SENATO DELLA REPUBBLICA
-------------------- XIII LEGISLATURA --------------------

4a Commissione permanente
(DIFESA)




231a seduta: martedì 20 giugno 2000, ore 15
232a seduta: mercoledì 21 giugno 2000, ore 15
233a seduta: giovedì 22 giugno 2000, ore 15


ORDINE DEL GIORNO


MARTEDI'


PROCEDURE INFORMATIVE


Interrogazioni. Svolte nn. 03-2361, 03-02374, 03-03186 e 03-03317.

SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE


Proposta di indagine conoscitiva sul funzionamento degli enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi ai quali contribuisce annualmente il Ministero della Difesa.


MERCOLEDI' E GIOVEDI'


IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO



Esame, ai sensi dell'articolo 139-bis del Regolamento, degli atti:

1. Schema di decreto legislativo concernente "Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 30 dicembre 1997, n. 490, recante riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento degli ufficial". - Relatore alla Commissione LORETO
(Parere al Ministro dei rapporti con il Parlamento, ai sensi dell'articolo 9 della legge 31 marzo 2000, n. 78)
(n. 694)

2. Programma pluriennale di A/R S.M. Aeronautica n. 2/2000 relativo all'ammodernamento della flotta AM-X. - Relatore alla Commissione MANCA
(Parere al Ministro della difesa, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 4 ottobre 1988, n. 436).
(n. 692)

IN SEDE DELIBERANTE

I. Seguito della discussione congiunta dei disegni di legge:

1. BERTONI e LORETO. - Norme per il riordino della sanità militare
(Pareri della 1a, della 3a, della 5a e della 12a Commissione) (40)

2. DOLAZZA. - Riordino della sanità militare
(Pareri della 1a, della 3a, della 5a , della 7a, della 12a e della 13a Commissione)
(1591)
3. MANFREDI ed altri. - Norme per il riordino della Sanità militare
(Pareri della 1a, della 3a, della 5a , della 7a, della 12a e della 13a Commissione)
(1595)
- Relatore alla Commissione AGOSTINI
- e del voto regionale n. 93 ad essi attinente.


II. Discussione congiunta dei disegni di legge:

1. Disposizioni concernenti medici militari e della polizia di Stato (Risultante dallo stralcio, deliberato dall'Assemblea il 24 luglio 1997, dell'articolo 12 del disegno di legge di iniziativa governativa)
(Pareri della 1a, della 5a e della 12a Commissione)
(2287-octies)

2. Lorenzo DIANA. - Norme per prestazioni di esperti esterni nelle strutture sanitarie dell'Amministrazione della difesa
(Pareri della 1a, della 5a , della 7a e della 12a Commissione)
(2805)
- Relatore alla Commissione AGOSTINI



INTERROGAZIONI ALL’ORDINE DEL GIORNO

        LORETO, BATTAFARANO. – Al Ministro della difesa. – Premesso:

                che a Taranto opera la cooperativa giovanile «San Vito», costituita per il recupero ambientale, l’agricoltura, il turismo, il ripristino dei vecchi tratturi e il risanamento della costa ed in particolare dei 10 chilometri che vanno dalla batteria Rotina poco dopo Lido Bruno al confine con il territorio di Leporano;
                che in questo tratto di litorale insiste un’area di proprietà della Marina militare da sempre abbandonata nella quale negli anni passati è successo di tutto, dalla costruzione di una villetta abusiva da parte di un alto ufficiale alla sua destinazione a luogo dove le auto rubate venivano smontate e rimesse sul mercato e dove fu anche ritrovato dalle forze dell’ordine un piccolo deposito di armi;
                che la suddetta cooperativa, dopo aver avanzato domanda di avere questa area in concessione o in proprietà, nella scorsa estate l’ha bonificata, consentendo a migliaia di bagnanti di attraversarla liberamente per arrivare a mare;
                che dopo il lavoro di bonifica la cooperativa «San Vito» è stata denunciata all’autorità giudiziaria dal comando del dipartimento militare marittimo per invasione di terreno ed edifici (articolo 633 del codice penale) e depauperamento ed imbrattamento di cose altrui (articolo 639 del codice penale) e i suoi soci martedì 10 novembre 1998 dovranno rispondere di tanto dinanzi al sostituto procuratore presso la pretura di Taranto;
                che nel passato remoto e prossimo mai il comando del dipartimento militare marittimo si è attivato per contrastare le diverse attività illecite che venivano svolte sull’area in questione e che quindi appare del tutto spropositato l’accanimento mostrato nei confronti dei soci della cooperativa «San Vito», che volevano solo lavorare ed utilizzare produttivamente aree completamente abbandonate al degrado più totale dalla Marina militare,
            gli interroganti chiedono di sapere se non si ritenga utile, opportuno e conveniente per l’amministrazione della difesa dare in concessione alla cooperativa «San Vito» l’area in questione, abbandonata al degrado da diversi anni, per concorrere anche in misura modesta allo sviluppo e al rilancio dell’occupazione in un territorio nel quale non sono certamente sottodimensionate le aree demaniali della difesa.


