di coglierlo sul fatto. Dobbiamo quindi convivere con questa situazione.
Abbiamo comunque attuato alcuni interventi, aumentando, per esempio, la deviazione anche al di là dei limiti consentiti; poi il Ministero, con il quale abbiamo avuto un rapporto in splendida collaborazione, ha rilevato che poteva diminuire la capacità di individuazione. Si tratta quindi di un problema che resta aperto.
Un altro aspetto su cui intendo completare l'esposizione del direttore generale è quello relativo alla piattaforma digitale.
PRESIDENTE. Per concludere il precedente argomento, vorrei sapere se il Ministero abbia corrisposto alle vostre richieste; questo è il problema.
GUIDO VANNUCCHI, Vicedirettore generale della RAI. Il problema non è che abbia corrisposto alle nostre richieste, ma che il Ministero sentiva come sua la responsabilità di individuare il più possibile le interferenze; abbiamo messo in campo tutti i mezzi possibili e immaginabili, ma è il Ministero che dispone, per esempio, degli elicotteri attrezzati per l'individuazione, nonché della polizia di controllo. La RAI, da parte sua, collaborava, ma era il Ministero che "pilotava". Abbiamo infatti ricevuto, tra gli altri, i ringraziamenti del ministro Maccanico.
Per quanto concerne un altro argomento molto di moda, quello della piattaforma digitale, intendo fare un commento di tipo terminologico: anche se si sono tenuti molti convegni su tale argomento, la gente non conosce esattamente il significato di quel termine, ovvero ognuno gli attribuisce un significato diverso. Quindi, nel momento in cui si parla di piattaforma, è sempre bene aggiungere un aggettivo, in modo che si capisca di che cosa si stia parlando. Da parte mia, distinguo sempre la piattaforma tecnologica, che è l'insieme degli apparati che rendono possibile la trasmissione sul satellite, sul cavo o entrambi i sistemi insieme, dalla piattaforma di servizi, relativa al contatto con gli utenti, al pagamento del billing e così via; vi è poi la piattaforma di offerta.
Combinando in vari modi questi tre elementi (definiamoli, per esempio, A, B e C), si possono avere diverse società e varie combinazioni di business, da cui derivano diversi possibili modelli di alleanze. Per esempio, nel memorandum of understanding con la STET, usavamo la piattaforma nel senso di A più B. Nel corso dei primi contatti con Canal plus, che sono ancora in corso, l'approccio era a 180 gradi: per loro la piattaforma digitale è essenzialmente l'offerta, per cui come prima cosa ci si deve mettere d'accordo.
Quanto all'aspetto pratico, il dottor Iseppi ha già illustrato la situazione: si stanno valutando tutte le possibilità e non c'è molto da aggiungere. Certamente, la nostra alleanza con la STET è basata su un concetto di complementarietà, per raggiungere un obiettivo. Tra l'altro, sono sempre stato sostenitore di una maggiore presenza italiana in tanti settori e provengo da quello delle telecomunicazioni, in cui, come sapete, vi sono stati molti dispiaceri per il nostro paese.
Per quanto riguarda le nuove tecnologie, ritengo opportuno distinguere nettamente tra due campi diversi: vi sono in primo luogo quelli in cui non abbiamo vincoli e nei quali credo che abbiamo fatto il nostro dovere; questo è merito del centro ricerche di Torino che, anche se piccolo (lancio un messaggio al direttore generale auspicando che tale struttura sia potenziata), è famoso in tutto il mondo e ha dato contributi fondamentali agli standard; siamo così riusciti ad arrivare per primi - forse questo non è noto - sul satellite digitale (il primo broadcaster europeo pubblico, che il 23 dicembre scorso ha iniziato le trasmissioni digitali). Siamo ormai pronti ad avere sette o otto canali tematici, mettendo insieme, oltre a quelli citati, i tre programmi nazionali, con in più il consorzio Nettuno, che riguarda la teledidattica universitaria, il progetto Pico per la scuola e gli altri elementi cui si è già accennato.
Per quanto riguarda, invece, tutto ciò che è terrestre, purtroppo nel perseguire il nostro obiettivo siamo fortemente condizionati dai piani di regolazione delle frequenze: non possiamo non tenere conto di tutto quanto ci circonda (questo è un aspetto essenziale). Potremmo avere le migliori intenzioni del mondo (posso anzi dire che abbiamo previsto molti investimenti), ma non possiamo fare nulla se non vengono chiariti alcuni problemi di contorno. Per esempio, è stato sollevato il problema che la radio si sente male, ed è una realtà che all'epoca la radio fu trattata male e che ne paghiamo ancora oggi le conseguenze.
E' ora necessario ricevere un forte aiuto dal Ministero al fine di una chiarificazione circa l'allocazione delle frequenze; altrimenti, continueremo a soffrire.
