La Commissione parlamentare per la semplificazione,
esaminato l'atto del Governo recante «Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, ai contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, ai contratti di rivendita e di scambio»,
premesso che:
l’obiettivo dello schema di decreto legislativo in esame, attuativo della delega prevista dall'art. 14 della legge n. 246/2005, meglio noto come “Codice del turismo”, approvato dal Consiglio dei ministri l'8 ottobre 2010, che si propone di promuovere una disciplina organica del turismo, il riordino e la semplificazione delle norme esistenti, è ampiamente condivisibile nel merito e può contribuire al rafforzamento della competitività di cui il settore ha forte necessità in questo grave periodo di crisi, offrendo maggiore tutela a consumatori ed operatori. Risultano però talmente improvvisati il metodo e approssimativa la strategia progettata nello schema di decreto da rendere completamente inutile se non dannoso il provvedimento concepito dal Governo;
vista l’importanza e l’ampiezza delle ricadute che lo schema di decreto avrà sull’industria del turismo in Italia, spiace che nella stesura del testo non sia stato dato modo a tutti gli attori del turismo di dare il proprio contributo. L’esclusione a priori del necessario coinvolgimento di Associazioni di categoria, delle Organizzazioni dei consumatori, dei sindacati e delle rappresentanze degli enti locali, ha impedito che il provvedimento fosse condiviso da tutti i settori del Turismo nel loro complesso, in modo tale da offrire una risposta collegiale alle reali esigenze di semplificazione e riordino manifestate da tutte le parti: cosa chiedono i turisti, cosa serve alle imprese del settore, il coordinamento degli attori istituzionali: un patrimonio conoscitivo imprescindibile per qualsiasi riforma normativa sulla materia;
le Regioni, inascoltate dal Governo nell’elaborazione del testo del Codice del Turismo nonostante abbiano competenze esclusive in materia di turismo ai sensi del titolo V della Costituzione, nella Conferenza Unificata riunitasi in data il 18 novembre 2010 hanno espresso un deciso parere negativo sullo schema di decreto del Governo. Le Regioni rilevano profili di illegittimità costituzionale sia per eccesso di delega (l’articolo 14 della legge n. 246/2005 non consentirebbe un intervento normativo di tale ampiezza), sia per violazione dei criteri di riparto delle competenze tra Stato e Regioni: « non si comprende come tale meccanismo di semplificazione e riordino normativo possa essere utilizzato nel caso di specie per dettare una disciplina complessiva ed organica nel settore turismo, andando ben oltre le funzioni previste dalle norme succitate, in una materia che, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione (art. 117, comma 4, Cost.) avutasi in forza della Legge 18 ottobre 2001 n. 3, rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni e delle Province Autonome (Corte Costituzionale, sentenze n. 94 del 2008, n. 214 e n. 90 del 2006, n. 197 del 2003), facendo ipotizzare quindi la sussistenza di profili di incostituzionalità dello schema di decreto in esame». Richiedendo un intervento nazionale per il turismo e affermando la necessità di promuovere un piano strategico nazionale « tuttavia ciò deve avvenire nel pieno rispetto del principio di leale collaborazione con le Regioni e le Province Autonome, prevedendo adeguate ed inderogabili forme di loro coinvolgimento» e non con un’imposizione dall’alto;
la Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato nel corso dell'adunanza del 13 gennaio 2011 ha consigliato al Governo di valutare se «a fronte del parere sfavorevole delle Regioni, sia il caso di soprassedere all’opera di codificazione, che potrebbe essere foriera di un contenzioso costituzionale», riconoscendo la legittimità di un intervento unitario dello Stato in materia di turismo «non esclude il dovere dello Stato di recuperare, in via generale, il consenso del mondo delle autonomie regionali e locali nella concreta fase di esercizio dei poteri amministrativi riportati allo Stato per sussidiarietà ascendente mediante la previsione della conclusione di intese con le Regioni e, ove necessario, con gli altri soggetti del mondo delle autonomie»;
la Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato giudica improprio l’art. 2 « non potendosi con norma statale ordinaria codificare i contenuti della giurisprudenza della Corte Costituzionale e superfluo atteso che il contenuto dell’articolo appare mera recezione della giurisprudenza della Corte costituzionale; tale giurisprudenza, che interpreta e specifica il contenuto delle norme costituzionali in materia di competenza legislativa statale, non ha – ovviamente – bisogno di recezione alcuna in norme statali ordinarie. Si suggerisce quindi la soppressione della norma»;
anche per l’art. 3, che ha ad oggetto principi di turismo accessibile, il Consiglio di Stato «osserva che il contenuto della norma appare vago e generico, essendo stata la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità recepita con legge n. 18 del 2009, e non disponendo il comma 2 alcun concreto precetto al di là della “promozione della fattiva collaborazione”. La norma, per non apparire declamatoria, dovrebbe specificare i concreti strumenti e la tempistica della collaborazione ed assicurare strumenti di effettiva tutela dei diritti delle persone disabili nei casi in cui la Convenzione non sia stata rispettata»; le Associazioni di categoria, nelle audizioni informali svolte dinanzi alla Commissione parlamentare per la Semplificazione, hanno fatto rilevare come l’art. 4 riporti una definizione indeterminata e generica di “impresa turistica”, incapace di fornire certezza normativa nelle regole volte ad individuare in maniera analitica gli operatori del settore. Oltretutto in questo codice sarebbero individuate le imprese della ricettività e dell'intermediazione, mentre resterebbero esclusi una serie di servizi, quali ristorazione, intrattenimento, servizi da spiaggia (stabilimenti balneari), che devono essere contemplati perché contribuiscono a completare il quadro dei prodotti turistici italiano;
in riferimento all'articolo 5, che riguarda le “imprese turistiche che esercitano attività nel settore del turismo giovanile e per finalità ricreative, culturali, religiose o sociali”, non sono uniformate agli obblighi cui sono soggette le imprese turistiche, e che ciò comporterebbe sia la perdita dei benefici di cui all'articolo 4, comma 2 (agevolazioni, sovvenzioni, contributi, ecc.), sia una indubbia violazione delle garanzie alla qualità del servizio offerto. Andrebbe perciò stabilito che le associazioni predette assicurano comunque il rispetto dei diritti del turista tutelati dall’ordinamento internazionale e comunitario;
il Consiglio di Stato suggerisce la soppressione dell’art. 7, che reca principi e competenze sulle professioni turistiche, rilevando che «la norma appare superflua e può essere fonte di equivoci ove contrappone i principi di liberalizzazione all’esigenza di garantire requisiti di professionalità tali da assicurare un elevato livello di qualità dei servizi turistici. L’equilibrio fra i principi del mercato e l’esistenza di privative professionali è definito dalla normativa in modo tale che, al di fuori di quanto statuito dalle regole dell’ordinamento speciale delle professioni turistiche, riprendono vigore i principi del mercato, fermo restando che le regole dell’ordinamento speciale devono assicurare parità di trattamento, non discriminazione ossia il pieno rispetto dei principi comunitari che appaiono a questo riguardo sovraordinati»;