(3-02361)

        LORETO. – Al Ministro della difesa. – Per sapere:

                quali siano le fonti normative e gli atti amministrativi in base ai quali sono stati e sono costruiti i cosiddetti «centri di sopravvivenza a mare» per l’addestramento alla sopravvivenza del personale militare;
                quanti siano e dove siano ubicati i suddetti centri;
                quali attività addestrative si siano svolte negli ultimi cinque anni;
                se in questi centri si svolgano attività riconducibili al soddisfacimento delle esigenze relative al benessere del personale.


(3-02374)

        CAZZARO, BARRILE. – Ai Ministri della difesa e delle politiche agricole e forestali. – Premesso:

                che dal 15 settembre al 13 ottobre 1999 sono stati rinvenuti in mare di fronte alla costa veneziana tre ordigni esplosivi di alta pericolosità;
                che esiste una seria e giustificata preoccupazione per i rischi che corrono i pescatori e chi svolge attività in mare;
                che presumibilmente si tratta di bombe rilasciate in mare durante le operazioni del conflitto in Kosovo;
                che le operazioni di bonifica evidentemente non sono riuscite a risanare totalmente le acque dell’Alto Adriatico, caratterizzato da bassi fondali;
                che le operazioni di bonifica, dichiarate concluse, sono avvenute sulla base delle mappe e delle informazioni fornite dalla NATO a seguito della determinata azione del Governo italiano,
            gli interroganti chiedono di sapere:
                se i tre ordigni esplosivi ritrovati recentemente in mare siano del tipo usato in Kosovo o se siano da ricondurre ad altri precedenti conflitti;
                se le informazioni fornite dalla NATO siano considerate complete e soddisfacenti;
                quali azioni siano in corso o si intenda attivare per completare l’opera di bonifica e garantire così assoluta sicurezza.


(3-03186)

        PETRUCCI, ROBOL, NIEDDU, MASCIONI, LORETO, FORCIERI, SARACCO, CONTE, AGOSTINI. – Al Ministro della difesa. – Premesso:

                che un articolo apparso nelle settimane scorse sul quotidiano tedesco «Sucddeutsche Zeitung», riportando, sulla base di carte degli alleati, rapporti di epoca e vecchi documenti, affermava che centinaia di criminali della seconda guerra mondiale non sono mai stati processati in Italia, perchè alla fine del conflitto le autorità italiane non presero alcun serio procedimento nei loro confronti;
                che tra gli episodi riportati dal quotidiano tedesco vi è la strage di Sant’Anna di Stazzema, nella quale il 12 agosto del 1944 furono trucidate dai nazifascisti 560 persone, la maggior parte delle quali donne e bambini, e furono compiute altre efferate azioni svolte dalle SS e dalle Brigate Nere nel territorio della Toscana nord-occidentale, compreso tra i fiumi Magra e Serchio;
                che i maggiori responsabili delle atrocità commesse nella fascia tirrenica della linea gotica, allo scopo di fare terra bruciata intorno alle formazioni partigiane, furono i reparti della 16esima SS Panzer Grenadiener Division comandata dal generale Max Simon ed in particolare il gruppo corazzato esploratore agli ordini di Walter Reder;
                che il Consiglio della magistratura militare avviò nel maggio del 1996 una indagine conoscitiva per stabilire «le dimensioni» le cause e le modalità» della provvisoria archiviazione e del trattenimento nell’ambito della procura generale militare presso il tribunale supremo militare di procedimenti per crimini di guerra; le conclusioni di tale indagine sono state esaminate dal Consiglio nel
plenum del 23 marzo 1999, che ha provveduto a deliberare una relazione conclusiva;
                che tale relazione prende l’avvio da una nota, in data 19 marzo 1996, con cui il magistrato militare, dottor Antonio Sabino, all’epoca componente del Consiglio della magistratura militare, segnalava che, secondo un servizio del settimanale «l’Espresso», «una gran quantità di procedimenti penali relativi a gravi reati commessi in Italia dalle truppe germaniche nel corso del secondo conflitto mondiale sarebbero stati trattenuti presso vari uffici giudiziari militari nella posizione di archiviazione provvisoria, o comunque non avrebbero seguito il regolare corso per l’identificazione dei responsabili. In alcuni casi.... si sarebbe proceduto all’archiviazione nonostante l’identità ed anche la residenza degli autori di siffatti crimini risultasse già dagli atti...»;
                che, con nota in data 15 aprile 1996, il magistrato militare, dottor Sergio Dini, sostituto procuratore presso il tribunale militare di Padova, denunciava al Consiglio che a partire dal novembre 1994 erano cominciati a giungere alla procura, provenienti dalla procura generale presso la corte militare d’appello, dei fascicoli processuali, che nell’aprile 1996 avevano raggiunto il numero di sessanta circa, concernenti episodi verificatisi nel corso della seconda guerra mondiale in Italia, tra i quali «numerosi quelli in cui vi sono indicazioni nominative precise circa i soggetti ritenuti responsabili degli episodi criminali»; analogo flusso di incarti processuali si era verificato in direzione di altre procure militari; il dottor Dini segnalava inoltre che nei fascicoli figurava il provvedimento di archiviazione provvisoria del procuratore generale militare presso il tribunale supremo militare; gli incartamenti in molti casi comprendevano verbali di informazioni raccolte da commissioni anglo-americane di inchiesta sui crimini di guerra: atti che non erano nemmeno stati tradotti; il magistrato manifestava disagio e perplessità in ordine al significato e produttività di iniziative giudiziarie concernenti episodi così remoti del fenomeno, le ragioni e le responsabilità dell’impropria giacenza in archivio per circa mezzo secolo, nonchè le modalità della riesumazione e della recente trasmissione dei fascicoli alla procure militari;
                che, a seguito di queste denunce, il Consiglio della magistratura militare con delibera del 7 maggio 1996 istituiva l’indagine conoscitiva sopracitata e una apposita commissione che ha effettuato audizioni ed acquisito la documentazione esistente;
                che i fascicoli estratti dall’archivio e trasmessi dal procuratore generale presso la corte militare d’appello alle procure militari sono risultati in numero di 695; 2 sono stati inviati alla procura militare di Palermo, 4 a Bari, 32 a Napoli, 129 a Roma, 214 a La Spezia, 108 a Verona, 119 a Torino, 87 a Padova; tra questi 280 circa sono stati rubricati quali procedimenti nei confronti di ignoti, militari tedeschi il più delle volte, oppure fascisti; gli altri 415, invece, nei confronti di militari identificati, per lo più appartenenti alle Forze armate germaniche, oppure alle milizie della Repubblica sociale italiana; in gran parte dei casi i fatti denunciati sono crimini di guerra, più particolarmente reati anche a danno di persone estranee ai combattimenti, con prevalenza di maltrattamenti, violenze ed omicidi, come configurati dall’articolo 185 del codice penale militare di guerra;
                che, sempre dalla relazione del Consiglio della magistratura militare, risulta che «le denunce, i rapporti di polizia giudiziaria e le inchieste di questa e degli organi delle forze armate alleate, sono stati in tempi vicini ai fatti criminosi, e quindi nell’immediato dopoguerra, o addirittura nel corso della guerra. Tuttavia, negli incartamenti giunti alle procure esiste un apparente giustificazione del trattenimento degli atti in archivio. In effetti, in ogni fascicolo compare il già citato provvedimento di archiviazione provvisoria della procura generale militare della Repubblica-Ufficio procedimenti contro criminali di guerra tedeschi, sottoscritto dallo stesso titolare dottor Enrico Santacroce, del seguente tenore: «letti gli atti relativi ai fatti di cui tratta il fascicolo numero ... dell’Ufficio sopra indicato; poichè nonostante il lungo tempo trascorso dalla data del fatto anzidetto non si sono avute notizie utili per l’identificazione dei loro autori e per l’accertamento delle responsabilità, ordina la provvisoria archiviazione degli atti». Naturalmente, nel caso in cui l’autore del reato non fosse senza nome, la motivazione viene opportunamente diversificata, con un semplice tratto di penna sul testo ciclostilato. Le archiviazioni a