Desidero aggiungere che, avendolo vissuto fin dal primo momento, ritengo che il contratto di servizio sia fortemente innovativo rispetto al passato, anche se paragonato ad altri contratti di servizio. Tuttavia, quasi per consolare la Commissione, direi che si prevede un insieme di diritti e di doveri, ma posso assicurare che l'insieme dei doveri è maggiore di quello di diritti: infatti, nel momento in cui si supera una certa percentuale di copertura del territorio, questo non è un piacere che si fa alla RAI, ma è un peso per l'azienda; basti pensare che, quando si parla del 99 per cento della popolazione, non si ha idea di quanto costi raggiungere l'uno per cento in più, perché a volte si tratta di piccoli paesi o valli sperdute in cui l'aumento di ascolto non giustifica gli investimenti necessari.
In effetti, avevo interpretato tale aspetto nel senso che la RAI dovesse rappresentare il servizio universale a basso costo: basti pensare che copriamo già il 100 per cento del territorio con il satellite, addirittura in analogico e in digitale; ma non possiamo pensare che in una casa di campagna venga installata l'antenna parabolica, considerato il suo attuale costo.
Anche se sul price cap si soffermerà dettagliatamente il dottor Mengozzi, intendo svolgere comunque un'osservazione: il discorso nacque nelle telecomunicazioni con l'Offtel inglese ed anche in quel contesto fu lungamente dibattuto il problema della produttività, che purtroppo, però, non è molto chiaro. Direi comunque che il price cap è nato in una situazione in cui si assisteva ad una forte espansione dei mercati e ad un grande incremento dei margini, il che non si verifica per la RAI, la quale ha ricavi costanti.
Comunque, in materia di produttività, vi sarà forse un po' di lotta nella commissione competente per definire che cosa si intenda per recupero di produttività, ma alla fine, una volta raggiunto l'accordo, l'entità del parametro P sarà imposto, non deciso dalla RAI. Si tratta di un aspetto non di consuntivo ma di preventivo: si presuppone che si debba raggiungere un determinato obiettivo di produttività.
Per quanto riguarda altre questioni, ci interessa molto la rete parlamentare, perché la interpretiamo come nostro primario dovere di servizio pubblico, ma vi assicuro che si tratta di una vera e propria "patata bollente": se non recuperiamo le frequenze alle quali oggi la gente è abituata, rischiamo di scontentare tutti, di dare adito a proteste verso il parlamento e così via. Quindi, se dobbiamo assicurare questo servizio, è necessario che siano garantite le stesse frequenze attuali. Infatti, anche se siamo disposti a comprendere molte cose, non riusciamo ad inventare le frequenze.
Passando al problema di RAI International, a parte quanto ha affermato, dal punto di vista editoriale, il dottor Iseppi (è un progetto che mi è sempre stato molto a cuore), vorrei aggiungere che è stato un grandissimo sforzo dal punto di vista tecnologico: basti pensare che oggi siamo presenti nell'America del nord, nell'America del sud, in Australia e tra breve lo saremo anche in Africa; tutto questo addirittura con palinsesti diversi, tenendo conto dei vari fusi orari o delle diverse realtà socio-culturali.
Quello relativo a Isoradio è un discorso delicato, che in passato ha sempre creato problemi; si tratta veramente di un servizio, in ordine al quale sarà importante stringere alleanze, dal momento che la RAI non può fare tutto da sola ma deve cercare, come dicevo, l'alleanza di altri imprenditori. Il contratto di servizio prevede solo la copertura del territorio nazionale ed in più l'inclusione degli snodi e delle tangenziali, perché il sistema non deve interrompersi.
In conclusione, desidero aggiungere qualcosa con riferimento al DAB, il primo sistema fortemente innovativo che sarà avviato, che presenta anche caratteristiche multimediali e sul quale la RAI deve essere interessata non soltanto al mezzo tecnico, ma anche alla creazione di nuovi linguaggi (si trasmette radiofonia insieme a immagini e si può fare di tutto), tant'è vero che abbiamo proposto, a proposito di internazionalizzazione (è un fatto veramente propositivo, ma non so se l'Unione internazionale di radiodiffusione l'accetterà), di fare di alcune delle nostre sedi (ovviamente Firenze e Venezia sono le prime che vengono in mente) un centro internazionale di nuovi linguaggi multimediali. E' questo, a mio avviso, un progetto molto bello e innovativo.
Giudico inoltre fondamentale il discorso dell'internazionalità, ma anch'esso va considerato nell'ottica di tre gamme diverse: il discorso che ci riguarda come servizio pubblico (si veda RAI International), la questione dei contatti con tutto il mondo esterno, perché la cultura deve avviarsi verso la globalizzazione (termine molto di moda), nonché il problema di ciò che l'estero può darci sul piano della valorizzazione dei nostri prodotti, anche come vera e propria vendita. Finora, infatti, dal punto di vista commerciale abbiamo probabilmente sfruttato soltanto un decimo delle nostre possibilità. Il problema dei canali tematici, per esempio, accentua enormemente la necessità di canali in tutto il mondo; ogni tanto, quindi, si presenta qualcuno che in America del sud potrebbe essere interessato a nostri prodotti e così via.