le Associazioni delle guide turistiche hanno espresso forte dissenso nei confronti del Codice del Turismo, in particolare per l’art. 8, giudicato particolarmente grave, poichè si afferma che «Le attività di guida turistica e di accompagnatore turistico sono esercitate su tutto il territorio nazionale». L’Unione Europea riconosce in vari atti la competenza territoriale della guida turistica, distinguendola chiaramente dalla figura dell’accompagnatore che è una figura viaggiante. Con tali articoli di legge, si annullerebbe la professione di guida turistica, assimilandola a quella di accompagnatore e si determinerebbe un decadimento gravissimo delle prestazioni fornite ai visitatori. L’art. 8, inoltre, è in netta contraddizione la delega legislativa prevista dall'articolo 10 della legge comunitaria 2010 (atto Camera n. 4059), in discussione alla Camera dei deputati, e diretta al riordino della professione di guida turistica distinta da quella di accompagnatore, con particolare riferimento ai titoli e requisiti per il suo esercizio. Pertanto si ritiene inutile che la materia sia regolamentata anche nel Codice del turismo con l'inevitabile rischio di generare un conflitto tra norme e confusione in sede di applicazione;
in ordine agli artt. 11 e 12 si osserva che essi agiscono su normative regionali preesistenti giustificandosi esclusivamente alla luce delle esigenza di garantire uniformità degli standard minimi nazionali delle strutture ricettive assicurati poi dal successivo articolo 13. Come ricordato dal parere del Consiglio di Stato «le normative regionali difformi tuttavia continuerebbero ad essere applicabili ai diversi fini per cui sono disposte, non avendo l’intervento altra finalità – per dichiarazione dello stesso legislatore statale – che quella di rendere possibile attraverso la formulazione di un’unitaria classificazione tipologica, l’esercizio del potere amministrativo di classificazione degli standard qualitativi delle strutture ricettive. Ne deriva la necessità di riformulare le predette disposizioni, che ben potrebbero essere considerate classificazioni utili ai fini dell’esercizio del potere statale previsto dall’art. 13. La norma di cui all’art. 11 dovrebbe integrarsi inserendo dopo la formula “ai fini del presente decreto legislativo” la seguente formula: “nonché, in particolare, ai fini dell’esercizio del potere amministrativo statale di cui all’art. 13”».
la Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato, con riferimento all’art. 19, inerente misure di semplificazione degli adempimenti amministrativi delle strutture turistico–ricettive, rileva che «la norma in questione interviene creando un modello ulteriore e specifico di segnalazione di inizio attività in materia di strutture turistico ricettive, che non appare del tutto in linea con la disciplina di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e, sovrapponendosi ad esso, finisce con il contrastare con le dichiarate finalità di semplificazione della normativa»;
l’associazionismo ha condannato la classificazione e le definizioni delle strutture ricettive, contenute nel Titolo III, in tema di mercato del turismo, poiché generano confusione e incertezza interpretativa. In particolare è prevista una nuova categoria di struttura ricettiva denominata "paralberghiera" accanto a quella alberghiera, mai disciplinata in Italia e non contemplata in nessun altro Paese europeo. La mancanza di una sua definizione non consente di individuarla e di fissare criteri di demarcazione tra l'una e l'altra categoria, pertanto sarebbe stato meglio utilizzare l'espressione "extralberghiera". Inopportuna anche la scelta di assimilare la tipologia alberghiera con quella del bed and breakfast (B&B), differenti per servizi e professionalità. Nella suddetta classificazione figura, infatti, la specifica tipologia del "B&B organizzato in forma imprenditoriale", che non viene definita, omissione questa che, oltre a generare il rischio di possibili elusioni fiscali, non ne consente l'individuazione. Analoghe omissioni foriere di ulteriore confusione e incertezza si rilevano per le "case per ferie" e le "foresterie per turisti";