clichè figurano tutte disposte il 14 gennaio 1960»;
                che dalla relazione «che reca il titolo di ruolo generale dei procedimenti contro criminali di guerra tedeschi, si desumono i dati riguardanti i fascicoli inviati alle procure negli anni 1994-1996. Ma non solamente di questi, in quanto le notizie di reato registrate sono ben 2.274, dall’eccidio delle Fosse Ardeatine che vi è annotato con il numero 1 ad un fatto di maltrattamenti attribuito a tale Hagemann Joachim che vi è annotato con il numero 2.274. Vi figurano le indicazioni sull’autore del reato, la persona offesa, l’organo pubblico o il privato denunciante, eccetera, come avveniva con il registro generale di una qualsiasi procura della Repubblica. Tuttavia come riportato sullo stesso registro, non tutti questi incartamenti sono stati trattenuti sino al 1994-1996. Innanzitutto, i fascicoli riguardanti reati non militari, in numero di 260 circa, sono stati senza ritardo trasmessi per competenza all’Autorità giudiziaria ordinaria. Nello stesso periodo, vale a dire al più tardi nell’immediato dopoguerra, dei fascicoli, ma non più di 20 circa, risultano regolarmente inviati alle competenti procure militari. Alle medesime poi, con provvedimenti del pericolo 1965-1968, e quindi successivamente alla provvisoria archiviazione disposta nel 1960, sono stati trasmessi circa 1.250-1.300 fascicoli, i quali tutti, nessuno escluso, non comprendono indicazioni sugli autori del reato e corrispondono pertanto a procedimenti contro ignoti»;
                che l’indagine si sofferma sul fatto «che il trattenimento presso la procura generale militare dei rapporti e denunce che vi erano arrivati provenienti da tutta Italia, fenomeno che ha riguardato dunque circa 2.000 fascicoli: 1.250-1.300 trasmessi negli anni 1966-1968 e i rimanenti nel 1994-1996, non è stato semplice conseguenza di decisioni non condivisibili o inopportune, bensì più particolarmente il frutto di un insieme di determinazioni radicalmente contrarie alla legge, adottate da un organo privo di ogni competenza in materia, che hanno sistematicamente sottratto gli atti al pubblico ministero competente e perciò impedito qualsiasi iniziativa di indagine e di esercizio dell’azione penale. La relazione prende atto della violazione della legalità, che non può essere attribuita agli uffici giudiziari militari o alle procure militari in generale, bensì alla procura generale presso il tribunale supremo militare, il solo ufficio responsabile, senza possibilità di controllo da parte di altri organi giudiziari, dell’indebito trattenimento dei fascicoli sui crimini di guerra»;
                che risulta anche che l’illegalità ha avuto inizio negli anni dell’immediato dopoguerra, in cui già si sarebbe dovuta adottare per i crimini di guerra la decisione di inviare gli atti alle procure militari, secondo i normali criteri di competenza territoriale. L’illegalità è proseguita negli anni successivi, in cui già era terminato l’afflusso di denunce, ed anche dopo il 1954, e si sarebbe conclusa nel 1974;
                che, come si è detto, continua la relazione, «nonostante le archiviazioni del 1960, negli anni 1965-1968 ben 1.250-1.300 fascicoli sono stati trasmessi alle procure militari. Ma il parziale rientro dall’illegalità non può far passare sotto silenzio il fatto che in quell’occasione, nel più vasto ambito degli incartamenti ancora indebitamente trattenuti presso la procura generale, si è fatta un’opera di selezione, di modo che sono stati trasmessi soltanto fascicoli che non contenevano notizie utili per l’identificazione degli autori del reato e che non erano dunque idonei a determinare l’avvio di veri e propri procedimenti penali»;
                che la relazione rileva che «è noto che, proprio grazie alla buona disposizione ed all’assistenza giudiziaria prestata dalle autorità alleate di occupazione tramite uffici appositamente costituiti, nell’immediato dopoguerra dinanzi ai tribunali militari si sono celebrati alcuni processi, nei quali con la cooperazione si erano superate le difficoltà per la ricerca delle prove dei reati e per il rintraccio e la consegna dei colpevoli al nostro paese. È altrettanto noto, anzi è un fatto fondamentale nella storia del secondo dopoguerra, che la situazione politica si è poi rapidamente evoluta verso la logica dei due blocchi di Stati contrapposti e la guerra fredda, con l’esigenza anche da parte dell’Occidente di attribuire un preciso ruolo difensivo antisovietico alla stessa Germania sconfitta. Sta di fatto che l’assistenza giudiziaria si è affievolita, sino a cessare intorno al 1948, con la soppressione degli uffici a suo tempo istituiti dalle autorità alleate. Con la successiva costituzione della Repubblica federale di Germania il problema dell’assistenza giudiziaria ha poi assunto tutte le difficoltà e rigidità tipiche dei rapporti tra Stati. Tra l’Italia e la Germania era allora in vigore il trattato approvato con legge 18 ottobre 1942, n. 1344, per cui l’estradizione verso il nostro paese non era consentita dalla condizione di cittadino tedesco e dalla natura apolitica dei reati»;