Questo è uno sforzo molto ingente che la RAI, a mio avviso, deve compiere nella riorganizzazione di tutta la sua parte internazionale.
PRESIDENTE. Nel ringraziare l'ingegner Vannuncchi per il suo contributo, avverto i colleghi che la seduta della Camera è ripresa: chi vorrà, quindi, potrà allontanarsi, considerato anche che le dichiarazioni che il dottor Mengozzi si accinge a rendere risulteranno dal resoconto stenografico della seduta odierna.
FRANCESCO MENGOZZI, Vicedirettore generale della RAI. Intendo rispondere alle considerazioni svolte, da diversi punti di vista ma con identica focalizzazione, dagli onorevoli Landolfi, Romani, e Giulietti.
In particolare, vorrei fare una breve premessa prima di fugare qualche dubbio che si può avere sulla complessità della formula relativa al canone, complessità che per la verità è soltanto apparente. La difficile ma costante ricerca, da parte della RAI, di un equilibrio fra la logica d'impresa e quella di servizio pubblico ha portato ad una formula che, anche se può apparire complessa e forse lo è per chi non è pratico di questioni numeriche, sancisce in realtà principi di chiara matrice e intonazione aziendale, ma in fondo ne demanda l'effettiva incidenza al governo da parte del concedente. Infatti, abbiamo introdotto alcuni principi che riflettono - come dicevo - le esigenze. tipiche dell'impresa, di avere ricavi che evolvano tendenzialmente in linea con i costi (questi ultimi sono determinati dal mercato, nel quale dobbiamo restare inseriti) ma anche con i fabbisogni finanziari derivanti dalla necessità di effettuare investimenti e di restare al passo con l'evoluzione tecnologica, l'innovazione e così via.
Nella formula che è stata recepita nell'articolo 33 della bozza di contratto di servizio, l'effettiva incidenza di tali parametri sul canone viene regolata dal alcuni fattori (in quella formula apparentemente magica sono i fattori K e W) da definirsi con decreto ministeriale; quindi, l'apposita commissione dovrà non solo regolare i criteri in base ai quali si porterà avanti la scommessa sulla variazione di produttività futura, ma anche stabilire la quota dell'indice di produttività che sarà devoluta a favore dell'utenza e quella che sarà assegnata all'azienda. In sostanza, nell'ipotesi assolutamente sgradita in cui i fattori K e W fossero uguali, rispettivamente, a 1 e a 0, il loro effetto sarebbe pari a 0. Quindi, abbiamo voluto fare in sostanza una dichiarazione di principio aziendale, perché così si governa un'azienda che vive in regime di mercato; tuttavia, rendendoci conto della nostra essenza e del carattere di imposta che costituisce larga parte della natura del canone, ci vedremo accreditati o addebitati questi parametri a seconda della scommessa che il concedente vorrà fare sull'impresa concessionaria. Questa è la logica della formula.
MARIO LANDOLFI. La questione è legata anche al problema della seconda risorsa della RAI, quella della pubblicità. Come si calcola la produttività?
FRANCESCO MENGOZZI, Vicedirettore generale della RAI. Sono stati scritti numerosi libri su come si calcola la produttività. Si possono comunque adottare criteri semplicissimi (ed aggiungo semplicistici) come, per esempio, quelli legati all'entità del fatturato diviso per il numero di persone; questa è la famosa produttività pro capite, che costituisce un sistema rozzo ma semplice e facilmente comprensibile.
Vi sono però molti altri sistemi, come l'incremento del margine operativo lordo, l'incremento di quest'ultimo in rapporto al fatturato, la capacità di rimborsare i debiti; se ne possono elaborare decine e ciascuno di essi è più adatto ad una realtà piuttosto che a un'altra.
Poiché Guido Vannucchi ha affermato di provenire dal settore delle telecomunicazioni, posso dire, provenendo da un altro settore anch'esso regolato con price cap, che i criteri propri, ad esempio, del settore autostradale ben difficilmente si possono adattare a quello delle telecomunicazioni. Conseguentemente, anche per tagliare corto con vicende che nel contratto avrebbero avuto un sapore esoterico (analogamente, forse, alla formula adottata), abbiamo convenuto con il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni di prevedere una commissione che in sede strettamente tecnica, dopo una serie di discussioni che saranno sicuramente noiose, dovrà definire i criteri da seguire.
Tuttavia, non sfugge al governo del concedente (in questo senso voglio tranquillizzare anche il presidente), attraverso quei fattori e quei parametri che deve determinare, il governo del canone.
PRESIDENTE. Ringrazio i dirigenti della RAI per il loro contributo e ricordo ai colleghi che la Commissione è convocata domani, alle ore 10, per il seguito dell'esame del contratto di servizio tra la RAI e il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni.
La seduta termina alle 19,20.