il responsabile nazionale del settore Trasporti e Turismo di Confconsumatori, Carmelo Calì, ha espresso un parere fortemente negativo sull’art. 52 che elimina il Fondo di garanzia attualmente previsto a garanzia del consumatore per rimborsarlo delle somme versate per l'acquisto di pacchetti turistici non fruiti a causa dell'insolvenza o fallimento dell'operatore o dell'agenzia di viaggi o per assicurare assistenza in caso di rientro forzato di turisti da paesi esteri in occasione di emergenze imputabili o meno al comportamento dell'organizzatore. Tale espunzione si ripercuoterebbe sui diritti di tutela del consumatore che non potrebbe essere assistito dalla previsione delle "polizze assicurative", contemplate dalla disposizione in esame in luogo del Fondo di garanzia, per l'impossibilità oggettiva della stipula di tali polizze da parte delle compagnie assicurative, non disponibili a garantire simili rischi. Oltretutto, l'articolo 22 prevede per le agenzie di viaggio e turismo solo un generico obbligo di assicurazione, determinando, ancora una volta, incertezza e confusione per l'impossibilità di individuare precisi criteri giuridici che definiscano, in concreto, tale obbligo. Mentre l'articolo 45, in riferimento alla nozione di inesatto adempimento, rispetto al testo vigente dell'articolo 93 del decreto legislativo n. 206 del 2005, recante il Codice del consumo, non contiene l'esplicita esclusione della responsabilità nel caso in cui il mancato o inesatto adempimento sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al venditore. Infine all'articolo 49 si prevede la risarcibilità del "danno di vacanza rovinata" che rischia, anche secondo il Consiglio di Stato, di essere foriera di contenziosi, in quanto "il riferimento alla serietà dell'offesa costituisce un filtro selettivo atto a bilanciare la posizione del danneggiante e quella del danneggiato, posto che l'offesa minima - in un giudizio di accertamento in concreto dell'inviolabilità dell'interesse - appare di per sé inidonea a superare il limite della tollerabilità civile";
gli operatori sono fortemente critici nei confronti dell'art. 58 del Codice del Turismo, che definisce l'ENIT (Ente nazionale italiano del turismo) Agenzia nazionale del turismo, cioè l’organo deputato a promuovere l'Italia all'estero in termini di offerta turistica, e che non definisce in concreto quali siano le sue funzioni, le quali dovrebbero trovare una approfondita regolamentazione. Nessuna disposizione detta norme in tema di risorse, indispensabili per rendere efficace ed efficiente l'attività di un Ente che ha il compito di promuovere il turismo nazionale all'estero, soprattutto con i tagli operati dal Governo con la legge di stabilità per il 2011;
lo schema di decreto manca di regolamentare ampie porzioni della materia. Come rilevato dalle Associazioni di categoria nel provvedimento è del tutto assente una politica fiscale che riallinei l’Iva del comparto turistico a quella dei Paesi europei più direttamente nostri concorrenti (Spagna, Francia e Grecia hanno una aliquota IVA sull’offerta turistica pressoché dimezzata rispetto alla nostra);
lo schema di decreto non prevede incentivi e sgravi fiscali per chi investe, non risolve i problemi del turismo, non contiene proposte per un settore che ha bisogno di rinnovarsi, che necessita di un sostegno per riqualificarsi e rilanciarsi, per stare alla pari con le sfide che il mercato globale ha portato anche nel turismo;
non vi è alcun riferimento al "turismo balneare" e a tutte le imprese e le strutture turistico-ricreative che lo costituiscono. Gli stabilimenti balneari ricoprono un ruolo rilevante e specifico nel comparto turistico e, pertanto, devono essere nuovamente introdotti nella definizione di impresa turistica. Si tratta di un settore fondamentale del nostro turismo che necessita di una disciplina chiara e puntuale, assolutamente assente in questo codice e che non può essere ricondotta alla generica e vuota espressione "turismo del mare", riportata al titolo III e non corredata da disposizioni che consentano di individuare regole, soggetti e contenuti, agevolazioni lasciando spazio a molteplici interpretazioni foriere di incertezza e confusione o ad una devastante prospettiva di privatizzazione dell’intero settore a vantaggio di oligopoli, con la distruzione di centinaia di piccole aziende familiari;
si ritiene che l’attuale testo del Codice del Turismo costituisca un’occasione perduta, per le molteplici ragioni esposte, in un settore che invece merita ben altra qualità delle politiche nell’orizzonte di un vero patto nazionale per la crescita del Paese:
Esprime parere contrario.