                che sempre dalla relazione si evince che «nel 1956 un procuratore militare si era rivolto all’autorità di Governo per una ennesima istanza di estradizione, da presentare al Governo della Repubblica federale di Germania. L’esito dell’iniziativa non poteva essere diverso da quello adottato per altri casi dal nostro Governo, in considerazione delle disposizioni del trattato italo-tedesco. Nondimeno, il Ministero degli esteri con nota del 10 ottobre 1956 diretta al Ministro della difesa, riguardante proprio l’estradizione ipotizzata dal procuratore militare, nell’esporre i vari argomenti contrari all’iniziativa, tra l’altro chiaramente si soffermava sui non trascurabili «interrogativi (che) potrebbe far sorgere da parte del Governo di Bonn una nostra iniziativa che venisse ad alimentare la polemica sul comportamento del soldato tedesco: proprio in questo momento, infatti, tale Governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione pubblica il massimo sforzo, allo scopo di vincere la resistenza che incontra oggi in Germania la ricostruzione di quelle forze armate, di cui la NATO reclama con impazienza l’allestimento». Sta di fatto che nel 1965, a venti anni circa di distanza dai reati, le sentenze dibattimentali pronunciate dal tribunale militare per crimini di guerra erano appena 13, per un totale di 25 imputati. E non tutti questi procedimenti avevano presso avvio da documentazione proveniente dalla procura generale militare, che tra l’altro nel 1962 avrebbe dato ai magistrati militari la direttiva di evitare sentenze contumaciali e quindi di non dedicarsi a procedimenti per reati di quel tipo, se non nei casi, di pura teoria, in cui l’imputato fosse detenuto o eventualmente presente»;
                che la relazione si sofferma sull’iniziativa «presa dal Governo della Repubblica federale di Germania, che, avvicinandosi la data dell’8 maggio 1965, da cui in quel paese si sarebbe applicata ai reati commessi dai nazisti, la prescrizione ventennale, il 20 novembre 1964 aveva deciso di chiedere ai Governi stranieri amici, alle organizzazioni ed ai privati tutto il materiale di prova disponibile su quei crimini, per metterlo entro il 1º marzo 1965 a disposizione dell’autorità giudiziaria germanica. Per il nostro paese la richiesta veniva passata alla procura generale militare, depositaria del noto archivio. Con nota di risposta in data 16 febbraio 1965 diretta al Ministero della difesa il procuratore generale non mancava di affermare che «l’autorità giudiziaria italiana conserva il pieno esercizio della propria giurisdizione per i reati...» e che «la legge italiana è più rigorosa in materia di prescrizione dei reati in questione». Quanto alla richiesta della documentazione, comunicava che dal riesame del materiale dell’archivio emergevano «casi peraltro non numerosi di crimini tuttora impuniti, per i quali vi è una sufficiente documentazione». Nel frattempo in data 25 marzo il Parlamento tedesco decideva di prorogare la scadenza del termine di prescrizione ventennale facendolo decorrere dal 1º gennaio 1950 e presso la procura generale militare si lavorava per trasmettere al pubblico ministero soltanto i procedimenti contro ignoti militari tedeschi che, infatti, nei due-tre anni successivi puntualmente giungevano alle procure militari in numero di 1.250-1.300»;
                che, dopo questa vicenda, il problema dell’archivio e dei crimini di guerra non è quasi più considerato nel carteggio d’ufficio della procura generale militare e del Ministero della difesa. L’ultima nota è del 28 aprile 1967: il procuratore generale militare, per il tramite del Ministero della difesa e poi del Ministero degli affari esteri, in riscontro ad una richiesta del centro di documentazione ebraico di Vienna, comunicava le notizie ricavate dai fascicoli in archivio sul conto di una dozzina di criminali di guerra segnalati dal centro stesso, e che nei loro confronti non erano in corso procedimenti dinnanzi ai tribunali militari;
                che è da stabilire, sottolinea la relazione, «se da parte dei procuratori generali successivi al dottor Santacroce possa esservi stata consapevolezza dell’esistenza dell’archivio e degli incartamenti che ancora attendevano di essere inviati al pubblico ministero. E a questo scopo appare necessario riconsiderare l’evento della scoperta dell’archivio nel 1994 ed in quale preciso ambito di palazzo Cesi questo si trovasse. Si trattava, come si è accennato, di una delle stanze del pianterreno, ben distinte dunque rispetto alla procura generale da sempre dislocata all’ultimo piano, adibite ad archivio degli atti dei tribunali di guerra soppressi e del tribunale speciale per la difesa dello Stato. Nel locale poi esisteva uno stanzino più interno, chiuso da un cancello di ferro con grata. E i fascicoli si trovavano qui, in un armadio di legno con le ante chiuse rivolte verso una parete: quasi nei più profondi recessi del palazzo. Inoltre, a partire dal 1991, quei locali erano passati nella disponibilità di un diverso ufficio, la procura generale presso la corte militare d’appello. Gli stessi fascicoli, come si è pure acquisito tramite i funzionari ed i magistrati collaboratori del dottor Santacroce, erano stati inizialmente custoditi nella seconda stanza a sinistra all’ultimo piano del palazzo, nella sede della procura generale presso il TSM. E non poteva essere altrimenti, dato che in quel periodo con quei fascicoli si lavorava intensamente, come se si trattasse di un normale carico di processi. È certo, tuttavia, che gli incartamenti sono stati portati altrove, e pertanto nel locale del pianterreno, alla fine degli stessi anni in cui ci si era dedicati con continuità ed impegno, e quindi sempre nel periodo di titolarità del dottor Santacroce. Ma un ultimo elemento è forse sempre nel periodo di titolarità del dottor Santacroce. Ma un ultimo elemento è forse il più importante, in merito al quesito sul periodo successivo. Non solo nel carteggio posteriore al 1967 più non risulta l’esistenza dell’archivio; ma nell’ambito della procura generale nemmeno c’era un qualsiasi più specifico documento che, tra i carichi pendenti dell’ufficio, indicasse i fascicoli sui crimini di guerra;
                che è infine appurato che non v’è stata tra i magistrati che si sono avvicendati quali titolari dell’ufficio a partire dal 1975 una formale consegna degli incartamenti, inoltre, gli stessi, per la mancanza di documentazione al riguardo e perchè l’archivio era già stato materialmente occultato, non sono stati nemmeno di fatto in grado di rendersi conto dell’impropria giacenza dei fascicoli,
            si chiede di sapere:
                se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza del contenuto della relazione approvata dal
plenum del Consiglio della magistratura militare e quali valutazioni esprima sugli evvenimenti individuati, che hanno contribuito a fare sì che i colpevoli di eccidi di inermi cittadini italiani, compresi donne e bambini, durante la seconda guerra mondiale, non siano stati assicurati alla giustizia nonostante la documentazione con indicazioni nominative e prove dettagliate sui soggetti responsabili delle efferate stragi nazifasciste;
                come sia stato possibile il verificarsi della copertura dei responsabili di tali crimini e l’insabbiamento della documentazione disponibile;
                quali siano state le responsabilità e le connivenze ai vari livelli;
                soprattutto, quali provvedimenti si intenda adottare affinchè, seppure a distanza di molti anni, sia assicurata verità e giustizia ai familiari di tanti cittadini italiani, individuando e punendo i responsabili ancora in vita di stragi e atrocità commesse dai nazifascisti in numerose realtà del nostro paese.


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